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la valutazione dello stato ossidativo nel cane coinvolto in progetti di terapie assistite da animali (AAT)

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Università di Pisa

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

“La determinazione dello stato ossidativo nel cane

coinvolto in progetti di Terapie Assistite da Animali

(AAT)”

Candidato: Caterina Cataldi

Relatore: Prof.ssa Grazia Guidi

Correlatore: Dott.ssa Anna Pasquini

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A coloro che mi hanno fatto decidere di intraprendere questo percorso e

che mi hanno spinto a terminarlo, i migliori amici in assoluto:

(3)

Indice

Riassunto………...5

Abstract………..7

Parte generale

CAPITOLO 1

La Pet Therapy: gli animali nella terapia umana

1.1 Origine e storia della Pet Therapy……… ... 9

1.2 Sviluppo della Pet Therapy in Italia: distinzione tra AAA e AAT……… ... 11

1.2.1 Campi di applicazione delle AAT………... 12

1.2.2 Figure professionali coinvolte……….. ... 13

1.2.3 Animali coinvolti………...… ... 14

1.3 AAT in DSA (Disturbi dello Spettro Autistico) e RM (Ritardo Mentale) ... 15

1.4 Il ruolo del cane nelle AAT ... 17

CAPITOLO 2

Lo stress nel cane

2.1 Definizione e indicatori dello stato di benessere animale ... 20

2.2 Lo Stress: definizione e agenti strerssanti per il cane ... 23

(4)

2.4 Indici di stress per valutare il benessere del cane ... 28

2.4.1 Parametri comportamentali ... 29

2.4.2 Parametri fisiologici ed ematici... 31

2.4.3 Parametri immunitari ... 33

2.5 Lo stress nel cane co-terapeuta in Interventi Assistiti da Animali (IAA) ... 34

CAPITOLO 3

Stress Ossidativo

3.1Definizione: Lo stress ossidativo e i sistemi di difesa antiossidanti ... 36

3.2Lespecie chimiche reattive, i radicali liberi e i danni da essi provocati ... 38

3.3 Stress ossidativo come indice di stress psico-fisico ... 42

3.4 Valutazione e diagnosi dello Stress ossidativo... 44

3.4.1 d-ROMs test ... 47

3.4.2 BAP test ... 48

Scopo del lavoro ... 50

Parte sperimentale

CAPITOLO 4

Materiali e metodi

4.1 Popolazione ... 51

(5)

4.3 Campioni ... 54 4.4 Esami di laboratorio ... 56 4.5 Analisi statistiche ... 57

CAPITOLO 5

Risultati ...

58

CAPITOLO 6

Discussione ...

63

Conclusioni ...

70

Bibliografia ...

72

Sitografia ...

83

Ringraziamenti ...

84

(6)

Riassunto

Parole chiave:

AAT, cane, stress, benessere, stress ossidativo

Le AAT ( Animal Assisted Therapy o Terapie Assistite dall’Animale ) sono interventi utilizzati a supporto e integrazione delle terapie tradizionali per la cura di patologie fisiche, psichiche,

sensoriali o plurime e includono l’interazione tra il paziente, un animale educato e un conduttore. Lo scopo è quello di promuovere il naturale e salutare legame esistente tra esseri umani e animali

a fini sia preventivi che terapeutici. Il ruolo dell’animale è quindi quello di mediatore emozionale e facilitatore delle relazioni sociali

e questo lo rende parte integrante del trattamento. Le AAT possono però non risultare efficaci se l’animale si trova in condizioni di distress: non è

quindi possibile produrre benessere nel paziente, in termini clinici e psicologici,se l’animale non

è a sua volta in condizioni psico-fisiche ottimali. La finalità di questo lavoro è dunque quella di valutare se l’attività svolta dagli animali, dei cani

in questo caso, durante le sedute di AAT , con tempi e modalità descritte, possa influenzare lo

stato di benessere dei cani co-terapeuti. Due progetti di AAT sono stati svolti in collaborazione tra Istituto Scientifico di Ricerca per la

Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza “ Stella Maris “, la Scuola cani guida per ciechi della Regione Toscana (Scandicci,FI) e il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’ Università di Pisa, a partire dal 2012. Il primo è stato un “ progetto pilota “ e il secondo uno studio di approfondimento, svolti con l’obiettivo principale di valutare l’efficacia a lungo termine delle AAT come terapie di accompagnamento nel trattamento di soggetti in età

evolutiva con Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) e Ritardo Mentale (RM). In particolare sono stati eseguiti esami su sangue e saliva dei cani partecipanti per valutare le

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(Potenziale Antiossidante Plasmatico). E’ stato infatti preso in considerazione lo stress ossidativo, ossia l’alterazione dell’equilibrio tra

formazione ed eliminazione delle specie ossidanti, meglio conosciute come radicali liberi, come indicatore di stress che può preludere al manifestarsi di numerose alterazioni patologiche.

Dai risultati di questo studio è emerso che sedute di AAT, svolte con il setting descritto in seguito, non sembrano alterare lo stato di benessere dei cani che non hanno mostrato essere

soggetti ad un evidente stato di sofferenza psico-fisica.

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Abstract

Keywords:

AAT, dog, stress, wellbeing, oxidative stress

AATs (Animal Assisted Therapy) are interventions used to support and integrate traditional therapies for the treatment of physical, psychological, sensory or multiple pathologies. The treatment includes also interaction between the patient, an educated animal and a conductor . The aim is to promote the natural and healthy link between humans and animals for both preventive and therapeutic purposes. The role of the animal is therefore the emotional mediator and facilitator of social relations, and this makes it an integral part of the treatment.

However, AATs can not be effective if the animal is in distress: in this case is not possible to produce wellbeing in the patient, in clinical and psychological terms.

The purpose of this work is to evaluate how the activity of animals, dogs in this case, during AAT sessions, with times and modes described, can affect the wellbeing of the co-therapist dogs. Two AAT projects were carried out in collaboration between the Scientific Research Institute for Stella Maris Infant and Adolescent Neuropsychiatry, the School of Dog Guides for the Blind of the Tuscany Region (Scandicci, FI) and the Department of Veterinary Sciences of the University of Pisa, starting in 2012. The first was a “pilot project” and the second one was a deepening study carried out with the main objective of assessing the long-term efficacy of TAAs as accompanying therapy in the treatment of children with Autistic Spectrum Disorder (DSA) and Mental Retardation (MR).

In particular, blood and saliva tests of the participating dogs were performed to evaluate oxidative parameter concentrations, d-ROMs (Oxygen Reactive Metabolites) and BAP (Plasma Antioxidant Potential).

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The research focused on the oxidative stress represented by the alteration of the balance between the formation and elimination of oxidizing species, better known as free radicals.

Under this perspective, the oxidative stress that often causes the occurrence of numerous pathological alterations is used as stress’ indicator .

The results of this study have shown that AAT sessions performed with the setting described below do not seem to alter the wellbeing of dogs: weren’t registred clear state of psycho-physical suffering.

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PARTE GENERALE

Capitolo 1

La Pet therapy:gli animali nella terapia umana

1.1 Origine e storia della pet therapy

L’utilizzo degli animali a fini terapeutici si inserisce nel più ampio ambito del rapporto uomo-animale, che ha radici molto antiche. La storia evolutiva della specie umana infatti è stata sempre accompagnata dalla presenza di animali, sia per usi pratici, ma anche per affezione. Il termine inglese “Pet Therapy” ovvero “terapia per mezzo dell’animale” rende bene l’idea di quanto sia cambiato il ruolo dell’animale nella società odierna, che lo vede protagonista proprio come “amico dell’uomo”.

La dizione Pet Therapy deriva dall’unione di due parole: pet o animale d’affezione, e therapy o terapia e si riferisce alla strutturazione metodologica dell’uso di soggetti animali finalizzata al trattamento di specifiche patologie (Ballarini,2003).

I risultati di studi scientifici indicano come l’interazione con un animale favorisca i rapporti inter-personali, stimolando ilarità e giocosità. L’animale può svolgere la funzione di ammortizzatore in particolari condizioni di stress e conflittualità e può rappresentare un valido aiuto per pazienti con problemi di comportamento sociale e di comunicazione, specie se bambini, ma anche per chi soffre di alcune forme di disabilità e di ritardo mentale e per pazienti psichiatrici (Natoli,1997).

