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Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies, 2, 2012

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Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies intende proporsi come strumento per la rifl essione e la

discussione interdisciplinare su temi e problemi che riguardano tutti gli aspetti della cultura irlandese, e come luogo di dibattito internazionale per lavori di alto livello scientifi co nel campo degli studi lette-rari, storici, storico-culturali e linguistici sull’Irlanda dall’epoca romantica fi no alla contemporaneità. L’obiettivo è quello di stimolare la discussione sui molti aspetti problematici della cultura irlandese: dalla storia alla politica e agli aspetti sociali, nonché alla produzione letteraria, artistica e più general-mente culturale. Vi troveranno sede inediti in lingua originale e/o in traduzione italiana, interviste, re-censioni, segnalazioni e bibliografi e tematiche. Ampio spazio sarà dedicato ai progetti in cui si intende presentare ciò che è work in progress, privilegiando le ricerche ancora in corso rispetto alle acquisizioni defi nitive, le ipotesi rispetto alle tesi, le aperture più che le conclusioni. A questo proposito, un ruolo privilegiato sarà assegnato ai giovani studiosi che potranno pubblicare i risultati anche parziali delle loro ricerche e proporle alla discussione internazionale non solo nella forma tradizionale ma anche in veste digitale e multimediale.

Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies aims to promote and contribute to the interdisciplinary

debate on themes and research issues pertaining to every aspect of Irish culture, in order to create a place for an international debate and high quality research on Irish literary studies, history, cultural perspectives and linguistic inquiry, from the Romantic Era to the present age. Th e aim of the publica-tion is, therefore, to stimulate discussion on problematic aspects of Irish culture: history, politics, social environment, as well as literature and art. Th e journal will publish previously unpublished works, both in the original language and Italian translation, as well as interviews, reviews, reports and bibliogra-phies of interest for Irish culture scholars. Th e journal will also publish research in progress focussing on recent developments rather than consolidated theories and hypotheses and openings rather than conclusions, and will encourage young scholars to publish the results of their - completed or partial - research, and take part in the international debate, both in traditional formats and digital media.

Editor

Fiorenzo Fantaccini (Università di Firenze) Journal Manager

Arianna Antonielli (Università di Firenze) Advisory Board

Donatella Abbate Badin (Università di Torino), Rosangela Barone (Istituto Italiano di Cultura-Trinity Col-lege, Dublin), Zied Ben Amor (Université de Sousse), Melita Cataldi (Università di Torino), Richard Allen Cave (University of London), Manuela Ceretta (Università di Torino), Carla De Petris (Università di Roma III), Emma Donoghue (novelist and literary historian), Brian Friel (playwright), Giulio Giorello (Università di Milano), Rosa Gonzales (Universitat de Barcelona), Klaus P.S. Jochum (Universität Bamberg), Jennifer Johnston (novelist), Th omas Kinsella (poet), W.J. McCormack (Dublin) Frank McGuinness (University College Dublin, playwright), Sylvie Mikowski (Université de Reims, Champagne-Ardenne) Rareş Mol-dovan (Universitatea Babeş-Bolyai, Cluj-Napoca), Eiléan Ní Chuilleanáin (Trinity College Dublin, poet), Donatella Pallotti (Università di Firenze), Paola Pugliatti (Università di Firenze), Francesca Romana Paci (Università del Piemonte Orientale), Anne Saddlemyer (University of Toronto), Gino Scatasta (Università di Bologna), Hedwig Schwall (Katholieke Universiteit Leuven, Leuven Centre for Irish Studies), Giuseppe Ser-pillo (Università di Sassari), Frank Sewell (University of Ulster, Coleraine), Colin Smythe (Gerrards Cross). Editorial Board

Andrea Binelli (Università di Trento), Gaja Cenciarelli (novelist and translator, Roma), Samuele Grassi (Università di Firenze), Fabio Luppi (Università di Roma III), Concetta Mazzullo (Catania), Riccardo Michelucci (historian and journalist, Firenze), Valentina Milli (Università di Firenze), Lorenzo Orlan-dini (Università di Firenze), Monica Randaccio (Università di Trieste), Giovanna Tallone (Milano).

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Studi irlandesi.

A Journal of Irish Studies

2

General Editor

Fiorenzo Fantaccini

Journal Manager

Arianna Antonielli

firenze university press 2012

Universita’ degli Studi di Firenze

Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Comparate Biblioteca di Studi di Filologia Moderna: Collana, Riviste e Laboratorio

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n. 2, 2012 ISSN 2239-3978

Direttore Responsabile: Beatrice Töttössy

Registrazione al Tribunale di Firenze: N. 5819 del 21/02/2011 © 2012 Firenze University Press

La rivista è pubblicata on-line ad accesso aperto al seguente indirizzo: www.fupress.com/bsfm-sijis

I prodotti del Coordinamento editoriale di Biblioteca di Studi di Filologia Moderna: Collana, Ri-viste e Laboratorio (<http://www.collana-filmod.unifi.it>) vengono pubblicati con il contributo del Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Comparate dell’Università degli Studi di Fi-renze, ai sensi della Convenzione stipulata tra Dipartimento, Laboratorio editoriale open access e Firenze University Press il 10 febbraio 2009. Il Laboratorio editoriale open access del Diparti-mento supporta lo sviluppo dell’editoria open access, ne promuove le applicazioni alla didattica e all’orientamento professionale degli studenti e dottorandi dell’area delle filologie moderne stra-niere, fornisce servizi di formazione e di progettazione. Le Redazioni elettroniche del Laborato-rio curano l’editing e la composizione dei volumi e delle riviste di Biblioteca di Studi di Filologia Moderna. Per sua politica editoriale, SiJis ricorre al doppio referaggio anonimo per ogni singolo contributo che le viene proposto. Per ulteriori dettagli si rimanda alla pagina web della rivista. The products of the Publishing Committee of Biblioteca di Studi di Filologia Moderna: Collana, Riviste e Laboratorio (<http://www.collana-filmod.unifi.it>) are published with financial support from the Department of Comparative Languages, Literatures and Cultures of the University of Florence, and in accordance with the agreement, dated February 10th 2009, between the De-partment, the Open Access Publishing Workshop and Firenze University Press. The Workshop promotes the development of OA publishing and its application in teaching and career advice for undergraduates, graduates, and PhD students in the area of foreign languages and literatu-res, as well as providing training and planning services. The Workshop’s publishing team are responsible for the editorial workflow of all the volumes and journals published in the Bibliote-ca di Studi di Filologia Moderna series. SiJis employs the double-blind peer review process. For further information please visit the journal homepage.

Editing e composizione: Redazione elettronica di BSFM con A. Antonielli (capored.), A. Ca-pecci, S. Grassi, A. Gremigni, V. Milli. Elaborazione grafica: Journal Manager. Cover idea and design: Marco Vanchetti.

We gratefully record that this issue has been produced with the financial support of (<www. efacis.org>):

La presente opera è rilasciata nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia, il cui testo integrale è disponibile alla pagina web: <http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/3.0/it/legalcode>

2012 Firenze University Press Università degli Studi di Firenze Firenze University Press

Borgo Albizi, 28, 50122 Firenze, Italy <http://www.fupress.com/>

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General Editor

Fiorenzo Fantaccini, Università degli Studi di Firenze Journal Manager

Arianna Antonielli, Università degli Studi di Firenze Advisory Board

Donatella Abbate Badin, Università degli Studi di Torino

Rosangela Barone, Istituto Italiano di Cultura, Dublin; Trinity College Dublin Zied Ben Amor, Université de Sousse

Melita Cataldi, Università degli Studi di Torino Richard Allen Cave, University of London Manuela Ceretta, Università degli Studi di Torino Carla De Petris, Università degli Studi di Roma III

Emma Donoghue, romanziera e storica della letteratura / novelist and literary historian Brian Friel, drammaturgo / playwright

Giulio Giorello, Università degli Studi di Milano Rosa Gonzales, Universitat de Barcelona Klaus P.S. Jochum, Universität Bamberg Jennifer Johnston, romanziera / novelist Thomas Kinsella, poeta / poet

W.J. McCormack, Dublin, Ireland

Frank McGuinness, University College Dublin, drammaturgo / playwright Sylvie Mikowski, Université de Reims Champagne-Ardenne

