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Follow up a lungo termine in pazienti ipertesi con stenosi aterosclerotica dell'arteria renale dopo angioplastica o stenting: outcome della funzione renale

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4 Introduzione

Scopo di questa tesi è stato valutare il successo immediato e a lungo termine (fino a 4 anni) della rivascolarizzazione percutanea mediante angioplastica o stenting in pazienti ipertesi con stenosi dell’arteria renale (SAR) di natura aterosclerotica passando in rassegna i dati della letteratura e presentando i risultati di uno studio condotto su pazienti afferenti al Centro di Riferimento Regionale della Diagnosi e Terapia dell’Ipertensione Arteriosa del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Pisa sottoposti ad intervento di correzione della stenosi presso il Dipartimento di Oncologia, dei Trapianti e delle nuove Tecnologie in Medicina.

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5 Capitolo 1. Malattia Renovascolare ed Ipertensione Renovascolare

1.1. Premesse

La Malattia Renovascolare (MRV), definita dalla presenza di lesioni occlusive (stenosi od occlusione) dell’arteria renale e/o dei suoi rami, ha due principali conseguenze: può essere causa di nefropatia ischemica, cioè perdita del tessuto renale con comparsa e/o aggravamento di insufficienza renale e può determinare l’insorgenza di ipertensione secondaria che viene pertanto guarita o migliorata dalla correzione delle lesioni stenotiche1,2. La diagnosi di MRV riveste

pertanto notevole importanza dal punto di vista clinico per le possibili ripercussioni sui valori pressori del paziente e sulla funzionalità renale.

Le cause più comuni di MRV (90%) sono rappresentate dall’aterosclerosi e dalla displasia fibromuscolare. Cause meno frequenti (< 10%) di MRV sono le arteriti, la neurofibromatosi, le anomalie congenite (malformazioni arterovenose o fistole),

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l’aneurisma dissecante dell’aorta, la coartazione congenita dell’aorta addominale, l’aneurisma dell’arteria renale, l’embolia dell’arteria renale, l’ostruzione estrinseca dell’arteria renale che può essere determinata da: feocromocitoma, paraganglioma, fibrosi retro peritoneale, ptosi renale, ostruzione renale, pseudo cisti renali e tumori. La lesione aterosclerotica è la più frequente (70% dei pazienti con MRV e più del 90% dei pazienti anziani con MRV). Prevalente nel sesso maschile (M:F=2:1), in genere polidistrettuale (80% dei casi), determina stenosi eccentrica o concentrica con localizzazione, nella maggior parte dei casi, nel terzo prossimale dell’arteria renale e nel 30% dei casi in sede ostiale. Le lesioni aterosclerotiche, bilaterali in circa 1/3 dei casi, sono evolutive e progrediscono verso una stenosi di entità sempre maggiore che può arrivare fino all’occlusione completa3־4,5.

La SAR aterosclerotica è la causa di insufficienza renale terminale nel 10-20% dei pazienti di età > 50 anni e nel 2,1% di tutti i nuovi casi di malattia renale terminale.

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La MRV è risultata essere la causa di insufficienza renale terminale con maggiore percentuale di crescita annua, superiore anche a quella del diabete mellito3.

1.2. Prevalenza

Nei paesi industrializzati, in seguito al progressivo invecchiamento della popolazione ed al maggiore sviluppo delle procedure diagnostiche, la prevalenza della MRV, di origine aterosclerotica, sembra essere in continuo aumento. Recenti studi6 dimostrano una prevalenza di MRV dello 0,5-5% nella popolazione generale; in pazienti con un’età superiore ai 65 anni, sottoposti ad un esame eco-Doppler dell’addome per la valutazione del rischio cardiovascolare, la prevalenza è risultata del 7%; in studi autoptici di pazienti deceduti per ictus la prevalenza è stata del 10%; in popolazioni selezionate ad alto rischio, ovvero pazienti con malattia coronarica o arteriopatia periferica conclamata, la prevalenza è risultata del 15-28% e 14-49% rispettivamente6. Pazienti con SAR aterosclerotica hanno una più alta incidenza di eventi cardio e cerebro- vascolari precoci rispetto ai controlli7,8 e solo il 5,1% di pazienti con MRV aterosclerotica risultano avere una normale struttura e funzione cardiaca9.

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Per quanto riguarda l’ipertensione renovascolare (IRV), la sua prevalenza risulta relativamente bassa (1-3,1%) nonostante l’alta prevalenza di MRV in sottogruppi di pazienti aterosclerotici. Nel paziente iperteso infatti la presenza di una stenosi aterosclerotica può essere causa dell’ipertensione arteriosa ma può anche essere conseguenza dell’ipertensione arteriosa stessa che contribuisce a favorire il processo aterosclerotico. Negli studi di popolazioni selezionate in base alla presenza di criteri clinici suggestivi di ipertensione secondaria, la prevalenza risulta più alta: su 490 pazienti con ipertensione severa, resistente o rapidamente progressiva, la IRV è stata riscontrata in 50 dei 338 (15%) pazienti di età > 40 anni. La prevalenza è stata ancora più alta nei pazienti con ipertensione accelerata o maligna10: su 123 adulti con DPB > 125 mmHg ed una retinopatia con emorragia ed essudati e/o edema della papilla il 4% dei pazienti neri ed il 32% dei bianchi aveva un’IRV11.

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9 1.3. Diagnosi

Preselezione clinica

L’algoritmo diagnostico della malattia e dell’ipertensione renovascolare principalmente prevede un’accurata selezione clinica dei pazienti potenzialmente affetti da MRV e IRV da sottoporre ad indagini mirate, basata su dati anamnestici ed obiettivi, allo scopo di documentare la presenza della stenosi e la sua eventuale responsabilità nell’insorgenza della ipertensione arteriosa.

Dati anamnestici suggestivi di IRV sono: assenza di storia familiare di ipertensione arteriosa; insorgenza di ipertensione arteriosa prima dei 30 anni e dopo i 50 anni; comparsa improvvisa di ipertensione arteriosa in qualsiasi età o rapido aggravamento di un’ipertensione arteriosa preesistente; ipertensione arteriosa in fase accelerata o maligna; resistenza alla terapia; insufficienza renale o peggioramento della funzione renale sotto ACE inibitori; ipertensione con edema polmonare acuto ricorrente in assenza di una documentata cardiopatia. Reperti obiettivi suggestivi di MRV sono rappresentati da: comparsa di insufficienza renale o rapido peggioramento della funzione renale in assenza di altre cause note; evidenza di malattia vascolare in altri

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distretti (carotidi, coronarie, arti inferiori, aneurisma dell’aorta addominale); soffio in sede periombelicale (specialmente se sisto-diastolico); riscontro di rene “piccolo”; ipopotassiemia con perdita renale di potassio.