L’origine di questa tecnica terapeutica risale agli anni ’60 quando il Professor Boris Levinson, psichiatra americano, individuò casualmente l’azione positiva della compagnia del proprio cane

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su un suo paziente, un bambino autistico. Levinson osservò come la presenza del cane facilitasse l’instaurarsi della relazione tra terapista e paziente, funzionale all’inizio di una terapia.

Il cane, infatti sembrava avere la funzione di “sciogliere il ghiaccio” aiutando il paziente ad abbassare le proprie barriere emotive.

Il Professore intuì che l’affetto di un animale domestico produceva un aumento dell’autostima e andava incontro al bisogno di affetto dei suoi pazienti.

Questo approccio fu applicato dallo stesso psichiatra su altri pazienti, grazie ai quali potè constatare che, per quelli affetti da disturbi della psiche, prendersi cura di un animale produceva effetti positivi come: calmare l’ansia, trasmettere calore affettivo e addirittura, aiutare a superare stress e depressione (Levinson,1962).

Nonostante l’esordio, del tutto sperimentale, ben presto la Pet Therapy si arricchisce di nuovi studi e applicazioni come quella dei coniugi Corson, due psichiatri americani che elaborarono, nel 1975, la “Pet facilted therapy” cioè la terapia facilitata dall’uso di animali da compagnia per la cura di adulti con problemi mentali e disabili (Corson,1976).

Successivamente, all’inizio degli anni ’80, Friedman et al. pubblicarono i risultati di una loro ricerca sugli effetti positivi della presenza di un animale nella vita di infartuati nell’anno successivo all’infarto.

Con il passare del tempo si moltiplicarono le esperienze di utilizzo terapeutico degli animali, aumentò l’interesse della medicina e della scienza per la relazione uomo-animle e si registrarono sempre maggiori risultati positivi.

Negli Stati Uniti d’America, nel 1977, viene fondata la Delta Society, organizzazione ad oggi rinominata Pet Partners, che si occupa di studiare gli effetti terapeutici legati alla compagnia di animali e alla quale appartengono proprietari di animali, terapisti, professionisti sanitari, veterinari ed altre figure professionali.

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In oltre 30 anni di attività la Fondazione ha pubblicato informazioni scientifiche per la selezione, l’addestramento degli animali, la formazione degli operatori e la messa a punto di progetti terapeutici.

1.2 Sviluppo della Pet Therapy in Italia: distinzione tra AAA e AAT

In Italia nel 1990 viene fondata l’ A.I.U.C.A. (Associazione Italiana Uso Cani d’Assistenza), associazione membro dell’ HAIO, Organizzazione non governativa internazionale, che si occupa dell’interazione uomo-animale e riconosciuta come partner lavorativo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (Cirulli et al.,1997).

L’ A.I.U.C.A. , dal 1996 al 2011, è stata l’unica associazione italiana affiliata al programma Pet partners della Delta society. Da quel momento in Italia si è osservato il proliferare di Associazioni, Enti e Fondazioni con lo scopo di incentivare l’utilizzo e lo sviluppo di Pet Therapy nel nostro Paese.

Nel 2003 è stato promulgato il Decreto Legislativo 06.02.2003 che introduce la Pet Therapy negli ospedali e negli istituti geriatrici, riconoscendola come cura ufficiale.

Oggi quindi, anche in Italia, la terapia per mezzo dell’animale, affiancata alle cure tradizionali, trova impiego mirato a specifiche patologie per la cura di bambini, adulti e anziani.

A partire dal 1980 però il termine Pet Therapy è stato più correttamente sostituito dai termini Attività assistite da animali (AAA) e Terapie assistite da animali (AAT).

Le AAA consistono in interventi di tipo ludico, ricreativo e di supporto psico-relazionale, finalizzati al miglioramento della qualità della vita di varie categorie svantaggiate di utenti come disabili, anziani ospedalizzati, pazienti istituzionalizzati, detenuti e altri.

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Le AAT invece sono interventi individualizzati sul paziente, utilizzati a supporto delle tradizionali terapie e per questo denominate terapie di accompagnamento e integrazione. Esse sono finalizzate al miglioramento della sfera fisica, motoria, psichica, cognitiva o emotiva e sono progettate sulla base di indicazioni sanitarie e psico-relazionali fornite dal medico e/o psicoterapeuta e prevedono precisi obiettivi e indicatori di efficacia (Linee Guida Nazionale

relativa agli interventi assistiti dagli animali D.G.R.V. n^4130 del 19.12.2006).

1.2.1 Campi di applicazione

Molte sono le applicazioni degli animali nella prevenzione e cura delle malattie umane. Le principali sono:

FINALITA’ PSICOLOGICO-EDUCATIVE: trattamento disturbi comportamentali, principalmente nei bambini, cattiva o insufficiente socializzazione, inadeguato rendimento scolastico, insicurezza.

RIDUZIONE AGGRESSIVITA’ IN SITUAZIONI CRITICHE: attività svolte in carceri e

riformatori.

FINALITA’ PSICHIATRICHE: ad esempio trattamento di DSA (Disturbi dello Spettro Autistico) e RM (Ritardi Mentali).

TRATTAMENTO E PREVENZIONE SINDROME DEPRESSIVA ANZIANI

FINALITA’ MEDICHE: recupero cardiopatici, ipertensione arteriosa, malattie croniche, soprattutto di origine neuro-muscolare.

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1.2.2 Figure professionali coinvolte

Ogni esperienza, sia di AAA che AAT, è il risultato di un lavoro creato e sviluppato da un team di professionisti che interagiscono tra loro, ognuno con il proprio ruolo ben definito ma completandosi a vicenda (Marchesini,2015).

Le figure professionali coinvolte sono:

RESPONSABILE DEL PROGETTO: un professionista del campo sanitario per le AAA e un clinico per le AAT.

MEDICO VETERINARIO: valuta i requisiti comportamentali e sanitari dell’animale, l’aspetto igienico-sanitario e il benessere animale.

CONDUTTORE INTERVENTO: nell’AAA può essere uno psicologo, educatore, infermiere/assistente sanitario, OSS, insegnante, laureato in scienze motorie; nelle AAT può essere psicologo/psicoterapeuta, educatore, terapista della riabilitazione, psicomotricista, terapista occupazionale.

CONDUTTORE DELL’ANIMALE: promuove la relazione uomo-animale e monitora lo stato di salute e benessere dell’animale in collaborazione con il medico veterinario. Come previsto dall’A.I.U.C.A. il binomio animale-conduttore è inscindibile e insieme formano un’unica unità di intervento. E’necessario che il conduttore sia sempre con l’animale, non si allontani mai o non lo affidi, nemmeno temporaneamente, ad altri.

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1.2.3 Animali coinvolti

Gli animali coinvolti nei progetti di AAT devono essere individuati per il singolo paziente in base alle preferenze personali, alle capacità psico-fisiche, ad eventuali fobie specifiche, allergie ed in relazione alla risposta emotiva delle prime sedute (Canè,2013).

Tra gli animali, il cane è sicuramente il più utilizzato in quanto animale da compagnia fortemente inteso ad instaurare un rapporto di dipendenza dal padrone.

I cani però non sono gli unici e infatti vengono inclusi in progetti di Pet Therapy anche:

GATTI (solitamente nelle AAA)

CAVALLI (Ippoterapia)

ASINI (Onoterapia)  DELFINI (Delfinoterapia)

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1.3 Le Terapie Assistite con Animali (AAT) in Disturbi dello

Spettro Autistico (DSA) e nel Ritardo Mentale (RM)

Il rapporto che si viene ad instaurare nelle sedute di AAT, tra il soggetto e l’animale intende sostenere lo sviluppo del versante affettivo-emozionale, ludico e psico-motorio (Visconti,2003). Queste aree risultano compromesse, a differenti gradi nelle persone autistiche.

Descritto inizialmente da Kanner nel 1943, l’autismo infantile viene attualmente inserito nell’ambito dei disturbi pervasivi e generalizzati dello sviluppo con la terminologia “Disturbo dello Spettro Autistico” (DSA).

