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Opportunità di certificazione di qualità sul pescato: il caso studio della pesca in Toscana.

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Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di laurea magistrale in

“Produzioni Agroalimentari e gestione degli agroecosistemi”

Opportunità di certificazione di qualità sul

pescato: il caso studio della pesca in Toscana

Primo relatore: Prof. Gianluca Brunori

Secondo relatore: Dott. Paolo Prosperi A.A. 2018/2019

Correlatore: Prof. Paolo Berni

(2)

INDICE

RIASSUNTO

1

PREMESSA

2

CAPITOLO 1: I SISTEMI DI QUALITA’

4

1.1- La nascita dei sistemi di qualità 4

1.2- La qualità secondo il sistema ISO 9

1.3- Le norme della serie ISO 9000 12

1.4- La tutela della salute del consumatore 15

1.5- Le normative riguardanti i prodotti alimentari e della pesca 16

CAPITOLO 2: IL SETTORE ITTICO

21

2.1 Il quadro generale 21

2.2 Le produzioni in Italia 25

2.3 Il comparto pesca in Toscana 29

2.4- I principali marchi di qualità dei prodotti ittici in Toscana 35

2.5- Obiettivi della tesi 38

CAPITOLO 3: METODOLOGIA

42

CAPITOLO 4: CASO STUDIO: IL MARCHIO “PESCATO COSTA TOSCANA”

41

4.1- Descrizione del progetto 43

4.2- Disciplinare di produzione 45

4.3- Manuale di tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti ittici 51

4.4- Regolamento d’uso del marchio 54

4.5- Componenti hardware e software per la tracciabilità e rintracciabilità 55

CAPITOLO 5: RISULTATI E DISCUSSIONE

57

5.1- La pesca in Toscana e la qualità del prodotto ittico 57

5.2- Ananlisi del marchio di qualità “Pescato Costa Toscana” 60

5.3- I rapporti business-to-business tra gli stakeholder 66

5.4- Il ruolo delle cooperative di pesca in Toscana 70

5.5- I rapporti tra gli operatori e le amministrazioni 73

(3)

CAPITOLO 6: CONCLUSIONI

86

BIBLIOGRAFIA

87

SITOGRAFIA

88

RIFERIMENTI NORMATIVI

89

INDICE TABELLE

Tabella 1.1: Evoluzione del concetto di qualità 8

Tabella 1.2: Relazioni tra le diverse tipologie di normative 11

Tabella 2.1: Esportazioni di prodotto ittico milioni di US$ 25

Tabella 2.2: Produzione in valore della pesca italiana nel Mediterraneo 29

Tabella 2.3: Principali parametri tecnici della flotta nazionale e occupazione 31

Tabella 2.4: Dati pesca in Toscana 32

Tabella 2.5: Catture, ricavi e prezzi per sistema di pesca in Toscana 32

Tabella 2.6: Catture, ricavi e prezzi per specie in Toscana 34

Tabella 4.1: Requisiti e normative per la pesca 48

Tabella 5.1: Organizzazioni di riferimento e vendita del pescato 72

Tabella 5.2: Normative e difficoltà nella loro attuazione 78

INDICE FIGURE

Figura 1.1: Strumenti per la gestione della qualità 10

Figura 1.2: Schema di riferimento per il controllo qualità 10

Figura 1.3: I vantaggi derivanti dall'applicazione delle norme ISO 9000 14

Figura 1.4: Logo certificazione ISO della serie 9000 15

Figura 2.1: Produzione mondiale di pesce 22

Figura 2.2:Importazioni di prodotto ittico milioni di US$ 24

Figura 2.3: Produzione in volume della pesca italiana 26

Figura 2.4: Produzione in volume della pesca italiana per sistemi di pesca 28

Figura 2.5: Localizzazione delle imbarcazioni da pesca 30

Figura 2.6: Loghi Dolphin Safe e Friend of the sea 38

Figura 3.1: Area di ricerca 40

Figura 4.1: Il marchio Pescato Costa Toscana 44

(4)

Figura 4.3: Percorso di tracciabilità 53

Figura 4.4: Etichettatrice e modulo per invio dati 55

Figura 4.5: Componenti software ed hardware del marchio di qualità 56

Figura 5.1: Gli elementi della qualità del prodotto ittico 59

Figura 5.2: Punti di debolezza del marchio di qualità Pescato Costa Toscana 65

Figura 5.3: Rapporti business-to-business nella filiera del pescato toscano 69

INDICE ALLEGATI

Questionario di riferimento delle interviste semi-strutturate. 90

Intervista 1 92 Intervista 2 95 Intervista 3 98 Intervista 4 102 Intervista 5 105 Intervista 6 108 Intervista 7 111 Intervista 8 112 Intervista 9 114 Intervista 10 117 Intervista 11 119 Intervista 12 121 Intervista 13 124 Intervista 14 127 Intervista 15 129

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1

RIASSUNTO

Il settore della pesca in Toscana ha vissuto delle profonde trasformazioni nel corso dell’ultimo trentennio. Il calo numerico delle imbarcazioni appartenenti alle categorie della piccola e grande pesca è stato accompagnato dalla riduzione del numero degli addetti nel settore. Questi fattori, in concomitanza con la crescita delle importazioni di prodotto ittico proveniente dagli stati esteri, con l’incremento delle produzioni derivanti dall’acquacoltura e l’evoluzione delle norme riguardanti la filiera della pesca, stanno contribuendo al declino delle piccole realtà di pesca locali che rischieranno sempre più di occupare un ruolo marginale nel futuro delle produzioni ittiche.

In Toscana le cooperative di pesca e le organizzazioni dei produttori hanno tentato di arginare questo fenomeno attraverso iniziative mirate a rilanciare i prodotti locali, tra cui il marchio di qualità “Pescato Costa Toscana”, con l’obiettivo di creare una certificazione capace di promuovere i prodotti ittici e rilanciare la pesca locale.

Con lo scopo di analizzare le opportunità della certificazione di qualità del pescato toscano, abbiamo descritto il quadro generale ed economico del settore ittico internazionale, italiano e locale, ripercorrendo i punti salienti nell’evoluzione normativa delle certificazioni attraverso l’analisi del loro ruolo nei rapporti tra gli stakeholder. In un secondo momento abbiamo analizzato la struttura del marchio di qualità “Pescato Costa Toscana” e abbiamo intrapreso un’indagine sul campo coinvolgendo gli armatori delle barche, gli operatori ed i presidenti delle cooperative, così da poter individuare le principali criticità del settore ittico toscano e l’opportunità di un marchio di qualità del prodotto.

Attraverso i risultati ottenuti nel corso della nostra analisi abbiamo potuto evidenziare alcune criticità della pesca in Toscana come l’efficacia del fermo pesca, le difficoltà nei rapporti di governance con le amministrazioni da parte dei pescatori e la mancanza di coordinamento tra gli attori della filiera per la creazione di una certificazione di qualità. Per concludere abbiamo discusso i risultati ottenuti confrontandoli con quelli derivanti da altri studi ed iniziative di certificazione di qualità del pescato in altre zone di pesca italiane.

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2

PREMESSA

Da diversi anni in Toscana viene espressa dalla maggior parte degli operatori del settore ittico la necessità dell’unificazione dei prodotti attraverso un marchio di qualità per il pescato, così da poter arginare la crisi del comparto pesca, riuscendo a far fronte alla crescente concorrenza generata dalle importazioni estere attraverso la valorizzazione delle produzioni ittiche locali.

Questa esigenza viene evidenziata anche dai consumatori, che chiedono in misura sempre maggiore di essere informati sulla sicurezza degli alimenti e su tutti gli aspetti del prodotto dall’origine alla vendita.

Per poter raggiungere questo obiettivo, occorre ottimizzare i processi produttivi, controllando le procedure e le relazioni tra gli stakeholder lungo tutta la filiera. In questo modo la garanzia sulla sicurezza e la qualità totale del prodotto diventano quindi una logica conseguenza della validità del processo.

Attraverso l’adozione delle certificazioni di qualità ai sensi della normativa UNI EN ISO 9001 (gestione dei sistemi di qualità), gli attori della filiera della pesca posso decidere di commercializzare il proprio prodotto attraverso un’etichetta comune che garantisca l’adozione di determinati standard qualitativi.

