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Monitoraggio della lepre italica (Lepus corsicanus de Winton, 1898) nell'ambito del progetto di reintroduzione nel Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano

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Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano

Dipartimento di Scienze Biologiche

Corso di Laurea Magistrale in Conservazione ed Evoluzione

Tesi di Laurea

Monitoraggio della Lepre italica

(Lepus corsicanus de Winton, 1898)

nell’ambito del progetto di reintroduzione nel Parco

Nazionale dell’Arcipelago Toscano

Candidato

Stefano Calamai

Relatore interno

Prof. Paolo Luschi

Relatore esterno

Dott. Agr. Daniele Scarselli

11 Aprile 2019

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Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano

“Lascia che la pace della natura entri in te come i raggi del sole

penetrano le fronde degli alberi.

Lascia che i venti ti soffino dentro la loro freschezza e che i

temporali ti carichino della loro energia.

Allora le tue preoccupazioni cadranno come foglie d'autunno”

John Muir

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Indice generale

Riassunto...5 Abstract...7 Introduzione...9 1. Il progetto...9 2. Inquadramento tassonomico...11 2.1 Lagomorfi...11 2.2 Genere Lepus...13

3. Lepre italica (Lepus corsicanus, de Winton 1989)...16

3.1 Sistematica...16 3.2 Geonemia...17 3.3 Demografia...18 3.4 Filogenesi...18 3.5 Morfologia...19 3.6 Habitat...21

3.7 Uso dello spazio e ritmi di attività...21

3.8 Alimentazione...22

3.9 Riproduzione...23

3.10 Patologie e parassitosi...25

3.11 Minacce e fattori limitanti...26

4. Inquadramento normativo...30

5. Studio di fattibilità...33

5.1 Obiettivi del programma di reintroduzione...33

5.2 Simulazione della dinamica di popolazione...33

5.3 Giudizio di fattibilità...35

5.5 Identificazione delle aree prioritarie per l’immissione...37

Scopo della tesi...38

Area di studio...40

1. Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano...40

2. Geomorfologia...41

3. Il clima...41

4. Flora...42

5. Fauna...43

Materiali e metodi...45

1. Operazioni preliminari alla reintroduzione...45

2. Monitoraggio...46 2.1 Radiotracking VHF...46 2.2 Tag GPS...48 2.3 Fototrappolaggio...52 3. Analisi effettuate...55 3.1 Sopravvivenza...55

3.2 Spostamenti degli animali monitorati...56

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3.4 Analisi fototrappole...59

Risultati e discussioni...60

1. Tecniche di tracking...60

1.1 Radiotracking VHF...60

1.2 Collari con tecnologia GPS...65

2. Mortalità e cause di fine monitoraggio...67

3. Sopravvivenza...68 4. Spostamenti...70 4.1 Soggetto ID 6028 - Maschio...71 4.2 Soggetto ID 6029 - Femmina...73 4.3 Soggetto ID 6030 - Femmina...75 4.4 Soggetto ID 6030 2F - Femmina...77 4.5 Soggetto ID 6031 - Maschio...79 5. Home range...81

5.1 Home Range a 30 giorni dall’immissione per tag VHF e GPS...81

5.2 Confronto tra home range a 30 e tra 60 e 151 giorni dall’immissione...84

5.3 Home range diurno e notturno con tag GPS...87

6. Fototrappolaggio...88

Conclusioni...91

Bibliografia...97

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Riassunto

La presente tesi si inserisce nell'ambito di un progetto quadriennale di reintroduzione della Lepre italica (Lepus corsicanus) svolto in accordo con le azioni previste dal Piano Nazionale per la conservazione della Lepre italica, che è stato realizzato all'Isola d’Elba, all’interno del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Lo scopo del lavoro di tesi è quello di monitorare ed analizzare il comportamento di alcuni soggetti di Lepre italica provenienti da allevamento e reintrodotti in natura in un’area dove la specie era storicamente presente.

Sono state realizzate immissioni di soggetti di allevamento in due aree diverse nel corso di due anni. La prima, nel 2015, è stata effettuata presso il monte Calamita nella parte a Sud-Est dell’isola. Questa prima esperienza ha visto la morte di tutti gli individui reintrodotti per cui dall’anno successivo l’attività di studio si è concentrata presso il monte Perone (Sud-Ovest dell’isola) con un maggiore successo di sopravvivenza dei soggetti rilasciati. In totale sono stati liberati 57 individui provenienti da due Centri Faunistici diversi: allevamento del Corpo Forestale dello Stato di Bieri (LU) e allevamento dal Parco Regionale di Marturanum (VT).

I soggetti sono stati monitorati mediante radiotracking VHF, collari GPS e fototrappolaggio con cui sono stati rilevati i punti di presenza dei soggetti immessi (fix).

Dai dati raccolti sono state ricostruiti gli spostamenti effettuati dagli animali marcati e sono stati stimati i loro home range tramite il metodo Kernel. Infine, è stata valutata la loro sopravvivenza mediante il metodo Kaplan-Meier.

Il confronto tra le curve di sopravvivenza tra i due diversi luoghi di immissione, ha evidenziato come presso monte Perone vi sia stato un tasso di sopravvivenza maggiore rispetto al Monte Calamita. L’analisi delle cause di mortalità ha mostrato come l’unico predatore selvatico presente sull’isola sia la martora.

L’analisi dell’home range ha mostrato come l’individui immessi utilizzano un’area molto ristretta nei pressi del sito d’immissione. Il confronto tra l’home

range a 30 giorni dall’immissione e quello tra 60 e 151 giorni giorni mostra

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Analizzando gli spostamenti si è riscontrato che gli individui monitorati hanno un comportamento di tipo sedentario. L’analisi degli spostamenti degli individui seguiti tramite GPS nelle diverse fasce orarie ha mostrato come la loro estensione media tenda a diminuire nelle ore centrali della giornata ovvero tra le 9.00 e le 15.00. Per gli home range si è riscontrato come gli individui monitorati abbiano frequentato una zona molto limitata intorno al sito d'immissione.

L’utilizzo delle fototrappole ci ha permesso di evidenziare alcuni possibili fattori limitanti del processo di reintroduzione tra cui la presenza di predatori come la martora e di fattori di disturbo di origine antropica.

Attualmente, visto il basso tasso di sopravvivenza e la presenza di fattori di disturbo sia di origine antropica che selvatica, non è possibile affermare con certezza che la popolazione reintrodotta presso monte Perone sia stabile ed in grado di auto sostenersi. Più verosimilmente i dati indicano che sono necessarie ulteriori operazioni di immissione nel sito di monte Perone per permettere il mantenimento della popolazione. Lo studio di fattibilità indicava come principali fattori di debolezza, già in fase preliminare, predazione e bracconaggio, che si sono rivelati i più impattanti sulle operazioni di reintroduzione.

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Abstract

This thesis is a part of in a four-year project concerning the reintroduction of Italian hare (Lepus corsicanus) that has been carried out according to the National Plan for the conservation for Italian hare. The project has been implemented on Elba Island, within the Arcipelago Toscano National Park.

The aim of the work has been to monitor and analyses the behaviour of some individuals of Italian hare coming from breeding centers and reintroduced in nature in an area where their were historically present.

Subjects obtained from breeding centers have been introduced in two different areas over two years. The first introduction, took place in 2015, in Monte Calamita, in the South-Eastern part of the island. This first attempt led to the death of all the reintroduced individuals, therefore in the following year the work focused on a different area, Monte Perone (South-West of the island) with a larger success at the survival of the released subjects. A total of 57 individuals came from two different breeding centers: that of the Corpo Forestale in Bieri, near Lucca and that of the Marturanum Regional Park near Viterbo.

The subjects have been monitored by means of VHF radio-tracking, GPS collars and camera trapping, which allowed us to record points of presence of the introduced individuals.

From collected data we have retraced the movements of the marked animals and estimated their home range following Kernel methods. At the end, survival rates have also been evaluated through the Kaplan-Meier method.