Rareş Moldovan, Universitatea Babeş-Bolyai, Cluj-Napoca Eiléan Ní Chuilleanáin, Trinity College Dublin, poeta / poet Francesca Romana Paci, Università degli Studi del Piemonte Orientale Donatella Pallotti, Università degli Studi di Firenze

Paola Pugliatti, Università degli Studi di Firenze Anne Saddlemyer, University of Toronto, Canada Gino Scatasta, Università degli Studi di Bologna

Hedwig Schwall, Katholieke Universiteit Leuven, Leuven Centre for Irish Studies (LCIS ) Giuseppe Serpillo, Università degli Studi di Sassari

Frank Sewell, University of Ulster, Coleraine Colin Smythe, Gerrards Cross, editore / publisher Editorial Board

Andrea Binelli, Università degli Studi di Trento

Gaja Cenciarelli, Roma, scrittrice e traduttrice / novelist and translator Samuele Grassi, Università degli Studi di Firenze

Arianna Gremigni, Università degli Studi di Firenze Fabio Luppi, Università di Roma III

Concetta Mazzullo, Catania

Riccardo Michelucci, Firenze, storico e giornalista / historian and journalist Valentina Milli, Università degli Studi di Firenze

Monica Randaccio, Università degli Studi di Trieste Giovanna Tallone, Milano

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Indice / Contents

Premessa / Foreword, Fiorenzo Fantaccini 11

W.B. Yeats: Visions, Revisions, New Visions

edited by Arianna Antonielli, Fiorenzo Fantaccini

Introduction 15

Arianna Antonielli, Fiorenzo Fantaccini

I mutevoli volti dell’eroe 21

Giuseppe Serpillo

Yeats, Cuchulain e la fine del ciclo 29

Dario Calimani

Yeats’s Autobiographies and the Making of the Self 41

Elena Cotta Ramusino

William Butler Yeats, George Antheil, Ezra Pound Friends and Music 55 Ann Saddlemyer

«Rewording in melodious guile». W.B. Yeats’s The Song of the Happy Shepherd and its Evolution Towards a Musico-Literary Manifesto 73 Enrico Reggiani

Music of a Lost Kingdom: W.B. Yeats and the Japanese Nō Drama 93 Klaus Peter Jochum

Re-Staging the 1934 Abbey Theatre Production of Yeats’s

The King of the Great Clock Tower: An Evaluation and Critique 109 Richard Allen Cave

The Smart Wizard: Literature as a Lie, Theatre as a Rite

(Giorgio Manganelli Reads W.B. Yeats) 125

Fabio Luppi

All’ombra del mago astuto W.B. Yeats 143

Viola Papetti

ISSN 2239-3978 (online) 2012 Firenze University Press Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies, n. 2 (2012), pp. 7-9

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Yeats’s Digital Identity: Q & A with Web Editor Neil Mann 155 Arianna Antonielli

Gabriele Baldini

«Dietro un velo». Gabriele Baldini traduce Yeats 175

Fiorenzo Fantaccini

W.B. Yeats: tredici poesie 177

Gabriele Baldini Carlo Linati

Linati nei «ritmi sospirosi» di Yeats 193

Fiorenzo Fantaccini

Sei versioni da Yeats 195

Carlo Linati

Letteratura, storia, società e arti visive /

Literature, History, Society, and the Visual Arts

«Mi par di trovarmi di fronte a un fatto nuovo letterario»:

Carlo Linati alla scoperta di James Joyce 199

Maurizio Pasquero

Saint Patrick’s Purgatory - a fresco in Todi, Italy 255

Carla de Petris

L’immram nell’Irlanda del XX secolo. Una lettura comparativa

dei romanzi di Flann O’Brien 275

Vito Carrassi

Tempo e percezione in The Body Artist di Don DeLillo

e Ghost Trio di Samuel Beckett 289

Davide Barbuscia

Sassi contro il cielo. Menzogna individuale e verità di stato in Oscar Wilde 315 Duccio Chiapello

A Strange Case of Hero Worship: John Mitchel and Thomas Carlyle 329 Michael Huggins

La comunità irlandese a Roma, 1377-1870. Il case study storiografico 353 Matteo Binasco

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9 indice / contents

Scritture

/

Creative Writing

Giuseppe Cafiero

James Joyce in una notte di Valpurga. Nota introduttiva 377 Carla de Petris

James Joyce in una notte di Valpurga pièce in due atti 381 Giuseppe Cafiero

Voci / Voices

Art, Politics and Memory: a Conversation with Colm Tóibín 455 Claudia Luppino

Libri ricevuti / Books Received 473

Recensioni / Reviews 477

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Premessa / Foreword

Il secondo numero di una nuova rivista rappresenta sempre una grande sfida, soprattutto se il primo ha suscitato interesse ed ha raccolto riconoscimenti e con-senso. Proprio per questo la nuova tessera del mosaico «Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies» è ricca e ambiziosa.

La sezione monografica su W.B. Yeats propone un percorso critico che si snoda attraverso contributi che intendono prospettare nuove sollecitazioni e prospettive di ricerca sul Nobel irlandese, rivalutare o riesaminare aspetti trascurati dal dibattito critico contemporaneo, ed include alcuni reperti preziosi e succose riscoperte. La parte miscellanea, seguendo itinerari diversi – che spaziano dalla ricerca biografica e bibliografica a quella storica, filosofica e sociopolitica – offre spunti originali e materiale raro o inedito. Completano il policromo disegno di questo numero un dramma di Giuseppe Cafiero su Joyce, pubblicato qui per la prima volta in italiano, e una stimolante intervista a Colm Tóibín, l’autore irlandese forse oggi più accla-mato. Ci sembra che la varietà del contenuto di questo secondo numero e la sua ‘sostanza’ ben esprimano l’approccio dinamico, incrociato e plurale che sta alla base dell’orizzonte culturale di «Studi irlandesi», e non resta che augurare buona lettura.

Anche questa volta necessari e numerosi sono i ringraziamenti. Per il materiale inedito incluso nel saggio di Maurizio Pasquero sincera gratitudine va a Biancama-ria Mora Pina e Rita, VittoBiancama-ria e Giuseppe Bonsignore, eredi di Carlo Linati; alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library; alla Cornell University Library - The JJ Collection; a The Poetry Collection - The JJ Collection, State University of New York at Buffalo; all’Archivio G. Prezzolini presso la Biblioteca Cantonale di Lugano; all’Archivio Ferrieri e all’Archivio Alberto Mondadori presso la Fondazione A. e A. Mondadori di Milano; all’Archivio Ferrieri presso il Centro Manoscritti dell’Uni-versità di Pavia; all’Archivio Manoscritti presso la Biblioteca Comunale di Como; all’Archivio Cederna presso APICE - Archivi della Parola, dell’Immagine e della Comunicazione, Università degli Studi di Milano. Per gli inediti presentati nel saggio di Viola Papetti sentita riconoscenza va alla Casa editrice Adelphi, che ha permesso la riproduzione dei brani inediti tratti dai quaderni d’appunti di Giorgio Manganelli, e a Lietta Manganelli che ha gentilmente acconsentito a riprodurre le lettere di Manganelli a Oreste Macrì. Grazie di cuore a Carlo Ginzburg, per aver autorizzato la ristampa delle traduzioni da Yeats di Gabriele Baldini. Un ringraziamento speciale a Hedwig Schwall, presidente dell’EFACIS, European Federation of Associations and Centres of Irish Studies, per il contributo finanziario concesso a «Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies»; a John Denton nostro paziente consulente scientifico e linguistico; a Marco Vanchetti per l’expertise grafico; a Donatella Abbate Badin, Ornella De Zordo, Ilaria Natali, Donatella Pallotti per la collaborazione, i consigli e il sostegno costante; alla Redazione del Laboratorio Editoriale Open Access e in particolare alla Redazione di «Studi irlandesi» – guidata dalla indispensabile Arianna

ISSN 2239-3978 (online) 2012 Firenze University PressISSN 2239-3978 (online) 2012 Firenze University Press Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies, n. 2 (2012), pp. 11-12

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Antonielli, e composta da Samuele Grassi, Arianna Gremigni e Andrea Capecci –, per il prezioso lavoro, la disponibilità e la grande efficienza.