In questo lavoro di tesi viene presentato il quadro generale del settore ittico con particolare riferimento alle peculiarità della pesca in Toscana, puntando l’attenzione ad un progetto di rintracciabilità di filiera e valorizzazione della qualità dei prodotti della pesca: il marchio di qualità “Pescato Costa Toscana”.

La redazione del lavoro si articola in quattro fasi.

La prima fase introduce i sistemi di qualità e la loro importanza al fine della valorizzazione dei prodotti e dei processi produttivi.

La seconda fase fornisce un quadro generale del settore ittico con lo scopo di delineare lo stato della pesca in Toscana attraverso dati statistici elaborati da fonti FAO, Istat ed Ismea. La terza fase focalizza l’attenzione sulla struttura del marchio di qualità “Pescato Costa Toscana” e sulle sue componenti principali attraverso l’analisi dei documenti che lo costituiscono, identificati rispettivamente nel disciplinare di produzione, il manuale di tracciabilità e rintracciabilità dei prodotti ittici ed il regolamento d’uso del marchio di qualità.

(7)

3

La quarta fase, infine, discute i dati raccolti direttamente sul campo attraverso un’indagine svolta sui soggetti principali della filiera del comparto pesca toscano, confrontandoli con quelli raccolti da altri studi ed iniziative di certificazione di qualità del pescato in altre zone di pesca italiane.

In questo modo il lavoro di tesi cerca di individuare i punti di forza e di debolezza dell’iniziativa “Pescato Costa Toscana”, mettendo in luce le necessità degli stakeholder ed evidenziando le criticità della filiera del prodotto ittico locale.

(8)

4

CAPITOLO 1

I SISTEMI DI QUALITA’

Le normative a carattere nazionale ed internazionale sulla sicurezza e la qualità alimentare, unite alle crescenti attenzioni dei consumatori in questo campo, caratterizzano il contesto di regole stringenti al livello comunitario e nazionale e quindi gli scambi e la vendita dei prodotti agroalimentari.

I produttori primari e gli imprenditori del settore agricolo, agroalimentare, ittico, difficilmente possono sottrarsi alla conoscenza dei sistemi di qualità e alle regole che ne stanno alla base.

1.1 NASCITA DEI SISTEMI DI QUALITA’

I sistemi di qualità fanno la loro comparsa nello scenario europeo durante la seconda meta del ‘900, sulla scia degli standard qualitativi introdotti nelle produzioni industriali del Nord America e giapponesi durante il secondo conflitto mondiale, poi estese alla produzione civile.

Il concetto di qualità non può essere definito in maniera statica, ma si modifica di pari passo alle mutazioni delle esigenze dei consumatori e degli operatori della filiera (Tabella 1.1). Nella prima metà del ‘900 la qualità veniva intesa come il controllo continuo dei sistemi e dei prodotti, così da ottenere una standardizzazione delle produzioni con l’obiettivo di incrementare la quantità attraverso l’utilizzo di modelli organizzativi complessi (Luca Pavletic, 2016).

Tutto ciò è stato motivato dalla necessità di sottoporre le variabili di processo a rigidi controlli per poter far fronte a quantità sempre più elevate di prodotto a costi sempre inferiori. Per cercare di far fronte a queste esigenze vengono applicati i primi metodi statistici per il controllo della qualità. Principalmente lo scopo del controllo qualità era quello di cercare di garantire la conformità del prodotto, verificando i punti critici della produzione attraverso l'esame dei difetti ripetitivi, con l'obiettivo principale di separare i prodotti conformi da quelli non conformi.

(9)

5

Tra il 1920 e il 1945 W. Shewhart durante il suo lavoro ai laboratori della Bell Telephone mette a punto delle tecniche statistiche efficaci per valutare l’intero processo produttivo: le

carte di controllo.

Le carte di controllo sono degli strumenti per cercare di ridurre la varianza nel processo produttivo, così da limitare le differenze tra prodotti e standardizzare la produzione. Oltre a questo aspetto attraverso l’analisi statistica Shewhart riuscì ad elaborare dei programmi di controllo per la manutenzione delle macchine così da poter eseguire la manutenzione su di esse prima di incorrere in guasti e problemi tecnici dipendenti dall’usura.

L’evoluzione del concetto di qualità inizia a prendere forma incontrando due snodi fondamentali descritti qui di seguito:

• 1945: V. Feigenbaum pubblicaQuality as Management” in cui descrive la sua

esperienza presso la “General Electric” e l’applicazione del “Total Quality Control”, associando il concetto di qualità a quello di totalità.

V. Feigenbaum rispetto al concetto di qualità affermava che “Il principio di fondo della

visione totale della qualità e la sua differenza di base da tutti gli altri concetti simili è che essa fornisce efficacia reale, Il controllo deve iniziare con l'identificazione dei requisiti di qualità del cliente e terminare solo quando il prodotto è stato messo nelle mani di un cliente che rimane soddisfatto. Il totale controllo qualità guida l'azione coordinata di persone, macchine e informazioni per raggiungere questo obiettivo. Il primo principio da riconoscere è che la qualità è il lavoro di ogni corpo “(Total quality Control, V. Feigenbaum 1951).

• 1946: venne fondata la American Society for Quality Control che successivamente si evolverà nella American Society for Quality.

Dal 1950 alcuni tra i pionieri del controllo qualità tra i quali Deming vengono inviati in Giappone per la ricostruzione del paese, attraverso la collaborazione con i docenti di statistica locali iniziano a portare oltre oceano le idee di Feingebaum e dei suoi colleghi. I principi del controllo della qualità riscuotono un grande successo in Giappone.

Nel 1959 viene emessa dal Dipartimento della Difesa americano la prima norma riguardante la qualità e il suo controllo, lo standard militare "Quality program

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6

requirements”. Esso richiedeva un modello organizzativo che garantisse l’assicurazione

della qualità per gli standard richiesti.

Dal 1960 in Giappone iniziano a prendere forma i primi circoli della qualità, nei quali si assiste alla riunione di piccoli gruppi di lavoratori che si incontrano con i loro supervisori per discutere e proporre azioni migliorative. Attraverso questi passaggi si inizia a parlare sistematicamente di politiche della qualità. Questo aspetto non può essere messo in secondo piano dato che l’attenzione verso queste nuove strategie porterà grandi benefici all’economia giapponese grazie al grande incremento dell’export.

Parallelamente il contesto europeo sta completando la ricostruzione del dopo guerra, periodo storico segnato dalle prime avvisaglie di cedimento in merito alle politiche di sovrapproduzione. A partire dagli anni settanta si assiste alla necessità delle imprese di differenziare la produzione, con il fine di essere concorrenziali sul mercato inserendo un prodotto superiore rispetto alla media del resto dei prodotti.

Grazie a questi cambiamenti storici il Giappone ha potuto inserirsi con forza nei mercati occidentali a partire dagli anni settanta, puntando sulla qualità garantita dai suoi prodotti. I giapponesi, attraverso il percorso di attenzione alla qualità intrapreso fino a quel momento, riuscirono ad integrare la cultura della qualità nei loro processi gestionali e produttivi, adempiendo così al miglioramento continuo al fine di ottenere un prodotto finale degno di grande considerazione.

Col passare del tempo e con l’aumento del livello culturale medio dei cittadini progressivamente assistiamo ad una evoluzione delle richieste dei consumatori, i quali iniziano a concentrarsi sempre più sulla differenziazione dei prodotti in base alla loro qualità richiedendo beni sempre più curati sotto ogni aspetto, a fronte del prezzo che sono disponibili a pagare.

Nel 1979 le British Standards Institution (Organizzazioni britanniche di standardizzazione) pubblicarono la normativa BS 5750 (equivalente delle norme della serie ISO 9000) per i Sistemi Qualità, essa può essere considerata come la progenitrice delle attuali norme ISO 9001, successivamente nello stesso anno viene istituito il comitato tecnico TC 176 che tutt’ora possiede il compito di aggiornare le norme della serie ISO 9000.

