Indice
Introduzione
1. Il culto della personalità in Unione Sovietica e nei Paesi dell’est europeo
1.1 La sacralizzazione della politica
1.2 Nascita del culto di Lenin ( 1918-1923 ) 1.3 Il culto del capo defunto ( 1924-1934 ) 1.4 Il culto del capo vivente: Stalin
1.5 Il Generalissimo e “Padre dei popoli”
1.6 Il culto della personalità nell’analisi di Stalin 1.7 La destalinizzazione
1.8 Il rapporto Krusciov nell’analisi di Togliatti
1.9 Culti della personalità nei regimi comunisti dell’Europa orientale
2. Il culto della personalità di Togliatti nella retorica comunista
2.1 Gli appellativi:
I. Il capo
II. L’educatore III. Il grande patriota IV. L’intellettuale
2.2 Le qualità:
I. Il lavoratore instancabile: metodo, ordine, precisione II. Calma, ponderazione, fermezza
3. L’iconografia del potere
Corredo iconografico
Appendice
I. Poesie e canzoni
II. Schede anagrafiche degli audiovisivi
Bibliografia
Ringraziamenti
Introduzione
I.
Lo studio del culto della personalità di Togliatti non può prescindere dall’analisi dei culti che si affermarono nei regimi comunisti: il loro sviluppo, infatti, attingeva a un patrimonio comune di ideologia e tradizioni1. E’ necessario in primo luogo stabilire le caratteristiche comuni di questi
culti, quindi cercare quegli elementi che differiscono nei vari casi studiati.
Paul Hollander, in uno studio sui culti della personalità negli stati a regime comunista, notava due caratteristiche fondamentali che accomunavano tutti i casi esaminati: la pervasività dei culti e il processo di divinizzazione del capo2.
Le immagini dei leader erano infatti onnipresenti, divulgate dai mass media e dall’arte di regime in manifesti, quadri, sculture e film; la celebrazione dei capi coinvolgeva anche scrittori e poeti, che gli dedicavano libri e poemi; in qualche caso anche i musicisti componevano opere in loro onore. In secondo luogo, i capi erano non soltanto definiti come eroi coraggiosi e saggi, ma subirono un processo di divinizzazione: essi erano onniscienti, onnipotenti, incarnavano il destino della nazione; padroneggiavano ogni sfera dell’attività umana come grandi tattici in guerra, giudici nel campo dell’arte, della letteratura, della scienza. Inoltre, questi leader dedicavano interamente la loro esistenza al loro ruolo politico e virtualmente non avevano una vita privata: difficilmente i mass media si interessavano delle loro vicende familiari.
1 La massima espressione di questo patrimonio è data dai culti di Lenin e di Stalin, sulla base dei quali si modellarono
tutti i culti emersi nei Paesi dell’Europa orientale.
2 V. Paul Hollander Discontents. Postmodern & Postcommunist New Brunswick and London, Transaction Publishers,
Secondo Hollander, l’analisi comparativa dei culti può dare risulti interessanti, mettendo in luce anche approcci differenti dovuti a rielaborazioni nazionali. Per quanto riguarda il caso cinese, ad esempio, lo studioso nota come il culto di Mao avesse molte caratteristiche in comune con la tradizionale devozione religiosa del Paese; un altro elemento originale di questo culto era senza dubbio la grande enfasi con cui si sottolineava il coraggio fisico di Mao, mettendo spesso in risalto le sue doti di grande nuotatore3.
Uno studio sul culto di Togliatti deve tener conto di queste considerazioni, senza dimenticare che, nonostante il Pci contasse su una solida base di militanti, fosse rigidamente centralizzato e disponesse di un apparato propagandistico ben organizzato, era un partito di opposizione in un Paese democratico; il Pci non disponeva quindi di un potere coercitivo di imposizione del culto, né di un controllo totale dei mass media, delle istituzioni e delle organizzazioni. Il partito, inoltre, doveva confrontarsi con tradizioni nazionali e popolari molto radicate nella società italiana4.
E’ necessario quindi avere sempre presente le condizioni particolari in cui il Pci operava prima di cercare le analogie tra il culto di Togliatti e quelli dei leader dei Paesi comunisti 5.
Una volta definito il problema, è opportuno orientarsi verso la lettura critica della stampa comunista e lo studio delle pubblicazioni propagandistiche del Pci dell’epoca.
Una chiave interpretativa efficace del materiale consultato può essere fornita dalle ricerche di due studiosi di sociolinguistica, Jean-Baptiste Marcellesi e Harold Lasswell, dedicate allo studio del linguaggio del comunismo6.