The comparison between the survival chart of the two different introduction sites, showed that the survival rate is greater in Monte Perone than in Monte Calamita.

The analysis of the causes of the death rate showed that the only wild predator that lives on the island is marten.

Home range analysis showed how reintroduced individuals use a more restricted area in the surroundings of the introduction site. The comparison between home range after 30 days animals a have been released and home range after 60 and 151 days, showed that the area increases as time passes. At present, seen the low survival rate and the presence of annoyance factors, both from an anthropic or wild origin, it is not possible to say if reintroduced individuals in Monte Perone will be stable and capable of self-sustenance.

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Monitored individuals mostly had a sedentary lifestyle. The analysis of GPS-tracked movements in different time slots showed how their average extension tended to decrease in the central part of the day, between 9:00 am and 3:00 pm. Concerning the home ranges, we observed that monitored subjects frequented a restricted area surrounding of the introduction point..

Using camera trapping, we can infer that there are some possible elements that can limit the reintroduction activity, such as the presence of predators like the marten and disturbances of anthropic origin.

Data showed that a greater number of reintroduced individuals is needed in Monte Perone area to safeguard the conservation of the population. The weakest elements come to light through the feasibility studies are predation and poaching, which mostly affected reintroduction procedures.

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Introduzione

1. Il progetto

La biologia della conservazione ha come obiettivo lo studio e il mantenimento delle condizioni di stabilità delle popolazioni a lungo termine. La conservazione assume un ruolo attivo nel momento in cui le condizioni ambientali vengono alterate da azioni antropiche. La conservazione può essere applicata a molteplici livelli spaziali e temporali, in funzione dell’obiettivo perseguito dal programma di conservazione. La protezione può essere applicata in situ, cioè nell’ambiente naturale, o ex situ, cioè in allevamenti o zoo prima di eventuali operazioni di reintroduzione nell’ambiente naturale di origine.

Azioni di conservazione possono essere effettuate reimmettendo in natura specie che si sono estinte localmente o abbiano ridotto significativamente la loro abbondanza. Queste operazioni devono essere compiute cercando di creare le migliori condizioni possibili per il mantenimento futuro delle popolazioni e limitando la necessità di futuri interventi. Le operazioni di conservazione delle specie animali, svolgono un duplice ruolo, a livello di conservazione degli ecosistemi e a livello di conservazione delle singole specie. Le operazioni di immissione comprendono ripopolamento, introduzione e reintroduzione. L’introduzione viene definita come l’immissione di soggetti appartenenti ad una specie in un’area in cui non è presente. Il ripopolamento è definito come l’immissione di soggetti appartenenti a a specie già presenti nel territorio.

La reintroduzione viene definita come traslocazione finalizzata a ristabilire una popolazione di una determinata specie autoctona in una parte del suo areale di documenta presenza naturale in tempi storici nella quale risulti estinta (Linee guida per l’immissione di specie selvatiche, 2007). Queste sono operazioni gestionali sono positive nel caso in cui le cause di estinzione siano state previamente identificate e rimosse e qualora siano ancora presenti le condizioni ambientali necessarie per la sopravvivenza della specie. Da un punto di vista legislativo, in Italia, la reintroduzione di specie di allegato D del D.P.R. 357/97 o in allegato I della direttiva 79/409/CEE richiede un’autorizzazione da parte dell’amministrazione regionale competente per l’area interessata dell’intervento, espressa sulla base di un studio di fattibilità.

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Il mio progetto di tesi si inserisce in un progetto, finanziato dal Ministero dell’Ambiente e tutela del Territorio e del Mare, che nasce con lo scopo di ricostruire, in situ, una popolazione di Lepre italica in un’area in cui questa era presente fino al 1930. Il primo passo del progetto è stato la realizzazione di uno studio di fattibilità condotto da ISPRA per valutare i siti a maggiore idoneità ambientale dove effettuare le successive operazioni di reintroduzione. Tale studio ha identificano come aree a maggiore idoneità monte Calamita e monte Perone.

Il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, in accordo con le azioni previste dal Piano Nazionale per la conservazione della Lepre italica, con la supervisione dell’ISPRA, e la collaborazione tecnica dello studio Agrofauna, ha effettuato il rilascio di individui di allevamento per il successivo monitoraggio.

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2. Inquadramento tassonomico

2.1 Lagomorfi

Regno Phylum Subphylum Classe Sottoclasse Superordine Ordine

Animalia Chordata Vertebrata Mammalia Eutheria Gliri Lagomorpha

Tabella 1: Classificazione scientifica dei lagomorfi

I lagomorfi sono diffusi naturalmente, o introdotti, in tutti i continenti tranne in Antartide. Sono tutti erbivori e presentano una taglia molto varia.

In passato alla lepre e il coniglio veniva attribuita la stessa origine filogenetica, ed erano entrambi compresi nell’ordine dei roditori (Ellerman e Morison-Scott, 1951), finché nel 1912 è stato riconosciuto l’ordine Lagomorpha (Tabella 11) (Lopez Martinez et al, 1977 e Flux et al, 1990). Lagomorfi e roditori, in realtà, hanno seguito un’evoluzione largamente indipendente, forme ancestrali distinguibili dei due ordini, risalgono ad almeno 50 milioni di anni fa, nell’Eocene (Lopez Martinez et al, 1980 e Avarianov et al , 2001).

I lagomorfi sono ripartiti in due famiglie (Figura 1): • Ocotonidi

• Leporidi

Figura 1: Famiglie e generi dei lagomorfi

La prima famiglia, Ochotonidae, presenta un unico rappresentate estinto,

Prolagus sardus. L’unico genere vivente è Ochotona, di cui fanno parte i Pika

(Chapman e Flux, 2008) diffusi nella regione Olartica (Spagnesi e Trocchi, 1992).

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La seconda famiglia, Leporidae, è presente nel mondo con 11 generi (Vismara, 2012):

• Brachilagus idahoensis, coniglio pigmeo • Bunolagus monticularis, coniglio di fiume • Caprolagus hispidus, coniglio ispido

• Oryctolagus cuniculus, coniglio selvatico europeo • Pentalagus furnessi, coniglio di Amami

• Poelagus majiorita, coniglio centroafricano • Romerolagus diazi, coniglio del vulcano • Nesolagus sp con due specie

• Pronolagus sp con 3 specie • Sylvilagus sp con 17 specie • Lepus sp con 32 specie

I lagomorfi presenti in Italia fanno esclusivamente parte della famiglia dei

Leporidae e si riscontrano tre generi:

• Genere Lepus

1. L. europaeus pallas, lepre europea 2. L. corsicanus de Winton, lepre italica 3. L. timidus mediterraneus, lepre sarda 4. L. timidus, lepre variabile

• Genere Oryctolagus

1. O. cuniculus, coniglio selvatico • Genere Sylvilagus

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2.2 Genere Lepus

La tassonomia, l’evoluzione e la genetica di popolazione del genere Lepus sono poco conosciute e con dubbi ancora irrisolti (Trocchi e Riga, 2005). Le cause di tali difficoltà possono essere diverse e concorrere allo sviluppo di fattori di incertezza (Kasapidis et al, 2005):

• recente e rapida differenziazione del genere • elevato grado di variabilità intraspecifica

• traslocazioni e introduzioni ad opera dell’uomo effettuate in epoca storica (Massetti et al, 2008)

• ibridazione tra specie che connota il ridotto divario genetico tra i taxa (Sunchentrunck et al, 2008)

Oggi si contano più di 30 specie, distribuite in America settentrionale, in Africa ed Eurasia e nel Medio Oriente. Sei sono le specie presenti in Europa (Palacios et al, 1989):

• lepre variabile (Lepus timidus, Linneo 1758) • lepre europea (Lepus europaeus, Pallas 1778) • lepre Iberica (Lepus granatensis, Rosenhauer 1856) • lepre italica (Lepus corsicanus, de Winton 1898)

• lepre sarda (Lepus capensis mediterraneus, Linnaeus1758) • lepre del piornal (Lepus castroviejoi, Palacios 1977)

Storicamente in Italia sono stati riconosciuti 4 Taxa (Trocchi e Riga, 2005) (Figura 5):

Lepus europaeus Pallas, 1778 (Lepre europea)

Figura 2: Grado di minaccia per la IUCN

E’ la specie a maggior diffusione a livello continentale. Originariamente era distribuita in tutte le regioni centro settentrionali ma, a seguito dei rilasci

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effettuati a fini venatori, la distribuzione si è estesa a tutta l’Italia peninsulare (Trocchi e Riga, 2005). Attualmente popolazioni localizzate sono presenti in tutte le regioni meridionali, con esclusione della Sicilia e della Sardegna (Angelici et al, 2009) (Figura 2)

Lepus timidus Linnaeus, 1758 (Lepre variabile)

Distribuita lungo tutto l’arco alpino (Trocchi e Riga, 2005). L’impatto della caccia, delle attività turistiche e l’erosione degli habitat sono i tre principali fattori di minaccia. È una specie elencata in appendice V della direttiva habitat.

