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Memoria e Racconto in tre romanzi contemporanei: Possession: A Romance di A.S. Byatt, Ever After di Graham Swift e Black Dogs di Ian McEwan.

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LETTERATURE E FILOLOGIE

EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Memoria e Racconto in tre romanzi contemporanei: Possession: A

Romance di A.S.Byatt, Ever After di Graham Swift e Black Dogs di Ian

McEwan

CANDIDATO

RELATORE

Malvina Celli

Chiar.ma Prof.ssa Roberta Ferrari

(2)

2

Indice

Introduzione ... 4

Capitolo I Il romanzo contemporaneo: questioni di tecnica narrativa ... 11

1.1. Le strutture narrative e l’importanza dell’Intertestualità ... 11

1.2. L’Autobiografia ... 13

1.3. La Corrispondenza Epistolare ... 17

1.4. Il Romanzo nel romanzo ... 19

1.5. Il Memoriale ... 21

1.6. Il Diario ... 22

1.7. La Fotografia ... 25

Capitolo II Strategie narrative nel macrotesto di A.S.Byatt ... 28

2.1 Uno sguardo alla vita di A.S. Byatt ... 28

2.2. The Game (1967) ... 30

2.3. Babel Tower (1996) ... 35

2.4. The Biographer’s Tale (2000) ... 37

2.5. A Whistling Woman (2002) ... 39

2.6. The Children’s Book (2009) ... 40

2.7. Ragnarok: The End of the Gods (2011) ... 42

Capitolo III Possession: A Romance (1990) ... 45

3.1 La Trama ... 46

3.2. Strategie narrative... 54

Capitolo IV Strategie narrative nel Macrotesto di Graham Swift ... 63

4.1 Uno sguardo alla vita di Graham Swift ... 63

4.2. The Sweet Shop Owner (1980) ... 65

4.3. Shuttlecock (1981) ... 69

4.4. Out of This World (1988) ... 74

4.5. Mothering Sunday (2016) ... 78

Capitolo V Ever After (1992) ... 81

5.1. La Trama ... 82

(3)

3

Capitolo VI Strategie narrative nel macrotesto di Ian McEwan ... 98

6.1 Uno sguardo alla vita di Ian McEwan ... 98

6.2 The Cement Garden (1978) ... 100

6.3 The Child in Time (1987) ... 104

6.4 Enduring Love (1997) ... 107

6.5 Atonement (2001) ... 111

6.6 Sweet Tooth (2012) ... 120

6.7 The Children Act (2014) ... 125

Capitolo VII Black Dogs (1992) ... 128

7.1. La Trama ... 129

7.2 Strategie narrative... 137

Conclusione ... 142

(4)

4

Introduzione

Postmoderno è il termine utilizzato per definire la temperie che si manifesta nella seconda metà del Novecento e che, nelle sue varie articolazioni, investe tutte le manifestazioni culturali e artistiche, dall’architettura alla letteratura, dalla fotografia al cinema, dalla musica alla danza.1

Il termine viene introdotto solo nel 1979 con l’opera di Jean-François Lyotard,

The Postmodern Condition: a Report on Knowledge, il quale individua la nuova

corrente letteraria a partire dagli anni Trenta, periodo di profonda crisi sociale ed economica, in cui l’uomo si ritrova ad essere investito da inattese responsabilità esistenziali che lo portano a sperimentare nuove rappresentazioni della realtà corporea e della percezione di spazio e tempo, anche in seguito alla diffusione, già alla fine dell’Ottocento, delle teorie bergsoniane.2

What, then, is the postmodern? What place does it or does it not occupy in the vertiginous work of the questions hurled at the rules of images and narration? […] A work can become modern only if it is first postmodern. Postmodernism thus understood is not modernism at its end but in the nascent state, and this state is constant.3

The word ‘postmodern’ is thus, characterised, from its very inception, by an ambiguity. On the one hand it his seen as a historical period; on the other it is simply a desire, a mood which looks to the future to redeem the present. The word, with this ambivalence, then hovers around the hedges of sociological arguments and the ‘end of ideology’ debates in the 1950s.4

Post-modernism A general (and sometimes controversial) term used to refer to changes,

developments and tendencies which have taken place (and are taking place) in literature, art, music, architecture, philosophy, etc. since the 1940s or 1950s. […] It is no easier to define than many other –isms.5

L’uso del prefisso “Post” sembra implicare una considerazione del Postmodernismo come un fenomeno che semplicemente arriva dopo il Modernismo ma, se pensiamo alle difficoltà di inquadrare e definire il Modernismo stesso, anche dal punto di vista temporale, incontriamo la stessa problematicità nel definire e delimitare ciò che lo

1 Hutcheon, Linda, The Politics of Postmodernism. Routledge, New York and London, 1989, p.1. 2 Ceserani, Remo, Guida breve allo studio della letteratura. Laterza, Roma- Bari, 2003, p.177.

3 Lyotard, J.F., The Postmodern Condition: A Report of Knowledge. Manchester University Press,

Manchester, 1979, p.79.

4 Docherty, Thomas, (ed.) Postmodernism: A Reader. Cambridge University Press, Cambridge, 1993,

p.2.

5 Cuddon, J.A., Dictionary of Literary Terms and Literary Theory. Penguin Books, London, 1982, pp.

(5)

5

segue, come rileva Graff che parla di Postmodernismo «in terms of a calling into question of the “claims of literature and art to truth and human value”[…]».6

Per quanto riguarda l’ambito letterario, ad aumentare l’incertezza, concorre il fatto che, nella tecnica narrativa, ricorrono strategie comuni ad entrambe le correnti, sebbene esse siano finalizzate al conseguimento di diversi obiettivi. Per esempio la tecnica del frammento nel Modernismo risentiva della nostalgia per il tempo in cui la fede era salda e l’autorità intatta e il mondo trovava la sua rappresentazione più appropriata in queste forme culturali e artistiche frammentate (e.g. il collage); mentre, il Postmoderno percepisce il frammento come una realtà liberatoria e da celebrare, in quanto capace di emanciparsi dall’opprimente mondo contemporaneo.

Anche la tecnica dell’inizio in medias res, largamente utilizzata nel romanzo tradizionale e dai modernisti, viene ripresa dai postmoderni con l’intento di accentuare quegli elementi che contribuiscono a creare incertezza nel lettore. A tale scopo il postmoderno sviluppa anche la strategia dei multiple beginnings che prevede la moltiplicazione di inizi possibili, di sviluppi plausibili, presentandoli al lettore in modo che possa meditare sulla loro arbitrarietà.7

A story has no beginning or end: arbitrarily one chooses that moment of experience from which to look back or from which to look ahead.8

Al contrario, le strutture denominate “Frame” che identificano sia il mondo reale, sia la dimensione artistica, non sono semplici divisori, poiché non permettono di operare una separazione netta tra reale e fittizio e hanno la medesima funzione per entrambe le correnti letterarie, almeno in un primo momento.9

Contemporary metafiction draws attention to the fact that life, as well as novels, is constructed through frames, and that it is impossible to know where one frame ends and another begins. […] Frames are essential in all fiction. They become more perceptible as one moves from realist to modernist modes and are explicitly laid bare in metafiction.10

6 Hutcheon, Linda, Narcissistic Narrative. The Metafictional Paradox. Methuen, New York and

London, 1980, p.3.

7 Waugh, Patricia, Metafiction. The Theory and Practice of Self-Conscious Fiction. Routledge, London

and New York, 1984, pp.28-29.