Successivamente nel 1983 viene lanciata nel Regno Unito la prima campagna nazionale per la qualità. Poco dopo in Francia viene istituito un premio nazionale per la qualità e vengono

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7

lanciate diverse iniziative per promuovere lo sviluppo di produzioni di qualità. Nel 1987

l’International Organization for Standardization adottò il codice britannico BS 5750 e

pubblicò di una serie di norme chiamate ISO 9000 che attualmente fondano la base degli standard internazionali.

Dal 1992 ogni anno viene assegnato il premio European Quality Award che definisce un modello comune di applicazione della qualità.

In Italia i primi approcci alla qualità risalgono al 1981 con l’introduzione dei circoli di

qualità, facendo intravedere la necessità di concretizzare anche in Italia i concetti elaborati

in Giappone. I circoli della qualità vengono anche definiti come tecniche bottom-up che assumono una sempre maggiore importanza per l'emersione dei problemi aziendali dal basso verso l'alto, quindi in tutti gli strati del sistema produttivo. Ai circoli si può attribuire il merito di aver incentivato il miglioramento, le capacità gestionali e la leadership dei responsabili nei vari settori aziendali contribuendo a creare un ambiente favorevole al miglioramento produttivo. Merito dei circoli è anche quello di aver aumentato la collaborazione tra gli attori del processo produttivo, contribuendo a trovare nuove soluzioni ai problemi partendo dal basso dell’organizzazione.

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8

Tabella 1.1 "Evoluzione del concetto di qualità"

PERIODO

ZONA DI

SVILUPPO

CONCETTO DI QUALITA’

1920-30 Europa

La qualità viene intesa come: -Controllo variabili di processo. -Aumento delle quantità prodotte. 1930-40 Stati Uniti

Walter Shewhart introduce i primi approcci statistici efficaci per valutare l’intero processo produttivo.

1946-47 Stati Uniti

V. Feigenbaum inserisce il concetto del controllo totale della qualità, nasce l’American Society for Quality Control.

1951 Giappone

E. Deming collabora con i docenti di statistica giapponesi, il controllo qualità prende piede in Giappone 1959 Stati Uniti

Emissione da parte del Dipartimento di Difesa americano della” Quality

program requirements”

1960-1970 Giappone

Si inizia a parlare sistematicamente di politiche della qualità e parallelamente nascono i primi circoli della qualità

1970 Europa

Il Giappone si inserisce con successo sui mercati internazionali grazie alla qualità superiore dei suoi prodotti 1979 Regno Unito

Nasce la BS 5750, progenitrice dell’attuale ISO 9000. Viene inoltre istituito il comitato TC 176

1981 Italia

Nascita dei primi circoli della qualità

1983 Regno Unito

Viene lanciata la prima campagna nazionale in favore della qualità

1987 Europa

Pubblicazione norme ISO 9000 (base degli attuali riferimenti normativi) Fonte: "nostra elaborazione su dati storici"

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9

1.2 LA QUALITA’ SECONDO IL SISTEMA ISO

L’ International Organization for Standardization abbreviata con la sigla ISO nasce il 23

febbraio 1947 a Ginevra. Inizialmente l’organizzazione era composta da ingegneri provenienti da 25 diversi paesi, uniti con l’obiettivo comune di creare una cooperazione per “facilitare la coordinazione internazionale nella definizione di standard industriali” (www.ISO.org).

Attualmente l’organizzazione è composta dai membri di 161 paesi e continua a lavorare generando normative da applicare per la sicurezza e la qualità dei prodotti destinati ad ogni settore. L’ ISO conta circa 22151 documenti pubblicati in tutti i campi che spaziano dall’industria alla qualità alimentare.

Il sistema ISO viene dunque adottato per riuscire ad affermare la presenza di standard obbligatori comuni a prodotto di diversa provenienza. Le norme del sistema ISO negli anni hanno attraversato un processo di sviluppo legato all’evoluzione delle necessità comuni in campo internazionale partendo dalla necessità di un sistema di gestione della qualità. Le normative ISO 9000 apparse dal 1987 stabiliscono le caratteristiche che deve avere un sistema di gestione della qualità al fine di identificare i processi aziendali, migliorandone l'efficienza nella realizzazione dei prodotti e nell'erogazione dei servizi con lo scopo di standardizzare i processi produttivi ed i prodotti, assicurarne la tracciabilità, la qualità e la sicurezza, aumentare la soddisfazione del cliente finale.

Questo approccio si sviluppa identificandosi nel concetto di “Total Quality Management

(TQM)”, esso comprendente da un lato l’insieme delle azioni intraprese per migliorare

continuamente la qualità dei prodotti e dei servizi, mentre dall’altro include nella realizzazione del sistema di qualità chiunque sia coinvolto nella fornitura del prodotto o dei servizi che ruotano intorno ad esso.

Il controllo totale della gestione della qualità è un obiettivo di primaria importanza nell’organizzazione aziendale. La comprensione delle esigenze del cliente da parte dell’azienda e l’integrazione di questi elementi nell’organizzazione aziendale permette di generare degli output qualitativamente soddisfacenti. (Figura 1.1)

(14)

10

Figura 1.1"Strumenti per la gestione della qualità"

Fonte: "nostra elaborazione su normative europee"

Il sistema di gestione della qualità prevede che per generare delle produzioni di qualità si

parta da un progetto, il quale, attraverso un sistema di gestione della produzione, possa controllare i processi ed i prodotti. Così facendo si riesce ad ottenere un prodotto di qualità capace di soddisfare le esigenze del consumatore nel rispetto delle normative di riferimento. (Figura 1.2)

Figura 1.2 "Schema di riferimento per il controllo qualità"

Fonte: "nostra elaborazione su normative europee"

GESTIONE DELLA

QUALITA’

PIANIFICAZIONE ATTIVITA’ DI GESTIONE CONTROLLO DELLA PROGETTAZIONE

CONTROLLO DEI PRODOTTI E DEI SERVIZI QUALIFICA DEI FORNITORI MONITORAGGIO DEGLI OUTPUT INDICATORI DI PROCESSO

PROGETTO

SISTEMA DI GESTIONE

DELLA PRODUZIONE

QUALITA’

PROCESSI

PRODOTTI

QUALITA’

(15)

11

Le norme ISO 9000 non sono norme di certificazione di prodotto ma bensì di sistema qualità. Questo fa si che venga data molta importanza alla realizzazione di un prodotto a partire da un progetto (Figura 1.2). Detto questo occorre però precisare che non sono solo presenti normative a carattere internazionale come le ISO ma anche normative più “restrittive “a carattere europeo e nazionale.

Possiamo così individuare più livelli di normative attraverso le quali viene commercializzato un prodotto o viene elaborata un’eventuale certificazione per la distinzione del prodotto stesso. Le norme vengono così adattate in maniera specifica ai diversi paesi o alle diverse regioni geografiche, in questo modo possiamo distinguere normative UNI, UNI-ISO, UNI-EN e UNI-EN-ISO (Tabella 1.2).

Tabella 1.2 "Relazioni tra le diverse tipologie di normative"

NORMA

TIPOLOGIA

UNI

Norme elaborate in ambito nazionale con valore

confinato allo stato di riferimento.

UNI-ISO

Norme elaborate in ambito internazionale e poi

recepite a livello nazionale.

UNI-EN

Norme elaborate a livello europeo ed

obbligatoriamente recepite a livello nazionale.

UNI-EN-ISO

Norme elaborate a livello internazionale poi recepite a

livello europeo e poi a livello nazionale.

Fonte: " nostra elaborazione su normative europee"

Il rispetto delle normative di riferimento è vincolante per la commercializzazione del prodotto ed il produttore si deve adattare agli “standard di produzione “richiesti dai paesi verso cui si vuole destinare il prodotto.

(16)

12

Il sistema normativo prevede la presenza di tre soggetti principali per garantire il rispetto degli standard. In base a quanto detto possiamo dividere nelle categorie di seguito riportate gli attori nel quadro della normazione:

• Enti normatori: sono enti riconosciuti con la funzione di elaborare, pubblicare e diffondere le norme di riferimento. Un esempio è dato dagli organismi indicati fino ad ora in questo elaborato, come l’ISO, l’UNI, l’EN.