Lepus corsicanus de Winton, 1898 (Lepre italica)

Figura 3: Grado di minaccia per la IUCN

Le entità presenti nell’Italia, quelle peninsulari peninsulare presentano una distribuzione frammentata e sono numeriche ridotte e quindi classificate come “vulnerabili”. Diversamente quelle siciliane presentano una distribuzione continua e delle buone consistenze numeriche (Figura 3) (Fulgione et al, 2009).

Lepus capensis mediterraneus Linnaeus, 1758 (Lepre sarda)

Figura4:Grado di minaccia per la IUCN

In Italia è presente solo in Sardegna. È Inclusa nell’appendice III della convenzione di Berna. La realizzazione di una rete di aree protette, l’applicazione di corretti modelli di gestione venatoria risultano essenziali per la tutela della specie (Spagnesi e Toso, 1999) (Figura 4).

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Figura 5: Distribuzione in Italia delle specie presenti appartenenti al genere Lepus

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3. Lepre italica (Lepus corsicanus, de Winton 1989)

3.1 Sistematica

La validità della Lepre italica come specie è stata confermata solo di recente per mezzo di analisi morfologiche e genetiche (Trocchi e Riga, 2001). Nel 1898 il naturalista inglese de Winton, esaminando alcuni reperti di lepre provenienti dalla Corsica individuò alcune caratteristiche morfologiche diverse da quelle della lepre europea (Nioli, 2006). Nel 1912, le differenze morfologiche furono considerate, da Miller insufficienti, il quale la considerò una sottospecie della lepre europea, Lepus europaeus corsicanus (Palacios et al, 1989). Per una lungo periodo storico si è ritenuto che la specie, a causa della competizione e dell’ibridazione con sottospecie alloctone di Lepus europaeus ripetutamente introdotte a scopo venatorio, fosse ormai perduta totalmente (Toschi, 1965). Solo negli anni ‘90 Palacios, biologo spagnolo, riesaminò i reperti di crani e pelli di lepri raccolti nell’Italia meridionale e quelli conservati nei musei italiani e propose la riclassificazione del genere Lepus (Nioli, 2006). I reperti analizzati provenivano dalla penisola italica (Caloi et al, 1989), dalla Sicilia, dalla Corsica (Pietri et al, 2011 e Pietri et al, 2015) e dall’Isola d’Elba e risalivano al XIX secolo e ad all’inizio del XX secolo (Figura 6). Per lo studio furono presi in considerazione solo i soggetti adulti escludendo i campioni appartenenti a lepre europea del XX secolo ed evitando in questo modo soggetti introdotti a fini venatori.

Negli anni 2000, sulla scia degli studi di Palacios, l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica ha avviato progetti di studio finalizzati ad individuare e descrivere i siti di presenza delle popolazioni di Lepre italica.

Le analisi morfologiche, craniometrica e corporea, mostrano che in generale il cranio è più piccolo in tutte le misure esterne e nel peso rispetto alla lepre europea che appare più snella. La ridotta dimensione corporea, nonché il rapporto lunghezza totale del corpo/peso totale del corpo della specie italica indicherebbero un adattamento della specie al clima mediterraneo.

Questo portò a sostenere che in passato in Italia erano presenti due specie distinte appartenenti al genere Lepus:

• Lepus europaeus meridiei nel nord Italia

• Lepus corsicanus nell’Italia centro meridionale ed in Sicilia (Palacios, 1996)

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Figura 6: Distribuzione di Lepus europaeus (■) e Lepus corsicanus(▲) in Italia e Corsica basata su reperti museali

Le prime analisi molecolari effettuate su sequenze nucleotidiche di una regione controllo del mtDNA e del citocromo b, provenienti da campioni estratti da esemplari raccolti in Italia centro meridionale ed in Sicilia, evidenziano una distanza genetica fra il genotipo italiano e Lepus europaeus, a conferma di una distinta storia evolutiva che ha accompagnato i due taxa (Suchentrunk et al, 2007 e Pierpaoli et al, 1998).

3.2 Geonemia

É una specie endemica dell’Italia centro meridionale e della Sicilia.

In passato si dubitava sull’origine della lepre in Sicilia; si riteneva che potesse essere stata introdotta dall’Italia continentale. Questa ipotesi era legata ad uno scritto di Aristotele, nel quale veniva evidenziato che intorno al V secolo a.C., Anassila avesse introdotto la lepre in Sicilia. Oggi l’orientamento è quello di ritenere la lepre già presente in Sicilia prima dell’arrivo dei greci. Indicazioni di carattere filogenetico, fanno risalire la presenza di L. corsicanus sull’isola ad un periodo compreso tra 45.000 e 121.000 anni fa (Pierpaoli et al, 1999).

La distribuzione attuale della specie comprende l’estremità meridionale della Toscana, la parte sud occidentale dell’Abruzzo, il Lazio, il Molise, la Puglia settentrionale, la Campania, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia (Riga et al, 2001). La specie è prevalentemente distribuita nel versante tirrenico degli

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Appennini pur sempre con popolazioni relitte, spesso isolate in aree protette o montane di difficile accesso (Riga et al, 2001). in Sicilia, come in altre parti del territorio italiano, la specie ha distribuzione continua ed è spesso presente in simpatria con popolazioni di L. europaeus introdotte per fini venatori (Figura 7).

Figura 7: Attuale distribuzione di Lepus corsicanus

3.3 Demografia

Nel corso dell’ultimo secolo l’areale della specie ha subito una sostanziale contrazione accompagnata da una sensibile riduzione di densità delle popolazioni. Tale fenomeno si sarebbe verificato soprattutto negli anni ‘80 (Angelici e Luiselli, 2001). Recenti dati di distribuzione della specie evidenziano una frammentazione dell’areale nella penisola, con popolazioni fortemente ridotte, con bassa densità, e di fatto isolate tra loro. In tali condizioni è elevata la probabilità di perdita della variabilità genetica, con rischio di diminuzione della vitalità (fitness) degli individui e di maggiore vulnerabilità agli eventi stocastici come fenomeni climatici avversi, insorgenza di epidemie, drastiche modificazioni ambientali. L’abbondanza della specie è quindi strettamente correlata alle condizioni ambientali.

3.4 Filogenesi

Per la prima volta, nel 1999, è stata valutata la distinzione genetica della Lepre italica, la variazione genetica tra le popolazioni della penisola e della Sicilia, e

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ricostruito le relazioni filogenetiche tra la Lepre italica e le altre specie appartenenti al genere Lepus (Alves et al, 2007).

La distinzione in due cladi mette in evidenza come l’origine di L. corsicanus e

L. europaeus siano completamente differenti, e si evidenzia come L. europaeus si sia originata in Africa e da qui poi abbia colonizzato l’Europa, si

presume a seguito di antiche introduzioni a scopo di caccia (Alves et al, 2008). E’ da mettere in evidenza come le due specie non presentino aplotipi mitocondriali in comune, mostrando perciò un’evoluzione separata (Randi et al, 2007).

