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Chirurgia Robotica e terapia adiuvante nel Carcinoma dell'Endometrio in stadio clinico iniziale

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Academic year: 2021

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S

OMMARIO

1. RIASSUNTO ... 3 2. INTRODUZIONE ... 5 2.1EPIDEMIOLOGIA ... 5 2.2FATTORI DI RISCHIO ... 5 2.2.1 Fattori Ambientali ... 5 2.2.2 Fattori ormonali ... 7

2.2.3 Fattori ereditari e familiari ... 7

2.3ISTOPATOLOGIA E BIOLOGIA MOLECOLARE ... 8

2.4PRESENTAZIONE CLINICA E DIAGNOSI ... 11

2.4.1 Manifestazioni cliniche ... 11

2.4.2 Iter diagnostico ... 11

2.5STADIAZIONE ... 13

2.5.1 Indicazioni alla linfadenectomia ... 18

2.6 TRATTAMENTO CHIRURGICO ... 20 2.6.1 Stadio I ... 21 2.6.2 Stadio II ... 21 2.6.3 Stadio III ... 21 2.6.4 Stadio IV ... 22 2.9TERAPIA ADIUVANTE ... 23

2.9.1 Pz con linfonodi positivi per metastasi ... 25

2.10MODALITÀ DI ESECUZIONE DELL’INTERVENTO CHIRURGICO ... 26

2.10.1 Chirurgia Robotica ... 28

3. MATERIALI E METODI ... 36

4. RISULTATI ... 38

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6. CONCLUSIONI ... 54 BIBLIOGRAFIA ... 56

(3)

1.

RIASSUNTO

Il carcinoma dell'endometrio è il tumore maligno più comune in ambito ginecologico. In Italia i carcinomi endometriali costituiscono il quinto tumore maligno ad insorgenza più frequente nelle donne (5% di tutti i tumori), la stima dei casi attesi nel 2015 è 8200, con una lieve tendenza all’aumento dell’incidenza, con un tasso di mortalità del 3,3% fra i decessi per neoplasia. Nella maggior parte dei casi è possibile diagnosticare precocemente la malattia che si manifesta attraverso perdite di sangue atipiche; ne consegue che l’80% circa delle neoplasie si presentano al I stadio.

In questi casi la sola chirurgia, in accordo con le linee guida dell’International Federation of Gynecology and Obstetrics (FIGO), rappresenta il requisito essenziale di trattamento con una sopravvivenza a 5 anni che sfiora il 90%. In passato la laparotomia rappresentava la via di scelta per il trattamento di tale neoplasia, tuttavia negli ultimi 20 anni l’approccio mini-invasivo laparoscopico si è conquistato un ruolo sempre più importante in termini di fattibilità tecnica e outcome postoperatori a discapito di una lunga curva di apprendimento e di un elevato tasso di conversione in pazienti obese.

Nel 2005 la U.S. Food and Drug Administration ha approvato l’uso del Robot da Vinci in chirurgia ginecologica con una rapida diffusione della tecnica anche in Europa. In una recente revisione Cochrane conclude che sebbene la tecnica sia oggi largamente utilizzata in ginecologia oncologica non vi sono dati sufficienti né studi randomizzati privi di bias che consentano di giungere a conclusioni definitive che supportino l’utilizzo della chirurgia robotica nelle neoplasie ginecologiche.

In questo studio abbiamo analizzato in maniera retrospettiva un gruppo di 118 pazienti sottoposte a staging chirurgico robotico per carcinoma endometriale in apparente stadio clinico precoce, valutando la sicurezza, l’efficacia e gli outcome chirurgici della tecnica robotica, confrontandoli con ciò che è riportato in letteratura riguardo alla stessa tecnica robotica e in confronto anche con le tecniche laparoscopica e laparotomica.

L’analisi dei dati ottenuti mostra un significativo vantaggio delle chirurgia robotica in termini di perdite ematiche, riduzione dei giorni di degenza e dei tempi operatori rispetto sia alla via

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laparotomica sia alla via laparoscopica. Questi risultati supportano l’efficacia e la sicurezza della chirugia robotica nel trattamento del carcinoma endometriale in stadio precoce con migliori outcome chirurgici rispetto all’approccio laparotomico, un minor tempo di apprendimento, a discapito di elevati costi. Sono comunque necessari studi randomizzati ben disegnati con adeguato follow-up che supportino tali evidenze.

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2.

INTRODUZIONE

Il carcinoma dell’endometrio è la neoplasia più frequente del corpo dell’utero e costituisce la quarta causa più comune di carcinoma nel sesso femminile.

La sua frequenza è più alta nei Paesi Industrializzati e per questo si ipotizza che fattori ambientali e dietetici, in particolare la dieta ricca di grassi, possano favorire un aumento del rischio di questa neoplasia

2.1EPIDEMIOLOGIA

Il carcinoma dell’endometrio rappresenta circa il 6% delle neoplasie femminili in Europa con 98.900 nuovi casi e 23.700 decessi registrati in Europa nel 20121. In Italia la stima dei casi attesi nel 2015 è 8200, con una lieve tendenza all’aumento dell’incidenza (+0,7%/anno); attualmente sono oltre 110.000 le donne viventi che sono state trattate per questa patologia2. Nei Paesi Industrializzati si è assistito ad un aumento dell’incidenza del carcinoma endometriale dagli anni ’60 fino ad un picco raggiunto negli anni ’70, dovuto verosimilmente all’ utilizzo della terapia estrogenica sostitutiva non bilanciata. Negli anni successivi l’aggiunta concomitante o sequenziale del progestinici si è associata ad un lento declino dell’incidenza3.

2.2FATTORI DI RISCHIO

La mancata antagonizzazione degli estrogeni da parte dei progestinici, sembra essere la principale causa delle neoplasie endometriali. Menarca precoce, menopausa tardiva, policistosi ovarica, nulliparità, sembrano essere condizioni cliniche predisponenti l’insorgenza della neoplasia. Per una migliore analisi possiamo dividere tali fattori in tre categorie:

2.2.1FATTORI AMBIENTALI

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alimentare ricco di grassi animali, epatopatie croniche; questi sono tutti elementi che causano un’aumentata produzione di estrogeni in conseguenza dell’aromatizzazione di androgeni di provenienza surrenalica Al contrario sembrano protettivi fattori come attività fisica e diete ricche di fibre.

Per quanto riguarda in particolare l’obesità, molti studi epidemiologici hanno evidenziato come i soggetti in sovrappeso (BMI: 25-29,9 kg/m2) ed obesi (BMI: ≥ 30 kg/m2) abbiano un rischio aumentato per molti tumori, tra cui appunto il tumore dell’endometrio4. Si è riscontrata una forte e significativa associazione per 5 kg/m2 di incremento nel BMI con il tumore dell’endometrio (RR=1,59; 95% CI: 1,50-1,68)5. Alcuni studi6 hanno analizzato l’associazione tra BMI, ormonoterapia sostitutiva e rischio di tumore dell’endometrio trovando che per 5 kg/m2 di incremento nel BMI delle donne, il rischio di tumore dell’endometrio era RR=1,60 (95% CI: 1,52-1,68) e che l’associazione era più forte nelle donne che non avevano fatto uso di ormonoterapia (RR=1,90; 95% CI: 1,57-2,31) rispetto a quelle che ne avevano fatto uso (RR=1,18; 95% CI: 1,06-1,31). Questi risultati erano indipendenti dallo stato menopausale e dal tipo istologico e sostenevano l’ipotesi che l’iperestrogenismo è un importante meccanismo che sta alla base dell’associazione tra BMI e tumore dell’endometrio

I meccanismi con i quali l’obesità induce o promuove l’oncogenesi sono diversi per ogni tumore7.

Insulina, IGF (Insulin-like Growth Factor), steroidi ed Adipochina sono coinvolti in tale meccanismo. Un’ipotesi presuppone che l’iperinsulinemia cronica diminuisca la concentrazione di IGF legato alla proteina 1 e di IGF legato alla proteina 2, che aumentano la biodisponibilità o l’IGF-1 libero, con un concomitante cambiamento dell’ambiente cellulare (mitogenesi e anti-apoptosi), inoltre promuove la genesi tumorale riducendo la concentrazione di

Sex-Hormone-Binding Globulin (SHBG) nel sangue ed

aumentando la biodisponibilità di estrogeni7.

In conclusione, le evidenze scientifiche indicano che il rischio di tumore dell’endometrio nelle donne obese e fortemente obese è 5 volte superiore rispetto alle donne con un peso normale per la loro fascia di età e che l’obesità nelle donne è responsabile di circa il 40% dei tumori dell’endometrio.