Enti di Accreditamento: sono enti riconosciuti aventi la funzione di qualificare gli operatori della valutazione di conformità. Sul territorio nazionale troviamo “Accredia”, l’Ente Unico di certificazione italiano.

• Soggetti accreditati: Sono operatori della valutazione di conformità come laboratori, centri di taratura, organismi di certificazione, centri d’ispezione (nel proseguo dell’elaborato sarà preso in considerazione l’ente DNV-GL, designato come soggetto di controllo nel caso studio del marchio di qualità “Pescato Costa Toscana”).

1.3 LE NORME DELLA SERIE ISO 9000

Dalle norme della serie ISO 9000, scaturiscono le normative attuali riguardanti gli standard internazionali.

I principi di base delle norme ISO 9000 definiscono i seguenti concetti:

• Le norme ISO definiscono l’obiettivo qualitativo che deve raggiungere l’azienda.

• Le norme ISO sono norme complementari e quindi non alternative alle norme sulla qualità adottate dagli stati membri in funzione di un determinato bene o servizio. Questo principio implica che il bene prodotto in rispetto delle norme ISO generi un feedback positivo in merito alla percezione pari o superiore della qualità intrinseca dell’oggetto.

• Le norme sono generali ed univoche, questo sta a significare che non dipendono dal contesto in cui vengono applicate e trovano applicazione a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dall’indirizzo produttivo, dall’organizzazione aziendale e da ogni altra caratteristica particolare di quel settore produttivo.

(17)

13

Le norme ISO 9000 si rivelano strategicamente importanti per quelle realtà che cercano di trarre vantaggio dall’utilizzo di un sistema di qualità certificato, rappresentando uno strumento importante per creare del valore aggiunto e differenziare qualitativamente i propri output. Riuscire ad iniziare un percorso di fidelizzazione del cliente si rivela oggi più che mai una necessità e l’applicazione delle norme ISO 9000 può essere un elemento cardine per l’affermazione di un’azienda e per la conferma della sua credibilità.

In base a quanto detto possiamo evidenziare diversi vantaggi derivanti dall’applicazione delle norme ISO 9000 (Figura 1.3) tra cui sicuramente individuiamo alcuni aspetti non trascurabili come la maggiore crescita del personale e la maggiore attenzione collettiva verso il miglioramento attraverso una definizione maggiore dei ruoli aziendali e delle relative responsabilità nei vari settori produttivi. La definizione dello standard di un prodotto finale porta ad un miglioramento nella comunicazione interna ed esterna, valorizzando la piacevolezza di un prodotto e contribuendo al miglioramento dell’immagine dell’azienda produttrice. Il rispetto delle norme ISO 9000 porta così al miglioramento ed allo sviluppo dell’intero processo produttivo.

La serie di norme ISO pubblicate nel 1987 comprende diverse normative così suddivise: • ISO 9000 → Contenente i “concetti e le terminologie “.

• ISO 9001 → Riguardante i “requisiti del sistema “.

• ISO 9004 → Sezione specifica in merito alla gestione del sistema.

• ISO 19011 → Contenente le linee guida degli audit e dei sistemi di gestione.

Le norme ISO hanno subito diverse modifiche nel corso degli anni per riuscire a garantire una compatibilità con il cambiamento storico e le nuove necessità da parte dei consumatori e degli attori nella filiera, tre nuovi testi di normative ISO sono stati pubblicati dal primo del 1987, rispettivamente nel 1994, 2000 e 2008.

Attualmente la nuova normativa ISO 9000 del 2015 porta il concetto di qualità su un nuovo piano, mettendo in evidenza soprattutto la “gestione del rischio “a livello aziendale.

Attraverso la gestione del rischio si cerca di monitorare a livello statistico quali siano i rischi principali per tutti gli stakeholders. Possiamo interpretare correttamente la gestione dei rischi in azienda attraverso una valutazione dei rischi per capire quali siano accettabili e

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14

quali non lo siano. Successivamente si procede creando un piano che ci consenta di agire limitando i rischi per poi valutare la risposta ottenuta, per concludere il processo di analisi del rischio si cerca di valutare la totalità dell’esperienza per andare a considerare i punti deboli del processo così che in futuro si riesca ad agire senza ripetere gli errori fatti fino a quel momento.

Le certificazioni ISO (Figura 1.4) rappresentano quindi la base della qualità e di conseguenza rappresentano il primo obiettivo da raggiungere nell’organizzazione aziendale.

Figura 1.3 "I vantaggi derivanti dall'applicazione delle norme ISO 9000 "

Fonte: "elaborazione dell’autore sulla base dei regolamenti ISO"

Norme della serie

ISO 9000

Maggiore garanzia di

soddisfazione per il cliente

Miglioramento di processi,

prodotti e servizi

Riduzione dei costi della

mancanza di qualità

Miglioramento del clima di

lavoro e definizione dei

ruoli

Miglioramento complessivo

dell’immagine aziendale

(19)

15

Figura 1.4 "Logo certificazione ISO della serie 9000 "

Fonte: web

1.4 LA TUTELA DELLA SALUTE DEL CONSUMATORE

Per riuscire a valorizzare un prodotto esprimendone a pieno le potenzialità non è sufficiente il rispetto delle norme UNI EN ISO ma occorre intraprendere strategie alternative, sfruttando le occasioni che la legislazione mette a disposizione degli imprenditori.

Molto spesso le scelte alimentari dei consumatori sono influenzate da eventi particolari, possiamo citare in merito eventi come la BSE o l’influenza aviaria che hanno portato al crollo dei mercati rispettivamente della carne bovina e del pollame. Per scongiurare queste problematiche le istituzioni si sono mosse negli anni verso la creazione di regolamenti capaci di far fronte alle nuove necessità dei consumatori salvaguardandone al tempo stesso la sicurezza e la salute.

Nel gennaio del 2000 la Commissione Europea si è mossa verso questa direzione mediante la pubblicazione del “Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, (2000)”. Nel documento sono contenute delle linee guida su come organizzare la sicurezza degli alimenti e su come svilupparla in maniera funzionale ed integrata.

Grazie ai contenuti di questo documento è stata istituita l’“Autorità Europea per la

Sicurezza Alimentare” (EFSA), punto di riferimento scientifico per l'Unione Europea in materia di sicurezza degli alimenti. Per cercare di organizzare la sicurezza degli alimenti in modo più organico ed integrato, oltre alla creazione di un’Autorità Alimentare Europea

(20)

16

autonoma è stato elaborato un quadro normativo capace di coprire tutti gli aspetti connessi con i prodotti alimentari, cercando di incrementare gli elementi di controllo del sistema e creando un dialogo tra tutte le parti convolte.

I principi generali per una sicurezza degli alimenti possono essere così riassunti:

• Occorre applicare una strategia comune a tutta la filiera, durante tutto il percorso intrapreso dall’alimento, dalla produzione al consumo.

• I ruoli nel sistema alimentare devono essere ben definiti, differenziando bene i vari organismi di controllo da quelli produttivi così che si possa operare in un sistema ordinato.

• La tracciabilità dell’alimento e delle materie prime diventa un elemento cardine e di primaria importanza nel sistema alimentare.

• Viene confermata l’importanza dei pareri scientifici per riuscire a portare sulla tavola un prodotto sicuro e di qualità.

• La “Risk Analysis” (RA), diventa un elemento fondamentale per la salvaguardia del consumatore, essa si identifica in tre elementi principali definiti come la gestione, la

comunicazione e la valutazione del rischio. Attraverso la gestione del rischio si

consultano le parti interessate nel processo che eseguono azioni di controllo. Con la comunicazione del rischio invece si trasmettono le informazioni tra gli attori del sistema, cercando di operare in maniera coerente per prendere tempestivamente tutte quelle decisioni necessarie alla salvaguardia della sicurezza.

1.5 LE NORMATIVE RIGUARDANTI I PRODOTTI ALIMENTARI E DELLA PESCA

Le norme riguardanti i requisiti igienici dei prodotti alimentari fanno riferimento a due regolamenti distinti: il regolamento CE 852/2004 “sull’igiene dei prodotti alimentari “ed il regolamento CE 853/2004 che stabilisce le “norme specifiche in materia di igiene per gli

alimenti di origine animale”.