8 Ivi. p. 29. 9 Ivi. pp. 28-29. 10 Ivi. pp. 29-30.

(6)

6

Il Postmoderno, quindi, va interpretato come un fenomeno complesso e di difficile definizione, e non è un caso che McHale sottolinei le diverse interpretazioni che ne sono state date:

Thus, there is John Barth’s postmodernism, the literature of replenishment; Charles Newman’s postmodernism, the literature of an inflationary economy; Jean-François Lyotard’s postmodernism, a general condition of knowledge in the contemporary informational régime; Ihab Hassan’s postmodernism, a stage of the road to the spiritual unification of humankind; and so on. There is even Kermode’s construction of postmodernism, which in effect constructs it right out of existence. 11

Tuttavia, riducendo la prospettiva al mondo letterario, è possibile enucleare alcune caratteristiche testuali che si possono riscontrare nella fiction postmoderna e che la contraddistinguono:

 Il nuovo discorso della Storia a cui ispirarsi anche senza rispettare la successione cronologica degli eventi, poiché tutte le esperienze si possono collocare in un eterno presente;12

 La consapevolezza dell’opacità del linguaggio, sempre più oscuro all’interno dei romanzi, che rende ancora più difficile l’operazione ermeneutica del lettore;

 La tendenza alla commistione di testi, generi, linguaggi, ad esempio attraverso la tecnica del pastiche, con funzione principalmente parodica;13

 La volontà di riproporre il passato14 in una nuova chiave ironica, come si può ritrovare nelle opere di Umberto Eco;

Il rifiuto della dicotomia tra High e Popular Culture, fortemente voluta dal Modernismo, con conseguente ibridazione delle forme dell’una e dell’altra;15

11McHale, B. Postmodernist Fiction. Routledge, London and New York, 1989, p.4. 12 Ceserani, Remo, op.cit. pp. 174-175.

13«a blank parody, a statue with blind eyeballs […]. It is a neutral practice of such mimicry, without

any parody’s ulterior motives, amputated of the satiric impulse, devoid of laughter and of any conviction that alongside the abnormal tongue you have momentarily borrowed, some healthy linguistic normality still exists.» (Docherty, Thomas, op.cit. p.74)

14 Brooker, Peter (ed.) Modernism/Postmodernism. Longman, 1992, p.227. 15 Ivi. p.190.

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7

Il realismo fantastico (magic realism) nella fiction, dove elementi magici o paranormali compaiono in contesti di vita realistici. Si assiste alla progressiva crescita della popolarità del neo-gotico, della horror story e della science fiction, in cui spesso ci sono fenomeni legati alle distorsioni spazio-temporali;16

La possibilità che il narratore sia inaffidabile, un unreliable

narrator. Il problema dell’authorship è fortemente discusso,

in quanto si assiste ad un progressivo abbandono dell’utilizzo del narratore onnisciente all’interno dei romanzi, già cominciato con il Modernismo e portato alle estreme conseguenze dai postmoderni, che prediligono una figura narratoriale, i cui tratti sono più stemperati.17

Significativo è che nel 1968, Roland Barthes pubblichi un saggio “The Death of the Author”, che verte in parte sul problema della authorship, decretando «that the Author (or the concept of the Author) is dead» che, nel 1969, Foucault scriva a sua volta “What is an Author?” dibattendo ancora sulla questione.18

Tali caratteristiche sono individuabili all’interno della struttura e del linguaggio del testo e in particolare, nella concezione della letteratura. Inoltre, si afferma una nuova tendenza letteraria, quale la historiographic metafiction, che rifiuta i metodi naturalmente usati per distinguere ciò che è reale da ciò che è illusorio e soprattutto non riconosce la Storia come l’unica vera porta di accesso al passato, in quanto storia e finzione sono prodotti dell’uomo e gli sono funzionali.19

What emerges again is history as a text: history as personal reconstruction.20

16 Cuddon, J. A., op.cit. p. 734. 17 Waugh, Patricia, op.cit. p. 102.

18 Cuddon, J.A. op. cit. pp. 67-68. Waugh afferma inoltre che: «The ‘author’ discovers that the

language of the text produces him or her as much as he or she produces the language of the text. The reader is made aware that, paradoxically, the ‘author’ is situated in the text at the very point where ‘he’ asserts ‘his’ identity outside it.» (Waugh, P. op.cit.. p. 133.)

19 Hutcheon, Linda, A Poetics of Postmodernism: History, Theory, Fiction. Routledge, New York and

London, 1988, p.93; Keen, Narrative Form. Palgrave MacMillan, New York, 2003, p.139.

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8

La parola Metafiction viene coniata per la prima volta negli anni Settanta da un critico americano, William H. Gass, il quale teorizza:

Metafiction is a term given to fictional writing which self-consciously and systematically

draws attention to its status as an artefact in order to pose questions about the relationship between fiction and reality. […] Metafiction pursues such questions through its formal self-exploration, drawing on the traditional metaphor of the world as a book […]. If our knowledge of this world is now seen to be mediated through language, then literary fiction (worlds constructed entirely of language) becomes a useful model for learning about the ‘construction’ of reality itself.21

Un esempio può essere The French Lieutenant’s Woman di John Fowles che, fondendo realtà e finzione con la creazione di tre ipotetici finali, presenta una delle caratteristiche principali della metanarrazione, ovvero il racconto autoriflessivo, il romanzo sul romanzo.22

I testi postmoderni si appropriano di una grande quantità di tecniche e strategie narrative al loro interno, mescolando diari, lettere o altri documenti, che contribuiscono alla costruzione di un fictional world,23 dove l’attenzione del lettore tende a focalizzarsi maggiormente sulla struttura del romanzo, piuttosto che essere attratta verso un qualunque orizzonte di attesa rispetto alla storia.24

Infine, è notevole la dimensione ludica del Postmoderno, immediatamente percepibile nelle arti più popolari come ad esempio il ballo, dove una nuova generazione di coreografi ha riscoperto i valori tradizionali ed ha ideato quella che oggi viene definita “danza moderna”.25

The current generation of postmodern choreographers reopens some of the issues that concerned historical modern dance. […] The response was to look for ways to reinstall meaning in dance. 26

Nella loro concezione il ballo deve essere soprattutto un momento ricreativo, capace di suscitare un’emozione immediata nel pubblico, che deve poter esprimere liberamente la propria sensibilità ed è il ritorno a questo aspetto fondamentale, noto come “The Return of the Repressed”, che sembra essere divenuto una peculiarità anche della letteratura.

21 Ivi. pp. 2-3.

22 Ceserani, Remo, op.cit. pp. 22-23. 23 Waugh, Patricia, op.cit. pp. 103-105. 24 Ceserani, Remo, op.cit. p. 22.

25 Docherty, Thomas, op. cit. p. 163. 26 Ivi. p. 133.

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9

Il romanzo per assumere un ruolo ludico sviluppa il metalinguaggio, punto di arrivo di un percorso che si passa dalla descriptive writing alla critical writing.

Quest’ultima amplifica la concezione strutturalista del linguaggio, elaborata dal linguista Saussure (†1913), che si occupa di riconsiderare la tradizionale opinione secondo cui la letteratura debba riflettere la realtà per considerarsi tale.27

La scrittura diviene pertanto critical in antitesi con la tendenza della

descriptive writing in voga nei secoli precedenti e, al fine di permettere la scoperta di

nuove forme che veicolino le emozioni che il testo vuole suscitare, deve concentrarsi sulla struttura della lingua, che assume rilievo rispetto agli altri elementi.28

Così come gli artisti ricercano il vero concetto di arte, i letterati, attraverso la

critical writing, sviluppano l’indagine sul significato che le parole possono assumere

nelle loro più disparate combinazioni o interazioni, in quanto, come con il ballo, non esiste un unico modo di rappresentare le proprie emozioni.29

In questo senso, è emblematica la riscoperta dell’autobiografia come espediente narrativo, in quanto permette di trasportare all’interno del romanzo le emozioni tipiche di quel connubio intimo ed esclusivo, in cui si fondono i limiti tra spettatore e intrattenitore, tra arte e vita e che, in maniera più evidente, vengono suscitate anche dal ballo postmoderno.30

Proseguendo nello spirito strutturalista, il Postmodernismo si muove poi verso una visione decostruzionista, in cui si procede con una “decostruzione” del testo a più “livelli”, che mira a mostrare le strutture concettuali e linguistiche di cui il testo si compone e che al suo interno si intersecano e scontrano, creando dislocazioni e aporie del senso.