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concludono che vi sia una significativa associazione tra tumore dell’endometrio e consumo di carne, in particolare di quella rossa e nessuna associazione significativa per consumo di carne di pollo, insaccati, prodotti del latte e uova8.

2.2.2FATTORI ORMONALI

Molti studi hanno messo in evidenza come la terapia con estrogeni senza l’aggiunta di progestinici, quindi la mancata antagonizzazione degli stessi da parte appunto dei progestinici, aumenti il rischio di tumore dell’endometrio da 2 a 10 volte. Per ovviare a ciò le pazienti in post-menopausa, che non avevano subito isterectomia, sono state trattate con una terapia combinata contenente progestinici ed estrogeni. Evidenze epidemiologiche hanno suggerito che l’uso di questa terapia diminuiva il rischio di tumore dell’endometrio rappresentando pertanto un fattore protettivo9, 10.

Il trattamento con tamoxifene, agonista parziale degli estrogeni, è associato ad una maggior incidenza di carcinoma dell’endometrio nelle donne in trattamento ormonale adiuvante per carcinoma della mammella; pertanto è necessaria un’attenta valutazione ecografica dell’endometrio sia prima di iniziare il trattamento che durante lo stesso al fine di individuare tempestivamente eventuali modifiche dello spessore endometriale9, 11.

L’utilizzo di combinazioni estroprogestinici a scopo contraccettivo rappresenta un fattore protettivo determinando una riduzione del rischio di tumore dell’endometrio di circa il 50%, con un effetto protettivo per più di 20 anni dopo la cessazione. Recenti studi10 hanno osservato un effetto protettivo sul rischio di tumore dell’endometrio nelle donne che avevano utilizzato contraccettivi orali rispetto a quelle che non ne avevano fatto uso; riduzione del rischio è

correlata anche alla durata del trattamento.

L’effetto protettivo rimaneva anche dopo 20 anni dalla cessazione.

2.2.3FATTORI EREDITARI E FAMILIARI

Ci sono varie condizioni predisponenti lo sviluppo del carcinoma; c’è sia una predisposizione al singolo carcinoma sia condizioni che predispongono allo sviluppo di tumori maligni in diversi

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distretti, una fra queste condizioni è la Sindrome di Lynch di tipo II12 nella quale vengono colpiti preferenzialmente colon, endometrio, mammella ed ovaio. Le donne affette da tale sindrome hanno un rischio correlato all’insorgenza di tumori maligni del 40-80% per carcinoma del colon,

40-60% per carcinoma dell’endometrio 10-12% per lo sviluppo di carcinoma ovarico13.

Particolare attenzione va posta nelle donne in cui il tumore endometriale si viene a sviluppare in giovane età; va sospettato come possibile evento sentinella.

2.3ISTOPATOLOGIA E BIOLOGIA MOLECOLARE

I tumori endometriali derivano dalle cellule ghiandolari di derivazione mullerana. Già dagli anni ’8014 si ipotizzò l’esistenza di due varianti dello stesso tumore con diversa patogenesi: il primo è il carcinoma endometrioide di tipo I, estrogeno-dipendente, il secondo è il carcinoma non-endometrioide di tipo II, non estrogeno-dipendente, rappresentato dal carcinoma sieroso e dal carcinoma a cellule chiare15, 16. Nel primo caso siamo soliti osservare tumori con grado istologico più basso, bene o moderatamente differenziati, sono diagnosticati in fasi precoci ed hanno una prognosi più favorevole. Nel secondo caso invece abbiamo carcinomi scarsamente differenziati

con evoluzione più rapida e sfavorevole.

Come detto precedentemente è nettamente differente la patogenesi molecolare.

Nel caso del carcinoma endometroide abbiamo principalmente silenziamento del gene PTEN

(Phosphatase andTensin homolog on chromosome 10)17, difetti dei geni di riparazione del DNA,

instabilità dei microsatelliti e mutazioni dei geni KRAS e/o β-catenina e/o PIK3 (Phosphatidylinositol 3-Kinase), mentre i carcinomi sierosi spesso presentano mutazioni del gene

p53, inattivazione del gene p16, bassa espressione di E-caderina ed iperespressione di HER-215. Il profilo immunofenotipico e molecolare del carcinoma a cellule chiare non è ancora ben definito,

anche se dati recenti sembrano evidenziare l’importanza della mutazione del gene ARID1A18.

Lo stadio FIGO, il grado di differenziazione, la profondità d’invasione miometriale, l’invasione degli spazi linfo-vascolari (LVSI), l’interessamento cervicale e lo stato linfonodale sono le più comuni variabili prognostiche per il carcinoma di tipo I.

Per quanto riguarda l’istologia, esistono numerosi istotipi con diversa incidenza:

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estrogeno-correlato. Nell maggior parte dei casi è puro, in rari casi, tuttavia, può essere associato alla presenza di un carcinoma non endometrioide. In questi casi è importante andare a quantificare le due componenti in quanto influenza la diffusione della malattia e la prognosi. Per definizione, la componente di carcinoma non endometrioide deve rappresentare almeno il 10%, perché un carcinoma sia definito come misto. Il grado di differenziazione è più frequentemente G1-G2 che G3 e si identifica in base alla percentuale di aree solide non squamose (G1 se <5%, G2 dal 6 al 50%, G3>50%).

Adenocarcinoma sieroso-papillare: è l’esemplificazione dell’adenocarcinoma non endometrioide. Rappresenta il 5-10% dei carcinomi dell’endometrio, e tipicamente interessa donne in fascia di età di 10 anni superiore a quella dell’adenocarcinoma endometrioide o con anamnesi positiva per irradiazione pelvica, terapia prolungata con tamoxifene e carcinoma della mammella. Questo istotipo è più aggressivo della variante endometroide, infatti presenta invasione del miometrio ed è associato ad invasione vascolare; spesso, sino al 75% dei casi, si presenta allo stadio III o IV, con metastasi ai linfonodi pelvici e para-aortici. Ha di conseguenza una prognosi peggiore rispetto alla forma endometrioide.

Adenocarcinoma a cellule chiare: tipici dell’età avanzata, hanno prognosi sfavorevole. Molto raro, rappresenta circa l’1% dei carcinomi dell’endometrio. Appare come un gruppo eterogeneo, in quanto alcuni carcinomi hanno caratteristiche considerate tipiche ed altri, che rappresentano sino ai due terzi dei carcinomi a cellule chiare, presentano caratteristiche analoghe ai carcinomi sierosi. Il carcinoma a cellule chiare tipico, per definizione, ha gli stessi caratteri istologici architetturali del carcinoma a cellule chiare di altre sedi genitali. I carcinomi endometrioidi di grado 3, i carcinomi sierosi ed i carcinomi a cellule chiare sono considerati carcinomi di alto grado19-21.

Adenocarcinoma mucinoso: va distinto dall’adenocarcinoma endocervicale primitivo (prognosi

peggiore) da cui si differenzia per la scarsa presenza di mucina.

Carcinoma squamoso: va distinto dall’adenocarcinoma a differenziazione squamosa per l’assenza

di differenziazione ghiandolare e dai carcinomi a cellule squamose della cervice uterina diffusi a livello endometriale.

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Carcinoma indifferenziato22: tumori composti da masse solide di cellule indifferenziate possono essere associati ad adenocarcinoma endometrioide o rappresentare l’unica componente documentata nel tumore. Più rari sono i carcinomi indifferenziati a piccole cellule, simili a quelli di altri organi, che mostrano differenziazione neuroendocrina con positività a cromogranina, sinaptofisina ed altri tipici marcatori.

I principali fattori di rischio per la comparsa di metastasi a distanza sono il grado istologico, il grado di interessamento miometriale, l’invasione degli spazi linfatici e vascolari, l’interessamento cervicale, la diffusione extrauterina della neoplasia e il tipo istologico. Le sedi di più frequente localizzazione secondaria sono polmone, fegato, ossa (prevalentemente vertebre), cervello.