Il regolamento CE 852/2004 regola le prassi igieniche per “tutti coloro che lavorano nel

settore alimentare “. Vengono così normati i seguenti punti critici lungo tutti i punti della

filiera:

(21)

17

• Le condizioni di trasporto. • I rifiuti alimentari.

• Il rifornimento idrico.

• L’igiene personale e la formazione degli addetti del settore. • Il confezionamento e l’imballaggio.

• Il trattamento termico.

Tutti questi punti rappresentano gli snodi fondamentali da controllare lungo il sistema produttivo. Nei processi sopra citati possono evidenziarsi diverse criticità come contaminazioni o alterazioni delle caratteristiche organolettiche e qualitative del prodotto finale.

Il regolamento precedentemente citato viene integrato dal regolamento CE 853/2004 che va a prendere in considerazione le norme igieniche nel settore delle carni, molluschi, pesce e latte. Il regolamento si presenta in linea con i metodi di produzione tradizionali ed abilita le autorità alimentari nazionali a concedere speciali deroghe per le regole in materia di igiene in ciascun settore considerandone le specifiche necessità.

Alla sezione otto del regolamento CE 853/2004 troviamo le norme igieniche relative ai prodotti della pesca, in esso vengono descritte dettagliatamente tutte le operazioni lungo la catena produttiva e gli obblighi strutturali e tecnici delle imbarcazioni e delle strutture di stoccaggio.

Nel regolamento vengono distinti i prodotti per il consumo fresco dai prodotti destinati alla trasformazione. In merito ai prodotti per il consumo fresco il regolamento specifica che: “Se non vengono distribuiti, spediti, preparati o trasformati immediatamente dopo essere

arrivati in uno stabilimento a terra, i prodotti refrigerati non imballati devono essere conservati sotto ghiaccio in strutture adeguate. Va reimmesso ghiaccio ogniqualvolta sia necessario. I prodotti della pesca freschi imballati devono essere refrigerati a una temperatura che si avvicini a quella del ghiaccio fondente “, questo fa sì che al momento

dello sbarco i prodotti debbano essere immediatamente venduti o trasferiti in un locale adeguato, e che comunque durante l’asta di vendita del prodotto all’ingrosso esso debba essere adeguatamente conservato.

Le linee guida per l’igiene del prodotto ittico durante il suo trattamento cercano anche di evitare contaminazioni attraverso le operazioni di lavorazione del prodotto, viene

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regolamentato l’ordine delle operazioni di trasformazione, in particolare la separazione del prodotto deve essere eseguita dopo l’eviscerazione e la sfilettatura.

Al fine di evitare contaminazioni e garantire il mantenimento della qualità gli operatori devono effettuare le operazioni di sbarco garantendo per tutta la loro durata che “le

attrezzature utilizzate per le operazioni di scarico e di sbarco che vengono a contatto con i prodotti della pesca siano costruite con materiale facile da pulire e da disinfettare e siano in buono stato di manutenzione e di pulizia, che il carico e lo scarica sia effettuato il più rapidamente possibile” ( Reg CE 853/204, capitolo III).

I prodotti della pesca sono soggetti ad una rapida perdita delle loro caratteristiche organolettiche e se mal conservati possono risultare pericolosi per la salute del consumatore. In merito alla conservazione del pescato il regolamento stabilisce che “I

prodotti della pesca freschi, i prodotti della pesca non trasformati decongelati, nonché i prodotti di crostacei e molluschi cotti e refrigerati, devono essere mantenuti ad una temperatura vicina a quella del ghiaccio in fusione” (Reg CE 853/204, capitolo VII).

Il regolamento cita anche i trattamenti termici da eseguire nel caso che il prodotto sia destinato al consumo crudo diretto. Per abbattere la carica microbica e rendere salubre l’alimento viene imposto per almeno ventiquattro ore il congelamento a una temperatura non superiore a – 20 °C in ogni parte della massa per almeno 24 ore consecutive. Tutte queste norme devono essere rispettate in ogni segmento della filiera e dalla totalità assoluta degli operatori che vengono a contatto con il prodotto.

Per la lavorazione manuale del prodotto tutti gli operatori sono chiamati al rispetto di specifiche norme in materia di igiene, le norme della serie “Hazard Analysis and Critical

Control Points” (HACCP) sono state introdotte in Europa negli anni ’90, attraverso la

Direttiva CEE 43/1993 che prevede l'obbligo di applicazione del protocollo HACCP per tutti gli operatori del settore alimentare. Successivamente questa normativa è stata sostituita dal Reg. CE 852/2004. Data l'ampia gamma di imprese alimentari prese in considerazione dal regolamento precedentemente citato e la grande varietà di prodotti alimentari e di procedure di produzione applicate agli alimenti, sono state redatte dalla Commissione Europea delle Linee guida generali sull'applicazione delle procedure riferite ai principi del sistema HACCP, venendo così in aiuto agli attori che intervengono nella catena filiera alimentare. Tali linee guida si ispirano principalmente ai principi enunciati nel «Codex

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Alimentarius» e danno indicazioni per un'applicazione semplificata delle prescrizioni in

materia di HACCP, in particolare nelle piccole imprese alimentari.

Viene richiamata l’attenzione sulla necessità di formazione di personale qualificato, capace di affrontare le criticità derivanti dai rischi di processo lungo la catena produttiva. Questa formazione viene identificata come "Corso HACCP" e gli operatori del settore alimentare che operano direttamente a contatto con il prodotto sono richiamati a conseguire una certificazione che attesti la loro conoscenza in tale materia.

Le norme HACCP si identificano attraverso sette principi cardine per la salvaguardia del consumatore:

1. Individuazione e analisi dei pericoli: identificare i pericoli potenziali associati alla produzione di un alimento in tutte le sue fasi, dalla coltura o allevamento fino al consumo. Occorre valutare le probabilità che il pericolo si concretizzi e la gravità dell'eventuale danno sulla salute del consumatore considerando anche i rischi derivanti dai “tempi morti” nella lavorazione e nel trasporto del prodotto.

2. Individuazione dei CCP (punti di controllo critici): essi sono rappresentati da una procedura attraverso la quale è possibile attuare un controllo al fine di eliminare, prevenire o ridurre a limiti accettabili un pericolo.

3. Limiti critici: Stabilire i limiti critici che devono essere osservati per assicurare che ogni CCP sia sotto controllo, ovvero stabilire il valore critico che rende pericoloso un processo o un prodotto al fine di riuscire a tenere sempre sotto controllo ogni suo aspetto per garantire la sicurezza degli alimenti del prodotto.

4. Procedure di monitoraggio: sono interventi aziendali che consentono di tenere il processo sotto controllo attraverso varie strategie, come il controllo e la qualifica dei fornitori, la registrazione delle temperature di conservazione e il controllo dello stato del prodotto. Deve essere designato un responsabile con lo scopo di rilevare i dati dei prodotti e di garantire il monitoraggio delle fasi di processo e l’osservazione dello stesso.

5. Azioni correttive: quando un CCP non è più sotto controllo vengono stabilite le azioni correttive per tornare alla situazione di sicurezza nel più breve tempo possibile.

6. Procedure di verifica: vengono stabilite delle procedure per la verifica che includano prove supplementari e procedure per confermare che il sistema HACCP stia

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funzionando efficacemente, la frequenza dei controlli viene stabilita in base al processo e alle dimensioni dell’azienda in questione.

7. Definizione procedure di registrazione: occorre predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell'impresa alimentare, al fine di dimostrare l'effettiva applicazione delle misure HACCP esposte fino a quel momento. Risulta molto importante conservare una documentazione riguardante tutte le procedure di registrazione applicate a questi principi, tale documentazione deve essere firmata dal responsabile del piano di autocontrollo. Su questa documentazione si basa infatti gran parte del controllo ufficiale (ispezioni e audit) da parte dei servizi di prevenzione dell'USL.

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CAPITOLO 2

IL SETTORE ITTICO E LA QUALITA’

Uno degli obiettivi principali di questo elaborato è di inquadrare lo stato del settore ittico in Toscana. Per tanto, basandoci su dati Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo

alimentare) e su statistiche FAO (Food and Agricultural Organization of the United Nations),

cercheremo di comprendere le dinamiche del settore a livello nazionale, considerando la produttività delle diverse regioni ed i dati di interesse economico.