3.5 Morfologia

La Lepre italica è simile nell’aspetto generale alla lepre europea (Tabella 2).

Angelici e Luiselli, 2007

n=42

Riga et al, 2001

n=21 Riga et al, 2001n=50

Lepre italica Lepre italica Lepre europea

Lunghezza testa corpo (cm) 54,3-61,2 44,1-54.4 52,9-59,8

Lunghezza orecchio (cm) 10,1-12,6 9,0-10,1 9,7-10,7

Lunghezza coda (cm) 6,6-11,2 7,3-10,2 8,5-11,2

Lunghezza piede posteriore (cm) 11,6-13,5 11,4-13,5 12,9-15,1

Peso (kg) 1,9-2,6 1,85-3,8 2,8-4,1

Tabella 2: Valori biometrici a confronto di Lepre italica e europea

La colorazione del mantello differisce da quella della lepre europea per la tonalità più fulve, specialmente sulle cosce e sul groppone dove la parte distale dei peli di borra è gialliccia anziché grigiastra. Sul dorso e sulle cosce presenta una colorazione bruno-rossastra, con la parte distale dei peli di borra che è tendente al giallo (de Winton, 1898).

La nuca e la parte dorsale del collo evidenziano colorazioni grigio nerastre e una separazione tra la colorazione bianca del ventre e quella dei fianchi netta, mentre il Lepus europaeus si ha una banda di transizione (de Winton, 1898). Il contorno oculare è ben visibile ed evidenziato dalla colorazione bruno rossiccia della regione sub oculare che si estende dalla parte frontale dell’orbita sino alla regione compresa tra occhio ed orecchio (de Winton, 1898).

La parte mediale degli arti anteriori presenta una fascia ben demarcata e più chiara (Palacios, 1996). Le guance assumono una tonalità grigio biancastra (Figura 8).

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Figura 8: Particolare del fianco della Lepre italica (Rugge et al, 2009)

Queste differenze colorimetriche individuate attraverso una analisi visiva del manto, riportate anche da Palacios nel 1996, sono state confermante da più recenti studi colorimetrici fatti da Rugge nel 2009.

I leprotti presentano tonalità più scure rispetto a quelli di L. europaeus. Si ha la macchia nucale come negli adulti, parti distali degli arti fulve e più chiare medialmente (Trocchi e Riga, 2005).

Lepus Corsicanus Lepus europaeus

Colorazione della coscia e del groppone bruno ocra rossiccia

Colorazione della coscia e del groppone bruno grigiastra

Colorazione grigia della porzione basale del

pelo contro dorsale (tra le scapole) negli adulti Colorazione biancastra della porzione basale del pelo contro dorsale (tra le scapole) negli adulti

Colorazione grigio nerastra della nuca e della

parte dorsale del collo Colorazione bruno rossiccia della nuca e della parte dorsale del collo (eccezione dei giovani) Separazione netta tra la colorazione bianca

del ventre e la colorazione dei fianchi Presenza di una fascia di transizione sfumata tra la colorazione bianca del ventre e la colorazione dei fianchi

Tabella 3: Confronto nella colorazione del mantello tra la Lepre italica e la lepre europea

L. corsicanus presenta forme del corpo relativamente più slanciate rispetto a L. europeaus, la lunghezza della testa, del corpo, della coda, del piede posteriore

e infine delle orecchie sono proporzionalmente più lunghe, diversamente il peso medio degli adulti è di circa 800 g inferiore (Lo Valo et al, 1997). Questi caratteri probabilmente costituiscono un adattamento della Lepre italica al clima caldo degli ambienti mediterranei, a differenza della lepre europea meglio adattata al clima continentale (Trocchi e Riga, 2001).

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3.6 Habitat

La distribuzione ecologica sembra confermare l’adattamento prevalente della specie agli ambienti caratterizzati da un clima di tipo mediterraneo (Blondel e Aronson, 1999), anche se è presente dal livello del mare fino a 2.000 m sull’appennino e a 2.400 m sul livello del mare sull’Etna (Riga et al, 2001).

Gli ambienti preferiti, quelli con alternanza di radure, aree coltivate, zone cespugliose, boschi di latifoglie, aree di macchia mediterranea con densa copertura vegetale e compresi gli ambienti dunali, in generale, sembrano dover essere caratterizzati da spiccate caratteristiche ecotonali ed elevata eterogeneità ambientale in grado di offrire alla specie zone di rifugio e siti di alimentazione (Fusco et al, 2007 e Rugge et al, 2007). Evita però tutte quelle zone dove la vegetazione diventa troppo fitta e terreni umidi e freddi (Pease et al, 1979 e Spagnesi e Trocchi, 1993). Tra le aree coltivate sono utilizzate soprattutto quelle cerealicole, ma frequenta anche vigneti, oliveti (Dessi et al, 2010), mandorleti ed occasionalmente agrumeti.

3.7 Uso dello spazio e ritmi di attività

Le modalità di uso dello spazio ed i ritmi di attività della Lepre italica risultano quasi sconosciute (Trocchi e Riga, 2001).

In generale, la specie presenta un comportamento sedentario con spazi vitali relativamente piccoli (Trocchi e Riga, 2001). In un primo studio, condotto nella Riserva Naturale Regionale Monterano, sul comportamento spaziale L.

corsicanus, effettuato su tre soggetti di cattura, l'home range calcolato con il

metodo di Kernel al 95% di soggetti maschi risultava di circa 74,73 ha, con una

core area al 50% di circa 7,56 ha. Questa zone erano di maggiori dimensioni

rispetto a quello di individui di sesso femminile che risultavano avere un home

range di circa 23,21 – 14,13 ha (Di Luzio e Barone, 2012).

In Sicilia all’interno del Parco delle Madonie sono stati riscontrati home range, di sei soggetti, calcolati con il metodo del minimo poligono convesso, di ampiezza molto varia che va da circa 0,7 ha a 27,7 ha. Sempre all’interno del medesimo studio gli home range calcolati con il metodo Kernel al 95% hanno dato un’estensione che varia tra circa 2,9 ha e 14 ha (Lo Valvo, 2007).

Dopo il tramonto la lepre frequenta spesso le stesse aree di pastura nelle cui immediate vicinanze stabilisce covi diurni e vi rimane e per quasi l’intera notte (Trocchi e Riga, 2001). L’home range notturno tende ad essere di dimensioni maggiori rispetto a quello diurno e durante l’arco dell’anno l’area esplorata

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tende ad aumentare nel periodo estivo, mentre quella giornaliera aumenta nel periodo invernale (Di Luzio e Barone, 2012).

Durante la notte, gli animali utilizzano i diversi habitat presenti nel loro territorio in maniera proporzionale alla disponibilità, al contrario di quanto si verifica di giorno. Di giorno infatti viene riscontrata una preferenza per ambienti chiusi e vengono selezionate zone come arbusteti e boschi di querce (Di Luzio e Barone, 2012). Questo porta a concludere che la selezione degli ambienti sembra essere determinata non tanto da necessità alimentari quanto da un comportamento antipredatorio. Nelle ore diurne non utilizzano le zone aperte dove l’assenza di copertura, aumenta il rischio di essere predati (Di Luzio e Barone, 2012).

La Lepre italica, in generale, si mantiene a lungo nascosta, effettuando brevi spostamenti e soste, a differenza della lepre europea che una volta individuata tende a lanciarsi in corse uscendo allo scoperto, per rimettersi al covo solo dopo un lungo tragitto (Trocchi e Riga, 2001). Come per la lepre europea, la corsa della Lepre italica è molto agile e con lunghissimi balzi sopra la vegetazione (Trocchi e Riga, 2001).