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2.4PRESENTAZIONE CLINICA E DIAGNOSI

2.4.1MANIFESTAZIONI CLINICHE

La più comune manifestazione clinica del carcinoma endometriale è rappresentata, nel 90% dei casi, da un sanguinamento vaginale anomalo, che può essere una perdita ematica vaginale in menopausa, oppure un sanguinamento inatteso in età fertile (metrorragia intermestruale). In particolare, ogni sanguinamento in postmenopausa deve essere valutato accuratamente dal momento che circa il 3-20% dei casi sono secondari alla presenza di un carcinoma endometriale. Nelle donne di età compresa tra i 45 anni e l’età menopausale, i sanguinamenti anomali intermestruali e i casi di iper-polimenorrea, da ricondurre a questo tumore, sono circa il 2-4%. Le donne di età inferiore ai 45 anni, in cui l’incidenza del tumore è più bassa, devono essere indagate in caso di persistenza di sanguinamenti atipici, non riconducibili a causa nota, e compresenza di fattori predisponenti, quali una storia di iperestrogenismo e una mancata risposta alla terapia ormonale. È necessario, quindi, sottoporre a controllo clinico strumentale tutte le pazienti in età feconda che presentino una metrorragia intermestruale, soprattutto se associata ad altri disturbi quali difficoltà nell’urinare e dolore durante i rapporti sessuali. Raramente la neoplasia decorre in maniera asintomatica e la diagnosi viene posta incidentalmente. Dolori addominali e pelvici, la perdita di peso non intenzionale o alterazioni dell’alvo (stipsi) sono sintomi più frequentemente legati a stadi avanzati di malattia; l’edema agli arti inferiori, al pube o alla vagina può essere legato all’estensione ai linfonodi pelvici, quindi ad una fase di malattia localmente avanzata. Dolori ossei e difficoltà respiratorie sono segni tardivi di diffusione a distanza della malattia. 2.4.2ITER DIAGNOSTICO

Attualmente non esiste un test di screening validato per il tumore dell’endometrio. Nella maggior parte dei casi la presenza di malattia è diagnosticata in seguito alla comparsa di sintomi. In ogni donna che lamenti una perdita ematica vaginale anomala, in primo luogo, deve essere condotta una visita ginecologica, che consente una prima valutazione clinica della presenza di eventuali masse a livello dell’utero e dell’estensione di malattia alla cervice uterina. Effettuata la visita, il primo esame da eseguire è un’ecografia trans-vaginale23. L’ecografia transvaginale permette di valutare lo spessore endometriale, considerato sospetto se > 4mm in post-menopausa o > 14mm

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in donne in età fertile, secondo le linee guida della Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica.

A seguito dell’ecografia, la certezza diagnostica viene posta attraverso l’esame istologico dopo prelievo di un campione bioptico. L’isteroscopia ambulatoriale associata a biopsia mirata rappresenta il gold standard diagnostico. Essa consente una corretta diagnosi istologica nel 97% dei casi ed i falsi-negativi sono circa il 10%. In caso di biopsia negativa, nelle pazienti che continuano ad essere sintomatiche, si procede a dilatazione e curettage. Alcuni carcinomi endometriali, soprattutto di tipo II, possono essere associati ad un assottigliamento endometriale, con spessore < 3 mm. Nell’eventualità di persistenti o ricorrenti sanguinamenti ed un quadro ecografico di atrofia endometriale, è necessario comunque procedere alla valutazione istologica. Oltre che per l’individuazione di situazioni a rischio di evoluzione cancerosa, l’esame ecografico è fondamentale anche per una valutazione del grado di estensione di un carcinoma endometriale franco. Infatti ci permette, in maniera accurata, di definire livello di infiltrazione del miometrio e dei tessuti circostanti. L’aggiunta del color e del power Doppler rende possibile lo studio della perfusione ematica dell’endometrio normale e dei processi espansivi a suo carico, evidenziando focolai di più intensa vascolarizzazione in sede tumorale24.

La valutazione preoperatoria comprende uno studio con test di imaging atti a valutare l’interessamento linfonodale loco-regionale e l’esistenza di eventuali metastasi a distanza, la cui presenza indirizza verso un diverso approccio terapeutico. Per la valutazione dell’estensione della malattia ci si avvale di TC, RMN, PET/TC e scintigrafia ossea. La TC permette di valutare l’estensione del tumore nella pelvi, anche se con minore dettaglio ed accuratezza rispetto alla RMN, e l’eventuale coinvolgimento dei linfonodi nonché degli organi a distanza. La risonanza magnetica nucleare è un esame particolarmente indicato per lo studio degli organi pelvici. Rispetto alla TC consente di valutare meglio i rapporti con gli organi circostanti ed il grado di infiltrazione locale del tumore. In particolare, permette di analizzare il grado di infiltrazione miometriale, l’interessamento cervicale e parametriale e la presenza di adenopatie satelliti. La RMN dà la possibilità di valutare il grado di infiltrazione miometriale con una sensibilità dell’87%, l’infiltrazione dello stroma della cervice e delle pareti della vagina con una sensibilità dell’80%. Questo esame mostra inoltre il livello di infiltrazione del tessuto adiposo dei parametri

e la presenza di linfoadenomegalie pelviche o lombo-aortiche con un’accuratezza del 76%25. La

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dubbi alla TC o alla RMN. Tale metodica è impiegata per la rilevazione di metastasi linfonodali e di metastasi a distanza26, 27e per la valutazione pre-chirurgica, sebbene non sia da considerare nel normale iter della pratica clinica. La scintigrafia ossea non si effettua di routine, ma solo in presenza di sintomi clinici, quali dolore osseo o fratture patologiche, che pongano il sospetto di metastasi ossee.

2.5STADIAZIONE

Il carcinoma endometriale è una neoplasia stadiata chirurgicamente ed il sistema stadiativo adottato è quello della Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO)28. Attualmente la procedura chirurgica stadiativa include l’isterectomia totale, l’annessiectomia bilaterale, il lavaggio peritoneale, la linfoadenectomia pelvica ed eventualmente anche para-aortica, in base al profilo di rischio della paziente. Ci sono state negli anni plurime modifiche per quanto concerne i parametri che dovevano essere presi in considerazione e la conseguente suddivisione in stadi della malattia. Importante dal punto di vista storico è stata la revisione del 198829 che ha definitivamente stabilito il ruolo specifico della chirurgia, sia ai fini della stadiazione, sia del trattamento. Inoltre venne riconosciuta l’importanza del coinvolgimento linfonodale quale fondamentale fattore prognostico per l’identificazione di quelle pazienti in grado di beneficiare di trattamenti adiuvanti30.

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Adenocarcinoma endometriale. Stadiazione FIGO 1988

Negli anni successivi al 1988 però sono state formulate numerose critiche a questa stadiazione. È apparsa evidente, infatti, la necessità di semplificare le categorie prognostiche nello stadio I, dato che la sopravvivenza per le pazienti che presentavano malattia con invasione solo dello stroma endometriale o della prima metà del miometrio era sovrapponibile. Gli studi dimostrano infatti che la sopravvivenza a 5 anni per gli stadi IA G1, IB G1, IA G2 e IB G2, sia rispettivamente di

93,4%, 91,6%, 91,3% e 93,4% e, quindi, non statisticamente diversa31. Per lo stadio II è invece

risultato evidente come il fattore prognostico sfavorevole non fosse rappresentato dall’estensione superficiale alle pseudoghiandole endocervicali, ma dall’infiltrazione dello stroma della cervice.

Stadio Definizione

I Tumore limitato all’utero

IA Tumore limitato all’endometrio

IB Infiltrazione < ½ del miometrio

IC Infiltrazione > ½ del miometrio

II Tumore esteso alla cervice uterina

IIA Infiltrazione delle ghiandole ma non dello stroma

IIB Infiltrazione dello stroma cervicale

III Tumore esteso al di fuori dell’utero, entro la pelvi o ai linfonodi

IIIA Estensione alla sierosa, o alle ovaie, o washing positivo IIIB Estensione alla vagina

IIIC Estensione ai linfonodi pelvici o lomboaortici

IV Estensione extrapelvica o alla mucosa vescicale o intestinale

IVA Estensione agli organi adiacenti

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Come il II anche lo stadio III è stato rivalutato poiché è risultato che, in assenza di interessamento extrauterino della malattia, la presenza isolata di washing peritoneale positivo non fosse di per sé un indice di peggioramento della prognosi. Inoltre, per stratificare meglio il rischio legato al riscontro di metastasi linfonodali regionali, si è deciso di sotto-classificare in funzione della positività o meno dei linfonodi pelvici o di quelli lombo-aortici.

Si è resa quindi necessaria una completa rivalutazione del sistema stadiativo che ha dato nel 2009 alla luce la nuova classificazione.