2.1 IL QUADRO GENERALE

L’attività della pesca insieme alle attività ad essa correlate sono di primaria importanza nel panorama alimentare mondiale, fornendo alla popolazione il 17% delle proteine animali e rappresentando per i paesi in via di sviluppo esportazioni talvolta superiori in termini di fatturato a quelle della carne, del tabacco, del riso e dello zucchero messi insieme (FAO, 2016).

A partire dalla metà del secolo scorso le quantità di prodotto ittico pescato ed allevato sono andate ad aumentare progressivamente nel tempo a fronte della crescente domanda di prodotto. Inizialmente i prodotti ittici derivanti dalla pesca risultavano quantitativamente superiori rispetto a quelli proveniente dall’allevamento, ma a seguito del progressivo aumento delle catture dovute all’ammodernamento delle tecniche di pesca, le produzioni si sono stabilizzate durante gli anni 90’ tra le 90 e le 100 milioni di tonnellate.

I prodotti derivanti dall’acquacoltura appaiono invece in costante crescita, arrivando nel 2005 ad una produzione complessiva di circa 50 milioni di tonnellate (figura 2.1). E’ stato stimato che la produzione di prodotti provenienti dall’acquacoltura coprirà il 66% delle produzioni ittiche entro il 2030 contro il 20% dei primi anni 2000, evidenziando una crescita maggiore rispetto alle attuali previsioni e facendo prevedere un’inversione di importanza tra il comparto pesca ed il comparto acquacoltura. Anche in ragione di una maggiore efficienza produttiva e del migliore contenimento dei costi di quest’ultima tipologia produttiva, la maggiore possibilità di crescita dell’allevamento rispetto alla pesca è dovuta

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alla possibilità di ottimizzazione delle superfici e della risorsa ittica, controllando il prodotto e tenendo conto della necessità crescente di intraprendere produzioni sostenibili (FAO,

2012). La pesca per cattura è invece influenzata dai limiti biologici di mantenimento delle risorse ittiche imposti dalle varie specie e dalla stagionalità delle stesse, imponendo ai pescatori dei limiti nelle catture come nel caso del tonno.

La maggior parte degli allevamenti ittici si trova in Asia mentre i tassi di crescita più alti dell'acquacoltura sono registrati in Africa, America centrale e meridionale, regioni nelle quali il consumo pro capite di pesce è tradizionalmente basso e nelle quali il settore ha dunque i più ampi margini relativi di miglioramento nella contribuzione alla sicurezza degli alimenti (FAO, 2016).

Lo sviluppo crescente dell’acquacoltura è stato registrato in seguito all’aumento della domanda, inducendo i produttori ad intraprendere nuove strade per far fronte alla domanda crescente di pescato ed alla necessità del contenimento dei costi. Il settore dell’acquacoltura risulta in crescita anche grazie alle continue innovazioni tecnologiche che aumentano l’efficienza degli impianti (FAO,2012).

Figura 2.1 "Produzione mondiale di pesce (000 t)"

Fonte: elaborazione Ismea su dati FAO 0 20.000 40.000 60.000 80.000 100.000 120.000 140.000 160.000 1950 1960 1970 1980 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Pesca Acquacoltura Totale produzione Acque marine Acque interne

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Tra i primi paesi importatori di prodotto ittico il Giappone riveste un ruolo di primaria importanza, con un business di importazione stabile sopra ai 10 miliardi di dollari di prodotto ittico l’anno (Figura 2.2). Questa forte necessità di prodotto deriva dal fatto che il Giappone ha una grande tradizione votata al consumo di pesce, vantando una grande quantità di piatti tipici tradizionali ed unici. Il Giappone riveste un ruolo importante anche per le tecnologie impiegate nella ricerca nel campo dell’allevamento ittico, considerando che storicamente esso è stato il primo paese al mondo ad investire sull’allevamento.

La quantità di pesce consumata in Italia ci porta ad essere al quarto posto nel mondo per importazione di prodotto ittico già dai primi anni 2000. Questo fatto non può che rimarcare l’importanza che le produzioni ittiche rivestono per il nostro territorio in misura sempre crescente negli anni. (CREA, 2015).

Nel corso degli anni l’Italia ha dovuto far fronte ad una sempre maggiore richiesta di prodotto, per rispondere a questa necessità, ha dovuto incrementare nel tempo le importazioni di prodotto ittico da altri paesi produttori, facendo registrare così un aumento costante di prodotto importato (Figura 2.2). Si nota dunque un netto sbilanciamento tra il fatturato derivante dall’importazione di prodotto e quello derivante dall’esportazione, in relazione del fatto che al costante aumento della domanda di pesce nel nostro paese non corrisponde un aumento proporzionale degli approvvigionamenti derivanti dalle produzioni interne.

I paesi maggiormente importatori di prodotti ittici sono anche i paesi maggiormente sviluppati e con economie più ricche. Nel periodo di riferimento che va dal 1990 al 2005 si denota un costante aumento delle importazioni di prodotto da parte degli Stati Uniti, la Francia, la Germania, la Corea del Sud, la Cina, la Danimarca ed il Regno Unito.

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Figura 2.2 " Importazioni di prodotto ittico milioni di US$"

Fonte: elaborazione Ismea su dati FAO

Nel 2000 l’importazione italiana di prodotto ittico ha fatto registrare una spesa complessiva di oltre 4 miliardi di euro con un trend costantemente crescente mentre le esportazioni di prodotto sono state registrate appena per un totale di 600 milioni di euro, mettendo il nostro paese al trentatreesimo posto tra i paesi esportatori di prodotto ittico (Tabella 2.1). Le esportazioni di pescato hanno registrato comunque un aumento costante negli anni. Questo è un segnale positivo nei confronti del mercato che punta alla promozione dei prodotti tipici locali d’eccellenza cercando di investire sull’esportazione di prodotti. Anche l’acquacoltura, con il suo sviluppo, contribuisce ad aumentare le possibilità di esportazione dei prodotti.

l’Italia è un paese caratterizzato da una forte presenza di metodi di produzione tradizionali in campo ittico, come la produzione di mitili in Adriatico o in Sardegna, le tonnare in Sicilia o l’allevamento dell’anguilla nella laguna di Orbetello.

0 2.000 4.000 6.000 8.000 10.000 12.000 14.000 16.000 18.000 20.000 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 Giappone Stati Uniti Spagna Francia

Italia Cina Germania Regno Unito

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Tabella 2.1 " Esportazioni di prodotto ittico milioni di US$"

Fonte: elaborazione Ismea su dati FAO

2.2 LE PRODUZIONI IN ITALIA

Le aree di pesca sono divise in zone FAO di riferimento, in particolare la zona 37.1 racchiude l’area del Mar Tirreno settentrionale dove operano le imbarcazioni interessate dalla ricerca effettuata nell’ambito di questa tesi.

Le produzioni complessive nel distretto di pesca italiano hanno subito diverse variazioni nel periodo compreso tra il 2010 e il 2016 ed il prodotto pescato, a seconda delle annate, oscilla tra le 170 e le 220 mila tonnellate. Dal 2010 al 2013 si osserva una flessione nella quantità di pescato per poi registrare un aumento progressivo dal 2014 al 2016. Il volume in tonnellate di prodotto pescato varia in base alle zone di pesca. La zona di pesca più produttiva è quella dell’Adriatico con quasi 100.000 tonnellate l’anno di prodotto pescato contro le 18.000 tonnellate del Tirreno settentrionale, anche a fronte di una flotta adriatica numericamente superiore rispetto a quella tirrenica (European Commission, 2016). Nel Posizione Paesi 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 18 India 1.189 1.417 1.248 1.421 1.307 1.409 1.592 19 Francia 1.107 1.096 1.019 1.089 1.326 1.526 1.584 20 Germania 966 1.102 1.035 1.157 1.277 1.415 1.501 21 Giappone 720 802 768 789 923 1.077 1.254 22 Svezia 478 498 508 562 739 954 1.216 23 Marocco 751 950 850 940 989 804 1.061

24 Corea del Sud 1.393 1.386 1.156 1.046 1.003 1.139 1.043

25 Ecuador 954 587 668 700 781 761 1.004 26 Belgio 448 469 521 571 762 873 951 27 Australia 896 1.003 899 898 895 917 939 28 Nuova Zelanda 712 665 638 710 702 838 882 29 Argentina 807 748 956 728 890 815 811 30 Polonia 282 243 246 253 313 439 633 31 Messico 650 707 668 603 635 636 629 32 Malaysia 181 197 217 378 253 569 616 33 Italia 357 373 381 424 454 534 598

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corso degli anni le quantità di prodotto pescato hanno subito variazioni in maniera non omogenea tra le varie zone di pesca, facendo registrare un’alternanza di produttività nelle varie zone (figura 2.3).