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Publishing the second issue of a journal always proves quite challenging, especially in the wake of the interest and approval attracted by the first one. Thus our aim has been to make this issue of «Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies» even richer and more ambitious.

The monographic section is on W.B. Yeats and posits a critical approach com-mon to all the contributions, which provide new perspectives and new research topics on the author. This section re-evaluates and re-examines viewpoints often previously overlooked in contemporary critical debate. The section devoted to miscellaneous contributions offers original ideas and rare and unpublished ma-terial, varying from biographical to historical, philosophical and socio-political research. This number is completed by a play by Giuseppe Cafiero on James Joyce, published here for the first time in Italian, and by a stimulating interview with Colm Tóibín, probably the most renowned contemporary Irish author. We believe that the variety of content of this second number expresses the dynamic, intersecting and pluralistic approach that constitutes the cultural make up of «Studi irlandesi», and we hope that our readers will enjoy it.

We are very grateful to the following: Biancamaria Mora Pina and Rita, Vit-toria and Giuseppe Bonsignore, heirs of Carlo Linati, for providing all the original material in Maurizio Pasquero’s essay; the Beinecke Rare Book and Manuscript Library; the JJ Collection at Cornell University; The Poetry Collection – The JJ Collection at the State University of New York at Buffalo; the Archivio G. Prezzolini at the Biblioteca Cantonale in Lugano; the Archivio Ferrieri and the Archivio Alberto Mondadori at the Fondazione A. e A. Mondadori in Milan; the Archivio Ferrieri at the Centro Manoscritti at the University of Pavia; the Archivio Manoscritti at the Biblioteca Comunale in Como; and the Archivio Cederna at APICE - Archivi della Parola, dell’Immagine e della Comunicazione, University of Milan. We wish to thank the publishing house Adelphi for having provided the original material presented by Viola Papetti in her essay, namely Giorgio Man-ganelli’s unpublished notes. We are also grateful to Lietta Manganelli for having allowed us to publish the correspondence between Manganelli and Oreste Macrì. Sincere thanks go to Carlo Ginzburg for having authorized the republishing of Gabriele Baldini’s translations from Yeats. Special thanks to Hedwig Schwall, president of EFACIS, the European Federation of Associations and Centres of Irish Studies, for the financial contribution made to «Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies»; to John Denton, our patient consultant in matters of language; to Marco Vanchetti for sharing his expertise in graphic design; to Donatella Abbate Badin, Ornella De Zordo, Ilaria Natali and Donatella Pallotti for their advice, support and collaboration; to the Open Access Publishing Workshop, and in particular to the editorial staff of «Studi irlandesi» – Samuele Grassi, Arianna Gremigni and Andrea Capecci, led by the indispensable Arianna Antonielli – for their valuable professional cooperation.

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W.B. Yeats:

Visions, Revisions, New Visions

edited by

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Introduction

Arianna Antonielli, Fiorenzo Fantaccini

Università di Firenze

(<arianna.antonielli@unifi.it>; <fiorenzo.fantaccini@unifi.it>)

Poet and playwright, essayist, senator, civil servant, performer, mystic, magician, occultist, and much more: it is almost impossible to place Wil-liam Butler Yeats in a single role, since all the masks he eagerly wore over the years are the result of his life experience. They were actually not masks at all, but epidermal manifestations of an interior struggle or dialogue. He was too engaged in a lifelong effort of transformation of his own self, directed towards an ultimate goal, the ‘unity of being’, which is why it is impossible to bottle him up in one narrow definition. Movement was Yeats’s inner and outer life and his very vision of life; it was intrinsic to his poetics, as well as a major feature of the characters of his plays, encompassing all the symbols, images and topoi of his poetical and philosophical system. In his view, when that movement came to a halt, the very development of life was impossible. From the harmonic movement of the dancer, through that undertaken by Robartes in his song, to the violent, bloody movement of the traveller and fighter Cuchulain on one hand, to that of the gyres, faculties, and principles, of mask and will, of creative mind and body of fate, as well as of celestial body, spirit, and passionate body on the other – all organized and structured in a somewhat philosophical processus, in Pater’s words –, Yeats’s poetical, symbolical and visionary world appears as a never-resting flux. In his 1930 diary, when defining his Principles through Neoplatonism, he describes ultimate reality as the realm where «all thought, all movement, all perception are extinguished»1. However, as an antithetical man, he does

not want to complete or stop this restless and self-transforming activity, for it involves «that dynamic, or essential, dialogue of the mind with itself»2. In

A General Introduction for My Work (1937) Yeats emphasizes the importance of an individual’s ‘selves in motion’:

A poet writes always of his personal life, in his finest work out of its tragedy, whatever it be, remorse, lost love, or mere loneliness; he never speaks directly as to someone at the breakfast table, there is always a phantasmagoria. […] A novelist might describe his accidence, his incoherence, he must not; he is more type than man, more passion than type. He is Lear, Romeo, Oedipus, Tiresias; he has stepped out of a play, and even the woman he loves is Rosalind, Cleopatra, never The Dark Lady. He is part

Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies, n. 2 (2012), pp. 15-20 http://www.fupress.com/bsfm-sijis

ISSN 2239-3978 (online) 2012 Firenze University Press

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of his own phantasmagoria and we adore him because nature has grown intelligible, and by so doing a part of our creative power.3

Predisposed by years of research on William Blake, Yeats soon realized he had to create his own system so as not to be bound by another; he thus shaped his own phantasmagoria, which, in turn, came from real life and became part of it, learning how to perform all the necessary roles. He moved within it, as part of the cycle. As observed by Richard Ellmann: «Sometimes he was content to think his real self was in his verse. “My character is so little myself,” he puts in a manuscript book, “that all my life it has thwarted me. It has affected my poems, my true self, no more than the character of a dancer affects the movements of a dance»4. And Yeats’s poetics follows, too,

a subsequent and parallel progressus marked by his gradual withdrawal from a genuine folkloristic and mythological spur towards a new fascination for a much more complex symbolism. In his 1940 essay, Yeats, Eliot focused on the various stages of the former’s poetry, referring to a «slow and continuous development of what is always the same medium and idiom»5. On similar

lines, in Yeats as an Example? (1978), Seamus Heaney maintains that «he [Yeats] reminds you that revision and slog work are what you may have to undergo if you seek the satisfaction of finish […] if you have managed to do one kind of poem in your own way, you should cast off that way and face into another area of your experience until you have learned a new voice to fix and stay that area»6. Throughout his career, his works, both early and late, mirror a

deep involvement in what he was doing and a continuous need for insightful revising, as the Grecian emperor’s goldsmith in Sailing to Byzantium (1927) learns to work his metal only through hammering away at it.

The authors of the essays collected in the current issue of «Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies» take a variety of stances with regard to how they approach Yeats’s system, shedding light on its poetical, philosophical and mythological ongoing achievements and stages. Yeats’s various forms of migra-tion (literary genres, motifs, symbols and forms) emerge as a common thread from these essays, which provide a wealth of new research on aspects of his poetical and philosophical work, life and contacts, and on broader concerns of his time. They prove that there is still a great deal to be studied and possibly disclosed even about a major literary figure such as W.B. Yeats.

The essays by Giuseppe Serpillo and Dario Calimani examine two key figures in Yeats’s work. According to Serpillo, Yeats needed heroes and looked for someone who might embody his ideas and hopes for the beginning of a new era. However, his standard of perfection changed over the years: from a character in whom the best and highest qualities of an individual might come into being, to a model of the hero able to stand as a symbol and a guide for his fellow men, in particular for those people for whom Yeats felt

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17 introduction

most responsible, the Irish. Serpillo examines Oisin and Cuchulainn, heroes who frequently recur in his work, pointing to similarities and differences in both their qualities and functions; however, above and beyond them, it is the poet himself that emerges as a hero in Yeats’s poetry, as the only one who can fulfill the double task of developing his self and playing an essential social and moral role. Calimani delves into one of Yeats’s beloved and most revisited myths, that of Ulster hero Cuchulain, as it was previously embodied in On Baile’s Strand (1903) and completed in the Death of Cuchulain (1939). In his contribution Calimani interestingly notices a trend toward demythization that Yeats seemingly follows in the two Cuchulain plays. Cuchulain’s abso-lute subjectivity, deriving from his inner tragedy, stands out in neat contrast with the low mimetic style of the Blind Man and the Fool, neutralising all pathos. The father son struggle is reiterated and displayed as an obsessive motif, reaching its ultimate accomplishment in Purgatory (1938). In this play, in which Cuchulain’s role and function are taken from an Old Man killing his Boy, Calimani envisages the climax of Yeats’s journey of demythization. Yeats’s private mythology includes, from its very beginning, the roots of self-destruction since, in Calimani’s words, old Irish heroes cannot survive the impact with the present time.