Il disturbo in effetti si evolve fin dai primi atti fisiologici in stretta connessione con lo sviluppo e risulta “pervasivo” al punto di inficiare tutte le aree evolutive, comprese motricità e attività cognitive. L’utilizzo del termine “disturbo” va ad indicare la cronicità in quanto non si limita, nelle sue manifestazioni, all’età infantile ma, pur in forme diverse e sfumate, permane anche in età adulta (Visconti,2003).

La triade di caratteristiche tipiche del DSA comprende:

1. Marcate anomalie qualitative nell’ambito dell’ interazione sociale rappresentate non unicamente da assenza di contatti interpersonali, quanto da mancata comunicazione e scambi, assenza di reciprocità, ricerca di contatti esagerati e/o bizzarri, non in linea con l’età di sviluppo dell’individuo.

2. Marcate anomalie nell’ambito della comunicazione : assenza di linguaggio e deficit degli svariati codici comunicativi che normalmente regolano le relazioni sociali come sorriso, mimica, atteggiamenti posturali; grave alterazione nell’abilità di iniziare e sostenere una comunicazione, nonostante il possesso di capacità linguistiche appropriate.

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(per esempio: allineare oggetti, farli cadere o insistenza sul tema delle strade o dei numeri).

Proprio per le caratteristiche del soggetto autistico è stata operata la scelta di utilizzare il cane come co-terapeuta in quanto è in grado indurre modificazioni nel comportamento, capacità definita “referenza animale” (Gigli,2010).

La referenza animale induce il paziente ad aprirsi da un punto di vista relazionale, tanto da favorire uno scambio emotivo paziente-animale. Queste modalità di comunicazione passano da canali preverbali ed extraverbali molto forti e sollecitano i processi di reciprocità affettiva, di gioco e di stimolazioni cognitive più difficilmente raggiungibili nel solo rapporto con il riabilitatore professionale (Gigli,2010).

In uno studio condotto nel 2002 in bambini con disturbo pervasivo dello sviluppo, l’AAT si è dimostrata efficace nel migliorare i livelli di attenzione verso l’ambiente sociale, inoltre i bambini mostravano, nel corso del trattamento, una maggiore capacità di interazione con gli altri durante le sessioni di gioco (Martin et al.,2002).

Questa pratica infatti favorisce l’esplorazione degli aspetti emotivi insiti nell’interazione con l’animale, smorzando l’eventuale ritiro sociale nei bambini con DSA e facilitando il loro coinvolgimento in semplici e ripetibili sequenze sociali che non richiedono l’interpretazione di informazioni verbali (Sans et al.,2006; Solomon et al.,2010).

L’efficacia della presenza del cane all’interno di programmi terapeutici è stata ulteriormente documentata da Silvia et al. (2011) i quali riportano un incrementato uso del linguaggio e della comunicazione sociale e una riduzione di comportamenti aggressivi e ossessivi.

Uno studio pubblicato nel 2015 su un bambino autistico di 7 anni ha dimostrato che la comunicazione sociale del ragazzo è aumentata durante il trattamento con il cane co-terapeuta ed è rimasta superiore a quella basale nel periodo di follow-up. I risultati forniscono supporto

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all'utilizzo AAT come un intervento per facilitare la comunicazione sociale dei bambini con autismo (Fung,2015).

Il contatto con un animale può essere adatto a favorire i rapporti interpersonali anche per quei bambini affetti da ritardo mentale (RM).

Il ritardo mentale o “ disturbo dello sviluppo intellettivo” include deficit delle funzioni intellettive, deficit di funzionamento adattivo che si manifesta con mancato raggiungimento degli standard di sviluppo. E’ una malattia cognitiva persistente data da un alterato funzionamento del sistema nervoso centrale (SNC) e rappresenta una condizione di incompleto o ridotto sviluppo psichico con compromissione delle attività che solitamente si manifestano durante il periodo evolutivo.( Bertelli,2014)

Per quanto riguarda le patologie inerenti il ritardo mentale, uno studio di Laun (2003) evidenzia l’utilità della AAT nel trattamento delle demenze: vengono sottolineati gli aspetti cognitivi, di abilità quotidiane, di memoria, di abilità motorie e sociali che risultano essere stimolati in questi pazienti, nell’interazione con gli animali. Semplici sequenze come dare ordini, premiare un comportamento adeguato e accarezzare sembra attivino numerose competenze e funzioni che specialmente nelle demenze tendono ad ridursi. (Laun,2003)

Interagire con un animale educato, in presenza di professionisti formati, stimola nel bambino l’attenzione e il senso di responsabilità con conseguente sviluppo di competenze (Gigli,2010).

1.4 Il ruolo del cane nelle AAT

L’animale costituisce senza dubbio un protagonista importante delle AAT e può essere determinante per l’efficacia delle terapie.

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I risultati positivi riportati sulla buona risposta alla AAT sono uno stimolo ad incrementare l’uso degli animali, in particolare dei cani, in modo da poter avvicinare a tale pratica un maggior numero e tipo di pazienti.

Il cane naturalmente stimola attrazione e risposta di coinvolgimento emotivo negli esseri umani (Cole,2000) e il Professor Levinson, che nel 1953 coniò il termine Pet Therapy, affermò che la vicinanza del cane è in grado di promuovere capacità empatiche, l’autostima e l’autonomia (Levinson,1962).

Il rapporto con animali domestici, e in particolare con il cane, sembra contribuire ad una migliore qualità della vita ed essere correlato con modalità di attaccamento sicure, con una maggiore fiducia di base e con migliori relazioni con i pari, facilitando il gioco, l’esplorazione e l’indipendenza (Melson,1995).

Tuttavia, non è possibile produrre benessere nel paziente in termini clinici e psicologici se l’animale non è a sua volta in condizioni psico-fisiche ottimali; solo l’induzione di un benessere reciproco può costituire un’efficace alleanza terapeutica.

Particolare cura deve essere posta alla selezione degli animali da impiegare.

La scelta di un cane non deve implicare necessariamente l’utilizzo di cani di razza,anche i meticci possono partecipare. Ciò che invece risulta fondamentale nella scelta è la presenza o meno di atteggiamenti “inadatti” come: difficoltà respiratorie, evidente scialorrea, apaticità, se non addirittura comportamenti “indesiderati” quali aggressività, eccessiva iperattività, accentuata timidezza, atteggiamenti fobici, turbe dell’umore e quindi tutto ciò che determina instabilità nel comportamento. Altre condizioni da valutare sono: l’età, non inferiore a 15 mesi e non oltre l’età ritenuta “pensionabile”, l’identità espressiva e il percorso formativo.

Si richiedono dunque solo animali perfettamente socializzati con l’uomo e che non presentino problemi comportamentali, animali adulti e in grado di stare nella particolare situazione di seduta

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senza ripercussioni negative sul loro profilo comportamentale, solo animali il cui profilo etografico, ossia l’elenco dei comportmenti rilevanti per determinare la personalità del cane (Natoli,2001), sia coerente e adeguato con il setting di seduta e con le attività previste, solo animali che abbiano avuto un’abilitazione specifica ad operare in quella particolare situazione e con quel particolare friutore (Marchesini e Corona,2007).

Naturalmente, prerequisito di base di ogni progetto di AAT è il benessere dell’animale in tutte le fasi del suo coinvolgimento; in particolare, è necessario che ci sia assenza di zoonosi (patologie trasmissibile dall’animale all’uomo); infatti, attraverso l’evento relazionale, è molto facile che l’animale trasmetta un’infezione o un’infestione alla persona che può trovarsi in uno stato di immunodepressione o di vulnerabilità nei confronti di particolari agenti patogeni: per questo è indispensabile che l’animale sia nelle migliori condizioni igienico sanitarie, controllate attraverso una visita preventiva sotto il profilo zooiatrico, epidemiologico ma anche comportamentale, da parte del veterinario (Marchesini e Corona,2007).

A tale proposito in un’indagine di Brodie SJ et al. (2002) sono stati analizzati i potenziali rischi sanitari associati al contatto con animali in protocolli terapeutici e si conclude che a seguito di un corretto controllo, il rischio è praticamente nullo.