Diagnostica per immagini

Nei pazienti selezionati in base ai dati clinico- anamnestici il test di screening della MRV è rappresentato dall’ecografia addominale con Doppler delle arterie renali. Tale indagine non invasiva, relativamente poco costosa ed applicabile anche in pazienti con insufficienza renale, valuta le dimensioni e la struttura dei reni e gli indici Doppler intra ed extra parenchimali ed offre la possibilità di fare diagnosi di stenosi delle arterie renali con una buona sensibilità (80-85%) ed elevata specificità (90-95%)12. È utile anche nel follow up dei pazienti sottoposti a rivascolarizzazione13. Infatti nelle arterie in cui è impiantato uno stent, la presenza dell’endoprotesi metallica non altera le caratteristiche del profilo velocimetrico né riduce l’accuratezza dell’esame. Le limitazioni principali dell’indagine ultrasonografica sono rappresentate dalla stretta dipendenza dall’esperienza dell’operatore e dalla capacità di risoluzione delle strumento, dalla

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presenza di obesità e/o meteorismo addominale, dalla difficoltà di studiare eventuali arterie accessorie e soprattutto dall’impossibilità di quantizzare in modo accurato l’entità della stenosi che viene in genere indicata come > o < al 60%. L’introduzione del mezzo di contrasto in grado di amplificare il segnale sembra contribuire ad una maggiore fattibilità dell’esame, rendendolo indipendente dall’operatore e consentendo una maggiore accuratezza diagnostica 14.

Una conferma della diagnosi ecoDoppler può essere ottenuta con le nuove tecniche di immagine non invasive rappresentate dall’angiografia con risonanza magnetica nucleare (RMN) e con tomografia assiale computerizzata (TAC) spirale che si propongono come valida e promettente alternativa all’angiografia digitale renale che rappresenta tuttora il gold standard nella diagnosi di MRV. Essa consente di visualizzare l’aorta addominale e le sue diramazioni principali nonché il rilevamento di eventuali arterie accessorie o la presenza di ectopie. Uno dei limiti dell’angiografia digitale è rappresentato dalla nefrotossicità del mezzo di contrasto15 che può

essere particolarmente dannoso in pazienti anziani, diabetici e con insufficienza renale conclamata. L’Angio RMN è una tecnica che

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ovvia al problema della nefrotossicità del mezzo di contrasto dato che utilizza un mezzo di contrasto non iodato (particolarmente utile in pazienti con insufficienza renale) ed è in grado di fornire eccellenti immagini delle arterie renali e dall’aorta addominale con il vantaggio della non invasività e della non esposizione a radiazioni. Le limitazioni principali sono rappresentate dai costi elevati, dalla scarsa visualizzazione delle piccole arterie renali accessorie, dalla comparsa di artefatti in presenza di stents e dalla non fattibilità nel paziente claustrofobico. Recentemente è stata imputata all’esposizione al gadolinio16 la comparsa della cosiddetta “nephrogenic sistemic fibrosis” (NSF)17,18

con riferimento in particolare ad un gadolinio lineare non ciclico sulla base di dati retrospettivi che indicano un nesso di casualità in assenza di evidenze prospettiche controindicandone l’uso in pazienti con insufficienza renale severa19. Si tratta comunque di segnalazioni sporadiche con criteri diagnostici di NSF non omogenei e relative a somministrazioni di gadolinio ripetute e ravvicinate, ad alte dosi e/o in pazienti con insufficienza renale grave20. Sono attualmente in corso studi prospettici strutturati con criteri diagnostici della NSF ben definiti che contribuiranno a fare

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maggiore chiarezza sull’eventuale ruolo di questo mezzo di contrasto nell’insorgenza della NSF.

La TAC spirale è una tecnica che non necessita del cateterismo arterioso e consente una ricostruzione tridimensionale del vaso, ovviando così ad uno dei limiti principali dell’arteriografia tradizionale21,22 con il vantaggio rispetto alla RMN di poter studiare

l’arteria dove è stato posizionato uno stent senza artefatti. I limiti della TAC sono rappresentati dai costi relativamente elevati, dall’esposizione a radiazioni e dall’elevato volume di mezzo di contrasto richiesto che è potenzialmente nefrotossico.

Una volta confermato il sospetto Doppler della presenza di una stenosi significativa dell’arteria renale occorre dimostrare un nesso patogenetico tra MRV ed Ipertensione.

Valutazione del sisitema renina angiotensina

Il sistema renina- angiotensina (SRA), che è noto rivestire un ruolo di primaria importanza nell’IRV, è stato largamente valutato per stabilire tale nesso patogenetico. I presupposti fisiopatologici sono rappresentati dall’attivazione del SRA con aumentato release di renina

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e produzione di angiotensina II che induce vasocostrizione dell’arteriola efferente e mantiene la pressione intraglomerulare e/o la filtrazione glomerulare malgrado la riduzione della perfusione renale indotta dalla stenosi dell’arteria renale. La produzione di renina avviene solo nel rene ischemico con soppressione nel controlaterale per l’aumento della pressione di perfusione renale e per il feedback negativo dell’angiotensina II. La valutazione del SRA può essere ottenuta misurando l’attività reninica plasmatica nel sangue periferico in rapporto alla sodiuria (indice renina sodio)23,24, come incremento reattivo in risposta all’ACE inibizione (test al captopril)25 e nelle vene

renali26. Tuttavia l’indice renina sodio e il test al captopril hanno uno scarso valore nella diagnosi di IRV27: infatti l’attività reninica plasmatica, anche se spesso aumentata, può essere normale o addirittura bassa in pazienti renovascolari, dato questo che porterebbe ad escludere da un’eventuale correzione della stenosi un elevato numero di pazienti. La valutazione dell’attività reninica plasmatica nelle vene renali è una procedura invasiva, da eseguirsi in condizioni standardizzate e i cui dati debbono essere interpretati in base a criteri stabiliti28. Nella esperienza del nostro Centro, la soppressione di

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renina nel rene non stenotico è altamente predittiva di cura o miglioramento dell’ipertensione nei pazienti con MRV unilaterale (dati personali). Tale parametro ha un’elevata sensibilità (91%), con specificità pari al 71% che consente quindi di limitare rispetto agli altri test il rischio di esclusione dalla rivascolarizzazione di pazienti potenzialmente curabili. Tale procedura ha la limitazione di non avere rilevanza diagnostica in presenza di stenosi bilaterale dell’arteria renale e di dover essere eseguita, come ogni valutazione del sistema renina- angiotensina, in assenza di farmaci che possano interferire con il SRA, condizione non sempre realizzabile in pazienti con ipertensione severa e complicata.

La scintigrafia renale è un’altra metodica utile per studiare il SRA, dopo somministrazione di captopril29-31. Numerosi studi non controllati hanno evidenziato la possibilità di predire il beneficio di una procedura di rivascolarizzazione mediante scintigrafia con captopril con una sensibilità variabile dall’84-100% ed una specificità dal 62-100%32,33, che non sono state confermate in studi di altri Autori30־34. La scintigrafia inoltre presenta dei limiti rappresentati da una riduzione della specificità in presenza di insufficienza renale, rene

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piccolo e se c’è una stenosi bilaterale dell’arteria renale. L’impiego combinato delle due metodiche, ovvero la determinazione della renina nelle vene renali e la scintigrafia dopo captopril, sembra contribuire ad accrescere l’accuratezza diagnostica dell’IRV consentendo di escludere con maggior precisione la responsabilità della stenosi per l’ipertensione arteriosa in caso di risultati negativi di entrambe le indagini.