Deconstruction is not synonymous with ‘destruction’, however. It is in fact much closer to the original meaning of the word ‘analysis’ itself, which etymologically means ‘to undo’ – a virtual synonym for ‘to de – construct’. The deconstruction of a text does not proceed by random doubt or arbitrary subversion, but by the careful teasing out of warring forces of

signification within the text itself. If anything is destroyed in a deconstructive reading, it

is not the text, but the claim to unequivocal domination of one mode of signifying over another. A deconstructive reading is a reading which analyses the specificity of a text’s critical difference from itself.31

27 Cuddon, J.A. op.cit. p. 923; Docherty, op.cit. pp. 165-166. 28 Ivi. pp. 922-925.

29 Docherty, op.cit. p. 166. 30 Ivi. pp. 167- 168.

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Secondo i decostruzionisti, l’idea principale è che per leggere un’opera, non si possa più ricorrere agli strumenti della retorica o della storia, ma sia proficuo concentrarsi sull’osservazione del gioco dei significanti generati all’infinito dal testo, come se si trattasse di una successione di meanings, mai totalmente e definitivamente raggiungibili. La partecipazione del lettore a questo “gioco” non ha regole se non la volontà di raggiungere un’esperienza unica ed estetizzante.32

‘Ludism’ may be simply defined as an open play of signification, as the free and productive interaction of the forms, of signifiers and signifieds, without regard for an original or an ultimate meaning. In literature, ludism signifies textual play; the text is viewed as a game affording both author and reader the possibility of producing endless meanings and relationships.33

In particolare, la possibilità di esplorare le potenzialità dei significati, senza curarsi della ricerca di verità nascoste dietro le parole, permette di scoprire il gioco narrativo34 che diviene una caratteristica portante del Postmoderno, i cui autori si

divertono a guardare l’abisso del linguaggio autoreferenziale, del cosiddetto “metalinguaggio”.

A metalanguage is a language that functions as a signifier to another language, and this other language thus becomes its signified.35

La costruzione del romanzo, quindi, potrebbe scaturire da un’interpretazione parodica di un altro racconto, anche attraverso un particolare punto di vista, come accade in Grendel (1971) di Gardner, in cui viene narrato il Beowulf dal punto di vista del mostro.36

Such novels attempt to create alternative linguistic structures or fiction, which merely

imply the old forms by encouraging the reader to draw on his or her knowledge of

traditional literary conventions when struggling to construct a meaning for the new text.37

Il linguaggio assume la funzione ludica di smascherare davanti al lettore l’illusione della fiction, in cui si chiarisce esplicitamente che si tratta di finzione. La metanarrazione si basa su un mondo in cui le verità sono scomparse e altri artifici, strutture e condizioni ne hanno preso il posto all’interno del romanzo.38

32 Hawthorne, J., Coincise Glossary of Contemporary Literary Theory. Arnold, London, 1992, p.95. 33 Mistacco, ivi. p.96.

34 Ibid.

35 Waugh, Patricia, op.cit.p.4. 36 Ibid.

37 Ibid. 38 Ivi. pp. 6-7.

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Capitolo I

Il romanzo contemporaneo: questioni di tecnica

narrativa

1.1. Le strutture narrative e l’importanza dell’Intertestualità

La scrittura è stata utilizzata fin dalle origini come strumento per lasciare un’impronta di sé nel mondo; imprimere su carta le proprie esperienze porta lo scrittore a rielaborare la realtà circostante, ad analizzare le esperienze vissute per ottenere nuovi significati, in modo da recare conforto e dare un senso alla propria esistenza, alle numerose perdite e, in definitiva, a precisare il proprio ruolo nel mondo e non solo per la memoria dei posteri.

La scrittura diventa, quindi, un elemento di protezione e difesa dall’aggressività del mondo circostante, in grado di rassicurare l’uomo dalle paure più recondite e infondere speranza e ottimismo nei confronti della vita. Ciò accade soprattutto nella scrittura autobiografica, realizzata con tecniche narrative diverse, come: il diario, le lettere, il memoriale. Esempio mirabile sono i diari di Virginia Woolf (†1941) dove l’autrice cerca di scendere a patti con l’ansia esistenziale che la divorava.1

Ovviamente le varie strategie narrative presentano caratteristiche diverse tra loro e quello che le rende complessivamente interessanti, è che sono devices che possono essere inscritti in un romanzo e dipanarsi attraverso propri fili narrativi contribuendo al piano generale dell’intreccio2.

1 Virginia Woolf è una donna sospesa tra due abissi: quello della malinconia e della depressione e

quello della lucida normalità. Al fine di curare la sua follia, le fu consigliato di scrivere, ma poiché ciò non dette risultati a breve termine, le fu proibito di scrivere e venne adottata un’altra cura. La Woolf morì suicida nel 1941. (Galanti, Maria Antonella, Gli smarrimenti del sé: educazione e perdita tra

normalità e patologia. ETS, Pisa, 2012, pp. 113-144; Bertinetti, P. Breve storia della letteratura inglese. Einaudi, Torino, 2000, p. 271).

2Le storie all’interno dei romanzi sono dette Interpolated Tales o Inset Story e vengono narrate da un

narratore di secondo livello. L’esempio più famoso è senza ombra di dubbio The Canterbury Tales di Chaucer, dove le storie possono aggiungere azioni che contribuiscono a portare avanti la narrazione principale, se in questa non accade nessun evento. Queste “azioni” possono essere analessi o prolessi ed avere varie funzioni. Tuttavia ciò che il lettore deve percepire è la sensazione di star percorrendo una scala (a staircase narrative) verso vari livelli narrativi la cui struttura è definibile come una

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La narrazione episodica, favorita dall’uso di tecniche narrative che agevolano la descrizione di vicende apparentemente svincolate le une dalle altre e senza che ci sia un filo conduttore esplicito a legarle, si può generalmente osservare sia nei romanzi modernisti che in quelli postmoderni, contrariamente ai romanzi delle epoche precedenti, che normalmente seguivano una concezione più tradizionale di intreccio, tendente a collegare il più possibile gli eventi.3

Infatti, specialmente nel Novecento, la sperimentazione narrativa induce gli autori a ritenere che gli avvenimenti narrati non debbano essere necessariamente collegati da un rapporto di causa-effetto, da una successione cronologica, o essere immediatamente riconducibili all’intreccio principale, come ad esempio si può notare in Possession: A Romance (1990) di Byatt, quando Roland legge passi del diario di Ellen Ash alla ricerca di qualcosa che possa collegare Randolph H. Ash a Christabel LaMotte.4 La consultazione evidenzia solo che Ellen Ash ha letto la Melusina di Miss

LaMotte ma la circostanza non è determinante per lo svolgimento della vicenda principale, come del resto nel capitolo IV, quando Roland intraprende la lettura del diario di Blanche Glover e legge, per svariate settimane, di “simple meals, walks and readings, music and Blanche’s plans for paintings”. (P,45)

Anche in Ever After di Swift, nel capitolo IX, sebbene nell’ambito di una narrazione più complessa, è possibile trovare alcuni passi tratti dal diario di Matthew Pearce non collegati all’intreccio narrativo5. Esistono tuttavia anche esempi

opposti come rileviamo in Black Dogs di McEwan, dove tutti i ricordi sui suoceri che sono utilizzati per la redazione del memoriale da parte del genero, Jeremy, sono funzionali alla trama.