Molto importante è tenere sempre sotto controllo anche il benessere psicologico dell’animale cercando di ridurre qualsiasi stimolo stressogeno e controllando parametri, non solo comportamentali ma anche clinici, come indice di stress.

Negli ultimi anni infatti si è sviluppato un particolare interesse per gli studi concernenti la valutazione dello stress nel cane sottoposto a vari stimoli ambientali e vari parametri sono stati presi in considerazione: temperatura rettale, frequenza cardiaca, concentrazioni plasmatiche e salivari di cortisolo, conta leucocitaria, variazioni comportamentali (Beerda et al., 2000, Bergeron et al., 2002, Hydbring-Sandberg et al., 2004).

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Capitolo 2

Benessere e Stress nel cane

2.1 Definizione e indicatori dello stato di benessere animale

Una delle prime definizioni del concetto di benessere viene fornita da Huges nel 1976 che lo definisce come: “ stato di equilibrio mentale e fisico che consente all’animale di essere in armonia con l’ambiente che lo circonda”.

Successivamente, nel 1990 Broom defini’ il benessere come “ lo stato dell’individuo in rapporto ai suoi tentativi di adattarsi al suo ambiente”; tale definizione introdusse il concetto che il benessere animale dovesse essere inteso in senso dinamico in considerazione del fatto che le condizioni dell’ ambiente, sia esterno che interno, variano continuamente (Lucaroni,2004). Nel Brambell Report (1965), che prende il nome dal comitato sorto in Gran Bretagna con a capo il Prof. R. Brambell, furono elencate le cosi’ dette cinque libertà necessarie per non mettere a rischio lo stato di benessere di un animale, il quale deve essere:

 Libero dalla fame e dalla sete  Libero da fastidi fisici e da dolore  Libero da traumi o malattie  Libero da paura e stress

 Libero di esprimere la maggior parte dei suoi modelli comportamentali

Su queste basi, l’associazione mondiale dei veterinari ha approvato la definizione fornita sul “Baillière’s Veterinary Dictionary” da Blood e Studdert (1988) che definiscono il benessere come “ il mantenimento di standard appropriati di allevamento, alimentazione e cure generiche, la prevenzione e il trattamento di malattie e la salvaguardia da maltrattamenti e da dolori e sofferenze ingiustificate” (Lucaroni,2004) .

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La valutazione del benessere animale è uno dei campi di ricerca in cui si sta concentrando sempre più l’interesse dei ricercatori, sulla spinta anche dell’opinione pubblica, che chiede sempre più insistentemente che gli animali siano mantenuti in condizioni rispettanti non solo le loro esigenze fisiologiche, ma anche e soprattutto, che sia permesso loro di esibire il normale repertorio comportamentale.

Condizioni di benessere carenti, infatti influiscono sia sul comportamento dell’animale sia sul suo stato fisico determinando condizioni prepatologiche o patologiche (Viggiano et al.,2005). La ricerca sulla possibilità di quantificare il benessere e valutarlo scientificamente è iniziata con gli allevamenti intensivi (valutazione del grado di adattamento alle tecnologie di gestione da parte dell’uomo) per poi estendersi anche agli animali da compagnia (Viggiano et al.,2005). Nel febbraio del 2004 l'OIE (World Organsation for Animal Healt) ha organizzato a Parigi la prima Conferenza internazionale sul Benessere Animale, con la partecipazione di oltre 400 delegati da tutto il mondo. In seguito, l’OIE ha istituto tre Centri di Collaborazione sul Benessere Animale nel mondo e dal 2005 ha iniziato a sviluppare anche standard relativi al benessere.

Per l’Italia, l'Istituto Zooprofilattico dell’Abruzzo e Molise (IZSAM) ha contribuito alla stesura dei criteri di controllo e gestione delle popolazioni canine e della gestione delle emergenze epidemiche e non epidemiche.

Dal 2013, l’OIE ha lanciato una Piattaforma Europea per il benessere animale, con lo scopo di migliorare l’armonizzazione dell’applicazione degli standard, soprattutto quelli inerenti al trasporto, alla macellazione ed al controllo del randagismo, tra i diversi Paesi della Regione. (www.IZS.it)

La più recente Strategia della Commissione Europea sul benessere animale (2012-2015), inoltre, pone l’accento sull’importanza dell’individuazione di indicatori di benessere animale “animal based”, tali da consentire una maggiore armonizzazione della valutazione del benessere animale su scala globale, consentendo inoltre il raggiungimento dei criteri di equivalenza sul benessere

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animale tra l’UE ed i Paesi Terzi nell’ambito del commercio globale. Questo approccio è stato abbracciato dall’IZSAM, che negli ultimi anni ha intrapreso, nell’ambito di progetti nazionali ed internazionali, attività volte all’individuazione di metodi di misurazione del benessere animale “animal-based” ed allo sviluppo di protocolli innovativi per la valutazione del benessere che ne permettano un’accurata e quanto più rapida valutazione, tanto durante il trasporto quanto in condizione di confinamento.(www.IZS.it)

Nel 2009 i ricercatori del Welfare Quality® consortium hanno definito quattro fondamentali principi di benessere per gli animali: alimentazione corretta, stabulazione adeguata, buona salute e comportamento appropriato. Nell’ambito di questi quattro principi sono stati individuati 12 criteri di benessere, distinti, ma complementari.

Questi criteri sono stati proposti anche in uno studio per lo sviluppo di un programma di valutazione sul benessere animale nei cani in canile, nel quale vengono presi in considerazione fattori come il BCS (Body Condition Score), la pulizia degli animali, lo stato della pelle e del pelo, la presenza di evidenti stati di sofferenza come iperpnea e tremiti, evidenti stati dolorifici, di paura nei confronti degli esseri umani e quindi di alterazione del comportamento sociale. Questi e altri parametri sono stati presi in considerazione per permettere un’applicazione pratica della valutazione del benessere animale (Bernard et al.,2015) .

Gli indicatori dello stato di benessere quindi, possono essere classificati in:

Fattori legati all’animale o “animal based”:

- fisiologici : ormoni,principalmente il Cortisolo (Cobb,2016), frequenza cardiaca, respiratoria, pressione arteriosa e temperatura corporea (Lucaroni,2004).

-patologici: presenza di malattie che, per definizione rappresentano un’alterazione dell’equilibrio organico e quindi l’incidenza delle stesse può costituire un indice importante di benessere animale (Lucaroni,2004).

- produttivi: accrescimento, fecondità, fertilità, mortalità.

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Fattori legati all’ambiente : idoneità delle strutture

Fattori legati alla gestione: pulizia, manutenzione, profilassi

Fattori legati al rapporto uomo-animale: qualità e quantità delle interazioni, preparazione del

personale. (www.WelfareQuality.net)

2.2 Lo Stress: definizione e agenti strerssanti per il cane

La comunità scientifica definisce lo stress come uno stato attraverso il quale l’organismo reagisce ad una condizione di forte disagio, ad una minaccia interna o esterna, tanto da richiedere la riunione di tutte le forze per affrontare e superare la situazione di pericolo. Lo stress deve essere considerato dunque come una reazione importantissima per la sopravvivenza perché permette di ottenere l’adattamento più idoneo ai mutamenti dell’ambiente (Corson,1976).

Sull’enciclopedia medica Pschyrembel si trova la seguente definizione: “ Lo stress, dall’inglese pressione, oppressione, tensione, è uno stato dell’organismo caratterizzato da una sindrome specifica (aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico, elevata produzione di catecolamine e ipertensione) che può essere scatenata da diversi fattori come ad esempio infezioni, ferite, ustioni, radiazioni, ma anche stati d’animo come rabbia, gioia e da superlavoro (Enciclopedia medica Pschyrembel,1995).

Sotto il termine stress si possono comprendere tutti quei fattori esterni a cui l’organismo non è sufficientemente adattato.

Lo stress psichico si sviluppa in seguito ad una discrepanza tra specifiche richieste e la soggettiva possibilità di superarle. Uno stato di stress persistente può condurre a reazioni generali ossia ad una sindrome generalizzata di adattamento.

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Dal punto di vista evolutivo, lo stress deve essere considerato come una reazione importantissima per la sopravvivenza, perché permette di ottenere l’adattamento più idoneo ai mutamenti dell’ambiente.