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17 Capitolo 2. Terapia

Il trattamento della SAR, finalizzato a curare l’ipertensione arteriosa, a prevenire il danno renale e al recupero della funzione renale, si basa su procedure invasive quali l’angioplastica percutanea, l’impianto di stent e la rivascolarizzazione chirurgica. Occorre tuttavia tenere presente che la disponibilità di un’ampia gamma di farmaci antiipertensivi permette di ottenere il controllo dei valori pressori nella maggior parte dei pazienti35,36 e che è tuttora controverso il ruolo della correzione della stenosi sulla funzione renale.

2.1. Rivascolarizzazione percutanea

2.1.1. Selezione dei pazienti da sottoporre a rivascolarizzazione

La selezione dei pazienti da indirizzare alla rivascolarizzazione rappresenta il punto cruciale perché l’obiettivo è selezionare quei pazienti che avranno il massimo beneficio dopo trattamento angioplastico sulla base di parametri che siano fortemente indicativi

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per questa scelta terapeutica. Deve essere innanzitutto verificata la fattibilità della procedura in quanto le condizioni del paziente, ovvero la sua aspettativa di vita e le comorbidità come ad esempio la presenza di malattia cardiovascolare associata, influenzano decisamente la scelta di rivascolarizzare; altro criterio di fattibilità risiede nella sede della lesione aterosclerotica in quanto una lesione alla biforcazione controindica l’intervento così come un diametro dell’arteria renale interessata dalla stenosi che sia < 4mm.

Anche se non esiste un consenso unanime su quale paziente sottoporre al trattamento alcuni criteri indirizzano verso questa decisione terapeutica: prima di tutto le caratteristiche della stenosi rappresentate dall’entità della stenosi (> 60%), dalla lesione di tipo progressivo (la placca aterosclerotica è intrinsecamente una lesione progressiva), dalla presenza di stenosi bilaterale dell’arteria renale oppure di stenosi in monorene; in secondo luogo alcune caratteristiche cliniche del paziente suggestive di ipertensione arteriosa secondaria e di ipoafflusso renale rappresentate principalmente da ipertensione arteriosa resistente al trattamento con 3 o più farmaci (di cui uno rappresentato dal diuretico), deterioramento della funzione renale in

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assenza di una causa nota o dopo inibitori del sistema renina-angiotensina, progressiva perdita di parenchima renale con riduzione del rene ≥ 1cm in un anno, storia di edema polmonare acuto ricorrente non cardiogeno.

Alcuni parametri inoltre possono essere considerati predittivi dell’outcome renale, rappresentando una condizione di base che può contribuire ad un risultato positivo in termini di funzionalità renale: una funzione renale basale conservata alla scintigrafia, una dimensione del rene > 9 cm, la presenza di un circolo collaterale, l’entità dell’insufficienza renale (creatininemia < 3 mg/dl) e dell’albuminuria (< 200 µg/min) così come la presenza di normali o ridotti indici di resistenza intrarenali che consentono di escludere una compromissione nefroangiosclerotica37.

2.1.2. Angioplastica percutanea e/o stenting

Dalla descrizione della prima angioplastica renale da parte di Gruentzig nel 197838 l’approccio endovascolare è andato sempre più affermandosi nella pratica clinica fino a sostituirsi in gran parte all’intervento di bypass chirurgico gravato sicuramente da una maggiore invasività con conseguenti maggiori rischi di complicanze.

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L’angioplastica percutanea richiede un breve periodo di ospedalizzazione, viene eseguita in anestesia locale, generalmente con accesso transfemorale. Solo nei casi di arteria renale che origina dall’aorta con angolo marcatamente acuto rivolto verso il basso o in caso di steno- ostruzione degli assi iliaco femorali, è possibile utilizzare l’accesso arterioso transascellare o transbrachiale. Tali accessi, in particolare quello ascellare, presentano tuttavia alcune problematiche, quali la difficoltosa emostasi postprocedura, possibili lesioni del plesso brachiale e possibile embolizzazione del distretto vertebrale omolaterale 39. L’accesso consente l’introduzione di cateteri che montano un palloncino che insufflato consente la dilatatazione endovascolare frammentando la placca aterosclerotica e ottenendo così un efficace rimodellamento del vaso nella maggior parte dei casi. Per quanto riguarda il posizionamento dello stent si parla di “primary stenting” come trattamento che si esegue per prima intenzione: per stenosi aterosclerotiche brevi, in sede ostiale, determinate dall’estensione in arteria renale di placche aortiche. Esso può essere eseguito dopo angioplastica preliminare a bassa pressione (la pressione del palloncino da angioplastica durante il rilascio dello stent

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non deve superare le 10 atm e comunque deve essere correlata al calibro dello stent) oppure può essere eseguito in assenza di una pre-dilatazione ed in tal caso si definisce “direct stenting” che viene effettuato in caso di stenosi ostiale severa (> 80%), giudicata ad alto rischio di dissezione o di complicanze emboliche. La procedura dello stenting primario si esegue previo cateterismo selettivo dell’arteria renale stenotica con catetere guida di adeguata conformazione, si valica la stenosi con guida idrofila eseguendo un’angiografia selettiva di controllo per escludere complicanze (es. dissezione). Si esegue quindi l’angioplastica preparatoria (a bassa pressione). Ritirato il pallone di angioplastica, lo stent viene fatto avanzare dentro il catetere guida, il quale viene quindi ritirato lasciando in sede lo stent; dopo aver eseguito un’angiografia di controllo per verificare il corretto posizionamento dello stent, questo viene rilasciato e disteso con catetere a palloncino. Generalmente vengono utilizzati stent espandibili meccanicamente.

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22 2.1.3. Successi, complicazioni, restenosi

Il successo tecnico dell’angioplastica dipende dalla sede, dal tipo di lesione e dall’esperienza del Centro in cui l’intervento viene effettuato ed è maggiore in presenza di lesioni aterosclerotiche non ostiali, mentre è sicuramente minore nelle stenosi ostiali aterosclerotiche, nelle lesioni diffuse e nell’occlusione totale dell’arteria renale40־42. L’esperienza dell’operatore riveste una notevole importanza non soltanto per il risultato immediato ma anche per l’incidenza di complicanze. Il successo tecnico immediato viene definito dall’assenza di una stenosi residua superiore al 30% e di dissezione complicante il flusso; nel caso della PTRA dall’assenza di ritorno elastico della parete arteriosa (“elastic recoil”) e di complicanze maggiori richiedenti l’intervento chirurgico. In una recente meta-analisi la percentuale di successo immediato di PTRA è risultata compresa tra 68 ed 86% in pazienti che presentavano stenosi dell’arteria renale di tipo prevalentemente aterosclerotico43. Le complicanze erano presenti nel 13% dei casi (range 6-19%)43. La procedura di rivascolarizzazione mediante stenting è associata a percentuali anche più alte di successo tecnico immediato

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100%)43,44, mentre le percentuali di complicanze, includendo anche il dislocamento od il mal posizionamento dello stent, sembrano essere sovrapponibili a quelle della PTRA nella procedura di rivascolarizzazione. La complicanza osservata più frequentemente è l’ematoma in sede di puntura mentre le più gravi sono rappresentate da dissezione, rottura o trombosi dell’arteria renale, insufficienza renale acuta, infarto renale segmentario, embolizzazione di colesterolo. Per prevenire quest’ultima complicanza sono stati usati dispositivi originariamente progettati per interventi sulle coronarie45,46. Il reale beneficio dei dispositivi di protezione embolica per il rene rimane tuttora da essere chiarito. Nello studio RESIST soltanto il gruppo di pazienti trattati sia con dispositivo protettivo che con inibitore della glicoproteina IIB/IIIA (abciximab) non andava incontro a diminuzione dell’eGFR che veniva invece osservata nei gruppi di pazienti trattati solo con dispositivo di protezione embolica o solo con l’agente antitrombotico o con nessuno dei due47.