Marcellesi fu autore di una ricerca pionieristica per la sua epoca; egli analizzò il linguaggio dei leader presenti al XVIII Congresso del Partito socialista francese, tenutosi a Tours nel dicembre del 1920. Al congresso si verificò la scissione dei socialisti e la separazione della corrente riformista da
3 Cfr. Paul Hollander, ibid., pp. 383-385.
4 V. ad es., il mito del Risorgimento e una tradizione molto forte di stampo cattolico perpetuata dalla presenza capillare
nel Paese di organizzazioni che facevano riferimento alla Chiesa.
5 Per capire meglio le dinamiche d’instaurazione del culto della personalità di leader comunisti che operavano in Paesi
democratici, sarebbe interessante avviare uno studio sul culto di Maurice Thorez, capo del Partito comunista francese.
6 V. Jean-Baptiste Marcellesi Le congrès de Tours ( dècembre 1920) Etudes sociolinguistiques Paris, Le Pavillon,
1973; Harold D. Lasswell et al. ( a cura di ) Language of Politics. Studies in Quantitative Semantics New York, Gorge W. Stewart, 1949.
quella rivoluzionaria: la maggioranza, detta “la sinistra di Tours”, decise di aderire alla III Internazionale e si presentò come continuatrice del vecchio Partito socialista dandogli la denominazione di “comunista”. Marcellesi notò che, nonostante le posizioni dei dirigenti fossero molto differenti, non vi era incomprensibilità di linguaggio nei loro discorsi: essi utilizzavano le stesse parole e le stesse formule; questo significa che nel 1920 si era consolidato un patrimonio linguistico comune all’interno del movimento operaio internazionale.
Il lavoro di Lasswell, utilizzando il metodo della “content analysis”, affrontava il problema degli slogan del Primo maggio in Unione Sovietica e le formule utilizzate dalla stampa di regime, individuando il forte contenuto simbolico del linguaggio comunista e le sue tendenze nel tempo: Lasswell, dopo aver classificato i termini della propaganda in base al loro contenuto e frequenza, dimostrò per l’Unione Sovietica il passaggio da un linguaggio rivoluzionario-universale a un linguaggio patriottico-nazionale.
Questo metodo, applicato alla mia ricerca, può consentire di rileggere criticamente la retorica di partito, individuando gli appellativi che più frequentemente venivano utilizzati dalla propaganda per definire Togliatti, e di classificarli in base alla loro frequenza:
1. Togliatti è il Capo
2. Togliatti è il Maestro e l’Educatore 3. Togliatti è il grande Patriota 4. Togliatti è l’Intellettuale
I primi tre appellativi sono gli stessi che venivano utilizzati per definire tutti gli altri leader del comunismo. Il terzo denota il tentativo di ricondurre Togliatti nell’alveo della tradizione nazionale di lotta contro i nemici esterni, proponendolo come leader di un secondo Risorgimento ( la Resistenza contro il nazifascismo ) e invitto difensore delle classi subalterne italiane. Questa operazione di “nazionalizzazione” del leader è tipica di tutti i Paesi comunisti, dall’Unione Sovietica alla Cina, dalla Polonia all’Albania.
L’analisi del quarto termine, invece, presenta una certa originalità; tutti i grandi dirigenti comunisti venivano celebrati per le loro doti intellettuali, ma queste erano dovute alla genialità connaturata nella loro personalità che, come abbiamo visto, aveva subito un processo di divinizzazione.
Nel caso di Togliatti, invece, si ribadiva costantemente che le sue eccezionali doti intellettuali si erano sviluppate grazie a uno studio metodico e costante; da qui deriva la descrizione non di una divinità, ma di un superuomo che, grazie alle sua sagacia, alla sua cultura e allo spirito di sacrificio, era assurto alla guida del movimento operaio italiano.
Un altro particolare interessante è l’insistenza sulla cultura classica di Togliatti.
Il lungo articolo Togliatti uomo di cultura e oratore, scritto dall’illustre studioso Concetto Marchesi e pubblicato il 19 settembre 1948 da L’Unità, fornisce un compendio significativo delle qualità e delle conoscenze che un vero intellettuale, secondo l’intellighenzia italiana, doveva possedere. Togliatti aveva una nobiltà intellettuale “che discende dal passato, cioè dall’antico, e dell’antico ritiene non gli echi, ma la sostanza vitale”; più avanti Marchesi si soffermava ad analizzare l’oratoria del segretario del Pci, paragonando la sua eloquenza a quella di Caio Gracco.
Un vero leader, quindi, doveva necessariamente possedere una solida cultura classica: questa è una rielaborazione tipicamente italiana del culto della personalità, strettamente legata a una particolare concezione della cultura che non ha riscontro in nessun altro Paese esaminato.