Adenocarcinoma endometriale. Stadiazione FIGO 2009

Stadio I Tumore limitato al corpo dell’utero

IA Nessuna infiltrazione o < ½ del miometrio

IB Infiltrazione > ½ del miometrio

Stadio II Tumore esteso allo stroma cervicale, ma non fuori dall’utero

Stadio III Estensione locale o regionale

IIIA Estensione alla sierosa uterina, o alle ovaie

IIIB Estensione alla vagina o ai parametri

IIIC Estensione ai linfonodi pelvici o lombo-aortici IIIC1 Linfonodi pelvici positivi

IIIC2 Linfonodi lombo-aortici positivi, indipendentemente dai pelvici

Stadio IV Estensione alla mucosa vescicale o intestinale o metastasi a distanza

IVA Estensione alla mucosa vescicale o intestinale

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Questa versione non tiene in considerazione il grado di differenziazione cellulare, l’istotipo e l’infiltrazione degli spazi linfovascolari, che rimangono fattori indipendenti, così come il volume tumorale ≤ 2 cm o > 2 cm, introdotto nel modello predittivo del rischio di metastasi linfonodali

adottato dai ginecologi-oncologi della Mayo Clinic28.

La rilevanza prognostica della citologia peritoneale è ancora dibattuta e, nella nuova stadiazione, l’eventuale positività deve essere segnalata senza per questo modificare lo stadio del tumore. Il primo stadio comprende i tumori con interessamento limitato al corpo dell’utero. Il sotto-stadio IA comprende i tumori senza infiltrazione miometriale o con infiltrazione < 50% del miometrio, a miglior prognosi; allo stadio IB appartengono i tumori con interessamento = o >

al 50% del miometrio, a prognosi peggiore.

Allo stadio II sono assegnati i tumori con interessamento dello stroma cervicale, ma senza

interessamento di tessuti esterni all’utero.

Nello stadio III la popolazione viene stratificata in tre sottogruppi a prognosi diversa. Lo stadio IIIA, include donne con malattia estesa alla sierosa uterina (o pelvica) o alle ovaie; lo stadio IIIB è rappresentato da malattia con estensione alla vagina; lo stadio IIIC, comprendente i casi estesi ai linfonodi regionali; questo è suddiviso, a sua volta, in stadio IIIC1, in caso di interessamento dei soli linfonodi pelvici e in stadio IIIC2, in caso di interessamento dei linfonodi lomboaortici,

indipendentemente dall’interessamento di quelli pelvici.

Lo stadio IV è ripartito in uno stadio IVA, a cui si assegnano i tumori con interessamento di organi pelvici contigui (mucosa del retto o della vescica), ed in uno stadio IVB in cui sono presenti localizzazioni metastatiche a distanza, cioè extrapelviche.

Benché la stadiazione FIGO 2009 non tenga in considerazione il grado di differenziazione cellulare, l’istotipo e l’infiltrazione degli spazi linfovascolari, è stato osservato che questi fattori correlano con il rischio di coinvolgimento linfonodale, quindi con la prognosi.

La frequenza di positività dei linfonodi pelvici va dal 3.6 al 5.2 % nei casi di malattia confinata all’utero con differenziazione G1-2 e con infiltrazione <50% dello spessore miometriale. Nei casi di malattia confinata all’utero, ma con grado di differenziazione G3 e concomitante infiltrazione del miometrio >50%, o in caso di istotipi non endometrioidi, la frequenza di interessamento linfonodale sale non solo a livello pelvico (19-34%), ma anche a livello para- aortico (14-23%), con possibilità (2-17%) di interessamento para-aortico in assenza di infiltrazione dei linfonodi

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pelvici e sopravvivenza globale a 5 anni attorno al 60%32.

Per stratificare il rischio di coinvolgimento linfonodale e metastatizzazione sulla base del grado di differenziazione tumorale e del livello di infiltrazione miometriale, a livello Europeo sono seguite le linee guida dell’European Society for Medical Oncology (ESMO). Queste distinguono classi a rischio basso, intermedio ed alto. Sono definiti a basso rischio di recidiva o di morte, dopo terapia chirurgica standard, i tumori endometrioidi allo stadio I con grado di differenziazione G1-G2, senza infiltrazione del miometrio o con infiltrazione miometriale inferiore alla metà dello spessore del miometrio (stadio IA-2009 G1, G2). I casi di tumore endometrioide che presentino infiltrazione >50% del miometrio (stadio IB), o che presentino infiltrazione miometriale inferiore, ma con grado di differenziazione G3, rientrano

nei casi a rischio intermedio.

I carcinomi definiti ad alto rischio sono quelli endometriodi allo stadio IB di grado G3, e quelli di istotipo diverso dall’endometrioide indipendentemente dallo stadio.31, 33-35.

Distribuzione in classi di rischio del tumore dell’endometrio

Classe di

rischio

Figo 2009

Grado

Istologia

Basso

IA

1-2

E

Intermedio

IB

IA

1-2

3

E

E

Alto

IB

II-III-IV

IA-IB

3

1-2-3

-

E

E

SP/CC

Legenda. E: endometriale; CC: cellule chiare; SP: sieroso capillifer; IM: invasinoe miometriale

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2.5.1INDICAZIONI ALLA LINFADENECTOMIA

Attualmente sono numerose le controversie riguardo al ruolo della linfadenectomia nel processo stadiativo. Non sono ancora stati definiti criteri precisi riguardo alla sua estensione. Le perplessità riguardano la necessità o meno dell’esecuzione, a scopo stadiativo, della linfoadenectomia pelvica (e para-aortica) in tutte le pazienti. Dal punto di vista teorico tale procedura sarebbe necessaria per individuare le donne con interessamento linfonodale, quindi classificabili come allo stadio III, le quali avrebbero indicazione ad una terapia adiuvante. Tuttavia, dalla letteratura si evince che, nelle pazienti valutate allo stadio I pre-operatoriamente, la percentuale di coinvolgimento linfonodale non è molto alta, soprattutto nelle pazienti a basso rischio36. Da queste evidenze è sorta l’ipotesi dell’utilizzo della metodica di mappatura del linfonodo sentinella come primo step stadiativo per valutare lo stato linfonodale e limitare il numero degli interventi di linfadenectomia ai soli casi in cui sia necessaria.

Per selezionare le indicazioni all’esecuzione della linfadenectomia, l’orientamento più seguito a livello internazionale prende come riferimento il protocollo chirurgico delineato dalla Mayo Clinic. In base a queste direttive, l’indicazione all’intervento è posta in base alle caratteristiche tumorali, ovvero l’istologia, il grado, il livello di invasione miometriale, determinate all’esame istologico estemporaneo intraoperatorio post-isterectomia. È stata accettata l’omissione della linfadenectomia nelle pazienti a basso rischio (con grado G1, G2 e infiltrazione miometriale <50%), in seguito alla verifica della sicurezza di questo tipo di condotta, dato il riscontro

dell’assenza di metastasi linfonodali in questa categoria di pazienti37-39.

Una linfadenectomia pelvica sistematica è invece effettuata quando siano presenti infiltrazione miometriale > 50% o istologia non endometrioide. Nel caso non siano presenti queste ultime due caratteristiche, altri criteri di scelta per l’esecuzione della dissezione linfonodale pelvica sono: il

grado G3, l’invasione cervicale e il diametro tumorale > 2cm40.

La linfadenectomia para-aortica viene limitata alle pazienti con almeno una delle seguenti caratteristiche: linfonodi pelvici positivi; invasione miometriale > 50%; istologia non endometriode41.

Questa linea di comportamento è derivata dall’osservazione di un tasso di disseminazione para-aortico <5%, ad eccezione dei casi di carcinoma con infiltrazione miometriale >50% ed istologia non endometriode, nei quali può raggiungere il 50%. Secondo le linee guida della Mayo Clinic, quindi, le scelte chirurgiche sono dettate dai risultati dell’esame istologico intra-operatorio e, attualmente, questo algoritmo di procedura comincia ad essere abbracciato a livello

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internazionale.

Con l’introduzione dell’analisi istologica del linfonodo sentinella, in un recente studio, è stata dimostrata la superiorità di questa tecnica, rispetto all’esame istologico estemporaneo dell’utero, nel guidare le decisioni riguardo all’esecuzione della linfadenectomia. Quindi, sono in corso ricerche volte a migliorare l’efficacia dell’algoritmo di management chirurgico, inserendovi la nuova metodica di mapping linfonodale. In un recente studio del 2016, sono stati comparati l’algoritmo della Mayo Clinic e la mappatura del linfonodo sentinella quali approcci di staging chirurgico nelle pazienti a basso rischio. È stato osservato che un numero maggiore di pazienti è stato sottoposto a linfadenectomia e stadiato come IIIC1 in caso di utilizzo della seconda procedura42. Da questi dati sembra evincersi una maggiore sensibilità del risultato istologico del linfonodo sentinella, rispetto a quello dell’analisi istologica estemporanea dell’utero, nell’individuare i pazienti che beneficerebbero della linfadenectomia. Fino a quando non sarà raggiunta la validazione della tecnica di mapping linfonodale ed il suo utilizzo non sarà approvato da linee guida internazionali, l’algoritmo chirurgico della Mayo Clinic costituisce un protocollo di comportamento validato per selezionare i pazienti da candidare alla linfadenectomia.