Le tecniche narrative, quindi, possono definirsi a tutti gli effetti come veicolo della memoria, del ricordo, al pari di un sito memoriale, di un cimitero o di un luogo

Chinese Box Structure. Per maggiori informazioni, si consulti Keen, Susanne, op.cit. pp.110-113. La

precisazione serve per sottolineare che il ritrovamento di manoscritti, diari e/ o lettere di vario contenuto, verranno indagati, solo dal punto di vista della loro valenza narrativa e tecnico formale. Determinare se il diario, un manoscritto o altro, sia un inserto di contenuto analettico o prolettico non è ritenuto rilevante, ai fini di questa tesi.

3E.M Forster esaminava, sotto una lente critica, il rapporto di causa ed effetto che legava gli

avvenimenti nella tradizione letteraria precedente, dove ogni evento era la conseguenza dell’altro, come si può vedere nell’emblematica frase:«The King died, and the Queen died of grief» (Ivi. pp. 2-3).

4 Per ulteriori approfondimenti, si veda il capitolo VII dell’edizione inglese di Possession, pp. 120-123. 5Per ulteriori approfondimenti, si consulti il capitolo IX di Ever After, pp. 112-113.

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di pellegrinaggio e poiché non sono strutture fisiche, possono essere indicate con il termine di «artefatto».6 Linde ricorda che:

Artifacts frequently serve as occasions for remembering. As with times and places as occasions for remembering, I also differentiate between artifacts specifically designed to occasion remembering and artifacts not designed for remembering which come to be used in that way. […] Memorial places are large and stationary objects. One does not regularly move a statue or a house marqued with a plaque commemorating the birthplace of someone judged worthy of being remembered. In contrast, artifacts are smaller and more portable objects. […] Objects are like photo albums, mugs, family bibles, etc. […] their affordances for remembering arise from the fact of their portability.7

Nel momento in cui si scorge nel testo l’utilizzo di altre strutture narrative, come diari, memoriali, autobiografie o lettere, perdute o trovate, possiamo parlare di intertesto.8

In effetti, il termine “intertestualità” è stato introdotto per la prima volta da Julia Kristeva nella seconda metà degli anni Sessanta e, utilizzato in svariati campi, si rivela particolarmente idoneo in ambito letterario, dove spesso i testi mostrano grande versatilità nella capacità di inglobare al loro interno altri discorsi.9

Qualora invece l’artifact non sia un testo ma un altro supporto come una fotografia o anche un arazzo, che sostiene o affianca l’intreccio principale, è meglio parlare di “intermedialità”, sebbene possa costituire un eccezione proprio la fotografia, soprattutto se modificata o inserita nel contesto di un album, essa assume la valenza di un racconto, redatto e arricchito come un testo, appositamente per essere sfogliato dal pubblico prescelto dall’autore.10

1.2. L’Autobiografia

Termine nato nel 1809, “autobiografia” indica, semplicemente, il racconto della propria vita narrata direttamente dal soggetto del racconto e si configura come un

6 Linde, Charlotte, Working the Past: Narrative and Institutional Memory. Oxford University Press,

New York, 2009, pp. 59-63.

7 Ivi. p.67.

8 Keen, Susanne, op.cit.p.151. 9 Linde, Charlotte, op.cit. p.168. 10 Ivi. pp. 68-71.

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bisogno prorompente di narrare di sé, di assemblare frammenti di memoria o anche impressioni, che vengono trasposti su carta con un intento riflessivo o celebrativo della propria vita.11

[L’autobiografia è un] Racconto retrospettivo in prosa che una persona reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla vita individuale, in particolare sulla storia della sua personalità.12

L’autobiografia (racconto che narra la vita dello scrittore) suppone che ci sia identità di

nome fra l’autore (col suo nome in copertina), il narratore del racconto e il personaggio di

cui si parla.13

Secondo Johnson è oggettivamente impossibile scrivere la propria autobiografia, in quanto le facoltà mnemoniche dell’uomo sono soggette al deterioramento con l’età e potrebbe essere difficile ricordare, con chiarezza, tutti gli accadimenti vissuti. Soprattutto, riusciamo a ricordare solo frammenti dei fatti accaduti oppure abbiamo una visione distorta per l’influenza del nostro punto di vista, per cui, per ottenere un racconto imparziale, sarebbe opportuno ricorrere alla consultazione di un’altra persona.14

Disagreeable facts are sometimes glossed over or repressed, truth may be distorted for the sake of convenience or harmony and the occlusions of time may obscure as much as they reveal.15

Una delle caratteristiche tipiche dell’autobiografia è lo stile, riflessivo e confessionale, attraverso cui l’autore riversa sulla pagina i propri pensieri. Inoltre, risulterebbe scontato aspettarsi una narrazione in prima persona16, dove l’autore

coincide con il personaggio principale ma, a questo proposito, torna a manifestarsi con insistenza il problema dell’authorship, in quanto bisogna, innanzitutto, fare chiarezza sulla persona grammaticale e l’identità dell’individuo reale.

Per un autobiografo, è naturale domandarsi semplicemente: «Chi sono io?». Ma, poiché sono un lettore, non è meno naturale che io ponga la domanda in un altro modo: chi è «io»? cioè: chi dice «chi sono?».17

11 I frammenti di memoria o le sensazioni che proviamo alla vista di un determinato oggetto o

profumo, sono elementi legati alla memoria del sentire e all’inconscio, il quale, ripropone nella nostra mente attraverso i sogni, sensi e/o turbamenti che credevamo perduti o sepolti per sempre. L’inconscio è una delle tematiche chiave del Novecento, grazie all’avvento della psicanalisi con Freud e la pubblicazione nello stesso periodo de L’interpretazione dei Sogni. (Galanti, Maria Antonella,

op.cit.p.124)

12 Lejeune,Philippe, Il patto autobiografico. Il Mulino, Bologna, 1975, p.12. 13 Ivi. p. 23.

14 Johnson in Cuddon, J.A. op.cit.p.68. 15 Ibid.

16Childs, P. Contemporary Novelists. British Fiction since 1970. Palgrave MacMillan, New York, 2005,

p. 13.

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Un autore non è una persona: è una persona che scrive e pubblica. La linea di contatto fra i due sta tra il fuori-testo e il testo. L’autore si definisce allo stesso tempo come persona reale socialmente responsabile, e come produttore di un discorso. Per il lettore, che non conosce la persona reale pur credendo alla sua esistenza, l’autore si definisce come la persona capace di produrre il discorso e lo immagina considerando ciò che produce.18

Infatti, spesso il testo autobiografico mette in luce degli elementi che non sono immediatamente espliciti nel racconto ma che vengono lasciati alla deduzione del lettore, che arriva, infine, a determinare l’identità comune del narratore e del personaggio principale.19

Inoltre, è possibile rilevare una trasformazione della authorship nel corso del tempo, in quanto nelle autobiografie più antiche, per raccontare le proprie gesta, si preferiva usare la terza persona, in modo da conferire al resoconto un’impronta più oggettiva, mimetizzandolo con la biografia per renderlo più celebrativo, mentre, in tempi più recenti, è raro incontrare autobiografie redatte in terza o addirittura in seconda persona, sebbene possano sembrare più versatili, in quanto permettono all’autore di introdurre più punti di vista, potendo distinguere tra narratore e personaggio.20

Nel Novecento, infine, sono state sviluppate ulteriori teorie linguistiche, in cui l’istanza narrativa che costituisce la prima persona non è tanto intesa come il soggetto materiale che impugna la penna, ma come soggettività astratta, identità pura, rappresentata da un pronome personale che, nella sua semplicità, individua l’essere. Questa variante, in linea con il pensiero postmoderno, si ripercuote profondamente sull’autobiografia fino a farla diventare un ripensamento sulle questioni legate all’identità e alla soggettività, piuttosto che una semplice narrazione di vicende personali.21

Tuttavia la validità della testimonianza autobiografica, non dipende solo dall’inevitabile soggettività dell’autore, come evidenziato da Johnson ma, soprattutto se destinata ad un pubblico, anche dai suoi scopi volontariamente perseguiti, come voler diffondere un pensiero, giustificare il proprio comportamento in determinate situazioni o valorizzare la propria carriera.