Nonostante il successo tecnico della rivascolarizzazione percutanea, la sua efficacia nel tempo è limitata dalla recidiva di stenosi, che è stata riportata in un’ampia meta-analisi43, confermata anche da dati più

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recenti48,49, con percentuali oscillanti tra l’11 ed il 42% dei casi in pazienti sottoposti a PTRA e con percentuali oscillanti tra il 12 ed il 23% nei casi trattati con stenting.

La restenosi viene definita come una riduzione di oltre il 50% del calibro dell’arteria trattata, documentata angiograficamente e rappresenta, per la maggior parte, la risposta della parete vasale alla lesione indotta dal trattamento endovascolare. La recidiva di stenosi rappresenta una delle indicazioni principali al posizionamento di stent oltre alla stenosi ostiale aterosclerotica (stenting primario) ed alla insufficiente dilatazione dopo PTA. La restenosi è più frequente a partire dal sesto mese di follow up e nei primi due anni. Dopo angioplastica essa sembra dovuta al ritorno elastico dell’arteria, al rimodellamento negativo o alla contrazione del vaso, alla trombosi nella sede del trattamento ed in minor misura alla proliferazione neointimale, rappresentata dalla proliferazione delle cellule muscolari lisce associata ad eccessiva produzione di matrice extracellulare50,51. La restenosi intrastent sembra invece prevalentemente dovuta alla sola proliferazione neointimale52. Il problema della restenosi rimane, al momento attuale, irrisolto e le cause di restenosi restano non note. La

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restenosi è un processo multifattoriale cui partecipano fattori locali e sistemici e cui sembra contribuire, almeno in parte, anche una suscettibilità genetica53. La sede della stenosi trattata è sicuramente di fondamentale importanza nel rischio di restenosi. La stenosi a sede ostiale, localizzata entro 4 mm dal lume aortico presenta il maggior rischio di recidiva48, che, tuttavia risulta notevolmente ridotto dal trattamento con stenting, rispetto alla sola angioplastica54,55, con riduzione del rischio relativo pari al 70%13,56. Altro fattore locale che riveste un ruolo importante nella restenosi è rappresentato dal calibro dell’arteria candidata alla rivascolarizzazione. In una serie di 102 pazienti sottoposti a stenting l’incidenza di restenosi è risultata pari al 21% ed era significativamente maggiore in pazienti con calibro dell’arteria renale < 4,5mm (36%) nei confronti di quelli con arteria renale di calibro superiore (12%)57. In un nostro recente studio fattori predittivi di restenosi sono risultati il diametro e la lunghezza dello stent in una casistica di 147 pazienti58.

2.1.4. Outcome della funzione renale

L’ipoperfusione renale, causata dalla presenza della stenosi, e la conseguente ipertensione, determinata dall’attivazione del SRA,

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possono rappresentare un fenomeno funzionale reversibile o essere una condizione irreversibile. Infatti una plausibile causa di mancata risposta alla rivascolarizzazione potrebbe essere rappresentata dalla presenza di cambiamenti strutturali e funzionali delle piccole arterie renali e delle arteriole distali, causata da un’ipertensione di lunga durata, dalla prolungata ischemia e/o dalla forte attivazione del SRA. Meccanismi che possono causare inizialmente disfunzione endoteliale e successivamente nefrosclerosi o glomerulosclerosi rendendo pertanto conto di una mancata risposta alla rivascolarizzazione.

I dati attualmente disponibili in letteratura indicano che la rivascolarizzazione determina miglioramento (1/3 dei pazienti), stabilizzazione (1/3 dei pazienti) e peggioramento (1/3 dei pazienti) della funzione renale59,60. Dati più recenti della letteratura hanno dimostrato risultati favorevoli a lungo termine sia per la funzione renale che per il controllo della pressione arteriosa in pazienti trattati con PTRAS, anche se affetti da diabete mellito e nefrosclerosi61. Mentre altri Autori hanno confermato il beneficio della rivascolarizzazione solo per i pazienti con stenosi bilaterale62,63 o hanno riportato un modesto successo sull’outcome renale in pazienti

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con ridotta funzione renale preprocedurale49,64. Una recente meta-analisi di tre trials di confronto tra terapia medica e rivascolarizzazione percutanea in pazienti con MRV aterosclerotica dimostra una maggior efficacia dell’angioplastica nel ridurre i valori pressori, con riduzione del numero di farmaci antiipertensivi in assenza, tuttavia, di miglioramento della funzione renale65. In uno studio più recente in pazienti sottoposti a stenting con valore medio di creatinina sierica basale di 1,94 ± 0,39 mg/dl, solo il 7,9% (5/64) mostrava un peggioramento della funzione renale a 9 mesi dall’intervento e i valori medi della creatininemia dopo 9 e 24 mesi risultavano ridotti, anche se non significativamente66. Altri dati recenti in letteratura suggeriscono che pazienti con una funzione renale basale moderatamente o severamente ridotta (eGFR < 60 ml/min/m²) hanno benefici maggiori in termini di pressione arteriosa e stabilizzazione della funzione renale dopo intervento di PTRAS rispetto a quelli con una funzione renale ≥ 60 ml/min/m² 67,68

. Agli stessi risultati sono giunti altri importanti studi69. I risultati di un recentissimo lavoro dimostrano in una casistica di 188 pazienti sottoposti ad interventi di stenting dopo angioplastica subottimale l’assenza di modificazioni

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significative della creatinine mia al follow up di 9-12 mesi nell’82,7% dei casi di cui il 4,8% risultava migliorato70. Nel sottogruppo di pazienti con insufficienza renale basale i valori di creatininemia a 9-12 mesi rimanevano stabili70,71. Più recentemente sono stati completati 2 trials di confronto tra rivascolarizzazione più terapia medica ottimale (inibitori del SRA, farmaci ipolipemizzanti ed antitrombotici) e la sola terapia medica ottimale: nello studio ASTRAL (Angioplasty and

Stenting for Renal Artery Lesions) che ha coinvolto 57 centri con un

totale di 806 pazienti con SAR aterosclerotica (3/5 dei pazienti aveva una stenosi > 70%), non è stata osservata nessuna differenza significativa né per quanto riguarda l’outcome renale che per quanto riguarda l’outcome pressorio tra i 2 trattamenti al follow up di 5 anni. Questo studio, tuttavia, presenta importanti limitazioni: prima tra tutte la selezione dei pazienti effettuata sulla base dell’incertezza del medico curante sul beneficio di un’eventuale correzione della stenosi, scelta questa che escludeva pazienti candidati all’intervento nei 6 mesi successivi. Nello studio, inoltre, è stata sovrastimata l’entità della stenosi e pazienti infatti con stenosi compresa tra il 50-70% in realtà avevano una stenosi < 50%.