According to Elena Cotta Ramusino, the texts included in Autobiogra-phies (1955) – a collection of texts written at different times, intentionally arranged not according to the order of composition but to the chronological growth of the subject, from early childhood to the Nobel prize award – are the narrative of how Yeats struggled to shape his own personal identity as well as that of the nation: in fact, life stories flourished in the Revival and post-Revival periods in Ireland, thus testifying to a widely shared belief in the correspondence of individual and national destiny. Yeats showed a life-long interest in the shaping of the self, achieved through a careful rearrangement of experience, and in Autobiographies he managed to provide a text in which everything, from syntactic to lexical choices, from his treatment of time and place to his presentation of friends and rivals, combines to give a composite portrait of himself from early expectations to final achievement.

The essays by Ann Saddlemyer and Enrico Reggiani deal with music from different perspectives. Saddlemyer’s William Butler Yeats, George Antheil, Ezra Pound, Friends and Music inquires into Yeats’s constant determination to relate his words to music and the involvement of many writers and musi-cians «in his search for the key». While in Rapallo staying near Ezra Pound, he met the young American composer and music theorist George Antheil, who became one of his converts. Yeats asked Antheil to provide incidental music for his allegorical chamber play Fighting the Waves (1934), and was probably influenced by Antheil’s music in the composition of the seven Crazy Jane poems. Others followed, with Yeats continuing to expound and clarify his ambition. Reggiani’s essay «Rewording in melodious guile»: W.B.

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Yeats’s The Song of the Happy Shepherd and its Evolution Towards a Musico-Literary Manifesto explores how The Song of the Happy Shepherd (1885, 1889, 1895) elaborates on the notion of poetry as song, contextualizing it against the background of its (para)textual history and evolution, and emphasizing its role as a music-literary manifesto. Yeats’s Song can perform its variations on «the supreme theme of Art and Song» because its atavistically unifying ‘sooth’ is inborn to the very substance and features of its tropical mediation between poetry and song, thus making it neither classically «cracked» – i.e. burst asunder, fractured – like the merely «musical tune that Chronos sings», nor romantically ‘primeval and wild’ like The Song of the Shepherd in Thomas Moore’s To Joseph Atkinson, Esq. From Bermuda (1780).

The next essays focus more sharply on theatrical themes, whether of influ-ence, reform or collaboration. As is widely known, Yeats was deeply engaged in a process of deconstruction and reconstruction of Irish culture, even trying to import the Nō form of theatre from Japan. Having been introduced to the dialectical movement between life and death, reality and illusion, truth and deception featured in the Japanese Nō by his friend Ezra Pound, Yeats was enabled, as suggested by Klaus Peter Jochum, if not to elaborate a new genre, to foreground his poetic ideals and find «what he had always been looking for, an elitist form of drama». In Music of a Lost Kingdom: W.B. Yeats and the Japanese Nō Drama, Jochum draws attention to Yeats’s habit of transferring other foreign sources to his own mental reality and, in particular, of shifting and adapting the Japanese Nō theatre to his poetical and symbolic system. By examining some of Yeats’s later dance plays, written under the influence of Nō drama, Jochum remarks how Yeats, in his later plays, distances himself from the strict conventions previously borrowed from this dramatic form, as, for instance, in At the Hawk’s Well (1916). This is why, in Jochum’s view, it is possible to assume that Yeats’s plays for dancers are in no way barren reproduc-tions of the Nō aesthetic, but rather original Yeatsian attempts at revisiting and reinterpreting Japanese drama, as well as being interesting examples of contamination and hybridization of forms.

Along similar lines, an attempt to re-stage the first performance of Yeats’s The King of the Great Clock Tower (Abbey Theatre, 1934), one of the four works in which he collaborated with the dancer-choreographer Ninette de Valois, has given Richard Allen Cave the opportunity to examine, from a new perspective, one of Yeats’s endeavors to combine different arts. Starting from the assumption that no re-staging can be totally authentic, his analysis dwells on the innovative, performative devices and strategies adopted. Cave emphasizes the innovative way in which a drama mostly based on ballet may be able to narrate a complex narrative on its own, from which the performance text can be inferred, and discusses the limitations to be found in various kinds of extant data concerning performance. The essay also explores the many, diverse levels of collaboration on which a successful staging of one of Yeats’s

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19 introduction

dance-dramas depends, and interrogates, and to some degree re-defines, the meaning of the word collaboration.

Fabio Luppi devotes his paper, The Smart Wizard: Literature as a Lie, Theatre as a Rite (Giorgio Manganelli reads W.B. Yeats), to an examination of the relationship between the literary critic and writer Giorgio Manganelli and Yeats. In La letteratura come menzogna (1985), Manganelli highlights his

concept and vision of literature as a lie, conveying a key role and function to the «smart wizard» Yeats, in Manganelli’s words (1965). Yeats’s capability to deceive and challenge his readers is evident in his discerning use of rhetoric, in which the poetic word acquires a new autonomy. Luppi also emphasizes the connections between Yeats’s and Manganelli’s idea of theatre and their common attempt to reform it. «The hour of convention and decoration and ceremony is coming again», writes Yeats in The Irish Dramatic Movement (1923)7, finding an echo in Manganelli’s Cerimonia e artificio (2000). By

contrasting realism and neorealism, their experimental plays – Yeats’s plays being a fundamental model for Manganelli’s – give words a physical, concrete dimension and present dance as a heritage of primitive rituals and rites.

Viola Papetti’s essay All’ombra del mago astuto W.B. Yeats deals with Yeats and Manganelli too, investigating Manganelli’s deep interest in and appreciation of the Irish poet. She explores the upsetting vicissitudes the young Italian poet, translator and scholar faced in the late 1940s in having his translations of about eighty poems by Yeats printed. Offering three unpublished typewritten letters to Oreste Macrì, and some interesting holographic pages from his cahier «9 aprile 1954-19 gennaio 1956/Roma», and drawing on Manganelli’s subtle examination of and comments on Yeats’s works, Papetti also retraces Manganelli’s attempts to come to terms with his enduring and conflictual feeling of affinity with the Irish poet, finally recognizing with Yeats, the «actor and wizard», a real kinship.

In Yeats’s Digital Identity: Q&A with Web Editor Neil Mann, Arianna Antonielli sets out to show the current form of migration that Yeats’s poet-ics and symbolism is experiencing from paper to the digital environment. Antonielli’s contribution draws attention to Neil Mann’s attempt to analyse the complex system of A Vision on and through the web, by exploiting its hypertextual context, based on a linking strategy that enables any reader to go more deeply into its very structure. Like journeying in Dante’s infernal circles, Mann’s website is aimed at analysing each image and symbol in Yeats’s esoteric system, which he created together with his wife, George, and developed in the 1925 and 1937 editions of A Vision. The interview also focuses on several issues concerning Yeats’s contemporary digital identity, by providing insight into Mann’s involvement with digital humanities and his interest in using an experimental hypertext-like format to leverage its communicative possibilities. By trying to examine Yeats’s talent, one would inevitably be introduced to more than one name, role, voice and even poetic vision, and focus instead

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on various symbols, images, concepts and traditions. The essays included in this miscellany are not intended to hammer Yeats’s thoughts into a unity but, on the contrary, to give evidence of their perennial dialectic movements and they possibly offer new readings – visions, revisions and new visions – of a complex multifaceted literary system as that of Yeats is.

Our path through Yeats’s world concludes with the reprint of nineteen forgotten translations from Yeats by Carlo Linati and Gabriele Baldini, where his rhythms and peculiar use of a vocabulary tending toward the visionary and dream are preserved, emphasised, and given a new life. After all, what is more suitable than translation, which is movement in itself and an «artifice of eternity»8, to show Yeats’s everlasting breath?