C’è poi da dire che tale procedura non è scevra da complicanze.

La linfadenectomia si associa a costi maggiori, morbidità e complicanze post-intervento. Quindi, gli sforzi attuali nell’approccio al carcinoma endometriale allo stadio iniziale sono volti all’individuazione di quelle pazienti che, mantenendo gli analoghi outcomes oncologici, non trarrebbero beneficio da una linfoadenectomia, e alle quali potrebbe essere sottratto il rischio delle complicanze37. In uno studio che ha preso in considerazione donne con malattia a basso rischio, nei casi trattati con linfadenectomia, metastasi linfonodali sono state rilevate in una percentuale molto bassa (1%) a fronte di più lunghi tempi chirurgici, maggiori perdite di sangue e maggior rischio di lesioni nervose, più lungo tempo di degenza post-operatoria e maggiore morbidità a 30 giorni rispetto ai casi non sottoposti all’intervento37. La linfadenectomia si può associare all’insorgenza di linfedema agli arti inferiori, il quale insorge tipicamente entro 12 mesi dalla procedura e, una volta sviluppatosi, spesso permane cronicamente 43. Inoltre, è stato osservato che l’entità della dissezione linfonodale, quindi del numero di linfonodi asportati, correla con l’incidenza di linfedema43. Quindi, dovrebbe essere fatta una valutazione accurata dei benefici e delle complicanze di questo tipo di intervento. Il linfedema come complicanza ha una prevalenza compresa tra l’1 e il 49%43-45 e fattori che influenzano la sua insorgenza sono l’età avanzata, l’elevato peso corporeo e la rimozione di un numero superiore a 10 linfonodi. Le manifestazioni cliniche sono di diversa entità e variabile è la sintomatologia soggettiva che accompagna la paziente. Il gonfiore cronico degli arti costituisce indubbiamente il sintomo più

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caratteristico del linfedema. Oltre all'edema cronico, il paziente affetto da linfedema può lamentare altri sintomi, quali una discromia cutanea, un assottigliamento dello strato cutaneo (a lungo termine un ispessimento), difficoltà nel muovere o piegare l'arto colpito, percezione costante di pesantezza e costrizione dell'arto affetto da linfedema. Oltre alle obiettive manifestazioni cliniche, è importante considerare il carico psicologico della paziente, derivante dalle conseguenze che la deformazione fisica ha sulla percezione del proprio corpo46.

2.6 TRATTAMENTO CHIRURGICO

La chirurgia primaria rappresenta il mezzo fondamentale ai fini stadiativi e terapeutici, ma richiede un accurato inquadramento preoperatorio della malattia (coinvolgimento o meno del canale cervicale, istotipo e grado di differenziazione, eventuale presenza di diffusione extrauterina intra- o retro-peritoneale alla diagnostica per immagini, opportuna nei casi ad alto

rischio istologico) e della paziente.

L’isterectomia totale extrafasciale47 rappresenta la procedura necessaria e sufficiente in termini di radicalità sul T uterino nella grande maggioranza dei casi, con malattia limitata al corpo uterino, associata ad annessiectomia bilaterale e valutazione citologica del lavaggio peritoneale48. Nell’ambito della malattia limitata al corpo uterino, in donne giovani desiderose di prole può essere considerato, in casi selezionati (tumore intramucoso a istotipo endometrioide e ben differenziato), un trattamento conservativo mediante uso di terapia progestinica orale o endouterina, preceduta o meno da resettoscopia.

La questione riguardante le indicazioni alla linfoadenectomia pelvica e para-aortica (tuttora raccomandata dalla FIGO) resta ancora aperta; la linfoadenectomia sembra avere valenza stadiativa49 ma non terapeutica, come dimostrato da due ampi studi randomizzati50, 51 che, pur criticabili per alcuni aspetti, non hanno evidenziato alcun vantaggio né in termini di sopravvivenza globale né in termini di sopravvivenza libera da malattia. La linfoadenectomia pelvica e para-aortica a fini terapeutici non può quindi essere raccomandata come procedura di routine e le indicazioni a tale procedura restano legate alla presenza di fattori di rischio intermedio/alto.

Le vie di accesso chirurgico sono la via laparotomica, la via laparoscopica ± assistenza vaginale, la via vaginale ± assistenza laparoscopica, la via “robotica” di più recente introduzione; la via vaginale “pura”, in relativo disuso dopo l’avvento della laparoscopia, può trovare indicazione nella paziente fragile con malattia a basso rischio di diffusione intraperitoneale (istotipo endometrioide ben differenziato con invasione miometriale < 50%). Un ampio studio randomizzato (GOG-LAP2) ha confrontato in 2616 pazienti affette da carcinoma dell’endometrio la via laparoscopica con la via laparotomia: sebbene i requisiti statistici di non-inferiorità non siano stati raggiunti in termini di recidive, la sopravvivenza globale a 5 anni è stata del 90% in

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entrambi i gruppi, con benefici in termini di durata dell’ ospedalizzazione, controllo del dolore,

complicanze, e qualità di vita a favore dell’approccio laparoscopico.

Per quanto attiene l’approccio robotico, è riportato un numero di complicanze significativamente

minore rispetto alla via laparotomica52, 53.

Inoltre, in pazienti obese, la chirurgia robotica sembra superiore rispetto all’approccio laparoscopico associandosi a minore perdita ematica, conversione laparotomica, tempi operatori e durata della degenza54.

2.6.1STADIO I

Approccio chirurgico standard è rappresentato isterectomia extrafasciale55 e dall’annessectomia bilaterale, con o senza linfadenectomia48.

Il ruolo della linfadenectomia è controverso; studi hanno fatto emergere come la linfadenectomia non determini un vantaggio in termini di sopravvivenza libera da malattia (81.0% vs 81.7% a 5 anni, rispettivamente nel braccio con e senza e sopravvivenza globale (85.9% vs 90.0% a 5 anni)50.

Da qualche anno è stato introdotto, anche per il carcinoma dell’endometrio, il concetto del linfonodo sentinella. Questa tecnica sembra essere potenzialmente vantaggiosa in questo subset di pazienti (pazienti obese spesso con malattie concomitanti metaboliche, in cui la

linfadenectomia potrebbe metterle più a rischio di complicanze).

Tuttavia il drenaggio linfatico del corpo uterino è complesso e questo rende questa metodica difficile da sviluppare. Tale procedura al momento è ancora da ritenersi sperimentale, nonostante gli interessanti risultati preliminari riportati da alcuni gruppi56.

2.6.2STADIO II

In questo stadio la terapia chirurgica di riferimento è l’isterecotmia radicale in presenza di coinvolgimento evidente del parametrio57. Obiettivi principali sono ottenere margini liberi da neoplasia, attuare un’annessectomia bilaterale e linfadenectomia pelvica sistematica con o senza

linfadenectomia aortica.

Data l’alta frequenza di metastasi a distanza, in presenza di fattori di rischio, quali il grado G3 e l’infiltrazione miometriale >50%, dovrebbe essere valutata la necessità di un trattamento complementare sistemico con chemioterapia.

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Prendendo in considerazione lo stadio III, deve essere puntualizzato il fatto che la decisione terapeutica è, in questo caso, più complessa, dal momento che esso comprende situazioni cliniche diverse, a diversa prognosi e con diverse possibilità terapeutiche. I casi al III stadio con interessamento di più siti, con linfonodi positivi, grado G3, con infiltrazione degli spazi linfovascolari, sono quelli a più alto rischio di recidiva sia locoregionale sia a distanza. Non esistono scelte terapeutiche condivise, e nei casi operabili vengono utilizzate come terapie adiuvanti la radioterapia e la chemioterapia da sole o in combinazione58, 59.

Lo stadio IIIA comprende quadri con estensione della malattia alla sierosa uterina e alle ovaie, solitamente stadiati durante l’intervento o dopo la chirurgia. In queste situazioni, l’intervento chirurgico comprende isterectomia totale extrafasciale, annessiectomia bilaterale, omentectomia infracolica, linfoadenectomia pelvica sistematica e lomboaortica selettiva, ed un’esplorazione dell’addome. Dopo la chirurgia è indicata una chemioterapia.

Nello stadio IIIB il coinvolgimento della vagina è evidenziato pre-operatoriamente mediante la valutazione ginecologica, l’esame con lo speculum, la colposcopia e la biopsia. Dopo conferma istologica, l’estensione dell’interessamento viene evidenziato dalla RMN pelvica. L’intervento chirurgico comprende, oltre all’isterectomia totale extrafasciale con annessiectomia bilaterale e alla linfoadenectomia pelvica sistematica e lomboaortica selettiva, una colpectomia con asportazione del paracolpo. Come opzioni terapeutiche post-chirurgiche possono essere effettuate la chemioterapia o la chemio/radioterapia adiuvanti o neoadiuvanti.