Nella stampa comunista, inoltre, certe qualità di Togliatti venivano descritte molto spesso: egli era un lavoratore instancabile, che seguiva un metodo di lavoro rigoroso basato sull’ ordine e sulla
precisione; per quanto riguarda il carattere, spesso si insisteva sulla sua calma, che gli permetteva
di non agire mai d’impulso ma di riflettere attentamente prima di prendere delle decisioni.
La descrizione delle qualità di Togliatti era molto accurata; al segretario del Pci venivano attribuite numerose abilità di pensiero: soprattutto, come abbiamo visto, l’osservazione e la riflessione.
Lasswell, in un importante studio intitolato Power and Personality7, sosteneva che proprio queste
due caratteristiche sono indispensabili per il cittadino-leader di una società democratica; questi deve
7 Questo saggio è contenuto in Harold D.Lasswell Potere, politica e personalità ( a cura di Mario Stoppino), Torino,
avere anche un certo numero di abilità intellettuali, tra cui: la riflessione sui fini, la riflessione sulle linee di tendenza, la riflessione scientifica, la riflessione proiettiva.
La riflessione sui fini permette la chiarificazione degli scopi dell’azione:
(…) I leader democratici devono essere abituati ad operare in questo mondo in cui la chiarezza è soltanto parziale, e a riflettere sempre nei termini di ciò che è vero per definizione e di ciò che è vero sulla base dell’osservazione; e ad assuefarsi a servirsi di un intergioco armonioso tra le definizioni concettuali, quelle operazionali e i dati provenienti dagli osservatorii sociali.8
La riflessione sulle linee di tendenza, o riflessione storico-cronologica, permette al leader di collocarsi nel flusso degli eventi e di accertare il grado in cui i fini vengono realizzati.
La riflessione scientifica parte dalla formulazione di generalizzazioni, confermabili per mezzo dell’osservazione, riguardanti le relazioni intercorrenti tra le variabili che rappresentano gli scopi e le variabili che ne condizionano la realizzazione.
La riflessione proiettiva, infine, implica una raffigurazione dei probabili modi alternativi con cui ciò che noi probabilmente faremo, o che probabilmente faranno altri, inciderà sui nostri fini; questo tipo di riflessione comporta la valutazione di metodi di nuova invenzione per perseguire lo scopo voluto, e abbraccia tutti i prodotti dell’immaginazione creativa sui modi e sui mezzi dell’azione politica.
Rileggendo criticamente la stampa comunista è possibile notare che tutte questa abilità erano ascritte a Togliatti; in sintesi, possiamo dire che l’immagine che si voleva dare del segretario del Pci era quella di un uomo che riassumeva nella sua personalità le caratteristiche di un leader comunista e quelle di un leader di un Paese democratico; se Togliatti non poteva subire un processo di divinizzazione a causa della particolare situazione in cui il partito operava in Italia, poteva almeno essere celebrato come un superuomo e come “il Migliore” di tutti i dirigenti italiani.
II.
Palmiro Togliatti emerse alla guida del movimento operaio italiano durante gli anni del fascismo. Nonostante la difficile situazione in cui il partito si trovava, è possibile notare, leggendo L’Unità clandestina, i primi tentativi di instaurazione del culto della personalità del leader.
L’immagine di Togliatti, infatti, a partire dalla fine degli anni Trenta, appariva regolarmente nelle pagine del giornale, spesso affiancata da quelle dei grandi capi sovietici: Lenin e Stalin.
Leggendo la stampa comunista dei primi anni del dopoguerra è possibile notare un sensibile aumento dello spazio dedicato al segretario del Pci. Conformemente a una tradizione consolidata in Unione Sovietica, una rilevanza particolare assumeva la data del suo compleanno, il 26 marzo: quel giorno il leader veniva celebrato da L’Unità che pubblicava, in prima pagina, gli auguri della Direzione a nome di tutti i lavoratori italiani. Cominciarono anche ad apparire articoli ed editoriali scritti allo scopo di elogiare Togliatti e il suo operato: ad esempio, così scriveva Velio Spano nel 1945:
Oggi è un anno, alla vigila del Consiglio nazionale del Partito comunista, ritornava in Italia il compagno Palmiro Togliatti. Nella commozione con la quale lo abbracciammo in quel giorno, a Napoli, era la gioia di ritrovare il maestro e l’amico che amiamo, era l’intensa emozione di rivedere sano e forte come sempre il nostro capo per la vita del quale avevamo tremato durante i primi mesi della guerra, era anche un senso nuovo di sicurezza, quasi di sollievo. Sentivamo allora (…) che la presenza di Ercoli ci avrebbe fatto superare più agevolmente gli ostacoli, che quel che vi era ancora di oscuro e di grezzo nella nostra linea politica sarebbe diventato chiaro, che tutto sarebbe diventato semplice e netto. E così fu. Tutto diventò subito più semplice (…)9
Senza dubbio, il momento fondamentale per lo sviluppo del culto della personalità di Togliatti fu l’attentato del 194810.