Notes

1 W.B. Yeats, A General Introduction for My Work (1937), in Id., Essays and Introductions,

Macmillan, London 1961, p. 307.

2 W. Pater, Plato and Platonism, Macmillan, London 1893, pp. 166-167. 3 W.B. Yeats, Essays and Introductions, Macmillan, London 1961, p. 509.

4 Quoted in J. Flannery, W.B. Yeats and the Idea of a Theater, Yale UP, New Haven 1976,

p. 245.

5 T.S. Eliot, On Poetry and Poets, Faber, London 1957, p. 254.

6 S. Heaney, Yeats as an Example?, in Id., Preoccupations: Selected Prose 1968-1978, Faber,

London 1980, p. 110.

7 W.B. Yeats, The Collected Works of W.B. Yeats, Volume VIII: The Irish Dramatic Movement,

ed. by M. FitzGerald, R.J. Finneran, Scribner, New York 2003, p. 79.

8 W.B. Yeats, Sailing to Byzantium (1927), in Id., Collected Poems, Macmillan, London

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I mutevoli volti dell’eroe

Giuseppe Serpillo

Università di Sassari (<gserpillo@hotmail.com>)

Abstract

Yeats needed heroes and looked forward to finding one who might embody his ideas and hopes of the beginning of a new era. However, his standard of perfection changed over the years: from a character in whom the best and highest qualities of an individual might come into being, to a model of the hero able to stand as a symbol and guide for his fellow men, in particular those people Yeats felt mainly responsible for, the Irish. There is something Carlylean in this (Yeats knew and appreciated Carlyle, even though he did not like his style), but his view of the hero includes other models, like the tragic hero and the hero of myth. This paper takes into consideration two heroes who frequently recur in his work, Oisin and Cuchulainn, pointing to similarities and difference both in their qualities and functions. However, above and beyond them, it is the poet himself that emerges as a key figure of a hero in Yeats’s poetry, as the only one who can fulfil the double task of developing his self and playing an essential social and moral role.

Keywords: Carlyle, Cuchulainn, hero, responsibility, Yeats

Il mondo, come sosteneva Thomas Carlyle, ha veramente bisogno di eroi1,

oppure l’individuo eminente, l’individuo che si distingue e si eleva su tutti gli altri individui è diventato, se non figura risibile almeno sospetta in una società fin troppo incentrata su valori che rinviano all’esaltazione dell’interesse indi-viduale? Se una società ha subito il fascino e i disastri del culto dell’individuo, duce e condottiero, certo non vuole più sentire parlare di eroi2, ma ciò non

ci autorizza a negare che di eroi si sia sentita la necessità in tempi diversi dai nostri. Bisogna storicizzare, come sempre. Ciò vale ovviamente e in alto grado per William Butler Yeats, che di eroi aveva e proclamava il bisogno, e di cui auspicava l’avvento. Sì, ma che eroe: l’eroe tragico, quello romantico, l’eroe mitico, quello borghese, l’eroe carlyliano, quello cristiano? Difficile dare una risposta univoca; nella sua lunga vicenda esistenziale Yeats dovette confron-tarsi perlomeno con due realtà mutevoli: quella del mondo, della Storia, che conobbe stravolgimenti e metamorfosi più drammatici e frequenti di quanto

ISSN 2239-3978 (online) 2012 Firenze University Press Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies, n. 2 (2012), pp. 21-28

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mai accaduto in precedenza, e quella interiore che si trasforma per effetto degli anni e dei filtri attraverso i quali gli accadimenti esterni raggiungono il pensiero e la sensibilità individuali; e ciò a dispetto del diritto da lui stesso affermato di porre un sigillo di unità e coerenza a tutta la sua opera poetica3

e una sistematizzazione a quel coacervo di esperienze e letture diverse che andarono a confluire in A Vision (1925; 1937)4.

Barton Friedman sostiene che «the artist [posits himself] as his own hero»5.

Ciò è certamente possibile, ma nel caso di Yeats mi sembra che questa sia solo una parte dei suoi orientamenti e della prassi conseguente. Se Yeats l’artista infatti è certamente «his own hero», ciò non gli impedisce di tenere ben pre-senti in primo luogo le esigenze della sua gente e poi quelle dell’uomo oltre e al di sopra del mero nazionalismo, esigenze non solo e non semplicemente pratiche – anche se neppure di queste Yeats si disinteressò6 –, quanto piuttosto

culturali, di una palingenesi morale che investisse di sé una visione del mondo alternativa a quella di una piccola borghesia priva di visione. Se Yeats vagheggia un mondo modellato dall’arte e sull’arte, c’è sempre però una parte di lui, soprattutto dopo il 1916, che è consapevole della responsabilità che l’intellet-tuale e il poeta hanno nei confronti della società, vista non come astrazione, ma come società reale, composta da uomini che vivono la loro quotidianità, di un paese che ha bisogno di un governo, di un governo che deve rispondere alla necessità di crescita del paese che viene governato. L’eroe a questo punto è certamente una figura idealizzata, mitica, ma la sua funzione non diventa solo quella della propria crescita personale, della propria realizzazione, della fusione del self col suo anti-self, ma investe anche la società nella quale opera, che lo voglia consapevolmente o no. Il che – è opportuno ricordarlo – è anche una caratteristica dell’eroe mitico. La «terrible beauty» evocata in Easter 1916 (1916), che nasce dalla constatazione di un eroismo che si esplica nella cruda semplicità di un gesto di generosità vissuto da individui che la voce poetante degnava a malapena di un saluto, non è un ridimensionamento dell’ideale eroico, quanto una sua riformulazione in termini più complessi e severi: il riequilibrio di un eroismo troppo ipnotico, astratto nel confronto con una realtà con cui sartrianamente bisogna pur sporcarsi le mani7.

Non una sola tipologia dell’eroe per Yeats, quindi, con queste premes-se, ma figure o rappresentazioni dell’eroe e di atti eroici che cambiano nel tempo: da Countess Cathleen a Con Markiewicz, da Cathleen Ní Houlihan agli eroi dell’‘Easter Rising’, da Michael Robartes a Oisin a Cuchulain, con l’unico elemento unificante che a tutti è affidato il compito di indicare una via, indurre all’azione, offrire soluzioni o percorsi alternativi. Dei personaggi appena nominati, tuttavia, due in particolare sembrano esprimere con mag-giore continuità la predisposizione mitopoietica del poeta e drammaturgo irlandese: Oisin e Cuchulain, soprattutto quest’ultimo, vero ‘eroe dai mille volti’, capace di trasformarsi, adattarsi e dare voce alle mille ombre e sfaccet-tature della mutevole sensibilità yeatsiana.

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23 i mutevoli volti dell’eroe

Oisin è il protagonista assoluto di una delle prime prove poetiche dello scrittore, The Wanderings of Oisin (1889), un poemetto di oltre duecento versi in cui l’eroe viene presentato nelle vesti di un vecchio «bent, and bald, and blind, / With a heavy heart and a wandering mind» (vv. 1-2)8, che dialoga con un

altro grande vecchio, San Patrizio, espressione di quel ciclo dell’oggettività non ancora definito da Yeats a quel tempo, e quindi incompatibile con la soggettività del suo oppositore; come amante felice di Niamh nel mondo senza tempo di Tir na nÓg, e come commosso e pietoso reduce nel mondo della storia, che perde l’immortalità e la giovinezza per un atto di compassione verso un’umanità ingloriosa, piegata dalla fatica e dall’infelicità. Oisin ricompare poi, menzionato come uno degli old themes, in una delle sue ultime poesie, The Circus Animals’ Desertion (1937-1938), con Countess Cathleen, il Matto e il Cieco (the Fool and the Blind Man) e Cuchulain del dramma On Baile’s Strand (1903). Cuchulain invece è un vero e proprio perno attorno al quale si dipanano le metamorfosi dell’eroe nel corso della sua lunga riflessione sul tema, dalla prima comparsa in due poesie rispettivamente della raccolta The Rose (1893)e The Wind Among the Reeds (1899)9, all’ultimo testo drammatico, The Death of Cuchulain, e alla

poesia Cuchulain Comforted, entrambi del 1939.