Figura 2.3 "Produzione in volume (t) della pesca italiana nel Mediterraneo per zone di riferimento"

Fonte: elaborazione Ismea su dati Mipaaf

I sistemi di pesca (Figura 2.4) variano a seconda delle specie bersaglio e dell’attività praticata dai pescatori stessi, generando le seguenti principali divisioni di tipologie e metodologie di pesca:

• Piccola pesca: praticata da imbarcazioni con lunghezza “fuori tutto” (lunghezza totale dell’imbarcazione) inferiore a 12 metri (Reg. CE 26/2004) essa è solitamente caratterizzata dalla conduzione familiare dell’impresa con dipendenti appartenenti al nucleo familiare. I metodi di pesca utilizzati sono principalmente il palamito, il tramaglio e le nasse. La piccola pesca spesso rifornisce pescherie locali o piccole realtà legate al turismo. Rispetto alla grande pesca sono minori gli obblighi in materia di

0 50.000 100.000 150.000 200.000 250.000 Mar Ligure e Mar Tirreno centrale e settentrionale Mar Tirreno meridionale Mari di Sardegna Stretto di Sicilia Mare Adriatico centrale e settentrionale Mare Adriatico meridionale Mar Ionio occidentale Totale

Volume (tonnellate) 2010 Volume (tonnellate) 2011 Volume (tonnellate) 2012 Volume (tonnellate) 2013

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dotazioni di sicurezza come la mancanza dell’obbligo dell’utilizzo di dispositivi di geolocalizzazione come l’AIS (Reg. CE 1224/2009).

• Grande pesca: racchiude le tipologie di imbarcazioni con una lunghezza fuori tutto superiore ai 12 metri (Reg. CE 26/2004), sono caratterizzate dalla presenza di motori potenti e dalla presenza dell’attrezzatura necessaria alla pesca in alto mare (Reg. CE n. 1967/2006). I sistemi di pesca possono essere differenti, dalla pesca con le volanti a quella per circuizione; spesso è necessario l’impiego di più imbarcazioni per lo svolgimento dell’attività di pesca stessa. L’equipaggio è composto da più operatori e la battuta di pesca può durare anche più giorni in zone lontane dalla marineria di appartenenza. Il metodo di pesca più utilizzato è quello della pesca a strascico, anche se per la cattura delle grandi prede come il tonno vengono impiegati altri metodi come la circuizione. La circuizione ha come bersaglio le specie pelagiche mentre lo strascico è mirato alle specie di fondo. Per le imbarcazioni appartenenti alla grande pesca sono obbligatori i dispositivi di sicurezza con geolocalizzazione come l’AIS; questo porta le imbarcazioni appartenenti a questa categoria ad essere sotto stretto controllo da parte delle autorità. Le imbarcazioni della grande pesca sono solitamente caratterizzate da un elevato pescaggio (immersione dello scafo), particolarità che le obbliga ad utilizzare porti con sufficiente fondale per l’ormeggio. La grande pesca solitamente conferisce il proprio prodotto ad un grossista che poi provvederà alla vendita del prodotto stesso attraverso i suoi canali preferenziali di distribuzione.

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Figura 2.4 "Produzione in volume (t) della pesca italiana nel Mediterraneo per sistemi di pesca (2010-2016)"

Fonte: elaborazione Ismea su dati Mipaaf (Programma nazionale raccolta dati alieutici)

La pratica dello strascico sta subendo una flessione negli anni. Altri metodi di pesca come quello del palangaro e della circuizione si mantengono invece costanti nel tempo a causa del grande interesse economico delle specie bersaglio.

La pesca riveste un ruolo molto importante nell’economia costiera in considerazione del suo fatturato. Il fatturato del settore pesca nella zona del Mar Tirreno settentrionale oscilla nel periodo di riferimento 2010-2016 tra i 110 ed i 130 milioni di euro/anno (Tabella 2.2), in altre realtà come quella dell’Adriatico centrale e meridionale vengono superati i 300 milioni di euro di incasso visto il numero più elevato di imprese di pesca. Sul territorio nazionale rivestono un ruolo di grande importanza anche altre zone di pesca come quella dello stretto di Sicilia con un fatturato di 194 milioni di euro nel 2010. Tra i metodi di pesca più redditizi troviamo la pesca a strascico che da sola copre la metà del fatturato complessivo nazionale con una produzione di circa 400-500 milioni di euro l’anno. La piccola pesca produce circa la metà degli introiti della pesca a strascico ed un quarto rispetto a tutta la grande pesca.

0 50.000 100.000 150.000 200.000 250.000 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 Volume (tonnellate)

Circuizione Draga idraulica Palangari Piccola pesca Polivalenti passivi Strascico

Volante Totale Espon. (Piccola pesca)

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Tabella 2.2: “Produzione in valore (migliaia di euro) della pesca italiana nel Mediterraneo per luogo e sistemi di pesca (2010-2016)”

Fonte: elaborazione Ismea su dati Mipaaf (Programma nazionale raccolta dati alieutici)

2.3 IL COMPARTO PESCA IN TOSCANA

Il settore della pesca in Toscana è composto da un numero di imbarcazioni per la pesca professionale di 600 unità (Tabella 2.3). La flotta risulta distribuita nelle principali marinerie di riferimento (Figura 2.5) ed è numericamente più consistente nelle zone di Viareggio e Livorno rispetto a quelle centrali e meridionali della costa Toscana. Nel corso degli anni è stata registrata una diminuzione del numero di imbarcazioni nelle flotte delle marinerie come nel caso di Castiglione della Pescaia (Grosseto), dove siamo passati al numero attuale di nove barche contro le quindici del censimento nel 2006.

2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 Mar Ligure e Mar Tirreno centrale e settentrionale 122.511 131.512 105.506 103.369 110.003 115.031 112.619 Mar Tirreno meridionale 132.977 143.442 128.462 99.646 114.047 113.931 125.383 Mari di Sardegna 62.732 70.147 55.604 45.822 44.528 52.099 52.354 Stretto di Sicilia 194.571 190.489 157.709 135.626 128.838 159.541 154.114 Mare Adriatico centrale e settentrionale 322.518 307.426 275.569 226.996 243.834 257.579 268.218 Mare Adriatico meridionale 143.089 128.799 99.706 133.378 91.309 108.479 103.122 Mar Ionio occidentale 124.360 118.513 102.474 86.722 79.948 83.275 87.983 Totale 1.102.759 1.090.328 925.030 831.558 812.506 889.933 903.794 Circuizione 47.942 63.723 62.816 52.294 56.257 56.246 72.599 Draga idraulica 62.998 62.618 52.294 43.434 39.639 40.487 46.993 Palangari 43.661 39.094 31.120 24.724 25.393 24.558 24.715 Piccola pesca 274.657 295.261 241.470 195.281 202.029 212.229 213.766 Polivalenti passivi 66.736 64.611 38.332 28.718 32.902 40.572 34.823 Strascico 557.858 522.393 448.793 447.408 413.111 461.224 464.539 Volante 48.907 42.627 50.205 39.699 43.175 54.618 46.358 Totale 1.102.759 1.090.328 925.030 831.558 812.506 889.933 903.794

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Figura 2.5 "Localizzazione delle imbarcazioni da pesca"

Fonte: " Censimento regione Toscana, 2006"

Prendendo in esame alcuni dati della flotta Toscana come il numero delle imbarcazioni, la stazza complessiva, la potenza e il numero di addetti alla pesca, nel periodo compreso tra il 1985 ed il 2006 possiamo affermare che abbiamo assistito ad un calo progressivo degli addetti nel settore in linea con la diminuzione del numero di imbarcazioni (Tabella 2.4). Siamo, infatti, passati da un numero complessivo di addetti pari a 2550 nel 1985 a 1150 addetti nel 2006. Le imbarcazioni durante lo stesso periodo di riferimento sono passate da 1206 unità a 617 anche per la riduzione delle flotte indotta dalle politiche europee. La diminuzione del numero di imbarcazioni si mantiene costante introni all’1% annuo evidenziando le difficoltà di sviluppo del settore. Anche la potenza complessiva e la stazza sono in continuo calo, di circa il 3% annuo, in seguito alle normative europee volte a tutelare l'ambiente marino e gli stock ittici.