18 Lejeune, Philippe, op. cit. p. 23. 19 Ivi.p. 14.

20 Ivi. pp.15-16.

21Splendore, P. Il ritorno del narratore. Voci e strategie del romanzo inglese contemporaneo. Pratiche

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Inoltre, l’autobiografia può essere anche del tutto fittizia e presentare vicende verosimili o inattendibili per il semplice gusto dell’autore di voler dare un’immagine del tutto diversa dal reale, per esaltare situazioni o qualità ritenute più meritevoli o di successo o funzionali allo scopo prefisso.22

Il caso più frequente di autobiografia finzionale è quello in cui si lascia credere al lettore di trovarsi di fronte al racconto della vita dell’autore, per sua stessa ammissione nella premessa, e che poi si trasforma in un resoconto fittizio delle vicissitudini di quest’ultimo.23 Il dilemma morale del pubblico è decretare quale

comportamento corrisponda o meno alla realtà della persona.

A critical difference between fictional characters and real people is that the evaluation of a fictional character is made within a framework created by the work of literature, and the framework is an artificial world rather than our real social world. Who is a hero, who villain, is relative to the values that furnish the character’s fictional world rather than to our values. This defeats any project of comparing the characters in different works of literature along the ethical dimension.24

L’autore potrebbe usare uno pseudonimo, rendendo ancora più difficile l’operazione ermeneutica del pubblico, che si trova di fronte ad un romanzo, il cui personaggio presenta un nome diverso da quello dell’autore, e lasciare a ogni singolo lettore, secondo la propria sensibilità o preparazione culturale, il compito di stabilire se si tratti veramente di un’autobiografia e quanto la storia vissuta dal personaggio coincida o tragga ispirazione da quella dell’autore.25 In questo caso, è meglio parlare

di romanzo autobiografico.26

Storicamente, la prima attestazione autobiografica, nel senso proprio del termine, risale al quarto secolo con le Confessioni di Sant’Agostino e consiste nel resoconto spirituale in tredici volumi della vita del Santo che “dialoga con Dio” riguardo la sua conversione.

Esempi di autobiografia finzionale sono le Confessioni di Rousseau (1782-1789), in cui è lui stesso, dopo aver affermato la veridicità di quanto scritto, a non raccontare fatti corrispondenti alla realtà27 e, in tempi più recenti, In Search of a

Past (1984) di Fraser, dove l’autore non fa altro che inventare esperienze, sensazioni

22Si veda anche: Waugh, Patricia, Metafiction. cit.p.123; Cuddon, J.A. Dictionary of Literary Terms and Literary Theory. cit. pp. 68-70; Ceserani, Remo, Guida breve allo studio della letteratura, cit.

pp.32-35; p. 114.

23 Lejeune, Philippe, op.cit.p. 32.

24 Posner in Keen, Susanne, op.cit.p. 69. 25 Lejeune, Philippe, op. cit. pp. 24-25. 26 Ivi. p.25.

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ed emozioni, ritornando ad un’idea di “finta verità” e annullando la possibilità di lasciare un segno tangibile della propria esistenza nel mondo ed, in effetti, scrive: «Volevo vivere per scrivere, non scrivere per vivere».28

Intorno al diciassettesimo secolo, l’autobiografia diventa un genere molto affermato e, sulla scia del suo successo, si affermano anche altre forme narrative, come il diario o la scrittura memoriale che, con il tempo, acquisiscono peculiarità proprie, differenziandosi sempre di più dal genere originario.

1.3. La Corrispondenza Epistolare

Le lettere, come l’autobiografia, possono essere strumento per confessare i propri segreti più intimi ma, a differenza di essa, che si rivolge ex-post ad un pubblico passivo ed influenzabile, la lettera presuppone una collaborazione dialogica, una risposta da un ipotetico interlocutore, aiutante positivo del protagonista.29

Le lettere sono dispositivi dinamici che normalmente richiedono di essere inviate per esplicare le proprie potenzialità, e non possono alterare le situazioni in modo eccessivo, in quanto si rivolgono ad un interlocutore che, pur collaborativo, conosce almeno parte della realtà, quella oggettiva della vicenda e quella soggettiva dell’autore. Tuttavia, trattandosi di un espediente narrativo estremamente versatile, oltre alle lettere spedite e consegnate, possono assumere un significato anche quelle spedite e mai arrivate al destinatario e, soprattutto, quelle che non sono mai state spedite.

Per la loro comprensione assume rilevanza anche lo scopo per il quale vengono scritte: per informare, per mantenere un contatto, per avanzare una richiesta, in quanto sono elementi che possono aiutare a determinare se il contenuto sia reale o finzionale. Infatti, anche in caso di una corrispondenza reale, si deve procedere con

28 Splendore, Paola, op.cit. p. 78.

29Tipici aiutanti positivi del protagonista sono, per esempio, gli amici o la famiglia. Si veda il romanzo

epistolare di Richardson, Pamela or the Virtue Rewarded, nel quale la protagonista scrive di Mr. B. alla famiglia e rivolge loro domande e attende consigli. Per maggiori informazioni, si consulti: Keen, Susanne, op.cit. pp. 55-72.

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una valutazione che tenga conto dei canoni espressivi e contenutistici, che parta dall’accertamento della sincerità dello scrivente, attraverso la raccolta di informazioni circostanziali, l’analisi dei dettagli contenuti nel testo stesso e l’attenzione per i particolari, soprattutto quelli che sembrano giocare un ruolo di minore importanza rispetto a ciò che viene comunicato.30

Le lettere hanno subito una trasformazione nel corso del tempo: si passa dalla semplice distinzione tra lettera di contenuto privato e lettera commerciale, tesa alla conclusione di affari, a nuove forme che hanno seguito un’evoluzione sociale progressivamente più complessa. Infatti, si sviluppa la tipologia di lettera per la stampa, ovvero una lettera indirizzata ad un ente mediatico, affinchè il contenuto venga diffuso al pubblico o anche rivolta ad un’autorità sotto forma di petizione e sottoscritta da personalità che ne condividono il contenuto, con funzione di rivendicazione politica o per invettive contro la società vigente.31

La letteratura si è presto impossessata della tecnica narrativa della lettera e soprattutto nel diciottesimo secolo sono stati pubblicati svariati romanzi epistolari, tra cui si ricordano Pamela: or the Virtue Rewarded (1740) e Clarissa (1748) di Richardson (†1761) oppure Humphry Clinker (1771) di Smollett (†1771) in cui, le lettere hanno una loro funzione intrinseca e servono da motore all’intera vicenda: non c’è nessun bisogno di una firma ufficiale ma è accettabile anche qualche parola di commiato generica, come “Your dutiful daughter”, in quanto si presume che sia sempre la protagonista a scrivere le lettere e non altri; al contrario, nel caso di una reale corrispondenza, si tratterebbe di un elemento imprescindibile per la completa comprensione della missiva.

30Hutcheon, L. Narcissistic Narrative. cit. p.93. 31 Cuddon, J.A. op.cit. pp. 486- 487.