Sia Oisin che Cuchulain sono eroi mitici e presentano in maggiore o minor grado gli attributi di tale tipologia di eroe: rispondono a una chiamata, sono spinti da un impulso ad accogliere la sfida, uniscono violenza e compassione; ma solo Cuchulain manifesta pienamente queste proprietà in diversi momenti della sua utilizzazione funzionale alle tesi del drammaturgo-poeta, aggiungendovi altre peculiarità che in Oisin sono appena accennate o non compaiono affatto: una vitalità gioiosa, un’allegria non disgiunta dalla capacità di cogliere il comico della situazione, come in The Green Helmet (scritto nel 1909, pubblicato 1910), un contatto più intenso e sofferto col mondo degli uomini. Nel poemetto del 1889 Oisin è immerso in una specie di incantagione ipnotica fortemente influenzata dal diffuso estetismo fin de siècle, a cui non è affatto estraneo il cel-tismo dello stesso periodo; il secondo è un eroe che conosce la sconfitta e che muore vincitore proprio in quanto sconfitto, come Cristo. A Oisin mancano l’azione e il contatto con l’oggettività; la sua scelta di sospendersi dall’azione per vivere a Tir na nÓg lo condanna a un perenne distacco dalla realtà, cosicché quando tenta di nuovo il contatto, questa gli precipita addosso trasformandolo in un vecchio senza forze10. Sarebbe il destino di Cuchulain se riuscisse a bere

alla fonte dell’immortalità in At the Hawk’s Well (1916), ma Cuchulain insegue invece il falco, ossia l’icona della sua immaginazione creativa e dinamica. È forse per questa sua predisposizione all’azione che Yeats sceglie di presentarcelo soprattutto in opere teatrali, che sono esse stesse, per definizione, azione. In At the Hawk’s Well, Cuchulain, venuto in cerca del pozzo da cui sgorga l’acqua dell’immortalità, ne viene distratto dall’incantagione che su di lui esercita la danza della custode del pozzo, trasformatasi in falco e quindi in una creatura dell’underworld. Dal punto di vista del vecchio, e del senso comune, Cuchulain

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commette una sciocchezza perché, pur avendone la possibilità, si fa sfuggire l’occasione di diventare fisicamente immortale; ma tale forma di immortalità, in fondo, non interessa all’eroe: all’eroe mitico interessa l’azione, non la sua finalizzazione. L’eroe apre la strada, ma sono gli altri che devono seguirla. Come osserva Guido Paduano, «le regole sociali valgono per la comunità, mentre per l’individuo vale il comandamento interiore»11.

L’eroe vive nel momento, non nell’eternità, così come il poeta – vedremo – vive nel momento creativo che è, come diceva Shakespeare, eternamente presente. Cuchulain può infine essere sconfitto, ma essendo entrato in dialettica con il mondo degli uomini, fra i quali, come osserva Friedman, sono annoverati gli spettatori del dramma, la sua sconfitta non è inutile.Funzione dell’eroe mitico, ma anche carlyliano, infatti, è di aprire la strada del cambiamento alla società che lo ha prodotto, o a cui dalla provvidenza è stato donato, attraverso un suo personale impegno, il suo mettersi in gioco, a rischio.

Opportunamente Friedman scorge un parallelismo fra il ciclo shake-speariano cosiddetto dell’Enriade e il ciclo di Cuchulain, ma più per ragioni strutturali12 che per uno specifico riferimento alla figura dell’eroe. A me

pare invece che tale parallelismo sia sostenibile anche per altre ragioni, che si riferiscono soprattutto al significato che Enrico e Cuchulain assumono nei drammi che li vedono protagonisti e alla funzione che viene attribuita al coro, rispettivamente il Prologo in Henry V (1600) e i Musici in The Only Jealousy of Emer (1919). Nel personaggio di Enrico V Shakespeare crea forse il suo unico vero eroe positivo, trascinatore e responsabile del suo popolo – si consideri il periodo in cui il dramma venne composto e rappresentato: alla morte senza figli di Elisabetta, l’Inghilterra si trovava a un bivio pericoloso nella prospettiva di un colpo di stato dei cattolici o di una guerra civile. Allo stesso modo Yeats individua in Cuchulain l’eroe che si erge a simbolo e guida di una nuova generazione di irlandesi. Sia Shakespeare che Yeats si trovano in un periodo storico di grande cambiamento per il loro paese, un periodo di smarrimento e di grande tensione per il primo; di grande tensione e di con-fusione per il secondo. Il popolo irlandese passa da un totale asservimento di secoli all’Inghilterra a una presa di coscienza della propria identità autonoma, che lo porterà in alcuni decenni all’indipendenza, cui si accompagnerà però un faticoso percorso di raggiustamento e riorganizzazione attraverso tensioni, polemiche, pericoli, involuzioni e contraddizioni. Per entrambi si tratta di tenere unito il popolo identificando una figura che lo rappresenti e sia in grado di guidarlo e trasformarlo: Enrico V è una tale figura, che dell’eroe conserva i tratti fondamentali, anche se ne acquista altri che potrebbero inserirlo sic et simpliciter nella categoria degli eroi machiavellici, diversi da personaggi come Riccardo III solo per il diverso orientamento e l’intenzionalità del loro agire. Intendiamoci, Enrico e Cuchulain sono molto diversi l’uno dall’altro, anche se entrambi subiscono una metamorfosi: il giovane Hal di Henry IV (1598) si evolve nel Re Enrico di Henry V, così come il Cuchulain di At the Hawk’s

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25 i mutevoli volti dell’eroe

Well si trasforma in quello di The Death of Cuchulain; ma mentre Enrico è consapevole della sua funzione di guida e di path opener e tale consapevolezza gli dà l’impulso a procedere nonostante la situazione disperata in cui viene a trovarsi sul suolo di Francia, Cuchulain non ne è apparentemente consape-vole, e comunque non se ne preoccupa – in ciò molto più simile agli eroi del mito, che pure rendono disponibili percorsi a quelli che vorranno seguirlo su quella strada – e non conferisce alla sua azione la finalizzazione, che invece in Enrico è ben presente dall’inizio alla fine13.Come per il Prologo di Henry

V, i Musici di The Only Jealousy of Emer invitano il pubblico a prendere parte alla creazione della scena, con ciò modificando non soltanto il suo punto di vista statico sull’esperienza teatrale, ma impegnandolo nello stesso tempo a modificare se stesso e la sua visione del mondo. A questo punto, Cuchulain e coloro che lo evocano – i Musici – diventano i portatori di un messaggio che risale a colui che li ha evocati e messi in scena, ossia il drammaturgo stesso, ma in questo caso anche il poeta, che quindi emerge come il vero eroe invi-sibile, una specie di Deus absconditus, l’unico in grado di indurre significativi cambiamenti nella relazione uomo-mondo. Se il poeta, come sostiene Carlyle – che Yeats conosceva bene, anche se non ne apprezzava lo stile – «è disceso quaggiù proprio per vederla, questa divina idea, e rivelarcela»14, è tuttavia

destinato a rimanere inascoltato perché, ancora nelle parole di Carlyle, tale idea si manifesta con un linguaggio totalmente nuovo che ai contemporanei spesso risulta ostico o incomprensibile. E tuttavia egli ha l’obbligo di esprimersi attraverso l’azione della parola. Yeats lo conferma più volte, che si riferisca a se stesso, come in To Ireland in the Coming Times (1892)15, o esorti i poeti

irlandesi a farsi mentori e sprone della loro gente16. Il divenire della poesia si

contrappone alla staticità, all’immobilità del proprio Paese, alla sua chiusura e paralisi, che esprime però l’immobilità della borghesia trionfante, priva di sogni, e di conseguenza di creatività. Così come il gesto eroico e il percorso compiuto dall’eroe restano tracce per tutti coloro che vorranno o potranno/ sapranno seguirli, allo stesso modo la parola del poeta è il ‘sempre presente’ che è essenziale per il cambiamento, per la metamorfosi. Che i tempi attuali la ignorino o se la scrollino di dosso è il segno che il vecchio ciclo non si è ancora concluso e che i ciechi come Conchubar o Aife, o come la società che era sotto gli occhi di Yeats, hanno ancora la forza di vincere la partita17,

in ciò proclamando l’analogia fra la morte di Cristo, che apre il nuovo ciclo dell’oggettività attraverso il sacrificio della propria vita terrena, e Cuchulain, che ha la stessa funzione di aprire il ciclo opposto, della soggettività, che non è certo quella del borghese, del mercante, del banchiere o del capitalista. Non rappresenta una smentita di quanto finora affermato sulla centralità dell’azione, della dinamicità che dovrebbe caratterizzare insieme l’eroe e la poesia, la contemplazione dell’immobilità in cui si risolvono «all complexities of mire and blood»18, perché quanto riluce in Byzantium (1926) rappresenta la