Nello stadio IIIC dovrebbero essere valutate le sedi e l’entità dell’interessamento linfonodale. La presenza di pacchetti linfonodali bulky con estensione extracapsulare potrebbe richiedere interventi terapeutici diversi rispetto alle situazioni caratterizzate da piccole metastasi intracapsulari. La rimozione chirurgica dei linfonodi bulky, anche lomboaortici, fa parte del trattamento standard di questi tumori e, alla chirurgia, è associata una terapia complementare con chemioterapia e radioterapia, secondo schemi personalizzati.

2.6.4STADIO IV

Allo stadio IVA l’intento terapeutico radicale è di più difficile raggiungimento. In presenza di uno stadio IVA con infiltrazione degli organi pelvici (retto/vescica), in alcuni casi selezionati, si effettua una chirurgia allargata eseguendo un’exenteratio anteriore, posteriore o totale. In talune situazioni potrebbe essere necessaria terapia neoadiuvante, con chemioterapia associata o meno a radioterapia. Nei casi inoperabili possono essere considerate la chirurgia palliativa, la radioterapia e la chemioterapia.

Per lo stadio IVB il trattamento è generalmente chemioterapico, con un ruolo secondario della chirurgia.

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2.9TERAPIA ADIUVANTE

La terapia adiuvante post-chirurgica si avvale della radioterapia, intesa come radioterapia esterna (RT), brachiterapia (BT) o come combinazione di queste e della chemioterapia. Di seguito sono analizzate in dettaglio le indicazioni alla terapia adiuvante nelle pazienti allo stadio I nelle diverse categorie di rischio, facendo una disamina dei principali studi sull’argomento.

Partendo dall’esame del carcinoma endometriale a basso rischio, vari studi sostengono che in questo caso non sia richiesto alcun trattamento aggiuntivo dopo l’intervento chirurgico, data l’elevata probabilità di recupero da una ricaduta (nel 70% dei casi nella vagina), con una probabilità di controllo della malattia a 5 anni del 50-70% 60. Uno degli studi clinici, che confronta gli effetti di una BT vaginale con la sola osservazione in questi pazienti, conferma che non ci sono differenze significative tra le due opzioni in termini di controllo locale e

sopravvivenza globale61.

Nel caso del carcinoma a rischio intermedio, invece, i problemi sono maggiori a causa dell’eterogeneità della popolazione. Nella letteratura sono stati pubblicati plurimi studi clinici sul ruolo della terapia adiuvante per questo gruppo di tumori. In questa categoria di pazienti è stata posta particolare attenzione sull’analisi dell’efficacia di una radioterapia esterna in confronto ad una brachiterapia o alla sola osservazione. Questi studi concordano sul maggiore controllo locale offerto dalla radioterapia esterna, ma definiscono ininfluente il suo effetto sulla sopravvivenza globale. Partendo dal riferimento allo studio di Aalders62, che confronta una BT adiuvante associata a RT con la sola BT vaginale, esso mostra un aumento significativo del controllo locale

con la terapia combinata, ma nessun vantaggio sulla sopravvivenza globale40.

Risultati simili sono stati riportati nell’importante studio PORTEC-1 (RT pelvica versus osservazione) 63. Gli autori concludono che la radioterapia post-operatoria non è indicata nelle pazienti con carcinoma endometriale G1 e infiltrazione miometriale > 50% e pazienti con tumori G2 con invasione superficiale, quindi nella categoria di rischio basso/intermedio 63. Nel trial GOG 99si osserva una significativa riduzione del tasso di recidiva pelvica nel braccio RT, mentre la differenza di sopravvivenza globale tra i due bracci non raggiunge la significatività statistica 64. Nello studio PORTEC-2, con pazienti in classe di rischio intermedio-alto randomizzate tra la BT vaginale e la RT esterna, si evidenzia un modesto aumento della recidiva pelvica nel braccio BT, ma i tassi di metastasi a distanza, sopravvivenza libera da malattia e globale sono stati simili. In questi lavori si evince come la radioterapia esterna non offra significativi vantaggi in termini di sopravvivenza rispetto alla brachiterapia vaginale, ma sia gravata da maggiori effetti tossici; così

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la brachiterapia vaginale dovrebbe essere considerata il trattamento di scelta nel carcinoma endometriale a rischio intermedio, essendo associata ad una ridotta tossicità e ad una migliore

qualità della vita 65.

In conclusione, per le pazienti a rischio intermedio o intermedio-alto la radioterapia comporterebbe un vantaggio in termini di controllo locale, anche se limitato e non scevro da effetti avversi, mentre non sarebbe associata ad alcun impatto significativo sulla sopravvivenza. L’utilizzo della radioterapia nei casi a rischio intermedio dovrebbe essere eventualmente considerata nei soli casi che presentino fattori prognostici negativi indipendenti (età, invasione linfovascolare).

In riferimento alle pazienti ad alto rischio, dall’analisi della letteratura si evince come queste abbiano un tasso maggiore di recidiva locale, di precoce diffusione a distanza e di morte correlata alla neoplasia rispetto alla categoria a rischio basso-intermedio, da cui deriva la scelta di testare

una terapia adiuvante più aggressiva 66.

Due studi, volti a stabilire il potenziale vantaggio di una terapia sistemica, hanno inizialmente ottenuto risultati inaspettati. Nello studio promosso dal consiglio Nazionale delle Ricerche

italiano nel 200667 e nel trial del Gynecologic Oncology Group giapponese (JGOG)68 le donne,

distribuite tra radioterapia pelvica e chemioterapia esclusiva, non hanno mostrato alcuna differenza in termini di sopravvivenza libera da malattia e sopravvivenza globale. Al contrario,

una metanalisi pubblicata recentemente69, che ha analizzato 5 studi randomizzati su candidate a

ricevere una chemioterapia a base di platino versus radioterapia, ha dimostrato un aumento significativo della sopravvivenza globale e della sopravvivenza libera da progressione ed una riduzione assoluta del rischio di sviluppare recidive a distanza nel braccio della chemioterapia. Questi dati si mostrano a sostegno dell’utilizzo di una chemioterapia adiuvante nei casi ad alto rischio. Oltre a studi volti ad esaminare i benefici di una chemioterapia, sono state sviluppate ricerche finalizzate all’analisi dei vantaggi offerti da una combinazione di chemioterapia e radioterapia. All’ASCO Annual Meeting 2007 sono stati pubblicati i risultati di uno studio, nel quale, assegnando pazienti con malattia allo stadio I ad alto rischio ad una radioterapia pelvica o alla stessa somministrata prima o dopo cicli di chemioterapia, la sopravvivenza libera da

progressione è apparsa significativamente migliore nel gruppo sottoposto a terapia combinata61.

Recentemente, i dati dello studio sopracitato sono stati esaminati insieme a quelli del trial MANGO ILIADE-III, realizzato con il medesimo disegno. I risultati estrapolati da questo

campione più ampio hanno confermato i precedenti 70.

Altro fondamentale oggetto di investigazione, che necessita di essere definito, è il tipo di schema chemioterapico in grado di offrire i migliori benefici in questa classe di soggetti. Lo studio GOG

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184 ha analizzato gli esiti della radioterapia seguita da chemioterapia con platino e adriamicina o con platino-adriamicina e paclitaxel. Lo studio ha documentato l’assenza di differenze in termini di sopravvivenza libera da progressione tra le due diverse schedule chemioterapiche risultando,

però, la combinazione a tre farmaci gravata da una maggiore tossicità 71.

Devono essere condotte ulteriori ricerche che confrontino le varie tipologie di associazioni chemioterapiche.

Inoltre, sono sorte nuove prospettive che investigano gli effetti di una chemio-radioterapia concomitante. Il Gruppo di Radioterapia Oncologica Americano (RTOG) ha pubblicato il primo studio pilota72 sull’utilizzo di tale approccio nel trattamento di pazienti con carcinoma endometrioide dell’endometrio G2 o G3, infiltrazione miometriale > 50%, coinvolgimento della cervice uterina o malattia extrauterina confinata alla pelvi. Gli autori evidenziano un vantaggio sulla sopravvivenza ed un eccellente controllo loco-regionale di malattia, quasi a suggerire un effetto additivo della chemio e della radioterapia. Da ciò si evince una predilezione per l’utilizzo della terapia adiuvante nei pazienti ad alto rischio, considerando sia una chemioterapia esclusiva sia associata a radioterapia.