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1.4. Il Romanzo nel romanzo

Il termine romanzo ha avuto una lunga genesi letteraria, indicando, una grande quantità di testi con ampia varietà contenutistica, la cui unica somiglianza consisteva nella lunghezza della prosa.32

In concreto, si potrebbe definire il romanzo nel seguente modo:

The term denoted a prose narrative about characters and their actions in what was recognizably everyday life and usually in the present, with the emphasis on things being ‘new’ or a ‘novelty’. And it was used in contradistinction to ‘romance’.33

Nell’epoca contemporanea, il romanzo, pur mantenendo la sua essenza finzionale, assume delle caratteristiche nuove, più complesse e frammentate nel rispetto di una natura umana che muta e si evolve in base alla temperie culturale.34

Il romanzo, assecondando la tendenza a introdurre nella vita del lettore aspetti assenti ma desiderati, ne amplia la molteplicità e la natura e adotta un linguaggio adeguato per essere compreso da un pubblico sempre più ampio. In tal modo il romanzo contemporaneo, sempre più difficile da classificare in rigide categorie, diviene un genere particolarmente eclettico, che si riconosce nelle seguenti tipologie, spesso ibridandole: epistolare, sentimentale, sociale, accademico, gotico, storico, sociologico, psicologico, thriller, spionistico e, infine poliziesco.35

Il romanzo, similmente alle altre forme narrative, può avere un ruolo nella trama di un altro romanzo, ad esempio, nel caso del cosiddetto “manoscritto ritrovato”, che presenta caratteristiche particolari, rispetto agli espedienti narrativi già analizzati. Il manoscritto ritrovato, infatti, assolve la funzione morale alla quale sarebbe deputato l’autore-narratore, con lo scopo di legittimare l’opera e di certificarne la veridicità, rendendone palesi le origini al lettore, che spesso necessita di un assunto di verità per accettare un mondo narrativo illusorio.36

L’espediente narrativo del manoscritto ritrovato può assumere anche una funzione giustificativa da parte del narratore che, introducendo argomenti scabrosi o

32 Ivi. p. 599. 33 Ibid.

34Splendore, Paola, op. cit. pp. 139-143. 35 Cuddon, J.A. op. cit. p. 600.

36Il “patto finzionale con il lettore”, che assume quindi che il lettore accetti tutte le regole e le

caratteristiche intrinseche del mondo narrativo, senza mai contestarne, ai fini della logica del mondo umano, avvenimenti o circostanze, non è tenuto in considerazione da Farnetti. Per altre informazioni, si veda: Farnetti, M. Il manoscritto ritrovato. Storia letteraria di una finzione. Società editrice Fiorentina, Firenze, 2006, pp. 15- 46.

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delicati, ne rimanda la paternità al rinvenimento di un altro testo, origine del proprio romanzo, che assume la responsabilità degli argomenti trattati.

Infatti, all’interno di un romanzo che prevede il manoscritto ritrovato, l’autore delega il suo “doppio” come figura autoriale fittizia e si eclissa, ricalcando il ruolo del moderno curatore.

E laddove afferma che l’opera è vera, ne consegue che l’opera sia falsa. Nell’intento dunque di smentire la propria natura fittizia (falsa), l’opera altro non fa, paradossalmente, che confermarla. Il negare di mentire mentendo, di fatto confermando che si mente (anche laddove si tratti, come nel caso della fiction, di un mentire «senza profitto») è notoriamente un atto linguistico di per sé complesso, un trompe-l’œil dell’enunciazione di cui in secoli passati i retori indagarono ampiamente gli effetti.37

Infine, il manoscritto presenta sempre una scrittura imprecisa e insoddisfacente che necessita di essere trascritta oppure riassunta nel romanzo principale e generalmente è accompagnato da descrizioni che ne avvalorano la veridicità, quali le modalità, più o meno circostanziate, del ritrovamento, l’ingiallimento della carta o l’uso di un carattere antico per rimarcare la datazione, per esempio il font gotico per rafforzare l’idea che il manoscritto sia arcaico. Inoltre, per giustificarne la riscrittura, possono presentarsi anche ragioni estetiche, legate alla sintassi della grafia, con errori e arcaismi.38

Nel Settecento si assiste ad una vera e propria cultura del falso con James Macpherson (†1796) nei Canti di Ossian, dove l’autore finge di aver scoperto e tradotto i poemi di Ossian, un poeta scozzese che scriveva in gaelico.39

Successivamente, con l’avvento del romanzo storico, la tecnica si diffonde anche in Italia40.

Solitamente l’espediente viene reso noto subito, all’interno di una prefazione, dove si svela che si sta parlando di un manoscritto di cui essa fa parte e dove si parla del romanzo in sé.41 Meno diffuso è il ritrovamento del romanzo nei capitoli finali, in

quanto tale variante tecnica ha un effetto generalmente straniante sul lettore.

37Ivi.p.30. 38 Ivi.p.37.

39Sanders, A. Storia della Letteratura Inglese: dalle origini al secolo XVIII. A cura di Anna Anzi,

Mondadori Università, Milano, 2001, p.389.

40Tra gli autori italiani, si ricordano: Manzoni, Leopardi, Ariosto, Boiardo, Pulci, Alberti, Cuoco ed

Eco.

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Un’ altra variante può essere individuata nel caso in cui il romanzo sia l’opera di uno dei personaggi che, affianca l’intreccio principale e stabilisce con esso più o meno complessi rapporti di rispecchiamento, analogia o contrasto.

1.5. Il Memoriale

Il memoriale è una forma narrativa relativamente recente, che consiste nella raccolta dei ricordi più importanti di una persona, anche socialmente modesta, che ha compiuto un qualche gesto nella sua esistenza o ha partecipato ad avvenimenti eccezionali per l’epoca in cui è vissuta ed assume pertanto il valore di una testimonianza nel relativo ambito sociale, militare ecc.

Il memoriale non deve essere necessariamente redatto dalla persona che ricorda e, anche se opera di terzi, deve essere stilato in modo che sia di riferimento per i posteri, esattamente come accade in Black Dogs di McEwan, dove è Jeremy, una persona senza legami di sangue coi protagonisti, che si occupa di redigere il memoriale dei Tremaine, i genitori della moglie.42

Il memoriale può essere sia reale che finzionale, sia con riferimento al contenuto che al soggetto che ricorda, e presenta tutte le problematicità interpretative delle altre forme narrative, come l’autobiografia ecc.43

Il memoriale si presenta, quindi, in forma prevalentemente descrittiva ed è estremamente efficace per trasmettere un messaggio diretto, in quanto ha la capacità di rappresentare l’esempio da seguire ed è in grado di suscitare un senso di emulazione o stimolare una competizione.

Per tali caratteristiche si tratta di un device estremamente versatile, sebbene impiegato soprattutto al di fuori dell’ambito letterario,44 dove è stato adattato ad

altri strumenti mediatici a fini commerciali per pubblicizzare prodotti, oppure, com’è accaduto recentemente in un’azienda, dove è stato verificato che conoscere la vita del

42Ferrari, R. Ian McEwan. Le Lettere, Firenze, 2012, pp. 121-122. 43 Cuddon, J.A. op.cit.p. 539.