Nell’animale, come nell’uomo, quindi lo stress ha valore ambivalente, trattandosi di un’opportuna attivazione dell’organismo che porta ad utilizzare le migliori energie; infatti, se da un lato, lo stress può facilitare la ricerca del benessere e l’attività riproduttiva, consentendo all’animale reattività e rendimento fisico ottimale (in questo caso si parla di eustress o stress positivo), dall’altro risulta in grado di impedire il conseguimento di tali obbiettivi quando diventa distress (stress negativo) (Breazile,1987).

Lo stress negativo dunque si configura come sovraccarico di richieste, particolarmente dannoso per l’organismo. Sono le situazioni di minaccia, di sofferenza, di rabbia a trasformarsi in un eccesso di pretese a cui l’animale non sa dare risposte adeguate (Overall,2001).

Negli ultimi decenni il concetto di stress è stato messo in relazione ad una riduzione del benessere psico-fisico, della capacità produttiva e della salute; quando si parla di stress nella pratica comune, si intende sempre lo stress negativo.

La componente emotiva è sempre coinvolta nello stress, sia come effetto, sia come causa e infatti è risultato evidente che le risposte individuali ad uno stesso agente stressante sono variabili di intensità a seconda del coinvolgimento emotivo, ed anche nello stesso individuo le risposte possono variare in diverse situazioni (Selye,1956).

E’ stato dimostrato sperimentalmente che le entità del danno biologico indotto dallo stress dipende dal significato: minaccioso, neutro o piacevole, attribuito alla situazione. Questa variabilità individuale è mediata da fattori genetici e da fattori cognitivo-emozionali (Carenzi, 2008).

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Seyle constatò che in tutte le situazioni di particolare gravità, o di tensione dell’individuo, l’organismo reagisce con l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che determina liberazione di glicocorticoidi. Questo rappresenta una risposta adattativa comune ad una multiforme varietà di cause stressanti, di natura eterogenea: fisiche, chimiche e psichiche (Lucaroni,2004).

L’importanza della componente psichica risulta dal fatto che agenti stressanti di natura fisica determinano nell’animale una scarsa attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene se vengono prodotti in modo da non coinvolgere la sua percezione cosciente. In pratica la risposta dell’animale è dovuta all’importanza psicologica dello stimolo; in altre parole la risposta corticosurrenalica ad uno stimolo avviene solo se questo viene avvertito e la risposta è diversa se lo stimolo è associato ad un contesto nuovo o riconoscibile (Lucaroni,2004).

Dall’analisi dell’intensità delle risposte endocrine e comportamentali ad un agente stressante, si deve concludere che le risposte sono condizionate non tanto dalle cause oggettive, quanto dallo stato emozionale che esse suscitano nell’animale.

Le esperienze di stress come pure le strategie di superamento sono soggettive. Se diversi cani vivono la stessa situazione può succedere che alcuni non si sentano assolutamente provati mentre altri reagiscano in modo chiaramente stressato. In questi ultimi si possono evidenziare differenti sintomi e diverse strategie di superamento (Denham,2014).

Gli agenti stressanti, definiti anche stressor, possono essere di varia natura:

 Stressors fisici di tipo elettrico, tattile, visivo, termico spesso accompagnati da dolore fisico,

 Stressors ambientali come costrizioni o esposizioni ad ambienti sconosciuti,

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Le cause di stress sono quindi numerose e diverse e aumentano proporzionalmente alla inadeguatezza delle condizioni in cui un animale è costretto a vivere (Debenedetti,2004).

Costrizione, affollamento, inadeguatezza dei ricoveri, situazioni di eccessiva competizione tra animali, trasporto, rudezza del personale, modalità e tempi di somministrazione degli alimenti, rottura dei ritmi biologici dell’animale e l’eccessivo sfruttamento in genere rappresentano le più comuni cause di stress, acuto e cronico (Denham,2014).

Altra classificazione degli stressors li distingue tra:

 Fattori esterni: sovraccarico degli organi sensoriali per troppi stimoli o al contrario la loro assenza (deprivazione sensoriale), il dolore, le situazioni di pericolo reali o simulate  Impossibilità di soddisfare le esigenze primarie: privazione di cibo, acqua, sonno,

movimento

 Fattori relativi al rendimento a seguito di pretese eccessive: esami imminenti, fallimenti, rimproveri o punizioni

 Fattori sociali: come ad esempio l’isolamento del cane

 Fattori psichici: conflitti, assenza di controllo, paura, insicurezza nelle aspettative, significativi cambiamenti nelle condizioni di vita, cambiamenti di una certa routine (Nagel,2003).

Il perdurare degli stressors determina uno stress cronico caratterizzato dall’esaurimento del sistema di controllo che l’animale ha a disposizione per fronteggiare la situazione stressante e possono attivarsi risposte i cui effetti risultano dannosi per l’individuo stesso.

La risposta si fa nociva in quanto gli ormoni prodotti in corso di stress, prevalentemente il cortisolo, incidono su diverse funzioni fisiologiche come l’azione metabolica, antinfiammatoria, immunodepressiva e gastroenterica; se il livello ematico di cortisolo rimane elevato a lungo

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infatti si ha la diminuzionine delle difese naturali dell’organismo e altri effetti collaterali come ulcere gastriche, affezioni intesinali, diarrea cronica (Part,2014).

Lo stress prolungato inotre può danneggiare gravemente le ghiandole surrenali e il sistema cardio-vascolare e ciò può portare a ipertensione e infarto.

Se non si realizzano patologie specifiche, possono insorgere diversi problemi comportamentali in rapporto alla specie animale e alla situazione (Lucaroni,2004).

I sintomi che permettono di concludere che un cane è stressato sono molteplici e spesso più sintomi possono presentarsi contemporaneamente.

2.3 Fisiopatologia dello stress

La risposta endocrina in uno stress è sempre strettamente legata all’attività nervosa in rapporto di stretta interdipendenza.(Aguggini,2004)

Nello stress acuto la risposta iniziale è la liberazione di catecolamine da parte della midollare del surrene, l’attivazione del sistema catecolaminergico centrale, l’attivazione corticale, l’attivazione del sistema neurovegetativo simpatico.

Contemporaneamente viene attivata la secrezione ipotalamica di CRH che, tramite liberazione ipofisaria di ACTH, determina aumento di secrezione di glicocorticoidi (attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene).

Queste prime reazioni determinano uno stato di allerta e di iperattività neuromuscolare con la mobilitazione di tutte le attività nervose volte alla messa in opera di una risposta comportamentale attiva che consiste nell’evitare o affrontare la causa stressante (combattere o fuggire).

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Questa prima fase è denominata stato di allerta.

Se la situazione dannosa prende il sopravvento e non è più domabile da un comportamento attivo la risposta è un potenziamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene mentre il sistema colaminergico viene depresso a livello centrale e periferico. Da un punto di vista fisiologico questo corrisponde alla “messa in economia” dell’organismo che limita tutte le attività comportamentali e metaboliche, non strettamente necessarie alla conservazione dell’individuo che entra cosi’ in uno stato di resistenza. Questa fase però non può durare all’infinito e se l’individuo non trova un equilibrio permane in uno stato di malessere ed è molto esposto a qualsiasi altra causa nociva possa intervenire (stato di esaurimento).

L’animale cronicamente stressato vede diminuire le sue difese contro tutte le malattie, infettive, parassitarie, tossiche, allergiche ecc. e diviene improduttivo essendo depressi accrescimento, attività sessuale, fertilità, capacità di lavoro (Debenedetti,2004).

Si ha quindi una vera e propria patologia da stress cronico con la comparsa di alterazioni fisiche, come per esempio ipertensione e ulcera gastrica, e comportamentali: depressione, aggressività, anomalie del comportamento sociale (Seyle,1956).

2.4 Indici di stress per valutare il benessere nel cane

Negli ultimi anni si è sviluppato un particolare interesse per gli studi concernenti la valutazione dello stress nel cane sottoposto a vari stimoli ambientali e vari parametri sono stati sperimentati a questo scopo: temperatura rettale, frequenza cardiaca, concentrazioni plasmatiche e salivari di cortisolo, concentrazioni salivari di IgA, conta leucocitaria, variazioni comportamentali (Beerda

et al., 1998; Bergeron et al., 2002, Hydbring-Sandberg et al., 2004; Haverbecke et al., 2008;

Kikkawa et al., 2003; Fallani et al., 2007). Sebbene ognuno di questi parametri possa fornire alcune interessanti informazioni, esistono limiti oggettivi di tipo applicativo o interpretativo.