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Nell’altro studio (STAR- Stent placement in patients with

atherosclerotic renal artery stenosis and impaired renal function) che

ha considerato 140 pazienti con un filtrato glomerulare stimato secondo MDRD < 80 ml/min e una stenosi aterosclerotica dell’arteria renale ≥ 50%, dopo un follow up di 2 anni il trattamento di posizionamento dello stent in aggiunta alla terapia medica non ha avuto un chiaro effetto sulla progressione dell’insufficienza renale ma ha portato ad un modesto numero di significative complicanze. Anche questo trial presenta delle limitazioni che comprendono prima di tutto i criteri di selezione dei pazienti: sono stati infatti inclusi che avevano una stenosi < 50% (almeno il 33%) che è stata quindi sovrastimata per inadeguatezza dei mezzi diagnostici per valutare la significatività emodinamica della stenosi stessa e inoltre i pazienti dovevano avere una pressione < 140/90 mmHg per l’ingresso nello studio; in secondo luogo non è stata fatta una subanalisi dei pazienti sottoposti a stenting per stenosi > 90%, pazienti nei quali poteva essere documentato un maggiore beneficio. Inoltre non in tutti i pazienti randomizzati per essere sottoposti a stenting è stata eseguita la procedura (circa il 28%). Entrambi i trials concludono per un approccio conservativo finalizzato

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più al trattamento dei fattori di rischio cardiovascolare suggerendo quindi di evitare il ricorso alla rivascolarizzazione. I risultati di questi studi tuttavia non sono esenti da critiche anche per le limitazioni sopra riportate per cui non possono essere considerati conclusivi, pertanto la validità del ricorso alle procedure di rivascolarizzazione è tuttora oggetto di notevole interesse come documentato dalla presenza di importanti studi, tuttora in corso, di confronto tra la sola terapia medica e la rivascolarizzazione con stenting associata al trattamento medico ottimale. Lo studio NITER (Nephropathy Ischemic Therapy) considera un campione di 100 pazienti con insufficienza renale stabile (eGFR ≥ 30 ml/min/1,73m² e creatininemia ≤ 3mg/dl), valori di pressione arteriosa ≤ 150/90 mmHg con meno di 4 farmaci, stenosi ostiale dell’arteria renale ≥ 70% (confermata dall’angio-RM), lunghezza del rene stenotico ≥ 8cm, con endpoint primario rappresentato da morte, inizio di dialisi o aumenti nei valori di creatininemia > 20% o riduzioni > 20% con follow up di 0,5-1-2-4 anni.

Lo studio RAVE (Renal Atherosclerotic reVascularization Evaluation) si propone di valutare, in pazienti con SAR aterosclerotica

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e indicazione alla rivascolarizzazione, l’outcome sulla funzione renale in termini di progressione/raddoppio della creatinina e necessità di trattamento dialitico confrontando l’approccio interventistico con la sola terapia medica. Scopo dello studio è anche la valutazione del ruolo dell’indice di resistenza intrarenale nell’identificare pazienti che non beneficeranno della procedura.

Un ulteriore studio attualmente in corso è lo studio RADAR (A

randomised, multicentre, prospective study comparing best medical

treatment plus renal artery stenting in patients with

haemodynamically relevant atherosclerotic renal artery stenosis)

sempre di confronto della sola terapia medica versus la procedura di stenting associata alla terapia medica ottimale. Lo studio si propone di arruolare 300 pazienti e di valutare le differenze tra i due tipi di trattamento nel miglioramento dell’eGFR dopo 12 mesi. Infine è attualmente in programma uno studio italiano, lo studio METRAS, che si propone di arruolare 60 pazienti con stenosi ≥ 70% o < 70% con dilatazione post-stenotica con l’obiettivo di determinare se la rivascolarizzazione eseguita con PTRAS è superiore o equivalente se paragonata al “best medical treatment” per quanto riguarda l’outcome

(29)

32

renale, valutato mediante scintigrafia con 99mTc-DTPA, la riduzione dei valori pressori e la regressione del danno degli organi bersaglio dell’ipertensione arteriosa.

Un altro studio, tuttora in corso, è il CORAL (Cardiovascular

outcomes in renal atherosclerotic lesions), che oltre l’outcome renale

si propone di valutare la morbilità e mortalità cardiovascolare. Lo studio analizza 1080 pazienti con pressione arteriosa sistolica > 155 mmHg con almeno 2 farmaci antiipertensivi ed ha lo scopo di osservare come obiettivo primario se ci sono differenze significative in termini di sopravvivenza libera da eventi cardio e cerebrovascolari (infarto miocardico acuto, ictus, scompenso cardiaco) nei due gruppi: pazienti trattati mediante stenting in aggiunta alla terapia medica e pazienti che ricevono la sola terapia medica.

2.2. Intervento chirurgico

L’intervento chirurgico è attualmente indicato per pazienti nei quali non è possibile intervenire con PTA o stenting, come nel caso di una stenosi ostiale severa o di arterie totalmente occluse, o quando si abbia un insuccesso delle procedure di rivascolarizzazione percutanea. L’approccio chirurgico infatti espone ad un rischio maggiore,

(30)

33

necessitando di anestesia generale ed è associato a gravi complicanze (IMA nel 2-9%, stroke nel 0-3,3%, emorragia che richiede esplorazione chirurgica nel 2-3% ed embolizzazione di colesterolo nel 1-4,3%) e ad un alto rischio di mortalità intraoperatoria compreso in un range tra 2,1 e 6,1% soprattutto in pazienti con lesioni aterosclerotiche e con contemporanea rivascolarizzazione bilaterale o intervento sull’aorta.

2.3. Terapia farmacologica

La terapia farmacologica offre la disponibilità di un’ampia gamma di farmaci antiipertensivi che permettono di ottenere il controllo dei valori pressori nella maggior parte dei pazienti35. L’approccio farmacologico ha il triplice bersaglio di normalizzare la pressione arteriosa, intervenire sul profilo di rischio cardiovascolare e preservare la funzione degli organi bersaglio, proteggendo il rene non ischemico e possibilmente il rene stenotico; rappresenta inoltre un’utile alternativa nei pazienti nei quali la rivascolarizzazione non è possibile od efficace e nei pazienti che rifiutano tale procedura.

(31)

34 Capitolo 3. Casistica personale

3.1. Caratteristiche basali sulla popolazione studiata

Sono stati valutati gli effetti immediati, a medio e lungo termine (12 mesi - 4 anni) sulla funzione renale della rivascolarizzazione percutanea mediante angioplastica o stenting in 166 pazienti ipertesi (106 maschi e 60 femmine, età media 61,2 ± 10,9) con stenosi aterosclerotica dell’arteria renale emodinamicamente significativa (> 60%). Di questi pazienti, 23 avevano una stenosi bilaterale: in 18 di questi pazienti la stenosi era emodinamicamente significativa bilateralmente, nei restanti 5 la significatività emodinamica risultava omolaterale.