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proprio fondatore, attraverso un memoriale, ha contribuito ad innalzare il rendimento degli impiegati.45

1.6. Il Diario

I diari rientrano nel genere del Life Writing e svolgono un compito simile, per molti aspetti, al racconto autobiografico con la sostanziale differenza che il diario è strettamente personale, talvolta segreto e viene scritto di volta in volta da un autore, spesso di genere femminile o adolescente, mentre l’autobiografia risulta essere redatta ex-post da personalità eminenti, con scopi prefissati dall’autore e a beneficio di un certo pubblico.46

Il diario, quindi, può essere considerato un genere liminare che comunque completa la gamma della narrativa autobiografica comunemente conosciuta. Per spiegare al meglio questo concetto, si riportano le parole di Blodgett:

Diary keeping has been practiced so extensively by women because it has been possible for them and gratifying to them. The diary, by its nature as a genre of personal record, by the opportunity it offers the diarist to record what is important to her, and by the daily time that it claims for itself, counters the patriarchal attack on female identity and self-worth. A diary is an act of language that, by speaking of one's self, sustains one's sense of being a self, with an autonomous and significant identity.47

Il diario ha assunto, soprattutto in tempi passati, una funzione di rivalsa con cui la donna cerca di lasciare una testimonianza di sé contro la supremazia del maschio, mostrandosi come una persona attiva ed emancipata. Si tratta di un processo molto simile a quello efficacemente visualizzato da Virginia Woolf nel suo saggio, A Room

of One’s Own (1929), in cui si trattava l’importanza, per la donna, di disporre di un

luogo dove poter esprimere al meglio le proprie potenzialità. In questo caso, è il diario che svolge questo compito e si propone come luogo metaforico dell’espressione del sé.

45Il memoriale, infatti è risultato più efficace rispetto agli articoli in newsletter, all’autobiografia e ad

altri discorsi motivazionali. Per altre informazioni, si consulti: Linde, Charlotte op.cit. pp. 99-122.

46Shiffman, A. “ "Burn What They Should Not See": The Private Journal as Public Text in A. S.

Byatt's Possession”. Tulsa Studies in Women's Literature, 20,1, 2001, pp.93-94.

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Principalmente esistono due tipologie di diario, in base alla natura del loro contenuto:

Truly Private Diary è la forma in cui l’autore racconta le esperienze personali spinto da un forte impulso emotivo o da una lucida determinazione; è scritto di getto, giorno per giorno, o anche più volte al giorno, senza la minima omissione ma limitatamente ad un aspetto peculiare della vita dello scrivente in un dato periodo, tralasciando ogni elemento o dettaglio ad esso non strettamente connesso. Spesso è relativo ad un periodo circoscritto di tempo e non è destinato ad un pubblico, salvo qualche lettore in rapporto confidenziale, almeno fino a quando non sfuma l’emozione per l’argomento raccontato, in quanto assume una funzione terapeutica, di sfogo o prevalentemente riflessiva, come per facilitare l’autore a capire o agire in una determinata situazione particolarmente coinvolgente;

Public Private Diary: è un esercizio metodico, che scaturisce dall’abitudine dell’autore, il quale cerca di spiegare accadimenti della propria vita quotidiana. Essendo destinato ad un pubblico, che potrebbe anche giudicare, è generalmente molto preciso nei dettagli, con frequenti analessi su fatti trascorsi e permette meglio ad un lettore esterno di capire riferimenti a cose e persone,48 sebbene possa talvolta

essere omissivo nei fatti. Può raccontare ogni minima vicenda, traendone spunto per digressioni tecniche o lunghe descrizioni del quotidiano, ma può anche limitarsi solo agli eventi ritenuti particolarmente rilevanti, rappresentando in tal modo la variante testuale dell’album fotografico.

Solitamente i diari che sono appositamente redatti per essere inseriti in un contesto narrativo, se appartenenti alla prima categoria, sono arricchiti da piccoli indizi, al fine di rendere più semplice il compito di deduzione del lettore. Il contenuto risulterà, comunque, sempre parziale, per assecondare la natura dell’espediente narrativo che, inevitabilmente, conserva una certa intimità con il suo possessore,

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essendo niente più che un monologo, redatto in prima persona, senza alcun intervento esterno.

Per i diari della seconda categoria, invece, si presenta il problema di conferire attendibilità ai fatti narrati e di conseguenza i brani trascritti possono essere accompagnati da descrizioni di altri fatti, desunti da fonti diverse oppure, più frequentemente, vengono riportati lunghi inserti, che oltre a contenere fatti necessari a supportare l’intreccio principale, raccontano episodi del tutto secondari ma particolarmente verosimili.

Esistono infine, altri elementi che tuttavia rendono i diari maggiormente versatili come espedienti narrativi, ovvero la datazione e la frammentazione. Infatti, il diario è libero di non seguire un ordine cronologico, riportando fatti quotidiani che possono essere accaduti anche diversi giorni prima rispetto al momento della scrittura e, come altre tecniche narrative, può essere incompleto, in quanto alcune pagine possono essere omesse oppure possono essere talmente ingiallite da rendere ogni tentativo di decifrare il contenuto completamente inutile o ancora essere scritte con una calligrafia o un tipo di font non leggibile.

Storicamente la prima attestazione diaristica risale al sedicesimo secolo con il diario che il Re Edoardo VI teneva da ragazzino e pare che l’abitudine di tenere un diario sia stata una pratica diffusa tra gli uomini dotti anche nei secoli precedenti, sebbene tali attestazioni siano andate perdute. Il periodo di maggior successo della scrittura diaristica rimane il diciottesimo secolo, con la diffusione della moda del diario privato per signore e con resoconti di viaggi ispirati al Grand Tour, come

Viaggio in Italia di Goethe o altre opere di Smollett e Sterne. Ci sono poi i diari

intimi come Il diario di Anna Frank, che è scritto in forma di lettera o il diario intimo di Amiel e, nel corso del Novecento, si attestano anche diari di guerra o diari di appunti, come Il mestiere di vivere di Pavese.49

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1.7. La Fotografia

La fotografia è stata considerata per molto tempo come la testimonianza per eccellenza della realtà circostante, come una sorta di finestra per affacciarsi sul mondo esterno e carpirne le informazioni oggettive, prima di ritornare nel proprio intimo. A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, invece, la fotografia ha assunto progressivamente la nuova valenza di vero e proprio linguaggio, dove la funzione artistica ha prevalso sullo strumento puramente descrittivo, diventando consapevolmente un filtro sulla realtà, dove è il fotografo, divenuto autore a decidere cosa inserire all’interno della cornice.50 Si tratta quindi di un device dove la realtà

viene modificata, in primo luogo dalla personalità dell’artista che determina il soggetto in base al proprio punto di vista o alle proprie finalità e successivamente manipolata anche nella sostanza con strumenti tecnici, in grado di alterarne i colori o estromettere dettagli non desiderati.51

La fotografia non è solo un device visivo come rileva Mitchell, che la definisce come «deceptive appearance of naturalness and trasparence concealing an opaque, distorting, arbitrary mechanism of representation, a process of ideological mystification.».52 Proprio grazie al meccanismo arbitrario di rappresentazione, si può

parlare della fotografia come strumento semioticamente ibrido, poiché è parte

indexical and iconic. Peirce spiega che la fotografia può considerarsi indexical perché

mantiene vivo il suo rapporto con la realtà, mentre è iconic perché è somigliante all’oggetto che ritrae.53 Inoltre, si può aggiungere che la fotografia è un simbolo

universale, in quanto immediatamente fruibile da tutti.

Per quanto riguarda il significato intrinseco legato alla fotografia, è una testimonianza iconografica del passato e spesso può assumere anche connotazioni che ne istituzionalizzano la verità che riporta, in quanto è un’arte che può essere fortemente politicizzata se impiegata al fine di convincere le masse di una verità piuttosto che un’altra.54

50Tra i più famosi artisti del secolo, si ricordano: Barbara Kruger, Martha Rosler e Hans Haacke.

(Hutcheon, Linda, The Politics of Postmodernism. cit. pp.118-121.)

51 Nel periodo del Postmoderno, la fotografia traeva successo sia dall’oggettività che dalla soggettività,

utilizzando strumenti tecnologici o il semplice uso dell’estro creativo dell’artista. (Ibid.).