Il 14 luglio 1948 Togliatti, appena uscito da Montecitorio con Nilde Iotti, fu colpito da tre colpi di pistola, sparati da Antonio Pallante, un giovane siciliano di estrema destra che, subito arrestato, dichiarò di aver progettato l’attentato da solo; immediatamente, però, si cominciò a parlare della collusione di Pallante con ambienti fascisti e socialdemocratici11.
Alla notizia dell’attentato l’Italia comunista si mosse senza attendere le direttive del partito, proclamando lo sciopero generale; scontri e manifestazioni sospesero l’autorità dello Stato nelle maggiori città italiane: a Torino, gli operai della Fiat occuparono la fabbrica e presero in ostaggio sedici dirigenti; in tutto il Piemonte si riorganizzarono tempestivamente brigate partigiane; a Milano una trentina di persone rimasero ferite in scontri con la polizia12; a Genova venne preso d’assalto un
commissariato di polizia e furono devastate le sedi della Democrazia Cristiana e delle Acli; a Venezia gli operai presidiavano le fabbriche, la sede della Rai, il ponte sulla laguna; a Napoli furono allestiti nelle strade degli “altarini” con fiori e fotografie di Togliatti13.
Roma fu presa d’assalto dagli operai: alcuni disselciarono la piazza di Montecitorio, gettando sassi contro i poliziotti di guardia al Parlamento, mentre le donne del popolo si recavano in massa in pellegrinaggio al santuario del Divino Amore a pregare per Togliatti14. In piazza Esedra si svolse un
grande comizio popolare, presieduto da Longo e D’Onofrio, che riuscirono a sedare l’impeto
10 Su questa tematica cfr. in particolare: Giorgio Bocca Palmiro Togliatti Milano, Mondadori, 1991, pp. 501-522; Aldo
Agosti Togliatti Torino, Utet, 2003, pp. 359-364; Massimo Caprara L’attentato a Togliatti. 14 luglio 1948: il Pci tra
insurrezione e programma democratico Venezia, Marsilio, 1978; Walter Tobagi La rivoluzione impossibile. L’attentato a Togliatti: violenza politica e reazione popolare Milano, il Saggiatore, 1978, Giovanni Gozzini, Renzo
Martinelli Storia del Partito comunista italiano. Dall’attentato a Togliatti all’ VIII congresso Torino, Einaudi, 1998, pp. 22-71.
11 Cfr. Alberto Jacoviello I complici di Pallante in L’Unità, 24, 25, 27, 29, 31 luglio 1948, 1 agosto 1948. 12 Cfr. Tutta Milano in piazza in L’Unità, ed. dell’Italia settentrionale, 14 luglio 1948.
13 Gli “altarini” sono descritti in: Giorgio Amendola Il Pci all’opposizione: la lotta contro lo scelbismo , pubblicato in:
Aa. Vv. Problemi di storia del Partito Comunista italiano Roma, Fondazione Istituto Gramsci, 1971, cit. p. 120:“ A Napoli, utilizzando una vecchia tradizione locale, furono collocati agli angoli delle strade dei tavolini con la foto di Togliatti, dei fiori e dei libri per la raccolta delle firme. Questi altarini, così furono chiamati dal popolo, furono circondati da folle di cittadini, i quali (…) espressero poi i loro sentimenti, firmando e raccogliendo decine e decine di migliaia di firme: un vero plebiscito (…).
rivoluzionario della folla proponendo agli astanti di rendere omaggio al leader sfilando in silenzio davanti ai cancelli del Policlinico dove era ricoverato.
L’episodio insurrezionale più importante avvenne all’Abbadia San Salvatore, sul monte Amiata: i minatori armati occuparono la centrale telefonica dalla quale passavano le comunicazioni fra il Nord e il Sud della penisola15. Numerosi episodi di violenza, inoltre, interessarono il piccolo centro:
un camion di poliziotti fu investito da una bomba, che uccise due agenti; il pomeriggio del 15 luglio, in paese, una coltellata colpì a morte un maresciallo dei carabinieri. L’azione successiva delle forze dell’ordine assunse risvolti spettacolari, con rastrellamenti in montagna e “falsi” fotografici esibiti da L’Europeo e dalla Settimana Incom: furono arrestate novanta persone e nel 1950 si tenne un processo sommario che emise pesanti condanne16. Su questi fatti, in particolare, si
fondò l’accusa del governo democristiano che il Pci avesse preordinato un piano insurrezionale: il famigerato “piano K”17.