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Uno dei metodi più applicati e riconosciuti è la determinazione del cortisolo salivare che pur evidenziando uno stato di stress, non è in grado di definire se e quanto questo sia effettivamente negativo per l’animale (Beerda et al., 1998; Hydbring-Sandberg et al., 2004; Haubenhofer et al., 2006). L’osservazione di atteggiamenti o comportamenti che inequivocabilmente possono essere interpretati come segnali di stress, ha lo svantaggio di non essere abbastanza precoce (Fallani et

al., 2007).

2.4.1 Parametri comportamentali

La risposta allo stress può essere misurata con parametri comportamentali che ovviamente variano molto da individuo ad individuo. Le risposte correlate alla paura ed allo stress sono essenzialmente adattative e consentono all’individuo di ambientarsi al cambiamento. Le osservazioni comportamentali sono parametri influenzati da diversi fattori quali l’età, la razza, il sesso, le caratteristiche ereditarie e il background dell’animale (Denham,2014).

Esistono diversi studi in letteratura che dimostrano come aspetti comportamentali possano essere studiati per la valutazione dello stress cronico soprattutto nei cani in canile e nei cani da lavoro (Haverbake,2008).

Gli atteggiamenti che più frequentemente il cane mostra e che vengono valutati come indice di stress sono:

 Nervosismo: il cane si spaventa molto facilmente, appare distratto e nervoso (Nagel,2003)

 Irrequietezza: si manifesta con il continuo camminare avanti e indietro e aumento della locomozione in generale (Beerda,1999)

 Reazioni eccessive: il cane reagisce con paura e aggressività a situazioni a cui normalmente resterebbe tranquillo e composto (Beerda,1999)

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 Defecazione impellente: a seguito di una situazione di grande paura o improvviso spavento (Nagel,2003)

 Urinazione aumentata (Nagel,2003)

 Esagerata cura del corpo: il cane si lecca fino a ferirsi (autogrooming) (Hetts,1992)  Vocalizzazioni esagerate:ad esempio abbaiare insistentemente (Clark,1997)

 Stereotipie: si tratta di sequenze di movimenti sempre uguali, che vengono ripetute a lungo senza una motivazione o uno scopo preciso. Tra le stereotipie più comuni si possono osservare corse in circolo, la rincorsa della coda, l’abbaiare monotono e continuo, il leccarsi ripetutamente una particolare zona del corpo (Beerda,1999, Haverbeke,2008)

 Segnali calmanti: L’animale emette i cosi’detti “segnali calmanti”, che hanno la funzione di calmare l’animale stesso quando si sente stressato o a disagio e sono quindi espressione di stress e al tempo stesso di ricerca di un controllo della propria ansia. Imparare ad identificare questi segnali potrebbe significare riuscire a prevenire determinate situazioni di stress e disagio (Rugaas,2005). Vengono attuati dall’animale anche per calmare gli altri individui, comunicando loro, in modo inequivocabile le proprie intenzioni pacifiche; il cane che stà vivendo un evento stressante, emettendo questi segnali, trova sollievo calmandosi.

Sono segnali fatti di posture,sguardi e mimiche facciali e tra i più comuni troviamo: sbadigliare, leccarsi il naso, scrollarsi, inchino di gioco e distogliere lo sguardo se fissato negli occhi (Rugaas,2005).

I segnali calmanti sono una parte importante della comunicazione tra cani e vengono utilizzati nelle interazioni con il mondo esterno. Il cane insicuro, stressato, sopraffatto da eccessive richieste mostra questi segnali con maggiore frequenza (Nagel,2003).

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2.4.2 Parametri fisiologici ed ematici

Cortisolo: Quando il cane viene sottoposto a stress, il sistema nervoso reagisce repentinamente

attivando l’asse ipotalamo-ipofisario; sotto diretto stimolo l’ipotalamo rilascia l’ormone corticotropo (CRH) che stimola a sua volta l’ipofisi a produrre ormone adrenocorticotropo (ACTH). Quest’ultimo entra in circolo e stimola la funzione della corteccia surrenale la quale produce ormoni corticosteroidi, ovvero ormoni a struttura steroidea suddivisi, in base all’attività biologica prevalente, in glicoattivi (cortisolo e corticosterone), mineralattivi (aldosterone e desossicosrticosterone) e ormoni sessuali (androstenedione e testosterone). (Debenedetti,2004) Il cortisolo è un ormone che svolge svariatie azioni sull’organimo, di seguito classificate:

 Azione metabolica: effetto iperglicemizzante con depressione delle sintesi proteiche praticamente in tutto l’organismo, ad eccezione del fegato.

Sul metabolismo dei lipidi i glucocorticoidi hanno importanti ripercussioni poiché, pur non avendo azione lipolitica diretta potenziano quella di altri ormoni liberati in concomitanza determinando un aumento complessivo della mobilitazione dei grassi di deposito e della loro utilizzazione periferica.

 Azione permissiva sulle catecolamine (effetto anti-shock): azione sinergica con le catecolamine.

 Azione antinfiammatoria: è la più nota azione dei glicocorticoidi ed è dovuto alla protezione che questi ormoni garantiscono contro i danni cellulari e le loro conseguenze.  Azione antitossica, antiallergica: sopprime gli effetti dell’istamina.

 Azione immunosoppressiva: in medicina veterinaria viene utilizzato il cortisolo per il controllo di malattie autoimmuni negli animali d’affezione.

 Azioni sull’apparato gastroenterico: inducono aumento della secrezione di acido cloridrico e di pepsina da parte dello stomaco e infatti la presenza di ulcere gastroduodenali è stata indicata da Selye come un frequente sintomo di stress.

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Quando la produzione di cortisolo aumenta, e quindi aumenta la sua concentrazione nel sangue, si avvia il meccanismo di feed-back negativo per il quale lo stesso cortisolo blocca l’ulteriore produzione di ACTH da parte dell’ipofisi con il conseguente blocco di produzione dell’ormone glicocorticoide; in condizioni normali, in questo modo si evita l’ipercortisolemia; lo stress cronico però altera questo meccanismo e cosi’ il cortisolo si accumula nel sangue provocando stati patologici (Debenedetti,2004).

I livelli degli ormoni corticosteroidi attivi, cortisolo in particolare, sono stati utilizzati da diversi ricercatori come parametri per verificare l’effetto dello stress sugli animali (Hekman,2012, Cobb,2016).

Il cortisolo secreto dal surrene si diffonde in tutti le fasi acquose dell’organismo, plasma, urine e saliva. La saliva costituisce un ottimo substrato per la determinazione della concentrazione di cortisolo per la facilità di prelievo ed anche perché a questo livello si trova solo la frazione attiva, non legata a proteine di trasporto come invece avviene a livello plasmatico. La concentrazione di cortisolo salivare è uno dei parametri biochimici più utilizzati allo scopo di dare una misurazione oggettiva dello stress. Oltre al fatto che il prelievo di materiale salivare è minimamente invasivo per il cane e che può essere agevolmente effettuato anche dal conduttore, è stato accertato che il cortisolo misurato nella saliva non solo correla con quello plasmatico ma risulta più stabile ed affidabile (Kobelt et al., 2003; Gozansky et al., 2005, Cobb,2016).

Nonostante questo, come spesso riportato in letteratura, non sempre esiste una relazione tra concentrazione ematica o salivare di cortisolo e i modelli comportamentali indotti dallo stress e infatti i risultati ottenuti da questi tipi di studi devono essere valutati con cautela (Hannessy,2013).

Questo perché il cortisolo è solo uno degli elementi del complesso sistema dello stress e, secondariamente è utile nel valutare più lo stress acuto rispetto allo stress cronico (Cafazzo,2014).