I valori medi di pressione arteriosa in condizioni basali risultavano di 161,54 ± 21,13 mmHg/ 90,12 ± 13,73 mmHg e il numero medio di farmaci antiipertensivi assunti era di 1,85 ± 1,12 (Tab. I). Il valore medio della creatininemia era 1,32 ± 0,59 mg/dl e il filtrato glomerulare stimato secondo MDRD risultava in media pari a 61,3 ± 20,4 (ml/min/1,73 m²). Il 49,40% (n=82) dei pazienti presentava un

(32)

35

filtrato glomerulare stimato secondo MDRD superiore a 60 ml/min/1,73m² mentre il 50,60% (n=84) inferiore a tale valore. I pazienti presentavano un BMI medio di 25,5 ± 3,7 (kg/m²) e i pazienti obesi (BMI ≥ 30) ammontavano al 9,64%. Il 26% (n=43) era fumatore mentre il 38,55% (n=64) aveva precedentemente fumato; solo il 35,54% non aveva mai fumato. La glicemia basale media nella popolazione studiata era di 100,1 ± 23,3 mg/dl e la prevalenza di diabete mellito risultava del 9% (n=15). I valori medi di colesterolemia totale erano di 208,8 ± 40,4 mg/dl con percentuale di pazienti ipercolesterolemici (colesterolo totale > 200 mg/dl) del 56,02%. I valori medi di HDL-C sono risultati 50,5 ± 14,8 mg/dl e il 33,96% (36/106) dei pazienti di sesso maschile aveva valori < 40 mg/dl ed il 38,33% (23/60) delle pazienti aveva livelli di HDL-C < 50 mg/dl ; i valori medi di LDL-C risultavano 134,0 ± 36,8 mg/dl con valori di LDL-C ≥ 130 mg/dl nel 27,71% (n=46) dei pazienti; i valori medi dei trigliceridi risultavano di 136,1 ± 62,9 mg/dl con il 27,11% (n=45) di pazienti con valori ≥ 150 mg/dl. La percentuale di pazienti che era sotto trattamento con statine risultava del 36,14% (n=60).

(33)

36

Il numero di sedi colpite dall’aterosclerosi nei pazienti studiati risultava essere 3,1 ± 1,0 dimostrando un impegno aterosclerotico polidistrettuale.

(34)

37 Tab. I

Caratteristiche basali della popolazione studiata (n=166)

Uomini n (%) 106 (64%) Età (anni) 61,2 ± 10,9 BMI (kg/m2) 25,5 ± 3,7 Fumatori n (%) 43 (26%) Ex Fumatori n (%) 64 (38,55%) PAS (mmHg) 161,5 ± 21,1 PAD (mmHg) 90,2 ± 13,7 eGFR (ml/min/1,73 m 2 ) 61,3 ± 20,4 Creatininemia (mg/dl) 1,32 ± 0,59 Sedi di aterosclerosi n 3,1 ± 1,0 Colesterolo totale (mg/dl) 208,8 ± 40,4 Colesterolo HDL (mg/dl) 50,5 ± 14,8 LDL Colesterolo (mg/dl) 134,0 ± 36,8 Trigliceridi (mg/dl) 136,1 ± 62,9 Glicemia (mg/dl) 100,1 ± 23,3 Diabetici n (%) 15 (9%)

(35)

38

La sede della stenosi è risultata ostiale in 115/184 arterie (62,5%), non ostiale nelle restanti 69 (37,5%); il 27,86% delle arterie trattate (n=51) presentavano una stenosi ≥ 90%, il 33,57% (n=62) una stenosi compresa tra il 70% ed il 90% ed il 38,59% (n=71) una stenosi tra il 60 ed il 70%. (Tab. II)

Tab. II

Caratteristiche della stenosi (n=184) Sede: ostiale n (%) 115 (62,5%) non ostiale n (%) 69 (37,5%) Entità: 60-69% n (%) 71 (38,59%) 70-89% n (%) 62 (33,57%) ≥ 90% n (%) 51 (27,86%)

La prevalenza dei reperti obiettivi suggestivi di MRV (Fig.1) nella nostra casistica è risultata la seguente: presenza di soffio in sede periombelicale in 87/166 (52,41%) pazienti, comparsa di insufficienza

(36)

39

renale o rapido peggioramento della funzione renale in 48/166 (28,92%) casi, evidenza di malattia vascolare in altri distretti in 119/166 (71,96%) pazienti, riscontro di rene “piccolo” in 20 casi su 166 (12%). Per quanto riguarda la prevalenza di dati anamnestici suggestivi di IRV (Fig. 2) abbiamo osservato: insorgenza di ipertensione arteriosa in età < 30 o > 60 anni in 39/166 (23,49%) pazienti, comparsa improvvisa o rapido peggioramento dell’ipertensione arteriosa in 35/166 (21,1%) casi, resistenza alla terapia in 51/166 (30,72%) pazienti, presenza di insufficienza renale o peggioramento della funzione renale con ACE-I in 6/166 (3,61%) casi. Inoltre una storia di ipertensione arteriosa con episodi di edema polmonare acuto ricorrente in assenza di cardiopatia documentata in soli 2 casi su 166 (1,20%); presenza di ipopotassiemia con perdita renale di potassio in 18/166 (10,84%) pazienti e assenza di familiarità per ipertensione arteriosa in 35/166 (21,08%) casi.

(37)

40 Fig.1 Fig.2 0 10 20 30 40 50 60 70 80

Prevalenza dei reperti obiettivi suggestivi di MRV

Soffio periombelicale Comparsa di IR

Evidenza di malattia vascolare in altri distretti Rene “piccolo” 0 5 10 15 20 25 30 35

Prevalenza dei dati anamnestici suggestivi di IRV

Insorgenza di I.A. in età < 30 o > 60 anni

Comparsa improvvisa o rapido peggioramento della I.A. Resistenza alla terapia

IR o peggioramento della funzione renale con ACE-I I.A. con edema polmonare acuto ricorrente

Ipopotassemia con perdita renale di potassio

Assenza di familiarità per ipertensione arteriosa

(38)

41

Procedura di rivascolarizzazione

L’angioplastica è stata effettuata in 51 arterie, il posizionamento dello stent in 133 arterie per un totale di 184 arterie renale trattate. Il 65,5% delle arterie (n=115) presentava una stenosi ostiale e di queste il 66,95% (n=77) è stata trattata con posizionamento di stent mentre il restante 33,04% (n=38) con PTRA. Il 37,5% (n=69) delle arterie sottoposte all’intervento presentava una stenosi non ostiale e di queste l’81,16% (n=56) veniva trattata con stent mentre il rimanente 18,84% (n=13) con PTRA. Dei 23 pazienti con stenosi bilaterale 18 sono stati trattati bilateralmente in quanto presentavano una stenosi emodinamicamente significativa in entrambe le arterie renali: 16 sono stati sottoposti ad un intervento di posizionamento di stent bilaterale mentre 2 alla PTRA bilaterale. Dopo aver ottenuto consenso informato scritto la procedura interventistica è stata eseguita in sala angiografica presso il Dipartimento Immagini dell’Università di Pisa, in anestesia locale con approccio transfemorale bilaterale. Ogni paziente è stato sottoposto ad angiografia a sottrazione digitale (DSA) dell’aorta addominale e successiva angiografia selettiva dell’arterie renali (MULTISTAR TOP, Siemens, Erlangen, Germany). La

(39)

42

rivascolarizzazione percutanea è stata effettuata tramite approccio transfemorale72 con introduzione di un catetere a palloncino di diametro tra 4 e 7 mm. Il posizionamento dello stent è stato effettuato dopo dilatazione per mezzo di catetere a palloncino73 o per apposizione diretta (direct stenting). Il successo immediato della procedura è stato definito dall’assenza o persistenza di stenosi residua < 30% in assenza di complicanze maggiori all’angiografia di controllo.