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nella vita umana, che è comparabile con la quindicesima fase della luna, il punto in cui si raggiunge l’unità dell’Essere e tutte le contraddizioni si annullano e si fondono. Ma se, come ricorda Paduano, «[l’]individuo singolo [...] può ap-prendere la pienezza del futuro [ma] per definizione non può viverla [...] vissuti sono invece il dolore e la fatica che ne rappresentano la premessa indispensa-bile»19: «L’artificio dell’eternità»20 è, per l’appunto, un artificio, un’epifania, ma

sia l’eroe, sia il poeta – che in quanto crea o ri-crea l’eroe, è egli stesso il vero eroe – appartengono alla dimensione umana del tempo, non a quella divina del senza tempo, anche se ad essa tendono e verso di essa tracciano il cammino.

Note

1 «[A] mio parere, la storia universale, la storia di quanto l’uomo ha compiuto sulla terra

è, in sostanza, la storia dei grandi uomini che vi hanno operato». «La storia del mondo, ripeto, è la biografia dei grandi uomini» («[A]s I take it, Universal History, the history of what man has accomplished in this world, is at bottom the History of the Great Men who have worked here». «The history of the world, I said already, was the biography of great men»). T. Carlyle,

Gli eroi, il culto degli eroi e l’eroico nella storia, introd., trad. it. e note di G. Spina, BUR, Milano

1992, p. 39 e p. 4 (or. ed., On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in History, James Fraser, London 1841, p. 1).

2 «Abbiamo avuto tali falsificazioni che ora non ci fidiamo più di nulla. Sono circolate

sul mercato così tante monete placcate, di basso conio, che è diventata adesso comune la con-vinzione che l’oro non esista più e persino che si possa benissimo farne a meno!», in Id., Gli

eroi, il culto degli eroi e l’eroico nella storia, cit., p. 277 (or. ed. On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in History, cit., p. 327: «We have had such forgeries, we will now trust nothing. So

many base plated coins passing in the market, the belief has now become common that no gold any longer exists, – and even that we can do very well without gold!»).

3 I suoi Collected Poems (1933) vogliono porsi come la parola risolutiva dell’intenso e

spesso tormentato iter di revisione, di cui è testimonianza la monumentale Variorum Edition

of the Poems of W.B. Yeats, a cura di P. Allt, R.K. Alspach, Macmillan, New York 1957.

4 Scrive infatti Boitani: «A ogni passo di questo ritratto del poeta da vecchio incontriamo

conflitti, contraddizioni, svolte: i miti, i simboli, le immagini si dispongono a cerchi concentrici, l’uno contro e dentro l’altro, l’uno di volta in volta illuminato e oscurato dall’altro» (P. Boitani,

Soltanto le parole sono un bene sicuro, in W.B. Yeats, L’opera poetica, trad. it. di A. Marianni, ‘‘I

meridiani’’ Mondadori, Milano 2005, p. LXXIII). Concordo con quanto sostiene Piero Boitani a proposito dell’ultimo Yeats, con la riserva che quanto ivi affermato è a mio parere estendibile a tutta l’opera del poeta in quanto parte integrante della sua stessa personalità umana. La con-traddizione in realtà fa parte di un processo dialettico finalizzato alla definizione di un’idea, di un progetto o di una visione, e quindi si tratta di una contraddizione necessaria.

5 B.R. Friedman, Adventures in the Deep of the Mind: The Cuchulain Cycle of W.B. Yeats,

Princeton UP, Princeton 1977, p. 40.

6 Yeats, come è noto, si interessò attivamente delle vicende politiche del suo Paese e per

qualche tempo ricoprì pure una carica pubblica nel neonato Stato Libero d’Irlanda, anche se la piega che presero successivamente gli avvenimenti e la politica di chiusura attuata dai vari governi che si succedettero fino alla sua morte gli suscitò più critiche che consensi.

7 T. Carlyle, Gli eroi, il culto degli eroi e l’eroico nella storia, cit., pp. 122-123: «Rivelate al

più ottuso manovale il modo per farlo», ovvero compiere azioni nobili e pure, rivendicare la propria natura divina «e in lui si sveglierà l’eroe. Grave torto arrecano all’uomo coloro i quali sostengono che si lasci sedurre dagli agi. Le difficoltà, l’abnegazione, il martirio, la morte sono

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27 i mutevoli volti dell’eroe

gli allettamenti che agiscono sul cuore umano» (or. ed. On Heroes, Hero-Worship and the Heroic

in History, cit., p. 114:«Show him the way of doing that, the dullest daydrudge kindles into

a hero. They wrong man greatly who say he is to be seduced by ease. Difficulty, abnegation, martyrdom, death are the allurements that act on the heart of man»).

8 W.B. Yeats, The Wanderings of Oisin (1889), in Id., The Collected Poems, London

Mac-millan 1965, p. 409.

9 Cuchulain’s Fight with the Sea e The Secret Rose.

10 «I fell on the path, and the horse went away like a summer fly; / And my years three

hundred fell on me, and I rose, and walked on the earth, / A creeping old man, full of sleep, with the spittle on his beard never dry» (W.B. Yeats, The Wanderings of Oisin, cit., book III, vv. 190-192, p. 445).

11 G. Paduano, La nascita dell’eroe. Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura occidentale,

BUR, Milano 2008, p. 45.

12 B.R. Friedman, Adventures in the Deep of the Mind: The Cuchulain Cycle of W.B. Yeats, cit.,

pp. 3-4.

13 Yeats non condivideva l’entusiasmo di molti critici, soprattutto inglesi, per Enrico V,

e gli sembrava esagerata, se non impropria, la tendenza a considerarlo l’unico vero eroe che Shakespeare concepisse come tale. Alla figura di Enrico, Yeats preferiva quella del sofferente e umiliato Riccardo II, apparentemente perché in quella figura di ‘dispossessed’ riconosceva il simbolo dell’espropriazione dei diritti di autonomia e sovranità subiti dall’Irlanda ad opera degli inglesi. Enrico cioè sarebbe l’incarnazione di quello spirito inglese di conquista di cui Riccardo II sarebbe invece vittima; ma è evidente che Yeats non poteva riferirsi ai personaggi storici, basando invece i suoi giudizi sulla loro rappresentazione nel teatro shakespeariano. Al contrario, se avesse dovuto riferirsi ai personaggi storici non avrebbe avuto molta coerenza la sua valutazione di Riccardo II come vittima sacrificale e soprattutto non avrebbe potuto permettersi parallelismi, espliciti o occulti, fra quel re inglese e l’Irlanda. Come dimenticare infatti che Riccardo aveva fra i suoi progetti la ‘punizione’ del ribellismo irlandese attraverso una campagna militare, che certamente non intendeva essere rispettosa degli irredentismi irlandesi?

14 T. Carlyle, Gli eroi, il culto degli eroi e l’eroico nella storia, cit., p. 223: «Il letterato è

disceso quaggiù proprio per vederla, questa divina idea, e rivelarcela; e in ogni nuova generazione essa si manifesterà con un nuovo linguaggio» (or. ed. On Heroes, Hero-Worship and the Heroic

in History, cit., p. 253: «But the Man of Letters is sent hither specially that he may discern

for himself, and make manifest to us, this same Divine Idea: in every new generation it will manifest itself in a new dialect»).

15 «I cast my heart into my rhymes, / That you in the dim coming times, / May know how

my heart went with them / After the red-rose-bordered hem» (W.B. Yeats, The Rose, in Id., The

Collected Poems, cit., vv. 45-48, p. 58). Il pronome them, se può riferirsi al più vicino faeries, si

collega però idealmente alla prima strofa della poesia in cui il poeta dichiara di sentirsi parte di una «company / That sang, to sweeten Ireland’s wrong / Ballad and story, rann and song» (ivi, vv. 2-4), un’interessante versione lirica dell’eliotiano Tradition and the Individual Talent (1921). Corsivi miei.