La marcatura del territorio avviene prevalentemente nel periodo della stagione riproduttiva. Vengono utilizzate le ghiandole ano genitali, che permettono di impregnare il terreno, quelle pigmentali del naso che vengono usate per lasciare tracce odorose su tronchi o rami ed infine il secreto emesso dalle ghiandole situate all’interno delle guance (Trocchi e Riga, 2001). Attraverso questi messaggi odorosi le lepri possono comunicare la loro presenza, il sesso, la condizione fisiologica e lo stato sociale. Questa caratteristica diviene molto importante considerando le abitudini notturne e lo scarso sviluppo della vista (Trocchi e Riga, 2001).

Tendenzialmente la lepre è un animale molto silenzioso che emette mormorii, soffi e brontolii durate combattimenti ed accoppiamenti; caratteristico è il grido simile al gemito di un neonato emesso quando viene catturata o spaventata, ed infine il suo digrignare dei denti che viene interpretato come segnale di allarme.

3.8 Alimentazione

Studi che riguardano l’alimentazione di questa specie sono ancora pochi, ma le osservazioni notturne di individui mostrano la frequentazione di pascoli, prati pascoli e coltivazioni cerealicole autunno vernine (Propezi, 2010).

La lepre è erbivora e la sua dieta è composta, soprattutto in primavera estate, delle parti verdi della pianta, mentre in inverno si nutre di erbe secche, bacche,

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semi, ghiande e germogli di cereali autunno vernini coltivati e corteccia (Freschi et al, 2012). Alcuni studi hanno messo in evidenza l’importanza delle leguminose, delle foraggere e dei cereali autunno vernini (Freschi et al, 2015a). Studi hanno evidenziato una dieta molto diversificata, con un netta preferenza per le Graminacee (20,46%), predisposizione riscontrata anche negli altri lagomorfi (Propezi, 2010). Le altre piante consumate sono Leguminosae (10,04%) e le Compositae (6,89%) oltre ad altre famiglie come Cyperaceae,

Juncaceae e Labiatae consumate principalmente nel periodo estivo (Figura 9)

(Freeschi et al, 2014).

Figura 9: Le forme biologiche presenti sono: P=Fanerofite; Ch=Camefite; G=Geofite; H=Emicriptofite; E=Elofite; I=Idrofite; T=Terofite. Alle forme biologiche si associano delle sottoforme che esprimono il portamento della pianta: scap =scapose, ros=rosulate, rhiz=rizomatose,

bulb=bulbose, rept=reptanti, caesp=cespitose (Freschi et al, 2015)

3.9 Riproduzione

Ancora scarse sono le conoscenze sulla biologia riproduttiva della Lepre italica. La fenologia riproduttiva conferma l’adattamento all’ambiente mediterraneo, è presente una riproduzione protratta tutto l’anno, con un picco delle nascite in primavera e due minimi in inverno ed in estate (Guglielmi et al, 2011). L.

corsicanus e L. europaeus mostrano due diverse strategie riproduttive (De

Marinis et al, 2007).

Nella lepre europea la strategia si basa sulla concentrazione delle nascite nei periodi più favorevoli dell’anno, con figliate numerose e diapausa autunnale (Trocchi e Riga, 2005 e Alves et al, 2002). Diversamente nella Lepre italica la strategia si basa su di un’attività riproduttiva protratta per tutto l’anno, anche se

Forme biologiche C am pi on i p re se nt i n ei p el le t f ec al i

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con variazioni stagionali, ed una dimensione della figliata in media inferiore a due (Figura 10) (De Marinis et al, 2007).

Figura 10: Percentuale dei nati nelle varie stagioni dell'anno (De Marinis et al, 2007)

Le femmine sono dotate di un doppio utero, con due distinte cervici uterine alla congiunzione della vagina (Roelling et al, 2011) (Figura 11).

Figura 11: Utero di lepre europea

La lepre è una specie poligama, anche se non vi sono dei veri e propri harem dominati da maschi, ma questi tendono a scacciare i giovani subalterni, che riescono comunque ad accoppiarsi, ma in misura minore. La competizione tra maschi si realizza con violenti combattimenti. I luoghi dove questi avvengono sono in genere aperti e tali da permettere di individuare eventuali pericoli.

Nella fase di accoppiamento si verificano scontri anche tra maschi e femmine, questo comportamento ha la funzione di preparare fisiologicamente le femmine

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all’accoppiamento e all’ovulazione che è indotta dal coito (Trocchi e Riga, 2001).

La dimensione massima osservata delle figliate è di 4 feti, diversamente dalla lepre europea dove arriviamo anche a 7 feti, con una media 1,86, mentre nella lepre europea 2,4 (Trocchi e Riga, 2001).

I leprotti nascono all’aperto in un giaciglio occultato tra l’erba, dove rimangono per pochi giorni, con gli occhi aperti, ricoperti di pelo, provvisti di denti e si muovono autonomamente dopo breve tempo dalla nascita (Spagnesi e Trocchi, 1992). I piccoli alla nascita presentano un peso di circa 100 g (Lo Valvo et al, 2012). Lo svezzamento avviene gradualmente, a 12-14 giorni di vita inizia un alimentazione integrata con cibi solidi e dopo 4-5 settimane il legame familiare si spezza (Hacklander et al, 2002). La pubertà è raggiunta a 5-7 mesi nei maschi e a 6-8 mesi nelle femmine (Spagnesi e Trocchi, 1992).

L’ibridazione, ad oggi, viene esclusa. Studi di genetica non hanno portato alla luce genotipi intermedi tra le specie (Randi et al, 2007). La questione però è ancora in fase di accertamento in quanto nel Parco del Cilento e Vallo di Diano, in cui sono presenti in simpatria L. corsicanus e L. europaeus sono stati ritrovati due individui di difficile assegnazione ad una delle due specie in base ai genotipi microsatellitari, probabilmente ibridi (De Filippo e Fulgione et al, 2007 e De Filippo et al, 2012).

3.10 Patologie e parassitosi

Dalla metà degli anni ‘80, si è scoperto la malattia infettiva ed eziologica virale, la Sindrome della Lepre Bruna Europea (EBHS European Brown Hare

Syndrome) (Poli et al, 1991). Attualmente è la causa principale di mortalità sia

di lepri allo stato libero che di allevamento. In Italia la parassitosi si è sviluppata principalmente grazie a ripopolamenti di L. europaeus a scopi venatori (Lavazza e Guberti, 2007). Sono da ritenersi collegate alla pratica del ripopolamento a fine venatorio anche le altre malattie tipiche della lepre come la brucellosi (Quaranta et al, 1995) e la tularemia (Figura 12) (Ercolini et al, 1991).

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Figura 12: Cause di mortalità nelle lepri in Francia: basate su 9.422 diagnosi realizzate

dal 1986 al 1994 (Lamarque et al, 1996)

Per il virus della malattia emorragica del coniglio (RHDV), genere lavovirus, si riscontrano casi in L. europaeus, L. timidus e L. corsicanus, ma questo è stato presentato come una variante diversa denominata RHDV2, dato che queste tipologie di virus sono caratterizzate da un’alta specie specificità (Camarda et al, 2014).

3.11 Minacce e fattori limitanti

La difficoltà di ottenere dati, la scarsità di confronto oggettivo per il passato, rendono difficilmente quantificabile il trend della specie. I fattori limitanti che minacciano la specie sono molteplici.

Frammentazione dell’areale e isolamento

La struttura delle popolazioni di Lepre italica non è ancora chiara soprattutto nella penisola, dove sono note popolazioni di fatto isolate (es. Castel Porziano, Parco Nazionale del Circeo, Parco Nazionale del Gargano). Questa condizione è pericolosa per la sopravvivenza delle popolazioni, in quanto induce fenomeni di erosione della variabilità genetica, incremento del tasso di inbreeding e conseguente riduzione della fitness.

Inquinamento genetico

Altro aspetto da considerare nelle strategie di conservazione e gestione di L.

corsicanus è l’eventuale ibridazione con L. europaeus. Nel genere Lepus

l’ibridazione tra specie anche fenotipicamente ed ecologicamente diverse è già stata riscontrata in Svezia (Thulin et al, 1997).