52 Ivi. p.121. 53 Ivi. pp. 130-131. 54 Ivi. pp. 131-138.

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Burgin spiega la peculiarità della fotografia postmoderna:55

The photograph inescapably implicates a world of activity responsible for, and to, the fragments circumscribed by the frame: a world of causes, of "before and after", of "if, then . . . ", a narrated world'.56

Infatti, Burgin non fa altro che aderire al movimento centrifugo della teoria postmoderna sulla fotografia, che implica una rete di relazioni esclusive e determinanti che si basano su altre forme di rappresentazione, le quali, rendendosi conto dei propri limiti intrinsechi, credono che solo la fotografia possa veicolare quello che le parole sono incapaci di comunicare riguardo la realtà. Per questo, secondo Abigail Solomon Godeau, la fotografia postmoderna si pone contro la fotografia modernista, con l’obiettivo ultimo di diventare un mezzo per la comunicazione di massa, al fine di orientare il pubblico verso un certo tipo di opinione o di prodotto, ad esempio, mostrare immagini dettagliate di bevande alcoliche per proporre la tematica dell’alienazione e del feticismo, come nel caso di artisti della fotografia postmoderna, Prince e Kruger.57

Infine, è importante sottolineare che:

Photography, therefore, is a specially revealing instance of the struggle between a modernist restricted field, with its stress on individuality, purity and essence, and the postmodernist expanded field, with its embrace of the contingent conditions which attend upon photography as a social practice. It is not surprising to find that the struggle of definitions in photography takes the form of a miniaturization of the struggle over definitions in the field of art as a whole, since photography stands at the problematic edge of art, marking the point where absorption has to be defended against theatricality, the aesthetic against the non-aesthetic.58

La funzionalità della fotografia è accresciuta dal trovarsi o meno all’interno di un album fotografico59 che in effetti può rappresentare un distinto artifact, tra l’altro

molto versatile, perché la memoria che veicola è plurale e collettiva. In primo luogo, l’album mostra una serie di foto che raccontano una storia o un episodio, come per esempio l’album di famiglia, che accoglie immagini di momenti particolari e specifici, pianificati appositamente, talvolta con espressioni o ambientazioni volutamente costruite. In secondo luogo, l’album fotografico è un supporto che, come il diario o il memoriale, viene redatto e arricchito appositamente per essere sfogliato da più

55 Connor, S. Postmodernist Culture: An Introduction to Theories of the Contemporary. Blackwell,

Oxford, 1996, pp. 104-108.

56 Ivi. p. 104. 57 Ivi. p. 105. 58 Ivi. p. 107.

59Si veda: Linde, C. Working the Past. Narrative and Istitutional Memory. Oxford University Press,

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persone e le fotografie, soprattutto se modificate, vengono necessariamente meno alla loro funzione di testimonianze iconografiche oggettive del passato e, in quanto

Artifacts, ricadono nel perpetuo abisso generato dal labile confine tra ciò che è

artificioso e ciò che è reale.60

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Capitolo II

Strategie narrative nel macrotesto di A.S.Byatt

2.1 Uno sguardo alla vita di A.S. Byatt

Antonia Susan Byatt nasce Drabble nel 1936 a Sheffield. È sorella della famosa scrittrice Margaret Drabble, autrice di diversi romanzi di successo.1

Byatt intraprende la carriera accademica insegnando letteratura inglese alla

University of London e poi alla Central School of Art and Design. Nel 1959 contrae il

primo matrimonio con Ian Charles Rayner Byatt, da cui ha due figli, di cui uno muore prematuramente. La relazione dura circa dieci anni, dopodiché Byatt, che manterrà sempre il cognome del primo marito, si sposa nuovamente con Peter John Duffy, dal quale ha due figlie.

Nel 1983 decide di abbandonare la carriera accademica per dedicare tutte le sue energie alla professione di scrittrice, dato il successo ottenuto con la pubblicazione di alcuni romanzi: The Shadow of the Sun (1964), in cui si racconta la storia di Anna Severell e del suo delicato rapporto con il padre; The Game (1967), che narra le vicende delle sorelle Corbett; e The Virgin in the Garden (1978), il primo romanzo della tetralogia di Frederica Potter.

Nel 1985 pubblica Still Life, il secondo libro della tetralogia, con cui si apre la fase più sperimentale di Byatt con nuove ambientazioni realistiche e che l’anno successivo ottiene il PEN/Macmillan Silver Pen of Fiction Prize.2

Nel 1987 pubblica la sua prima raccolta di short stories, intitolata Sugar and

Other Stories, che raccoglie racconti con elementi fantastici e, in parte,

autobiografici. Le raccolte successive saranno pubblicate nel 1992, Angels and

Insects, le cui storie sono ambientate nell’epoca vittoriana, e nel 1993 The Matisse

1 Alcuni dei romanzi più famosi di Margaret Drabble sono A Summer Bird-Cage (1963), The Garrick Year (1964), The Millstone (1965) e The Waterfall (1969). Maggiori informazioni si possono trovare in:

Moan Rowe, M. “Margaret Drabble” in: Shaffer, B.W, A Companion to the British and Irish Novel

1945-2000. Blackwell Publishing, New York, pp. 421-431.

2 Alfer e de Campos, A.S.Byatt. Critical Storytelling. Manchester University Press, Manchester and

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Stories, le quali s’incentrano su tre famosi quadri di Matisse e che servono per

raccontare le crisi esistenziali dei personaggi.

Comunque, il pieno successo della scrittrice giunge solo nel 1990, quando Byatt pubblica il suo capolavoro, Possession: A Romance, che le vale anche il prestigioso Booker Prize. L’opera le permette anche di guadagnare un’onorificenza dall’Impero Britannico, del quale diventerà “Dama” nove anni più tardi.

Seguono le pubblicazioni del terzo romanzo della tetralogia, Babel Tower (1996), e di The Biographer’s Tale (2000), incentrato sulla vita di un misterioso biografo e, sempre nello stesso anno, una raccolta di saggi On Histories and Stories, la sesta dopo Degrees of Freedom (1965), Wordsworth and Coleridge in their Time (1970), Iris Murdoch: A Critical Study (1976), Passions of the Mind: Selected

Writings (1991) e Imagining Characters: Six Conversations about Women Writers del

1995.

Nel 2002 si chiude la tetralogia sui Potter con l’ultimo romanzo, A Whistling

Woman, l’atteso epilogo con Frederica che, divorziata e con un bambino, si crea una

nuova vita a Londra.

Nel 2009 Byatt pubblica The Children’s Book, ispirato alle avventure della famiglia Wellwood ed infine, nel 2011, Ragnarok: The End of the Gods3,

profondamente legato alla mitologia germanica, dalla quale riprende a piene mani nomi e luoghi.

I romanzi di Byatt si distinguono per l’uso particolare del realismo, che molti critici hanno semplicemente definito come il racconto fedele della realtà. A ben vedere, il realismo di Byatt risente dell’influenza di molti scrittori, tra i quali George Eliot, Honoré de Balzac e Iris Murdoch: soprattutto nei primi romanzi, The Shadow

of the Sun e The Game, l’atteggiamento di Balzac nei confronti della fiction si unisce

alla visione critica della Murdoch. Specialmente nelle short stories, Byatt si avvicina al realismo traendo ispirazione dalle arti visive, in particolare la pittura di Van Gogh e Matisse, da cui il titolo di una delle raccolte, The Matisse Stories. Infatti, non esiste

3Per le informazioni sulla vita di A. Byatt mi sono avvalsa in particolare di Alfer, A. e Edwards De

Campos, A.J. op. cit. pp. XII – XIII. Per ulteriori approfondimenti, si veda anche: Morse, D.D. “Crossing Boundaries: the Female Artist and the Sacred Word in A.S. Byatt’s Possession.” In: Werlock, P. British Women Writing Fiction. University of Alabama Press, Tuscaloosa, 2000, pp. 148-149.

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