La repressione dell’insurrezione fu molto dura e continuò per parecchi mesi, colpendo in particolare i quadri intermedi del partito e del sindacato. Furono rinviate a giudizio settemila persone, in particolare nel Sud e in Toscana; tra il luglio 1948 e la prima metà del 1950 furono uccisi dalla polizia 62 lavoratori- di cui 48 comunisti- mentre i feriti furono in totale 3.126. 18
La direzione del Partito e il sindacato furono colti di sorpresa dall’imponenza della mobilitazione di massa. La sera del 14 luglio la Direzione si riunì in seduta straordinaria: le posizioni dei dirigenti erano molto eterogenee, ma i vice-segretari Longo e Secchia riuscirono a imporre la decisione di sedare l’impeto insurrezionale; l’obiettivo dello sciopero doveva essere la dimissione del governo o almeno di Scelba, all’epoca ministro degli Interni, additato come maggior responsabile di quel
15 Cfr. Gino Serafini I ribelli della montagna. Amiata 1948: anatomia di una rivolta Montepulciano, Edizioni del Grifo,
1982;Sirio Mangalaviti Le miniere dell’Amiata 1944-1978 Firenze, La Nuova Italia, 1979. Per una ricostruzione del moto v. anche Sandro Orlandini Luglio 1948. L’insurrezione proletaria nella provincia di Siena in risposta
all’attentato a Togliatti Firenze, Clusf, 1976.
16 Sul processo v. Vittorio Bardini Storia di un comunista Firenze, Guaraldi, 1977, pp. 106 sgg.
17 Cfr. Il piano “K” dei sediziosi esaminato dal Consiglio dei ministri in Il nuovo Corriere della Sera, 18 luglio 1948. 18 V. Delitti dell’anticomunismo. La repressione dopo il 14 luglio in Rinascita, a. XI, n. 8-9, agosto-settembre 1954,
clima di isteria anticomunista in cui era maturato l’attentato. Il 16 luglio la Direzione ordinò la cessazione dello sciopero, senza ottenere gli obiettivi che aveva fissato19.
Nel frattempo Stalin inviò un telegramma alla Direzione del Pci, che venne pubblicato il 16 luglio in L’Unità. Il leader sovietico, a nome del Comitato centrale, espresse la propria indignazione per “il brigantesco attentato”, rimproverando gli “amici di Togliatti” che non erano riusciti a difenderlo. Nonostante le parole di indignazione e i rimproveri, comunque, neppure Stalin diede direttive insurrezionali.
Togliatti, intanto, operato con successo dal professor Valdoni, durante la sua degenza e la convalescenza seguì l’evolversi della situazione, leggendo i giornali e ricevendo i dirigenti del partito. Il 30 luglio L’Unità pubblicò un suo messaggio, nel quale ringraziava i medici che lo avevano seguito e i compagni e gli amici; il 1 agosto scrisse un editoriale per il quotidiano comunista nel quale, pur prendendo atto dell’inevitabilità dello sciopero generale, cercò di sedare gli animi e di mediare la situazione conflittuale che si era creata, non insistendo sull’ondata repressiva scatenata dal governo.
Togliatti rientrò pubblicamente nella vita politica partecipando alla festa dell’ Unità, il 26 settembre. Mezzo milione di persone provenienti da tutta la penisola andarono a Roma per ascoltare il suo discorso, testimoniando uno spontaneo culto popolare della personalità di Togliatti.
In quella occasione, il regista Carlo Lizzani girò un documentario, Togliatti è ritornato20. Il film
mostra immagini rivelatrici dell’ampiezza del consenso che il Pci riscuoteva negli strati popolari della società italiana. Un corteo immenso sfilò nelle strade di Roma fino al Foro italico, dove si tennero i discorsi di Togliatti e di altri dirigenti comunisti; la folla mostrava squarci di folklore popolare regionale, combinati ai simboli ideologici dell’immaginario comunista ( i ritratti di Marx,
19 Delle sedute del 14 e del 16 luglio non si trovano i verbali nell’Archivio del Pci, ma della seconda esiste la
ricostruzione di Caprara, che ne aveva redatto il verbale, v. Massimo Caprara, ibid. , pp. 105 sgg.