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Più probabile e consistente è il rischio di inquinamento genetico per traslocazione di individui (anche allevati) fra aree ove esistono popolazioni di Lepre italica geneticamente e morfologicamente diverse (Riga et al, 2001), per antichi fenomeni di isolamento riproduttivo.

Caccia e bracconaggio

Nonostante la specie non sia comparsa nell’elenco delle specie cacciabili (a cura della legge n. 157/92), l’esercizio venatorio rappresenta un reale fattore limitante. Nella penisola la problematica è causata dalla consistenza nelle stesse aree di L. corsicanus e di L. europaeus, delle difficoltà di riconoscimento, della mancanza di una tradizione specifica nella gestione delle lepri, nonché delle basi conoscitive per una gestione sostenibile. Queste difficoltà si traducono in un elevato impatto venatorio sulle residue popolazioni di lepre e in una impossibilità pratica nell’applicazione di strategie di conservazione differenziate tra le due specie (Trocchi e Riga, 2005).

Nell’Italia centro meridionale ed in Sicilia il bracconaggio rappresenta un importante fattore limitante dato che è tradizionalmente diffuso. Particolarmente sviluppata e radicata è l’uccisione notturna con l’ausilio di fari, anche al di fuori della stagione venatoria e in aree protette, vista la particolare vulnerabilità delle lepre per questa forma di bracconaggio (Trocchi e Riga, 2005).

Introduzione della lepre europea

Questo può comportare possibili fenomeni di competizione interspecifica e di diffusione delle patologie più comuni. I meccanismi eco etologici delle interazioni competitive tra le due specie non sono comunque ancora stati chiariti e necessitano di studi specifici.

Erosione e riduzione della qualità dell’habitat

La modernizzazione e lo sviluppo dell’agricoltura come la meccanizzazione ed il conseguente riordino fondiario hanno determinato un forte impatto sulle specie selvatiche. L’impatto è dovuto soprattutto all’aumento della dimensione media degli appezzamenti coltivati, all’eliminazione degli elementi di diversificazione del paesaggio, alla riduzione delle rotazioni colturali con lo sviluppo delle monocolture e alla riduzione degli ecotoni (McLaren et al, 1997). L’aumento delle dimensioni dei campi determina la riduzione dello sviluppo lineare dei margini, tra i diversi appezzamenti, che costituiscono ambienti frequentati dalle lepri. Questo origina una sensibile diminuzione delle possibilità di rifugio e di alimentazione. Questi effetti sono accentuati quando le operazioni

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di raccolta vengono realizzate velocemente e sono seguite dalle lavorazioni del terreno che eliminano la vegetazione ancora presente (Spagnesi e Toso, 1992).

L’abbandono e la riduzione delle attività agricole nei territori collinari e montani ha determinato un generale peggioramento della qualità dell’habitat per le specie legate agli ambienti coltivati e semi naturali. Si può constatare come ambienti idonei per la Lepre italica (radure e aree aperte interconnesse alle zone forestali o cespugliate) sono progressivamente abbandonati ed evolvono verso l’incolto, l’arbusteto ed il bosco. La scomparsa di queste radure determina una sensibile riduzione della diversità ambientale.

Per quanto riguarda i rimboschimenti l’impiego di conifere e dell’eucalipto rappresenta un ulteriore elemento di degrado delle condizioni ambientali, rispetto all’impiego di latifoglie autoctone.

La pratica della bruciatura delle stoppie e dei residui delle colture raccolte, che non si giustificano più con motivazioni agronomiche ed economiche, è all’origine di perdite consistenti di selvaggina (Spagnesi e Toso, 1992). Gli incendi, in generale, possono ridurre le fasce ecotonali tra le coltivazioni, i pascoli e le aree ecologicamente più mature.

Sono ben noti gli effetti positivi delle rotazioni colturali sull’ambiente in generale e sulla biodiversità degli ecosistemi agrari (National Resource Concil, 1989). Studi hanno dimostrato che la diversificazione colturale è positivamente correlata con l’abbondanza della lepre europea, sia come numero di colture nell’unità di superficie, che come numero di appezzamenti (Hutchings e Harris, 1996).

Il crescente incremento della velocità delle macchine agricole determina un incremento della mortalità dei selvatici, come la lepre, poiché essi vengono travolti dalle macchine operatrici come ad esempio falcitrici e mietitrebbie. Nei periodi di preparazione del terreno sono le giovani lepri che rischiano di essere uccise (Pepin, 1981). Tra la piccola fauna stanziale la mortalità della lepre dovuta alle lavorazioni del terreno è stimata attorno al 10% (Spagnesi e Genghini, 1995).

Nella lepre europea, dove il numero di studi è largamente superiore, sono note varie conseguenze connesse all’uso dei fitofarmaci in agricoltura ed in particolare:

• dirette, per tossicità cronica

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Possiamo avere insorgenza di cheratocongiutiviti, panoftalmiti ed enteriti emorragiche (Spagnesi e Trocchi, 1992).

Antropizzazione

Lo sviluppo della rete stradale e l’intensificazione del traffico contribuiscono alla frammentazione della continuità ecologica dell’habitat e accentua i tassi di mortalità.

Predazione

Tra le specie predatrici la volpe sembra quella in grado di determinare il maggiore impatto sul successo riproduttivo delle lepri (Barnes e Tapper, 1983). Naturalmente è importante anche la densità relativa delle due specie e la disponibilità di risorse alimentari alternative per il predatore.

La predazione da parte di cani inselvatichiti o vaganti si rivolge a carico, in particolare, di mammiferi di medie dimensioni come le lepri e il coniglio selvatico. Non va dimenticato il disturbo (in periodo riproduttivo) che essi arrecano alla specie permanendo costantemente sul territorio.

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4. Inquadramento normativo

La validità della Lepre italica come specie è stata confermata solo di recente per mezzo di analisi morfologiche e genetiche (Trocchi e Riga, 2001), quindi al momento della nascita della Legge Nazionale n.157 del 1992 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, la specie non era ancora riconosciuta come tale dalla comunità scientifica. Le prime analisi molecolari alla fine degli anni 90’ evidenziano una distanza genetica fra il genotipo italiano e Lepus europaeus, a conferma di una distinta storia evolutiva che ha accompagnato i due taxa (Pierpaoli et al, 1998).

Nel 2003, il Decreto Ministeriale del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 maggio, inserisce la specie Lepus corsicanus nell’elenco delle specie cacciabili della legge 157/1992 all’articolo 18, visto il parere favorevole dell’INFS (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica). L’articolo 18 al comma 1 lettera e) riporta: “specie cacciabili dal 15 ottobre al 30 novembre limitatamente alla popolazione della Sicilia: Lepre italica (Lepus corsicanus)”.

Per quanto riguarda la Regione Sicilia dove è l’unica specie di lepre presente, la storia legislativa è caratterizzata da continui cambiamenti nel corso degli anni. Le prime due note emanate dal’INFS nel 2002, nota n. 5540/TA62, e nel 2003, n. 5799/T-A11, con le quali si dichiara che visto il periodo di sospensione del prelievo venatorio per questa specie, del soddisfacente strato di conservazione e della distribuzione continua della specie riscontrate nel territorio regionale, viene ammesso un prelievo di tipo venatorio, anche per consentire la raccolta di una serie di informazioni essenziali, per una futura organizzazione del prelievo della suddetta specie; viene individuato e stabilito un limite massimo giornaliero di 1 capo con un tetto massimo di due capi annui (Decreto Assessoriale del 16 giugno 2004).

Il Decreto Assessoriale del 2008, provvede a sospendere la caccia su tutto il territorio della Regione Sicilia. I successivi Decreti Assessoriali della Regione Sicilia del 2009, 2011 ed infine del 2012 prevedono all’interno del calendario venatorio la possibilità di cacciare la Lepre italica. Solo nel 2013 la Regione Sicilia ne sospende definitamente il prelievo venatorio.