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Cafazzo, in uno dei suoi studi sulla valutazione dello stress nei cani in diversi canili non ha trovato nessuna correlazione tra cortisolo e elementi del sangue come neutrofili, monociti, basofili e linfociti attribuibili a pattern di stress nel cane (Cafazzo,2014).

Inoltre la determinazione del cortisolo, pur evidenziando uno stato di stress, non è in grado di definire se e quanto questo sia effettivamente negativo per l’animale poiché potrebbe rappresentare un eccitamento positivo (Beerda et al.,1998; Hydbring-Sandberg et al.,2004; Haubenhofer et al.,2006).

Questi rappresentano i maggiori limiti nell’utilizzo di questi parametri nella valutazione dello stress negli animali.

2.4.3 Parametri immunitari

IgA

Le immunoglobuline A (IgA) sono anticorpi specializzati nella difesa delle mucose e della pelle contro gli agenti infettivi e si trovano principalmente nelle secrezioni come la saliva, le lacrime o i succhi intestinali. E’ stato dimostrato che le IgA nell’uomo costituiscono un sensibile marker di stress, poiché la loro concentrazione nella saliva subisce una notevole e rapida riduzione in caso di situazioni stressanti. Recentemente alcuni autori hanno proposto questo parametro anche per il cane fornendo promettenti risultati (Kikkawa et al.,2003).

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2.5 Lo stress nel cane co-terapeuta in Interventi Assistiti da Animali

(IAA)

Negli IAA gli animali vengono utilizzati come co-terapeuti in aggiunta alle tradizionali terapie con lo scopo di influenzare positivamente la salute umana.

Nell’ultimo decennio c’è stato un crescente interesse da parte della comunità scientifica sui risultati delle AAT sul benessere umano ma c’è ancora scarsa conoscenza sull’impatto che tali interventi hanno sul benessere degli animali coinvolti (Glank,2017).

Mancano delle chiare conclusioni sul modo in cui il benessere dei cani sia influenzato dalle performance in AAT e questo, probabilmente, a causa dell’eterogeneità dei programmi, di campioni spesso di piccole dimensioni e di limiti metodologici (Glank,2017).

Stafford afferma che progetti di attività assistite da animali non siano considerate particolarmente stressanti per i cani partecipanti ma esistono degli studi, come quello di Heimlich ad esempio, che testimonia come un progetto di AAT con bambini con disabilità multiple sia dovuto terminare in anticipo a causa del deterioramento della salute del cane co-terapeuta e sintomi di stress come l’eccessivo ansimare e la evidente stanchezza (Heimlich, 2001).

Il benessere animale in corso di AAT viene valutato principalmente attraverso lo studio del comportamento,spesso con questionari o interviste ai conduttori dei cani, in primis responsabili della loro salute e benessere psico-fisico, e attraverso lo studio di parametri fisiologici ematochimici come valutazione di cortisolo e di marker immunitari (Glank,2017).

Cortisolo e segnali comportamentali sono in effetti gli indicatori più frequentemente utilizzati ma è opportuno tenere presente come la valutazione di atteggiamenti del cane possa essere talvolta soggettiva e come atteggiamenti o comportamenti, che inequivocabilmente possono essere

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interpretati come segnali di stress, ha lo svantaggio di non essere abbastanza precoce (Fallani et

al., 2007).

I parametri endocrini, utilizzati come marker per individuare una condizione di stress, possano essere associati anche ad altre funzioni responsabili del mantenimento dell’omeostasi (Glank,2017).

Glank afferma che nel complesso, i risultati degli studi che si trovano in letteratura sul benessere animale in cani impiegati in AAT non destano preoccupazioni per il mantenimento di uno stato di benessere animale e anche se alcuni autori hanno riportato segni comportamentali di angoscia e un aumento di cortisolo successivo alle sedute, nessuno suggerisce il divieto di queste pratiche a causa di vincoli sul benessere animale (Glank,2017).

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Capitolo 3

Lo stress ossidativo

3.1 Definizione: Lo stress ossidativo e i sistemi di difesa antiossidanti

In tutti gli organismi viventi esiste un delicato equilibrio fra la produzione e l’eliminazione, ad opera dei sistemi di difesa antiossidanti, dei cosiddetti radicali liberi. La rottura di questo equilibrio, indicata come “stress ossidativo”, provoca l’insorgenza di lesioni cellulari che, se gravi e protratte nel tempo, conducono ad un’ accelerazione del processo dell’invecchiamento e all’insorgenza di numerosissime malattie (Iorio,2003).

Lo stress ossidativo è una condizione patologica provocata dall’azione lesiva, sulle cellule e sui tessuti dell’organismo, di quantità abnormemente elevate di radicali liberi. Esso viene a determinarsi perché la produzione di tali specie chimiche è aumentata e/o perché la fisiologica capacità di difesa nei loro confronti, ad opera dei sistemi antiossidanti, è ridotta (Iorio,2003). L’organismo, già in condizioni normali, produce una determinata quota di radicali liberi, per effetto del fisiologico metabolismo cellulare. La sintesi di alcuni ormoni, per esempio, implica la generazione di radicali liberi mentre i leucociti polimorfo nucleati sfruttano la produzione di questi agenti per uccidere i batteri, aiutando, in tal modo, l’ organismo a difendersi dalle infezioni.

Altri radicali liberi, come ad esempio, l’ossido nitrico (NO) sono indispensabili per l’omeostasi dell’intero organismo, in quanto modulano importanti funzioni, come la contrattilità della muscolatura liscia vascolare, l’aggregazione piastrinica e l’adesione cellulare. Da questo punto di vista, i radicali liberi sono stati giustamente definiti “insostituibili compagni” della vita cellulare (Soffler,2007).

In condizioni fisiologiche quindi, si svolgono costantemente nell’organismo numerosi processi ossidativi; questi comportano la continua formazione di radicali liberi , specialmente di ROS (Reactive Oxygen Species). I radicali liberi dell’ossigeno sono molto instabili e capaci di reagire

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praticamente con ogni molecola organica, generando derivati o metaboliti reattivi dell’ossigeno (Reactive Oxygen Metabolites - ROM).

I ROS, se da un lato sono fondamentali nell’economia metabolica per lo svolgimento di determinate funzioni, dall’altro sono in grado di attaccare gli acidi grassi polinsaturi delle membrane biologiche, e, attraverso una catena di reazioni di perossidazione, portare alla produzione di molecole altamente tossiche, quali aldeidi (malondialdeide) e idrocarburi gassosi (etano e pentano). Inoltre si possono verificare modificazioni delle proteine e degli acidi nucleici (Soffler,2007).

Tutti questi meccanismi sono potenzialmente in grado di creare un grave danno tissutale, per impedire il quale, l’organismo è dotato di un complesso sistema di difesa, costituito da un gruppo eterogeneo di molecole, nell’insieme denominato Sistema Antiossidante.

Esso agisce a vari livelli:

• Prevenendo la formazione dei ROS; • Inattivando i ROS;

• Contrastando la loro azione;

• Ripristinando l’integrità molecolare dopo il danno ossidativo.

Particolarmente efficiente è il sistema antiossidante intracellulare, costituito da tre enzimi: superossidodesmutasi (SOD), glutatione perossidasi (GSH-Px) e catalasi (CAT). (Cocca,2010) Numerose altre molecole fanno parte della barriera antiossidante plasmatica (naturale). La loro origine può essere esogena (ascorbato, tocoferoli, carotenoidi, bioflavonoidi) o endogena (proteine, bilirubina, acido urico, colesterolo). Ciascuna di queste sostanze è dotata di un suo potere antiossidante, funzione del proprio potenziale di ossido-riduzione (Cocca,2010).

Le cause ritenute responsabili di un aumento della produzione dei radicali liberi possono essere di svariata natura: fisica, chimica o biologica e tra i fattori causali più comuni troviamo:

 Fattori ambientali: Radiazioni, inquinamento ambientale (Ademiluyi e Oboh,2013, Sechi,2015)

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 Stile di vita: Alimentazione, esercizio fisico incongruo (Berzosa et al.2011, Sechi,2016)  Fattori psicologici: Stress psico-emotivo e comportamenti associati ad ansia e paura

(Dreshel,2010, Colaianna,2013, Salim,2017, Sechi,2017)

 Malattie: Traumi, infiammazioni, infezioni, vasculopatie, neoplasie (Pasquini,2010, Soffler,2007, Finotello,2014, Sechi,2015, Kogika,2014, Panda,2009)

 Fattori iatrogeni: Farmacoterapia, radioterapia, raggi X (Wang et al.,2012)  Età avanzata (Cocca,2010)

Queste condizioni possono provocare una produzione eccessiva di radicali liberi, tale che i meccanismi fisiologici non riescono a gestire, oppure possono minare l’efficienza dei sistemi antiossidanti fisiologici.