Riassumendo le evidenze attuali, per le neoplasie nella categoria a basso rischio si può concludere che la raccomandazione clinica sia rappresentata dall’astensione da un trattamento adiuvante e dal monitoraggio clinico e strumentale. Per le pazienti nella classe di rischio intermedio, invece, le opzioni terapeutiche sono rappresentate dalla brachiterapia, dalla radioterapia esterna o dal monitoraggio (quest’ultimo soprattutto per la classe di rischio intermedio/basso). Nella scelta del trattamento bisogna, comunque, tener conto di come la radioterapia esterna riduca il rischio di recidiva locale, ma sia gravata da tossicità e non comporti un vantaggio in termini di sopravvivenza, mentre la brachiterapia vaginale, pur essendo meno efficace nel contenere le recidive pelviche, sia accompagnata da una tossicità trascurabile e da una miglior qualità della vita. Per quanto riguarda le pazienti con malattia di classe a rischio intermedio/alto e alto, la chemioterapia può contribuire a migliorare la sopravvivenza, mentre la radioterapia favorisce la riduzione del rischio di recidiva locale, quindi potrebbe sorgere un beneficio da un’integrazione delle due. Tuttavia, questi risultati meritano di essere confermati da ampi studi clinici randomizzati con attenta selezione delle pazienti.

2.9.1PZ CON LINFONODI POSITIVI PER METASTASI

Non è ancora presente un consenso unanime su quale sia il miglior approccio adiuvante nei pazienti con carcinoma endometriale con riscontro di metastasi linfonodali post-linfadenectomia. Il trial 122 del Gynecology Oncology Group propone la chemioterapia come opzione preferibile rispetto alla radioterapia nei pazienti allo stadio III, offrendo vantaggi superiori in termini di

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sopravvivenza, anche se con un maggior tasso di recidive pelviche rispetto alla seconda73. Diversi autori suggeriscono di combinare la radioterapia e la chemioterapia, associando gli effetti di controllo loco-regionale della prima e di controllo di diffusione sistemica della seconda 74, 75. In particolare Secord et al76 hanno evidenziato come un trattamento “sandwich” chemioterapia-radioterapia-chemioterapia offra vantaggi migliori sulla sopravvivenza globale rispetto allo schema radioterapia- chemioterapia nelle pazienti con esteso coinvolgimento linfonodale. Ancora non vi è un’opinione comune su quale sia la linea di condotta terapeutica migliore in questi soggetti, ma è ragionevole l’adozione di un regime di combinazione più aggressivo per ottenere un maggiore controllo delle recidive loco-regionali e di quelle a distanza. Con le sperimentazioni sull’applicazione del mapping linfonodale, gli studiosi hanno cominciato ad interrogarsi sulla possibilità di considerare le micrometastasi del linfonodo sentinella come indice di malattia metastatica linfonodale, ovvero come indicatore della necessità di applicare uno schema di terapia adiuvante raccomandato per lo stadio III.

2.10MODALITÀ DI ESECUZIONE DELL’INTERVENTO CHIRURGICO

L’accesso chirurgico può essere effettuato per via laparotomica, per via laparoscopica con assistenza vaginale o meno, per via vaginale con assistenza laparoscopica o meno, e tramite chirurgia robotica di più recente introduzione. La via vaginale, poco usata dopo l’avvento della laparoscopia, può trovare indicazione nella paziente fragile con malattia a basso rischio di diffusione intraperitoneale (istotipo endometriode ben differenziato con invasione miometriale <50%). Tuttavia, se non in rari casi, la via totalmente vaginale non viene più utilizzata, comportando la difficoltà nell’asportazione delle ovaie, il rischio di eseguire un intervento incompleto e l’inadeguata valutazione di eventuali diffusioni peritoneali e linfonodali. Negli anni 90’ vennero effettuati i primi casi di staging e trattamento chirurgico utilizzando la modalità laparoscopica77-80. Da quel momento l’utilizzo della via laparoscopica si è sempre più diffuso e si sono susseguiti numerosi studi che hanno dimostrato come questo approccio sia superiore rispetto a quello laparotomico in termini di minori complicanze, minor tempo di ospedalizzazione, minor tempo di recupero a parità di radicalità e tasso di sopravvivenza81. Sono state pubblicate due meta-analisi che comparano gli esiti di pazienti sottoposte a isterectomia addominale mediante i due approcci82, 83. In totale sono stati comparati i risultati di 198 donne sottoposte ad isterectomia laparoscopica con quelli di 193 donne sottoposte all’intervento per via laparotomica. Non sembrano esserci differenze statisticamente significative fra i due gruppi, né nell’intervallo libero da malattia, né nella sopravvivenza globale. Per quanto riguarda le complicanze post-operatorie,

(27)

tuttavia, nel gruppo sottoposto a laparoscopia si è registrata una minore perdita di sangue intraoperatoria ed una minore durata del ricovero. Il più grande studio randomizzato che supporta i suddetti risultati è il trial GOG-LAP2, che ha confrontato le due modalità di intervento in 2616 pazienti affette da carcinoma dell’endometrio. Questo studio ha concluso che la sopravvivenza globale a 5 anni è del 90% in entrambi i gruppi, ma si ha un maggiore vantaggio in termini di durata dell’ospedalizzazione, controllo del dolore, complicanze post- operatorie e qualità della vita con l’utilizzo dell’approccio laparoscopico84. In seguito alla sperimentazione della laparoscopia, la chirurgia mininvasiva si è evoluta ulteriormente con l’introduzione della chirurgia robotica.

Con l’esordio dell’utilizzo del sistema robotico da Vinci®, nella chirurgia ginecologica si è verificato un importante cambiamento nel management chirurgico, permettendo ai chirurghi meno esperti in laparoscopia di poter eseguire procedure chirurgiche complesse con una tecnica mini-invasiva. Il robot, grazie alla visione tridimensionale ed alla presenza di bracci meccanici che, senza tremare, sorreggono strumenti dotati di estrema manovrabilità, accomuna i vantaggi della chirurgia laparotomica e di quella laparoscopica. Rispetto alla chirurgia open i vantaggi della chirurgia robotica sono rappresentati dalla significativa riduzione del dolore post-operatorio, dalla minor perdita ematica, dalla riduzione del rischio di infezioni, dalla più breve degenza ospedaliera, dal vantaggio estetico per le piccole incisioni e le cicatrici minime, dalla riduzione

dei tempi tra l’intervento chirurgico e l’inizio dei trattamenti successivi.

La chirurgia robotica rappresenta l’evoluzione della laparoscopia consentendo di superarne i limiti attraverso la migliore visione (immagine 3D, magnificazione) e la maggior mobilità della punta dello strumento (7 gradi di libertà, simile alla mano umana), con conseguente maggior destrezza nelle procedure, riduzione del tremore, posizione ergonomica migliore per il chirurgo. Da tutte le sopracitate caratteristiche dell’approccio robotico derivano la fine capacità di dissezione, la riduzione del discomfort e della stanchezza durante procedure complesse, la rapida curva di apprendimento, la migliore gestione delle complicanze intraoperatorie ed il migliore approccio alla paziente obesa rispetto alla laparoscopia, con riduzione del tasso di conversione laparotomica.

I principali svantaggi del sistema robotico includono l’assenza di sensibilità tattile, in parte compensata dalla migliore visualizzazione, la limitata flessibilità degli strumenti tra i quadranti operatori ed i costi maggiori. Molti studi hanno confrontato chirurgia laparotomica, laparoscopica e robotica85-91, illustrando il minor tasso di complicanze post-operatorie e gli ottimi esiti chirurgici correlati a quest’ultima, soprattutto per le donne obese e con comorbidità92, 93. Una recente revisione di Cochrane94 sull’utilizzo della chirurgia robotica nei carcinomi ginecologici,

(28)

tuttavia, sostiene che, sebbene essa sia ampiamente utilizzata nella ginecologia oncologica, non vi sono dati sufficienti in termini di sopravvivenza, tasso di recidive e di qualità della vita, né studi randomizzati privi di bias, che consentano di giungere a conclusioni definitive relative all’utilizzo di questa modalità di intervento nelle neoplasie ginecologiche. Nonostante l’assenza di un’opinione unanime e comprovata riguardo alla superiorità dell’approccio robotico, quest’ultimo, dopo la dimostrazione della fattibilità e della sicurezza dell’utilizzo della stadiazione laparoscopica, potrebbe essere impiegato per la stadiazione del carcinoma iniziale dell’endometrio, rappresentando un’evoluzione della laparoscopia. L’adeguatezza ed i benefici dell’intervento per via robotica, a scopo stadiativo e terapeutico, dovranno essere verificati nei vari centri. Raggiunta un’opportuna esperienza chirurgica ed una superiorità statisticamente significativa in termini di efficacia e tasso di complicanze in confronto alle altre due modalità di intervento, tale approccio potrebbe diventare uno standard.