Follow up

Il follow up dei pazienti prevedeva un controllo a 3-6-12 mesi dalla procedura e successivamente a cadenza annuale fino a 4 anni. Durante i controlli venivano valutati la pervietà dell’arteria renale mediante Eco-color-Doppler, il comportamento della pressione arteriosa e la funzione renale.

1) Valutazione della pervietà delle arterie renali

Per lo studio delle arterie renali è stato utilizzato ecografo Technos Imaging ESAOTE Biomedica, con sonda da 3,5 MHz, esaminando pazienti a digiuno da almeno 6-8 ore, prima in posizione supina, per la visualizzazione dell’ostio e del tratto prossimale dell’arteria renale

(40)

43

principale, ed in seguito in decubito laterale, per studiare la struttura parenchimale renale ed i rami arteriosi intrarenali, con l’acquisizione di almeno tre misure velocimetriche. Nel sospetto di restenosi è stata effettuata valutazione angiografica mediante RMN delle arterie renali e/o TC spirale nei casi sottoposti a stent o con controindicazioni alla RM.

1) Valutazione dell’outcome della pressione arteriosa

Per valutare la risposta della pressione arteriosa alla correzione della stenosi abbiamo considerato:

- CURATO il paziente che in assenza di terapia avesse

valori di pressione arteriosa < 140/90 mmHg.

- MIGLIORATO il paziente i cui valori di pressione

arteriosa diastolica risultassero < 90 mmHg e/o i valori di pressione arteriosa sistolica < 140 mmHg con la stessa terapia o con un ridotto numero di farmaci oppure i cui valori di pressione arteriosa diastolica risultassero ridotti di almeno 15 mmHg con la stessa terapia o con un ridotto numero di farmaci. (AHA, 2002)

(41)

44

2) Valutazione della funzione renale

La funzione renale è stata valutata mediante stima del filtrato glomerulare secondo MDRD (ml/min/1,73m²). La funzione renale basale dei pazienti è stata considerata:

- normale o lievemente ridotta nei pazienti con un eGFR

≥ 60 ml/min/1,73m²

- moderatamente o severamente ridotta nei pazienti con

un eGFR < 60 ml/min/1,73m²

La funzione renale nei pazienti al follow up è stata così classificata:

- “MIGLIORATA” : aumento dell’eGFR > 20% - “PEGGIORATA” : diminuzione dell’eGFR > 20% - “INVARIATA” : variazioni dell’eGFR ≤ 20%

3.2. Risultati

Il successo immediato della rivascolarizzazione percutanea è stato ottenuto in 180 su 184 (97,83%) arterie renali trattate mentre dopo la procedura nelle restanti 4 arterie renali (2,17%) si è avuto un insuccesso tecnico rappresentato da 4 complicanze (4/184) che hanno compreso: dissezione dell’arteria renale con sanguinamento massivo;

(42)

45

occlusione dell’arteria renale con infarto renale che ha richiesto l’intervento di nefrectomia; occlusione trombotica che ha richiesto l’endoarterectomia; infarto renale segmentario. Per quanto riguarda le complicanze della procedura in 2 pazienti si è verificato ematoma renale con remissione spontanea e in 2 pazienti si è verificata un’embolizzazione colesterolica agli arti inferiori. Complicanze minori, rappresentate essenzialmente da ematoma o sanguinamento in sede di puntura, si sono verificate nel 5% dei casi (9/184) (Fig. 3).

Fig.3 OUTCOME IMMEDIATO COMPLICANZE successo: 180/184 (98%) maggiori: 8/184 (4%) minori: 9/184 (5%) insuccesso: 4/184 (2%)

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46

Follow up dopo rivascolarizzazione percutanea 1) Outcome della pervietà dell’arteria renale

Ad un anno di follow up dalla rivascolarizzazione percutanea abbiamo valutato 157 pazienti nei quali in 40 su 169 arterie trattate (23,67%) si era verificata una restenosi significativa: 11/36 (30,55%) sono le restenosi emodinamicamente significative che risultano dall’intervento di PTRA mentre 29/133 (21,80%) conseguono al posizionamento di stent. Risultavano persi al follow up ad un anno 9 pazienti. Nei pazienti che hanno completato il follow up a 4 anni abbiamo osservato una percentuale di restenosi pari a 13 arterie su118 (11,01%). Infatti al follow up dei 4 anni solo un’arteria sottoposta a PTRA (1/118) e 12 arterie (12/118) trattate con stent presentano restenosi (Fig.4). Fig.4 entro 1 anno 40/169 (23,67%) RESTENOSI a 4 anni 13/118 (11,01%)

(44)

47

2) Outcome della pressione arteriosa

A tre, sei, dodici mesi dalla procedura interventistica la media dei valori di pressione arteriosa risultava ridotta in maniera altamente significativa (p<0,01). Infatti i pazienti mostravano una significativa riduzione dei valori pressori presente già al terzo mese post- procedura (PAS 144,45 ± 19,26 mmHg; PAD 82,33 ± 11,51 mmHg) e tale miglioramento si è mantenuto nel follow up a 12 mesi (PAS 142,29 ± 16,84 mmHg; PAD 81,57 ± 10,24). Lo stesso andamento si è osservato anche ai controlli dopo 4 anni (PAS 139,18 ± 14,77 mmHg; PAD 79,09 ± 8,79 mmHg). Il numero medio dei farmaci si è significativamente ridotto ad 1 anno di follow up (p<0,05) con una media di farmaci assunti di 1,64 ± 1,26 considerata la media dei farmaci prima della procedura: 1,85 ± 1,12. Rimanevano persi al follow up 9/166 (5,42%) pazienti. Dopo un anno dalla procedura di rivascolarizzazione percutanea risultava “migliorato” il 35,67% (56/157) e “curato” il 17,83% (28/157) dei pazienti mentre “invariato” il 26,17% (42/157); dei pazienti migliorati il 28,57% (16/56) aveva una stenosi pre-procedurale > 70%, il 46,43% (26/56) una compresa tra il 70-90% mentre il 23,21% (13/56) aveva una stenosi ≥ 90%; di

(45)

48

quelli curati il 10,71% (3/28) aveva una stenosi di partenza < 70%, il 60,72% (17/28) compresa tra il 70-90% e il 28,57% (8/28) ≥ 90%; dei pazienti rimasti invariati al nostro controllo a 12 mesi il 30,95% (13/42) aveva una stenosi < 70%, il 33,33% (14/42) una stenosi pre-procedura compresa tra il 70-90% ed il 38,09% (16/42) una ≥ 90%. Dopo 4 anni dei 105 (105/166) pazienti che ha completato il follow up il 38,09% (40/105) aveva un “miglioramento” nei valori della pressione arteriosa e il 12,38% (13/105) è risultato “curato”; il 33,33% dei pazienti (35/105) risultava “invariato” non presentando significative modificazioni dei valori di pressione arteriosa rispetto a quelli basali. Una diminuzione significativa della media dei farmaci antiipertensivi assunti non si osservava attestandosi a valori di 1,83 ± 1,22. Rimanevano persi al follow up dei 4 anni il 33,12% dei pazienti (52/157) (Fig.5).