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Tabella 2.3:"Principali parametri tecnici della flotta nazionale e occupazione per regione amministrativa, 2012"

Regione Numero di imbarcazioni

Stazza lorda (GT) Potenza (kW) Equipaggio

Liguria 525 3 503 33 114 849 Toscana 600 5 531 42 706 1 053 Lazio 582 7 293 53 725 982 Campania 1124 9 482 65 575 2 387 Calabria 854 5 478 44 196 2 474 Apulia 1572 19 286 131 639 3 653 Molise 91 2 570 10 667 220 Abruzzo 547 9 850 46 881 1 184 Marche 855 17 564 91 547 1 827 Emilia-Romagna 714 8 951 72 541 1 501 Veneto 712 11 771 80 866 1 644 Friuli V G 400 1 949 26 889 733 Sardegna 1292 9 718 78 037 2 354 Sicilia 2946 49 277 241 529 7 357 Totale 12 814 158 630 1 008 682 28 217

Fonte: Fishery and Aquaculture Country Profiles

Secondo i dati FAO (FAO,Fishery and Aquaculture Country Profiles, 2012) nel 2012 la flotta di imbarcazioni da pesca della regione Toscana risulta essere di 600 unità con un equipaggio complessivo di 1053 unità (Tabella 2.4). Rispetto al censimento del 2006 è stata registrata la diminuzione di 97 addetti mentre rispetto all’anno 2000 di 387 unità lavorative. Altre regioni come la Sicilia presentano una flotta di imbarcazioni più numerosa con 2946 unità per un numero di addetti complessivo di 7357 elementi (In tutta la penisola nell’anno di riferimento il numero totale di imbarcazioni nelle varie regioni è di 12841 elementi per un totale di 28217 addetti).

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Tabella 2.4:"Dati pesca in Toscana, periodo 1985-2006”

Indicatori 1985 1990 1995 2000 2006

Numero di imbarcazioni 1.206 979 856 769 617

Stazza complessiva 13.285 11.243 9.200 7.719 5.630

Potenza complessiva 75.829 67.219 58.609 48.687 46.206

Addetti alla pesca 2.550 1.830 1.600 1.440 1.150

Fonte: " ARPAT, relazione LR66 Piano 2008”

Considerando i metodi di pesca utilizzati dalle imbarcazioni presenti nella flotta della regione Toscana (Tabella 2.5) possiamo individuare la pesca a strascico come il metodo di pesca più redditizio. Con un fatturato pari a 20,4 milioni di euro la pesca a strascico va a coprire il 49,1% del fatturato complessivo. Questo dato relativo al confronto tra i metodi di pesca risulta essere in linea con le percentuali nazionali. La piccola pesca riveste comunque un ruolo importante nell’economia locale con 11,08 milioni di euro di fatturato, incidendo sul totale complessivo per il 27,1%. Questo tipo di attività trova il suo maggiore sbocco nel rifornimento di pescherie locali e nelle attività di pescaturismo durante la stagione estiva. Il metodo di cattura per circuizione risulta più incisivo dello strascico in merito alla quantità di prodotto pescato, questo in virtù delle maggiori dimensioni e del maggior valore aggiunto delle specie target.

Da un punto di vista strettamente economico la piccola pesca è più remunerativa della grande pesca per unità di prodotto con una media dei prezzi di vendita di 10,13 euro/Kg contro gli 8,18 euro/Kg dello strascico e 1,76 euro/Kg della circuizione.

Tabella 2.5: " Catture, ricavi e prezzi per sistema di pesca in Toscana, anno 2006"

Sistemi Catture (ton)

% sul totale Ricavi (mln euro) % sul totale Prezzi (euro/Kg) Strascico 2.449 30,3 20,04 49,1 8,18 Circuizione 4.343 53,7 7,64 18,7 1,76 Piccola pesca 1.094 13,5 11,08 27,1 10,13 Polivalenti passivi 203 2,5 2,06 5,1 10,15 Totale 8.088 100,0 40,83 10,0 5,05 Fonte: "Mipaaf"

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Le specie bersaglio delle imbarcazioni che praticano la pesca in Toscana sono pesci, molluschi e crostacei (Tabella 2.6). I pesci vengono pescati soprattutto con il metodo dello strascico o della circuizione nella grande pesca, mentre invece nella piccola pesca vengono usati i palamiti ed i tramagli.

Per i crostacei vengono utilizzati i tramagli o lo strascico, in alcuni casi possono essere usate anche le nasse per la pesca degli invertebrati come i polpi.

Le specie che in Toscana sono maggiormente pescate (anno di riferimento 2006) per peso sono le acciughe con 2.935 tonnellate, seguono le sardine con 1.156 tonnellate. Con queste cifre queste due specie da sole incidono sul totale del peso delle catture complessive per più del 50%.

I prezzi di vendita di queste due specie sono rispettivamente 2.10 euro/Kg e 0.60 euro/Kg, in particolare le sardine risultano essere poco incisive sul totale del valore del prodotto raccolto riuscendo a rappresentare appena l’1,7% del valore totale. Tra le specie maggiormente remunerative troviamo le sogliole, i naselli e le triglie.

I molluschi ed i crostacei rappresentano una grossa parte del fatturato in virtù del loro alto prezzo/Kg, contribuendo circa al 30% del fatturato totale derivante dalla pesca anche se quantitativamente rappresentano solo il 19% del totale. Questa caratteristica peculiare fa sì che queste specie vengano considerate ad alto reddito, ricoprendo di conseguenza un grande interesse da parte dei pescatori.

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Tabella 2.6: " Catture, ricavi e prezzi per specie in Toscana, anno 2006"

Specie Catture (ton)

% sul totale Ricavi (mila euro) % sul totale Prezzi (euro/Kg) Acciughe 2.935 36,3 6.172,23 15,1 2,10 Sardine 1.156 14,3 694,63 1,7 0,60 Lanzardi e sgombri 65 0,8 94,93 0,2 1,47 Palamita 32 0,4 154,86 0,4 4,78 Pesce Spada 40 0,5 530,41 1,3 13,13 Boghe 28 0,4 24,96 0,1 0,88 Caponi 26 0,3 216,72 0,5 8,24 Cappellani 30 0,4 133,00 0,3 4,49 Cefali 197 2,4 230,27 0,6 1,17 Menole e spicare 6 0,1 6,74 0,1 1,22 Naselli 320 4,0 2.941.09 7,2 9,18 Pagelli Fragolino 23 0,3 136,06 0,3 5,81 Potassoli 21 0,3 35,79 0,1 1,74 Raiformi 69 0,9 344,44 0,8 5,01 Rane pescatrici 62 0,8 481,76 1,2 7,80 Ricciole 36 0,4 385,98 0,9 10,70 Rombi 10 0,1 132,70 0,3 12,69 Sogliole 62 0,8 1.352,02 3,3 21,67 Squali 14 0,2 22,83 0,1 1,63 Sugarelli 119 1,5 102,74 0,3 0,86 Triglie di fango 294 3,6 1.703,71 4,2 5,79 Triglie di scoglio 74 0,9 1.194,90 2,9 16,08 Altri pesci 865 10,7 7.302,14 17,9 8,44 Totale molluschi 959 11,9 8.001,01 20 8,35 Totale crostacei 628 7,8 8.393,64 21 13,37 Totale generale 8.088 100 40.829,40 100 5,05 Fonte: "Mipaaf"

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