Il risultato finale è un eccesso di radicali liberi, con i danni che a esso conseguono (Soffler,2007).

3.2 Le specie chimiche reattive, i radicali liberi e i danni da essi provocati

Le specie chimiche reattive (SCR) sono molecole o atomi, singoli o raggruppati, ovvero ioni, semplici o complessi, accomunati dalla tendenza a reagire più o meno facilmente, in funzione della loro natura e delle condizioni del mezzo in cui si trovano, con altre specie chimiche con le quali vengono a contatto. Le SCR giocano un ruolo determinante negli organismi viventi, in quanto costituiscono intermedi obbligati delle reazioni che presiedono ai più importanti processi vitali, quali ad esempio: la trasformazione dell’energia potenziale contenuta nei nutrienti in energia chimica di legame, la difesa dall’attacco di germi patogeni, la detossificazione e la trasduzione di segnali (Iorio,2003) .

Dato lo stretto legame concettuale esistente fra SCR e reazioni di ossido-riduzione, è opportuno ricordare che una determinata specie chimica si ossida quando cede uno o più equivalenti riducenti ad un’altra specie chimica in grado di accettarlo/i e che, quindi, si riduce.

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Nelle reazioni di ossido-riduzione è preferibile utilizzare, per indicare “l’oggetto dello scambio”, il termine più generale di “equivalente riducente” che corrisponde all’elettrone, nelle classiche reazioni di chimica inorganica.

La specie chimica che, al termine della reazione, ha ceduto l’elettrone, e si è quindi ossidata,viene detta “riducente” poiché ha reso possibile la riduzione dell’altra.

La specie chimica che, al termine della stessa reazione, ha accettato l’equivalente riducente, e si è quindi ridotta, è chiamata “ossidante”, in quanto ha reso possibile l’ossidazione dell’altro agente in gioco (Salim,2014).

Gli atomi sono chimicamente stabili quando ciascun elettrone dell’orbitale più esterno è associato ad un secondo elettrone che ruota in direzione opposta (detto appaiato). Alcuni processi endogeni quali le ossido-riduzioni metaboliche, l’ossidazione dei grassi e le reazioni immunologiche, oppure agenti esogeni quali radiazioni, raggi UV, farmaci, eccesso di ossigeno, xenobiotici e il fumo da sigaretta, possono “strappare” un elettrone dall’orbitale esterno lasciando così un elettrone spaiato (Iorio,2003).

Questi atomi, caratterizzati dalla presenza di un elettrone spaiato sono definiti radicali liberi. Il radicale libero è quindi una specie molto instabile, estremamente reattiva e con emi-vita breve, cerca infatti di neutralizzare il più rapidamente possibile la propria carica elettrica “rubando” elettroni dalle molecole vicine. Queste molecole, a loro volta, diventano elettricamente instabili innescando così una serie di reazioni a catena che amplificano il fenomeno e, quindi, il numero di radicali liberi prodotti.

Uno dei meccanismi più diffusi, attraverso il quale i radicali liberi, una volta superate le difese antiossidanti, attaccano le varie componenti biochimiche cellulari ed extracellulari dell’organismo, è quello legato alla produzione dei cosiddetti idroperossidi (ROOH), agenti relativamente stabili ma dotati di potenzialità ossidanti. Per tale motivo, la cellula espelle al suo esterno questi metaboliti reattivi dell’ossigeno (Reactive Oxygen Metabolites - ROM), i quali, a loro volta, diffondono, attraverso le pareti del microcircolo, sia nella matrice che nei liquidi

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extracellulari, quali il sangue. Qui, in condizioni di ischemia anche lieve, l’attivazione del metabolismo anaerobio induce un rilascio di cataboliti acidi che, provocando un lieve abbassamento del pH, inducono, tra l’altro, una modifica della conformazione della transferrina, che viene così costretta a rilasciare il ferro in forma libera. Sarà questo elemento di transizione, poi, a provocare per via catalitica (reazione di Fenton) la scissione degli idroperossidi in radicali alcossilici (RO) e perossilici (ROO), in definitiva responsabili di lesioni ossidative a carico sia dell’endotelio che di componenti plasmatiche; cosi’ i ROOH rappresentano non solo i “testimoni” ma anche i potenziali “amplificatori” del danno ossidativo a tutte le cellule dell’organismo (www.osservatoriostressossidativo.com).

Le SCR possono essere classificate anzitutto in base alla natura dell’elemento il cui atomo è direttamente responsabile della loro reattività. Si distinguono, così, SCR centrate sull’ossigeno (Reactive Oxygen Species, ROS), SCR centrate sul carbonio, SCR centrate sull’azoto, SCR centrate sul cloro e SCR centrate sullo zolfo, solo per citare le più rilevanti dal punto di vista biologico. In ognuna di queste classi, è possibile individuare due sottoclassi, le SCR radicaliche (radicali liberi) e quelle non radicaliche, sulla base, rispettivamente, della presenza o meno nella loro compagine, di elettroni “spaiati”, ossia disposti singolarmente nei rispettivi orbitali. (www.osservatoriostressossidativo.com)

A questo proposito, appare evidente quanto sia estremamente riduttivo associare il concetto di SCR ai cosiddetti radicali liberi e, nella fattispecie, ai soli radicali liberi dell’ossigeno. Infatti le SCR comprendono agenti centrati anche su elementi diversi dall’ossigeno e di natura non necessariamente radicalica. Tuttavia, si farà costante riferimento alle specie radicaliche centrate sull’ossigeno. Quest’ultimo, infatti, oltre ad essere uno degli elementi quantitativamente più importanti della materia vivente, nonché la fonte primaria della vita stessa, induce continuamente, attraverso una serie di meccanismi, non ultimo la stessa respirazione cellulare, la formazione di specie chimiche con caratteristiche più o meno spiccate di reattività, di fondamentale importanza per l’omeostasi dell’intero organismo (Iorio,2003).

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Quando i sistemi di difesa antiossidanti, sia endogeni (tra cui Super Ossido Dismutasi, (SOD), Catalasi, (CAT) e Glutatione Perossidasi (GPx)), sia esogeni (come vitamina A, C, E) sono sopraffatti, come nel caso di patologie o stress fisiologici estremi, si verifica il danno ossidativo (Soffler,2007).

Lo stress ossidativo rappresenta un attivo campo di ricerca, in medicina umana e veterinaria, ed è implicato in numerosi processi patologici, dalla sepsi all’Alzheimer (Fam,2003).

Negli anni si sono susseguiti studi scientifici, su diverse specie animali, che hanno dimostrato l’associazione tra stress ossidativo con conseguente produzione di radicali liberi e condizioni patologiche varie, tra cui:

 Anemia da patologie croniche renali nel cane (Kogika et a.l, 2014)

 Diverse tipologie di tumori tra le quali linfoma multicentrico nel cane (Bottari,2015), mastocitomi(Finotello et a.l,2012)

 Patologie infettive di varia natura come ad esempio Parvovirosi nel cane (Panda,2009)  Disordini neurodegenerativi e neuropsichiatrici (Salim,2017)

 Patologie polmonari nel cavallo, distress respiratorio, asma allergica, ostruzioni croniche polmonari (Soffler,2007)

 Danno da riperfusione post-ischemia nel cavallo soprattutto a livello del tratto intestinale in seguito a coliche o traumi (Soffler,2007)

 Patologie articolari (Soffler,2007)

 Patologie endocrine come la sindrome di Cushing nel cavallo (Iperadrenocorticismo). (Soffler,2007)

 Patologie cardiovascolari di varia natura come ipertrofia cardiaca, insufficienza cardiaca congestizia, ipertensione, cardiomiopatie, infarto (Kukreja-Hess,1992, Valko,2007)

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