(46)

49 Fig.5

Outcome pressione arteriosa:

56 35,67% 28 17,83% 42 26,17% Dopo 1 anno Pz. migliorati Pz. curati Pz. invariati 40 38,09% 13 12,38% 35 33,33% Dopo 4 anni Pz. migliorati Pz. curati Pz. invariati

(47)

50

3) Outcome della funzione renale

Per quanto riguarda l’outcome renale i pazienti che hanno completato il follow up ad un anno sono stati 157 di cui 77 avevano una funzione renale basale, normale o lievemente ridotta (MDRD, ≥ 60 ml/min/m²). Essi sono risultati dopo 1 anno “migliorati” nel 15% (12/77), “invariati” nel 77% (59/77) ed un “peggioramento” si è osservato nell’8% dei casi (6/77). Quelli con funzione renale moderatamente o severamente ridotta (eGFR < 60 ml/min/ 1,73m²) che si presentavano ai nostri controlli (80/157), sono risultati, dopo 1 anno di follow up, “migliorati” nel 27% dei casi (22/80), “invariati” nel 54% (43/80), “peggiorati” nel 19% (15/80). Dopo 4 anni di follow up hanno completato i controlli 105 pazienti e si è confrontato l’eGFR con la funzione renale basale che avevano prima della procedura di rivascolarizzazione percutanea: nei pazienti (60/105) che avevano una stima del filtrato glomerulare basale ≥ 60 ml/min/m². abbiamo osservato un “miglioramento” nel 21,67% (13/60), un “peggioramento” nel 16,67% (10/60) ed una funzione renale “invariata” nel 61,67% (37/60) dei pazienti (45/105), sottoposti all’intervento con una funzione renale basale < 60 ml/min/m², si è

(48)

51

osservato, dopo il completamento del follow up a 4 anni, un “miglioramento” nel 40% (18/45), un “peggioramento” nel 9% (4/45) ed una funzione renale “invariata” nel 51% (23/45) dei casi (Fig.6). Abbiamo analizzato se ci fossero dei parametri predittivi riguardo all’outcome renale, ovvero se ci fossero delle variabili nella popolazione di partenza che influenzassero in maniera significativa la funzionalità renale dopo 4 anni di follow up. Per questo motivo abbiamo correlato le variazioni percentuali dell’eGFR a 4 anni dalla procedura di rivascolarizzazione con: l’età dei nostri pazienti per osservare se pazienti più giovani avevano risultati migliori rispetto a pazienti più anziani; considerato la gravità dell’ipertensione arteriosa sistolica e diastolica e la sua durata come test predittivo in quanto pazienti con valori medi basali maggiori di altri avrebbero potuto beneficiare maggiormente dal trattamento di rivascolarizzazione; esaminato se la glicemia media basale influenzasse l’outcome renale in quanto la presenza di diabete nei nostri pazienti avrebbe potuto avere ricadute negative sulla dinamica renale; considerato il profilo lipidico dei nostri pazienti, in particolare LDL-colesterolo, perché fattore di rischio cardiovascolare, in quanto si poteva pensare che

(49)

52

individui ipercolesterolemici avrebbero beneficiato in misura minore della procedura interventistica in quanto la funzionalità renale risultava maggiormente depressa per un maggior impegno aterosclerotico; nessuno di questi fattori risultava predittivo dell’outcome renale, abbiamo invece osservato che le variazioni percentuali dell’eGFR a 4 anni correlavano significativamente con l’eGFR basale (r=-0,29; p<0,01) e con la creatinina sierica (r=0,24; p<0,01) (Fig.7).

(50)

53 Fig. 6

Outcome della funzione renale:

12 15% 6 8% 59 77% Dopo 1 anno

Pz. con eGFR ≥ 60 ml/min/1,73 m² n=77

Pz. migliorati Pz. peggiorati Pz. invariati 22 27% 15 19% 43 54% Dopo 1 anno

Pz. con eGFR < 60 ml/min/1,73 m² n=80

Pz. migliorati Pz. peggiorati Pz. invariati

(51)

54 Outcome della funzione renale:

13 21,66% 10 16,67% 37 61,67% Dopo 4 anni

Pz. con eGFR ≥ 60 ml/min/1,73 m² n=60

Pz. migliorati Pz. peggiorati Pz. invariati 18 40% 4 9% 23 51% Dopo 4 anni

Pz. con eGFR < 60 ml/min/1,73 m² n=45

Pz. migliorati Pz. peggiorati Pz. invariati

(52)

55 3.3. Conclusioni

Questi dati confermano la sicurezza e l’efficacia della rivascolarizzazione percutanea della stenosi aterosclerotica dell’arteria renale con rischio di complicanze estremamente limitato. L’intervento induce un maggior beneficio in termini di risposta della pressione arteriosa ed un beneficio parziale sull’outcome renale. Questo beneficio appare correlato con la funzione renale basale, suggerendo un risultato migliore nei pazienti con funzione renale maggiormente compromessa. Dato questo che sembra indicare la necessità di intervenire prima che un’ischemia cronica risulti in un danno irreversibile del parenchima renale.

Sono pertanto auspicabili ulteriori studi che consentano di riconoscere quali pazienti trarranno il maggior beneficio clinico dal ripristino della perfusione renale contribuendo ad individuare con maggior accuratezza i pazienti da sottoporre alla procedura interventistica. Studi da indirizzare quindi principalmente ad accrescere le capacità diagnostiche sulla valutazione funzionale della stenosi, sulla funzione renale valutata nel singolo rene e sulla emodinamica intrarenale.

(53)

56

Il ricorso alla rivascolarizzazione, ampiamente utilizzato negli ultimi anni, risulta attualmente controverso ed i risultati dei trials più recenti, seppur non esenti da importanti limitazioni, hanno messo in discussione il beneficio dell’intervento nei confronti della cosiddetta terapia medica ottimale che si avvale di farmaci ipotensivi bloccanti il SRA, farmaci ipolipemizzanti ed antitrombotici.

La realtà attuale per quanto riguarda il trattamento e la gestione dei pazienti affetti da lesioni aterosclerotiche stenosanti delle arterie renali propone uno scenario che cambia per il presentarsi di nuove strategie terapeutiche sia per la cura dell’ipertensione arteriosa che per arrestare la progressione della malattia aterosclerotica in questi soggetti. In attesa che gli studi prospettici randomizzati in corso contribuiscano a chiarire,almeno in parte, l’attuale controversia, occorre ribadire l’importanza, per la decisione di rivascolarizzare, in primo luogo di un’accurata selezione dei pazienti con maggior definizione dei parametri predittivi della risposta individuale alla rivascolarizzazione in termini di outcome renale; in secondo luogo della necessità, come prospettiva futura, di individuare nuovi strumenti e/o trattamenti che possano ridurre l’incidenza di restenosi e prevenire il danno renale.

(54)

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