2.10.1CHIRURGIA ROBOTICA

Con l'avvento del Sistema Robotico Da Vinci® (DRS), sviluppato da Intuitive Surgical (Sunnyvale, CA, USA) ed approvato nell'aprile 2005 dalla Food and Drug Administration (FDA), per la chirurgia ginecologica molti interventi che sarebbero stati eseguiti per via laparotomica sono ora eseguiti con tecniche mini-invasive.

Il tasso d’isterectomie open è diminuito (dal 52% al 43%), il tasso di isterectomie con laparoscopia tradizionale è diminuito (dal 18% all’8%), così come il tasso di isterectomia vaginale (dal 27% al 24%), mentre il tasso di isterectomia robotica è aumentato dal 2,5% al

25%95. Anche in un altro studio retrospettivo su 1000 pazienti eseguito a Seattle la percentuale

dei casi trattati attraverso la chirurgia mini-invasiva è aumentata dal 9% al 36 % a tre anni dall’introduzione del robot53.

I vantaggi, come la visualizzazione 3D e la gamma di movimento superiore a quella con laparoscopia convenzionale hanno aumentato il numero di procedure robotiche effettuate in ginecologia nel corso degli ultimi 4 o 5 anni e spinto i chirurghi verso frontiere sempre nuove. Da quanto riportato in questi primi approcci alla R-LESS, la capacità dei bracci robotici di consentire più gradi di libertà e triangolazione nel sito chirurgico e il miglioramento dell'ergonomia per il chirurgo, hanno facilitato il successo chirurgico.

Nel 2015 è stato eseguito da Yoon e coll.96 il primo case report di isterectomia totale con annessiectomia e linfadenectomia bilaterale in una paziente con carcinoma endometriale di stadio I.

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Strumentazione del Sistema Da Vinci®

La piattaforma robotica da Vinci® attuale consiste di tre componenti: la console del chirurgo, che dirige i movimenti dei bracci robotizzati, il sistema/carrello di visione, e il carrello paziente che nell’ultima versione ha quattro bracci.

FIGURA 1 SISTEMA DA VINCI®

Dopo il posizionamento delle porte e l'attacco del paziente al carrello, il chirurgo siede alla console dove è in grado di visualizzare la pelvi attraverso un sistema di visione ad alta definizione stereoscopico.

Il sistema di telecamere è solidale alla piattaforma robotica e controllato dal chirurgo attraverso i pedali e con i movimenti delle braccia. Alla console, il chirurgo controlla i bracci robotici e gli strumenti EndoWrist® direttamente con movimenti naturali di mani e polso che imitano i movimenti eseguiti in chirurgia a cielo aperto. In realtà, gli strumenti EndoWrist® sono progettati con sette gradi di libertà, uno in più rispetto alla mano umana. Inoltre, il sistema robotico è in grado di ridurre il tremore ed è ergonomico per il chirurgo, possedendo braccioli ed essendo regolabile in altezza e nella componente oculare.

(30)

Offre una facilità d'uso attraverso pedali che controllano l’entrata e l’uscita del braccio robotico, il movimento e messa a fuoco della camera e la corrente monopolare o bipolare collegata agli strumenti EndoWrist®.

Può essere realizzato un supporto addizionale attraverso un’ulteriore porta di 10-15mm per aspirazione, retrazione, coaptazione dei vasi sanguigni, passaggi di sutura o spugne laparotomiche.

La manipolazione uterina da parte di un assistente, unicamente utilizzata per la chirurgia ginecologica, fornisce un altro metodo per implementare la visualizzazione e l’accesso alla pelvi. Inoltre, dopo il completamento di una isterectomia totale, il canale vaginale offre accesso diretto alla pelvi per il prelievo dei campioni bioptici.

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Il carrello è collegato tramite cavi codificati a colori per i quattro bracci alla console che a sua volta è collegata con il sistema di alimentazione principale. Il carrello è costituito da quattro bracci robotici e un monitor per l’assistente chirurgo che si trova a lato del paziente.

Ogni braccio ha una serie di articolazioni multiple e un giunto a perno terminale in

corrispondenza della porta che consente un facile posizionamento dei bracci durante la preparazione e un range completo di movimenti durante l'intervento chirurgico

Pulsanti in corrispondenza di ogni giunto consentono la regolazione manuale agendo come frizioni: rilasciando il pulsante il braccio si blocca in posizione.

Il braccio su cui è fissata la camera è compatibile con una porta standard da 12mm . Gli altri tre bracci sono collegati a speciali porte metalliche da 8mm provviste sia di trocar sia appuntiti che smussati. I bracci sono bilanciati meccanicamente ed elettronicamente per motivi di sicurezza e facilità d’uso e sono ricoperti da appositi teli sterili.

(32)

Il sistema di visione (Insite Vision System, Intuitive Surgical Inc.) è dotato di sistema a doppia lente con due camere da tre chip distanziate di 12mm: in pratica sono incorporati due sistemi ottici completi che rappresentano l’occhio destro e sinistro.

La separazione nello spazio delle immagini proiettate nel visore binoculare permette una vera e propria percezione tridimensionale dell’immagine. La parte frontale del carrello è provvista di un

monitor HD per l’assistente

chirurgo e l’infermiere.

I molti strumenti forniti con il sistema possono essere cambiati

rapidamente dall’assistente

chirurgo o da un infermiere addestrato. Ad eccezione del dissettore ad ultrasuoni, tutti gli strumenti sono montati sul cosiddetto “Endo Wrist®” (Intuitive Surgical Inc.): questa sorta di polso è controllato da un sistema montato su quattro ruote sulla testa dello strumento. Queste ruote possono essere controllate indipendentemente, in maniera tale da riprodurre movimenti complessi, simili a quelli del polso umano.

Il tremore è eliminato tramite l’uso di un sensore che fornisce l’esatta posizione dello strumento ad una

frequenza di 1500Hz.

Il sistema ha sei gradi di libertà, più un settimo rappresentato dallo strumento stesso (afferraggio o taglio).

Ogni strumento può essere usato al massimo dieci volte, oltre le quali deve essere sostituito. Questo viene fatto in automatico dal sistema.

FIGURA 4 VISORE STEREO

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La console del chirurgo è costituita da master controller, visori stereo, joy- stick destro e sinistro, touchpad e pedaliera

Il visore stereoscopico fornisce

l'immagine video all'operatore

chirurgo.

La porta ergonomica di

visualizzazione è dotata di supporti per testa e collo del chirurgo per un maggiore comfort soprattutto durante gli interventi lunghi. Quando si attiva l'endoscopio, il visore stereo integra i canali video sinistro e destro fornendo al chirurgo una visuale 3D continua.

I manipolatori rappresentano i mezzi attraverso i quali il chirurgo controlla gli strumenti e

l’endoscopio all’interno del

paziente. Vengono progettati per consentire un’ampia gamma di movimenti naturali e per offrire

comfort ergonomico anche

durante procedure lunghe.

Per utilizzare i manipolatori, l’operatore Chirurgo afferra ogni controller con l’indice (o medio) e pollice e poi attiva e controlla

gli strumenti EndoWrist®

avvicinando o allontanando le due dita; quindi manovra gli strumenti e l’endoscopio all'interno del paziente spostando le mani e/o le braccia.

FIG UR A 6 CO NSO LE FIGURA 7 MANIPOLATORI

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Questi movimenti vengono replicati in modo esatto e preciso a livello del carrello paziente, quindi praticamente le mani dell'operatore vengono estese virtualmente al campo chirurgico

Il touchpad si trova nel centro del bracciolo della console e fornisce i mezzi per selezionare le varie funzioni del sistema.

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I pod di sinistra e di destra si trovano su entrambi i braccioli della console, quindi ai lati del chirurgo. Il pod di sinistra offre comandi ergonomici, mentre sul pod di destra sono posizionati i pulsanti di accensione e di arresto in emergenza.

Infine abbiamo la pedaliera posta alla base della console che consente al chirurgo di prendere il controllo del braccio dell’endoscopio o dei diversi bracci strumento, riposizionare i master escludendo il movimento degli strumenti ed attivare i diversi tipi di elettrificazione a seconda dello strumento di cui si ha il controllo (monopolare taglio e coagulo, bipolare, ecc.)

FIGURA 8 POD SINISTRO FIGURA 9 POD DESTRO

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