20 Il documentario è stato riproposto in videocassetta unitamente al libro a cura di Nicola Tranfaglia ( a cura di ) Il
1948 in Italia. La storia e i film Firenze, La Nuova Italia, 1991.I lungometraggi (sicuramente il più famoso è senz'altro
questo documentario)e le “filmine”prodotti dal partito circolavano largamente nelle federazioni ed erano distribuite a cura del Centro diffusione stampa. Sulla propaganda del partito attraverso le “filmine” cfr. A. Mignemi La lanterna
Engels, Lenin, Stalin, Togliatti). La grande manifestazione fu rievocata e analizzata da Pietro Ingrao nel 1990:
Quella giornata non fu solo di grande gioia. Fu un fatto politico(…). C’era stata una volontà deliberata nell’impostare la Festa: ogni organizzazione regionale portasse [sic] nel corteo romano una figurazione, un gruppo, una musica che fosse l’immagine della terra, della città da cui veniva (…) eravamo allora molto “nazional-popolari”, e in quello sforzo testardo di radicamento nel paese attingevamo anche dal folclore (…) Come direttore dell’ “Unità” io parlai brevemente: è stato il più grande comizio di massa in cui ho parlato nella mia vita (…).21
Un altro momento importante dell’evoluzione del culto della personalità di Togliatti fu il suo sessantesimo compleanno, nel marzo del 1953.
L’evento si collocava in un periodo di forte tensione emotiva per i militanti: il 5 marzo 1953, infatti, era morto Stalin. La notizia fece precipitare i comunisti in un clima di lutto e di dolore; fu calcolato in almeno 100000 il numero dei cittadini che sfilarono davanti all’ambasciatore sovietico Kostilev per porgere le loro condoglianze. Nelle organizzazioni di partito e nel sindacato si verificò un afflusso spontaneo di nuove adesioni. Le cerimonie in onore di Stalin culminarono nella partecipazione ai funerali di una delegazione comunista-socialista ai funerali, guidata da Togliatti e da Nenni. A Togliatti, Nenni, Amendola e Dozza fu concesso l’onore di vegliare la salma: questo implicava il riconoscimento pubblico della loro intimità con Stalin e documentava la loro partecipazione alla fonte diretta di legittimazione nel momento di massima solennità22.
Il compleanno di Togliatti, quindi, servì anche allo scopo di mediare e attenuare la tensione emotiva generale chiamando i militanti a raccogliersi attorno al loro capo vivente per un momento di festa. La stampa comunista enfatizzò l’evento dedicando numerosi articoli al leader: la prima pagina de
L’Unità, il 26 marzo, conteneva un articolo a sei colonne sul compleanno, con un messaggio di
auguri del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo. Nei giorni seguenti il
21 Pietro Ingrao Le cose impossibili: un’autobiografia raccontata e discussa con Nicola Tranfaglia Roma, Editori
Riuniti, 1990, cit. p.66.
22 Cfr. Maurizio Degl’Innocenti Il mito di Stalin. Comunisti e socialisti nell’Italia del dopoguerra Manduria, Lacaita,
quotidiano pubblicò articoli di Trombadori, Ilia Ehrenburg, Longo, Gullo e Di Vittorio. Su
Rinascita apparve un ritratto del leader scritto da Pietro Secchia, un profilo di Concetto Marchesi e
un saggio di Giorgio Amendola sul contributo di Togliatti alla lotta per la rinascita del Mezzogiorno23.
Il settimanale Vie Nuove dedicò un intero numero al segretario del Pci, pubblicando tra l’altro una sua breve biografia e canzoni e poesie in onore di Togliatti provenienti da tutte le regioni d’Italia24.
Non mancò neppure il rito dei regali, che ricalcava direttamente la liturgia sovietica. Togliatti fece un elenco scrupoloso dei doni ricevuti, che furono moltissimi ed eterogenei, nelle sue carte: un paio di scarpe da montagna da parte delle federazioni piemontesi, una fisarmonica da Rimini, un merletto di Cantù da Como, un prosciutto da Nuoro; e ancora, una statua di Alberto da Giussano da Milano, una xilografia di Stalin da Lucca, da Napoli una nave argentata con motto “Verso il socialismo”.
Arrivarono anche lettere di militanti che, come regalo al leader, facevano dei veri e propri fioretti: la federazione di Messina, ad esempio, donò un volume rilegato in pelle che raccoglieva cinquecento moduli prestampati, compilati ciascuno da una persona diversa e ciascuno contenente un diverso impegno: qualcuno prometteva di “far votare la moglie per un partito di sinistra”, un altro di leggere “Il Capitale”, un altro ancora giurava che avrebbe annualmente acquistato un bollino sostenitore del partito da 200 lire.