16 «Irish poets learn your trade, / Sing whatever is well made, / Scorn the sort now

grow-ing up / All out of shape from toe to top» (W.B. Yeats, Under Ben Bulben, 1938, in Id., The

Collected Poems, cit., vv. 69-72, p. 400).

17 «Gli eroi se ne sono andati; sono giunti i ciarlatani», sostiene Carlyle (T. Carlyle, Gli

eroi, il culto degli eroi e l’eroico nella storia, cit., p. 244, ed. orig. On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in History, cit., p. 282: «Heroes have gone out; Quacks have come in»); una

pro-posizione che Yeats indubbiamente avrebbe potuto sottoscrivere; come la seguente, che bene si adatta allo sconforto del drammaturgo e poeta irlandese negli ultimi momenti della sua vita, che si manifesta sia nel dramma, sia nella poesia intitolati The Death of Cuchulain: «Non è l’eroe soltanto che ci occorre, ma un mondo che ne sia degno; non un mondo di valletti;

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altrimenti l’eroe arriverà quasi invano» (T. Carlyle, Gli eroi, il culto degli eroi e l’eroico nella

storia, cit., p. 294, ed. orig. On Heroes, Hero-Worship and the Heroic in History, cit., p. 350:

«Not a Hero only is needed, but a world fit for him; a world not of Valets; – the Hero comes almost in vain to it otherwise!»)

18 W.B. Yeats, Byzantinum, The Winding Stair and Other Poems (1933), in Id., The

Col-lected Poems, cit., p. 281.

19 G. Paduano, La nascita dell’eroe. Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura

occiden-tale, cit., p. 86.

20 «and gather me / Into the artifice of eternity, Sailing to Byzantinum, The Tower (1928)

in The Collected Poems, cit., p. 218.

Opere citate

Boitani Piero, Soltanto le parole sono un bene sicuro, introduzione a W.B. Yeats, L’opera

poetica, trad. it. di A. Marianni, ‘‘I meridiani’’ Mondadori, Milano 2005.

Carlyle Thomas, Gli eroi, il culto degli eroi e l’eroico nella storia, introd., trad. it. e note di G. Spina, BUR, Milano 1992 (ed. orig. On Heroes, Hero-Worship and

the Heroic in History, James Fraser, London 1841).

Friedman B.R., Adventures in the Deep of the Mind: The Cuchulain Cycle of W.B. Yeats, Princeton UP, Princeton 1977.

Paduano Guido, La nascita dell’eroe. Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura

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1925; Macmillan, London 1937.

——, The Collected Poems, Macmillan, London 1965. ——, The Collected Plays, Macmillan, London 1982.

——, Variorum Edition of the Poems of W.B. Yeats, ed. by P. Allt, R.K. Alspach, Mac-millan, New York 1957.

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Yeats, Cuchulain e la fine del ciclo

Dario Calimani

Università Ca’ Foscari, Venezia (<shemtov@unive.it>)

Abstract

In analysing two ‘Cuchulain plays’ by Yeats, this study highlights the central quality of modernism in On Baile’s Strand, where tragedy is deflated by farce and contaminated with low-mimetic style, and the full expression of despair is hindered by a Blind Man and a Fool, acting as spectators and providing an alternative view of existence. In The Death of Cuchulain the hero’s tragedy is revisited, thus haunt-ing the final moments of his life. Yet again, Cuchulain is denied his tragic stature and is assigned a farcical death which diminishes his mythical figure. The ultimate stage of demythization is reached in

Purgatory, a play with no Cuchulain, where an Old Man and a Boy

reproduce the father-son struggle, with the former killing the latter. Yeats’s obsessive theme has come to an end. The annihilation of the Cuchulain myth and its central event, at the end of Yeats’s life, seems to be pointing to the end of all ideals in a final apocalypse devoid of any possible eternal return.

Keywords: Yeats, myth, tragedy, Cuchulain, nihilism

I made my song a coat Covered with embroideries Out of old mythologies From heel to throat; But the fools caught it, Wore it in the world’s eyes As though they’d wrought it. Song, let them take it, For there’s more enterprise In walking naked. W.B. Yeats, A Coat, 1912

Così scriveva Yeats, riferendosi evidentemente a poesie come The Wander-ings of Oisin (1889), o al naturismo innocente e ingenuo di The Lake Isle of Innisfree (1890). Il poeta in effetti abbandona la prima ispirazione folclorica, ricca di suggestioni mitologiche, caratterizzata da uno stile più elaborato e dalla

ISSN 2239-3978 (online) 2012 Firenze University Press Studi irlandesi. A Journal of Irish Studies, n. 2 (2012), pp. 29-40

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seduzione del ritmo poetico per passare a una più complessa poesia fatta di simboli privati, ma anche di un linguaggio più semplice e diretto, influenzato dallo stile comunicativo della sua produzione teatrale. Nel 1925 scriverà A Vision, il trattato in cui espone il sistema mito-simbolico sul quale fonda la sua nuova produzione poetica. Yeats si rifugia dunque in un linguaggio privato, che solo lui può usare, un linguaggio fatto di lune e di soli, di torri e di spirali, precluso agli imitatori di second’ordine. Nessuno potrà così strappargli l’ori-ginalità dell’ispirazione e dello stile. Con A Coat Yeats chiude una fase della sua poesia e annuncia l’inizio di un nuovo percorso. È però anche la presa di coscienza di nuove responsabilità, dopo le delusioni riservategli dalla società e dalla politica irlandesi, e dopo la caduta degli ideali romantici coltivati in gioventù. Si tratta di responsabilità verso il proprio passato e verso la società, responsabilità personali ed estetiche. E tuttavia, in questa sua fuga verso il privato e il personale, e, poi, nel suo rifugiarsi nell’enigmaticità del simbolo, Yeats non scuce dal suo mantello il ricamo di Cuchulain, anzi, fino alla morte lo ostenta orgoglioso, legato com’è alle emozioni che la storia drammatica dell’eroe dell’Ulster gli ha ispirato fin dalla prima poesia. E non è tanto la storia dell’imbattibile guerriero o dell’amante infedele quanto, soprattutto, quella dell’eroe che uccide il suo unico figlio e, pazzo di dolore, si scaglia contro i marosi con tutta la furia e tutta la disperazione dell’uomo che, in una lotta irrazionale, cerca la propria punizione nella morte.

Cuchulain compare per la prima volta, nell’opera di Yeats, in To the Rose upon the Rood of Time (1891), un solo breve accenno all’inizio del testo – «Cuchulain battling with the bitter tide» (v. 3) –, per citare uno dei temi che popoleranno la fantasia del poeta, riletti attraverso la lente del simbolismo neoplatonico. E, infatti, la figura dell’eroe compare fra le primissime poesie, The Death of Cuchulain, un testo del 1892 che nel 1925 riceverà un nuovo titolo: Cuchulain’s Fight with the Sea. Secondo quanto tramandato dalla mitologia irlandese, Cuchulain dopo aver vinto in battaglia la grande guerriera Aoife, l’ha sedotta e l’ha abbandonata, senza sapere che da quell’incontro d’amore nascerà un figlio che la donna alleverà nell’odio per quel padre che non gli è stato dato di conoscere. Al centro della poesia è l’attesa dell’odiato eroe da parte della donna1, assetata di vendetta. L’amante ingannata prepara il figlio

al duello mortale con colui che egli non sa essere suo padre. Entrambi sono vincolati da un geis, un tabù che li obbliga a non rivelare la propria identità a coloro con i quali si battono. Cuchulain è descritto nel suo accampamento, circondato dall’amore di una nuova amante, circonfuso dalla sua gloria sullo sfondo musicale di un’arpa suonata dallo stesso re Conchubar. Poi è il duello: Cuchulain che cerca di dissuadere il giovane dal continuare lo scontro, la lama dell’eroe che trafigge mortalmente il giovane guerriero, e le ultime parole di questi che rivela alfine la propria identità: «Cuchulain I, mighty Cuchulain’s son» (v. 20). Cuchulain infligge il colpo finale al figlio e si accascia in una sorta di torpore mentale. L’attenzione della poesia si sposta sul contesto: Conchubar

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