Il Decreto Assesoriale del 30 ottobre 2018, provvede a modificare il calendario venatorio della Regione Sicilia e autorizza il prelievo sperimentale della Lepre italica in appositi distretti. Tale decreto obbliga il cacciatore a georeferenziare i singoli abbattimenti e alla raccolta di feci. La modifica al calendario venatorio,

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presa in accordo con ISPRA, ha lo scopo di aumentare le conoscenze etologiche ed ecologiche della specie.

La legislazione internazionale non presenta riferimenti giuridici per la specie, in quanto quasi la totalità degli strumenti giuridici presenti in campo internazionale sono stati adottati precedentemente al riconoscimento della specie (Trocchi e Riga, 2001).

A livello nazionale nel 2001 viene redatto e adottato il Piano Nazionale per la Lepre italica, con lo scopo di delineare e promuovere le iniziative necessarie per garantire la sopravvivenza e il recupero delle popolazioni presenti sulla penisola italiana. Il piano si pone anche lo scopo di incrementare le informazioni sullo status attuale delle popolazioni e della specie, proponendo adeguamenti normativi, sia a livello nazionale che internazionale e contribuendo alla divulgazione e conoscenza di questa specie di interesse conservazionistico.

Grazie all’avvento del piano sono nate molte iniziative volte allo studio della specie. Nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano è stato attuato un ampio piano conservazionistico mirato ad individuare la distribuzione della specie sul territorio, stimare la densità, individuare fattori di minaccia e definire progetti per la salvaguardia (De Vita et al, 2007). Nella regione Basilicata in collaborazione con il Parco di Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane è stata istituita un’area faunistica vocata alla Lepre italica, utilizzata come allevamento (Mallia et al, 2007). Successivamente anche nel Lazio, nel Parco Regionale Marturanum è stata fondata un’area faunistica vocata (Celletti, 2012). La regione Lazio, l’Agenzia Regionale Parchi ha avviato un progetto sullo studio dello stato di conservazione e distribuzione della Lepre italica nel territorio della regione con lo scopo di individuare e attuare un piano d’azione per la conservazione (Scalisi, 2012). Anche in Sicilia dove la popolazione non è frammentata e presenta una buona consistenza numerica sono stati svolti diversi studi atti a caratterizzare la popolazione sul territorio al fine di programmare e applicare delle strategie gestionali e di conservazione (Lo Valvo et al, 2012a).

Solo dopo il riconoscimento come specie ufficiale, la Lepre italica fu classificata dalla IUCN (Internationl Union for Conservation Nature) come “gravemente in pericolo” (CR) (Amori et al, 1999). Nel 2008 però venne nuovamente riclassificata come “vulnerabile” (Mengoni, 2011). Nel 2013 lo stato della specie è stato aggiornato a “minor preoccupazione”, in quanto la popolazione siciliana è abbondante e non soggetta a gravi fattori di minaccia. Diversamente le popolazioni dell’Italia peninsulare sono in condizioni di conservazione

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sfavorevoli in quanto le popolazioni sono frammentate e minacciate, la loro consistenza numerica è probabilmente inferiore ai 10.000 individui maturi ed è in declino costante e in ogni sotto popolazione sono presenti meno di 1.000 individui maturi, quindi queste popolazioni vengono classificate dalla IUCN con un grado di minaccia “vulnerabile” (IUCN, 2016).

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5. Studio di fattibilità

Il progetto di reintroduzione di Lepus corsicanus sull’isola d’Elba risponde a tutti i requisiti richiesti ed è supportato da un apposito studio di fattibilità condotto da ISPRA che riporta il possibile successo del mantenimento delle condizioni di stabilità della popolazione a lungo termine.

5.1 Obiettivi del programma di reintroduzione

Il progetto di reintroduzione della Lepre italica nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, si pone tali obiettivi, coerenti con i contenuti del Piano d'Azione Nazionale per la Lepre italica, e rispettando le raccomandazioni del Consiglio d'Europa, le direttive del Programma Ambientale delle Nazioni Unite e le indicazioni della Carta Mondiale della Natura:

• creare una popolazione di Lepre italica in un’area dove essa era originariamente presente

• effettuare uno studio sulla sopravvivenza e sulla dispersione degli individui immessi

• coinvolgere tutte le componenti sociali interessate alla gestione della fauna selvatica (cacciatori, ambientalisti, agricoltori, allevatori) al fine di creare un atteggiamento positivo e condiviso sull’operazione di reintroduzione

5.2 Simulazione della dinamica di popolazione

Le simulazioni sulla dinamica della popolazione da introdurre nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, sono state fatte con il software Vortex 9.42 (Lacy et al, 2014), permettono di valutare l’andamento della nuova popolazione dal punto di vista numerico, fornendo la base per pianificare i futuri interventi. Il software permette di valutare la probabilità di sopravvivenza di un nucleo di lepri, prevedendo le seguenti caratteristiche dell’operazione:

• immissione di 10 individui primo anno • successive immissioni negli anni

• una capacità portante dell’area di circa 100 capi

I parametri riguardanti i tassi di mortalità e i dati riproduttivi utilizzati per le simulazioni sono in parte derivati da dati letterari e da studi sulla biologia riproduttiva della specie condotti da ISPRA (Tabella 4).

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Parametri Femmine Maschi

Riproduzione

Età prima riproduzione 1 2

Sistema riproduttivo Poliginico

Età massima per la riproduzione 6

N. medio di piccoli per anno/femmina 2.5

Sex ratio alla nascita 1:1

% di femmine adulte riproduttive 80

Tassi di mortalità

Mortalità % anno 0 – anno 1 50

Mortalità % dopo il primo anno 30

Popolazione iniziale

N. totale capi 10

Struttura d’età dei fondatori

Adulti 5 5

Capacità portante

N. capi 100

Tabella 4: Parametri utilizzati per la simulazione della dinamica della neopopolazione

Nella simulazione della dinamica della popolazione sono stati inseriti due probabili eventi negativi:

• presenza di bracconaggio (Figura 13)

- default: probabilità 10%; riproduzione 50%, sopravvivenza 50% - nobr: probabilità 5%, riproduzione 70%, sopravvivenza 70% • diffusione di un’epidemia di EBHS

I risultati mettono in evidenza come l’impatto negativo di maggiore rilevanza sia il bracconaggio, determinando:

• mancato raggiungimento della capacità portante • diminuzione costante del numero di capi

• raggiungimento di valori di consistenza prossimi alla capacità costante soltanto per la simulazione caratterizzata da bassi livelli di bracconaggio

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Figura 13: Simulazione della dinamica nella popolazione di Lepre italica a diversi livelli di bracconaggio

5.3 Giudizio di fattibilità

Per formulare il giudizio di fattibilità si è fatto ricorso alla tecnica dell’analisi SWOT (Strenghts, Weakness, Opportunities and Threats), che permette di distinguere i punti di forza e di debolezza (fattori endogeni) di un progetto e allo stesso tempo individuare i fattori esogeni, positivi o negativi (opportunità e minacce), in grado di condizionarlo.