Per lo storico Aldo Agosti e per Giorgio Bocca il sessantesimo compleanno segnò il culmine del culto della personalità di Togliatti25; lo studioso Maurizio Degl’Innocenti, invece, pone l’accento
sulla importanza dell’attentato, che accentuò enormemente la diffusione nel partito di forme di devozione verso il leader26.
In realtà, ambedue gli avvenimenti furono cruciali per lo sviluppo del culto; l’attentato colpì emotivamente i militanti, generando un culto spontaneo che venne prontamente interpretato,
23 V. Rinascita, a. VIII, n. 3, marzo 1953. 24 V. Vie Nuove, 29 marzo 1953.
25 V. Aldo Agosti, ibid. pp. 403-405; Giorgio Bocca, ibid. pp.571-579. 26 V. Maurizio Degl’Innocenti , ibid., , p.58.
mediato e sfruttato a fini propagandistici dalla dirigenza del partito. La celebrazione del sessantesimo compleanno, invece, fu un’operazione pianificata e organizzata dalla Direzione seguendo il modello sovietico; i militanti di base, attraverso la lettura della stampa di partito, parteciparono a questa liturgia e in molti casi si sentirono incoraggiati ad esprimere la devozione verso il leader.
Dopo il XX Congresso de Pcus il culto di Togliatti subì un drastico ridimensionamento; gli articoli celebrativi a lui dedicati nella stampa comunista, in particolare, diminuirono notevolmente, fin quasi a scomparire ( nei primi anni Sessanta le attestazioni di devozione si manifestavano quasi esclusivamente in occasione del suo compleanno).
La morte e il funerale di Togliatti furono l’ultima grande dimostrazione del culto che circondava la sua persona. Il segretario del Pci, il 13 agosto 1964, mentre era in visita a un campo di pionieri nella località di Artek, in Unione Sovietica, fu colpito da un malore improvviso; si trattava di una grave emorragia cerebrale; l’agonia del leader fu seguita con straordinaria tensione e partecipazione in Italia27. Togliatti morì il 21 agosto; Nikita Krusciov fu la prima persona a visitare la salma,
accompagnato da alcuni alti dirigenti sovietici. Il capo del Pcus fece anche la prima guardia d’onore al feretro, accanto al quale si alternarono poi i pionieri del campo Artek. Il 22 agosto la Pravda dedicò la prima pagina a Togliatti, pubblicando la sua biografia e un suo ritratto listato a lutto. La morte di Togliatti offre una dimostrazione molto efficace di quanto egli fosse rispettato e amato da buona parte del popolo; una grande folla commossa attese la salma del leader all’aeroporto romano di Ciampino e migliaia di persone sfilarono nella camera ardente allestita nella sede del Pci in via delle Botteghe Oscure28; la Direzione del partito seppe convogliare la tensione emotiva in un
imponente e composto corteo funebre che il 24 agosto attraversò le strade di Roma fino a piazza San Giovanni, dove i dirigenti più conosciuti del movimento comunista italiano e internazionale commemorarono lo Scomparso. Circa un milione di persone resero omaggio alla salma e seguirono
27 L’Unità informava quotidianamente i lettori dello stato di salute del leader. Rinascita dedicò la copertina a Togliatti
pubblicando la sua fotografia e un commosso articolo a cura della redazione della rivista, v. Giornate di ansia in
Rinascita, a. XXI, n. 33, 22 agosto 1964.