I fattori, caratterizzanti il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, sono stati determinati sulla base dei dati raccolti ed elaborati nello studio di fattibilità e sono stati sintetizzanti nella seguente matrice:

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Forze Debolezze

Fonti Interne

- Presenza di habitat vocato per la specie

- Disponibilità di individui di Lepre italica appartenenti al genotipo dell’Italia centrale - Collaborazione tra enti diversi

per la realizzazione dell’intervento (PNAT, CFS, ISPRA, ATC)

- Sovrapposizione dell’area di intervento con la presenza di nuclei di

lepre europea

- Quadro socio culturale complesso, con rischio di atti di bracconaggio e di

eccessiva pressione venatoria, con presenza di cani liberi utilizzati per le

pratiche venatorie

- Ripopolamento con lepri europee all’estremo dell’area protetta

Opportunità Minacce

Fonti Esterne

- Reintroduzione della Lepre italica in un’area dove era

originariamente presente - Aumento delle conoscenze ecologiche sulla specie grazie

alle attività di monitoraggio - Crescita culturale delle popolazioni locali grazie alla

realizzazione di azioni di sensibilizzazione e di corsi di

formazione

- Aumento della sorveglianza in aree attualmente a rischio per

quanto riguarda le pratiche venatorie illegali - Incremento della visibilità del

PNAT a livello nazionale in quanto impegnato in un progetto

di conservazione di valenza nazionale

- Possibile presenza di malattie - Predazione da parte di specie

selvatiche e domestiche - Disturbo antropico nella stagione

estiva

- Disturbo causato dalla caccia con il segugio alla lepre ed al cinghiale nelle aree confinanti con il parco

- Presenza di animali domestici

Tabella 5: Analisi SWOT per la formulazione del giudizio di fattibilità

Dalla tabella 5 possiamo vedere come le principali debolezze e minacce siano legate al contesto socioculturale, con particolare riferimento al prelievo venatorio. Tuttavia la realizzazione di un progetto volto al coinvolgimento diretto delle componenti sociali e alla loro formazione, dovrebbe portare ad una riduzione dei rischi di bracconaggio e allo stesso tempo contribuire alla crescita culturale per il mondo venatorio.

L'intensificazione della sorveglianza ed il monitoraggio intensivo potrebbero portare a risvolti positivi anche ai fini di ridurre le pratiche venatorie dannose, come il bracconaggio, ad altre specie.

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5.5 Identificazione delle aree prioritarie per l’immissione

Figura 14: Modello di idoneità per la Lepre italica

Dall’analisi del modello sono risultate ad elevata idoneità le aree di: Monte Orfano, Sughera, Fosso del forno, La Terra, Poio, San Biagio, Pietrogrossa, Vignale, Semaforo, Le mure, Fosso dell’Inferno, Monte Perone, Monte Fonza e Monte Calamita (Figura 14).

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Scopo della tesi

La tesi si è sviluppata all’interno di un più ampio progetto di reintroduzione della specie. Il progetto, a cui ho collaborato, aveva come scopo principale lo studio di metodologie adeguate alla reintroduzione della specie all’Isola d’Elba.

Il progetto di conservazione si inserisce nel Piano d’Azione Nazionale per la Lepre italica con lo scopo di delineare e promuovere future iniziative necessarie al recupero di popolazioni nel territorio italiano, andando ad ampliare le informazioni sullo status attuale delle popolazioni presenti e incrementando le conoscenze scientifiche su questa specie, di interesse conservazionistico, per proporre strumenti legislativi adeguati alla sua protezione e tutela.

Il tutto si colloca all’interno di un piano più ampio per la conservazione e gestione della Lepre italica finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, poiché facente parte del Progetto di Sistema dei Parchi ed attuato per delineare misure ed attività dirette alla conservazione, gestione e protezione della biodiversità.

Il periodo di lavoro di campo mi ha permesso di utilizzare diverse tecniche di monitoraggio consentendomi poi di analizzare, nel mio lavoro, tre argomenti fondamentali:

• studio della sopravvivenza e comportamento post immissione • analisi dei fattori limitanti la reintroduzione

• valutazione dei metodi di monitoraggio e loro confronto

Lo scopo di questo progetto di tesi è di monitorare il comportamento spaziale di soggetti di Lepre italica immessi in natura a seguito di reintroduzione, attraverso tag VHF e GPS. Sulla base di questi assunti, ci aspettavamo di riscontrare una sopravvivenza media pari al 50% dopo un anno di monitoraggio, in linea con le aspettative dello studio di fattibilità. Tra i fattori limitanti, ipotizzavamo, in linea con la bibliografia, che fosse la predazione ad incidere maggiormente, nell’arco temporale successivo all’immissione. Per quanto concerne, invece, l’ipotesi di partenza relativa all’uso dello spazio, ci attendevamo che questo aumentasse dopo un primo periodo di ambientamento.

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I tag VHF, con poco investimento monetario, consentono verificare il livello di sopravvivenza e determinare i fattori limitanti il successo di immissione. Ci aspettiamo che lo studio della sopravvivenza e delle cause di morte consentirà il miglioramento dei metodi di allevamento dei soggetti prima della reintroduzione oltre a migliorare le tecniche di immissione (periodi e luoghi). Attraverso i collari GPS, invece, è possibile determinare, con un investimento economico maggiore, l’utilizzo dettagliato dello spazio di ogni singolo soggetto marcato. Riuscire a capire quali siano gli ambienti che questa specie frequenta maggiormente ci consentirà di scegliere a priori quali siano le aree migliori per le operazioni di reintroduzione, eliminando i fattori ambientali non idonei alla specie.

Il fototrappolaggio, infine, consente un monitoraggio continuo della popolazione immessa oltre ad evidenziare problematiche avverse come la presenza di predatori o di fattori antagonisti come il bracconaggio. Un utilizzo approfondito di questa tecnica potrebbe consentire di verificare, con un basso investimento, un’eventuale ed auspicata attività riproduttiva dei soggetti immessi.

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Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano

Area di studio

1. Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano

L'arcipelago toscano è situato nel mar Tirreno centro settentrionale ed è composto dall’isola d’Elba, da sei isole minori e da una serie di piccoli isolotti che formano una superficie complessiva di circa 300 km2 (Bazzechi et al,

1989). Di questi 244 km2 appartengono all’Elba, oltre quest’ultima sono

presenti: (Figura 15): • Giglio • Capraia • Montecristo • Pianosa • Giannutri • Gorgona

L'Arcipelago Toscano è stato incluso tra i nuovi Parchi Nazionali con la Legge Quadro sulle Aree Protette, Legge n. 394 del 6 dicembre 1991, ma solo con il D.P.R del 22 luglio 1996 si è avuta l'istituzione dell’Ente Parco Nazionale.

Figura 15: Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano

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Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano

2. Geomorfologia

L’isola ha una configurazione articolata di tipo prevalentemente collinare con un paesaggio mutevole la cui morfologia riflette la diversità delle formazioni litologiche esistenti. Le coste sono per lo più alte, intervallate a brevi arenili (D’Orefice et al, 2015).

Le coste si sviluppano per un totale di 147 km (Foggi et al, 2006), e sono per la maggior parte alte e rocciose con falesie attive e inattive che raggiungono i 100 m di altezza (Piano Paesaggistico Regione Toscana, 2016). Il reticolo idrografico è poco sviluppato, a causa principalmente della morfologia accidentale e le ridotte dimensioni dell’isola. Questo determina corsi d’acqua a carattere torrentizio (Foggi et al, 2006).

L’azione dell’uomo ha modificato il territorio con l’attività estrattiva, si ricordano, nel settore orientale, le miniere utilizzate per l’estrazione di ematite e magnetite (promontorio di Punta Calamita) oltre alla miniera del Ginepro e la Miniera dei Sassi Neri (settore orientale).

L’isola si presenta largamente ricoperta da terrazzamenti di origine antropica per la necessità di ricavare terreno coltivabile. Nella fascia centrale la coltura prevalente è quella della vite associata all’olivo. Diversa è la situazione ove la vegetazione spontanea si è riappropriata della sua originaria estensione, come si può osservare sul versante occidentale caratterizzato da una densa macchia mediterranea che ricopre i precedenti terrazzamenti (Bazzeche,1989).

Sul versante orientale la situazione è diversa, i segni lasciati dall’attività estrattiva degli ossidi di ferro, che fino al periodo post bellico costituiva la maggiore risorsa, assieme alla trasformazione del minerale in acciaio e ghisa, hanno fortemente modificato e segnato il territorio.

3. Il clima

I fattori geografici che condizionano il clima dell’Arcipelago Toscano sono riferibili alla posizione dell’isola rispetto alla Corsica e alla Toscana continentale, alle loro dimensioni, al profilo altimetrico, alla presenza di venti, alle correnti marine ed al regime termico della superficie del mare (Tabella 6).

Riferimenti

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