il feretro di Togliatti; le immagini del funerale furono riprese in un film, L’Italia con Togliatti, girato da vari registi. La stampa comunista dedicò tutto il suo spazio a servizi ed articoli che celebravano il leader defunto; le pagine, inoltre, ospitavano i messaggi di cordoglio giunti da ogni parte d’Italia e del mondo. La rivista Vie Nuove, in occasione del funerale, pubblicò un numero speciale, Palmiro Togliatti. Cinquant’anni nella storia dell’Italia e del mondo; la pubblicazione descriveva con dovizia di particolari gli ultimi giorni della vita di Togliatti e raccoglieva le testimonianze di illustri personalità della politica e della cultura: Dossetti, Calvino, Vittorini, Jean-Paul Sartre
Il culto della personalità in Unione
Sovietica e nei Paesi dell’Est europeo
1.1
La sacralizzazione della politica
Il comunismo, come il fascismo, appartiene al fenomeno moderno delle religioni laiche. Il declino della supremazia delle religioni tradizionali e la laicizzazione della società e dello Stato spesso hanno portato a una trasfusione del sacro dalle religioni tradizionali ai movimenti politici di massa, da cui hanno preso vita nuove religioni secolari. Nel XX secolo, in particolare, c’è stata una tendenza della politica a costruire universi simbolici propri a carattere religioso, spesso assimilando linguaggi, liturgie e organizzazione dalle religioni tradizionali , adattandoli ai propri valori secolari, per conferire a questi ultimi un’aura sacrale. Nel 1920 Bertrand Russel, che da poco aveva compiuto un viaggio nella Russia bolscevica, scrisse che il bolscevismo era una religione per molti aspetti simile all’Islam29. John Maynard Keynes condivideva questa definizione che riprese e
sviluppò:
Come altre religioni nuove, il leninismo non deriva il suo potere dalla moltitudine, ma da una piccola minoranza di convertiti entusiasti, a ciascuno dei quali zelo e intolleranza danno forza di un centinaio di apatici . Come altre religioni nuove, il leninismo è guidato da coloro che sanno associare, forse sinceramente, il nuovo spirito con la capacità di
vedere molto più in là dei loro seguaci: uomini politici con una dose per lo meno normale di cinismo politico, capaci di sorridere e di irritarsi, agili sperimentalisti che la religione ha liberato dall’ obbligo verso la verità e la pietà, ma non ciechi di fronte alla realtà dei fatti e alla convenienza, e passibili quindi dell’accusa di ipocrisia (…) Come altre religioni nuove è pervaso da ardore missionario e da ambizioni ecumeniche. Ma, dopotutto, dire che il leninismo è la fede di una minoranza di fanatici che perseguitano e fanno proseliti, significa dire, né più né meno, che è una religione, e non soltanto un partito e che Lenin è un Maometto e non un Bismarck.30
Tutte le rivoluzioni moderne hanno implicato la creazione o l’innovazione di simboli, miti e riti che hanno conferito al potere politico una potenza luminosa; classe, Stato, partito, capo ( ma anche i concetti di nazione e razza per i fascismi) hanno suscitato atti di devozione tipici della devozione religiosa tradizionale. La situazione che si è creata viene definita dagli studiosi “sacralizzazione della politica”.31
Il fenomeno delle religioni laiche può essere interpretato come espressione sociale di una esigenza collettiva. In momenti di tensione o di crisi la collettività tende infatti ad aspirare alla stabilità, aderendo ai movimenti politici che promettono di superare il caos in una dimensione più alta di ordine comunitario. I capi di queste nuove religioni fanno proseliti non solo grazie alla demagogia, ma soprattutto perché rispondono alle richieste di una società in cerca di sicurezze, o perché esprimono correnti durature e profonde di particolari culture.32
Possiamo datare la nascita delle religioni secolari dalla rivoluzione americana, ma soprattutto con la rivoluzione francese e la nascita della politica di massa, la politica ha assunto una propria autonoma dimensione religiosa. Senza dubbio i movimenti democratici hanno contribuito notevolmente alla nascita di nuovi culti secolari.33
30 J.M. Keynes Esortazioni e profezie trad. it. di S. Boba, Milano 1968, pp. 81-82.
31 Sono numerosissimi gli studi che approfondiscono questa problematica; segnalo in particolare: J.P. Sironneau
Sécularisation et religions politiques Mouton, La Haye, 1982; R. Aron L’oppio degli intellettuali Milano, Cappelli,
1958. D. E. Apter Political religion in the New Nations in C. Geertz ( a cura di ) Old Societies and New States New York, The Free Press of Glencoe ( Macmillan), 1963 pp. 57-104; G.L. Mosse La nazionalizzazione delle masse trad. it. Di L.De Felice , Bologna, il Mulino, 1975; C. Lane The Rites of Rulers Cambridge, Cambridge University Press, 1981; C. Arvidsson, L.E. Blomqvist ( a cura di ) Symbols of Power Stockholm, Almquist and Wicksell International, 1987; B. Kapferer Legends of People Myths of State Washington, Carfax,1988; C. Rivière Les liturgies politiques Paris, Puf, 1988; E. Gentile Il culto del littorio Bari, Laterza,1993 pp. 269-81.
32 E. Gentile Il culto del littorio ibid. p. 275.
33 Ampi studi sono stati pubblicati su questo argomento; mi limito a segnalare, per quanto riguarda la religione civile
Nel XX secolo, con il comunismo, fascismo e nazismo, c’è stato un impulso decisivo alla sacralizzazione della politica, con una grande orchestrazione di riti e di simboli ( le feste, la bandiera, i giuramenti di fedeltà alla causa ecc.), dei quali uno dei fenomeni più evidenti è il culto del capo.
Di solito, tuttavia, i nuovi movimenti si appropriavano e rielaboravano a proprio vantaggio tradizioni e stili consolidati. George Mosse, nel libro La nazionalizzazione delle masse, scrisse che il nazionalsocialismo attecchì con successo in Germania poiché Hitler agì all’interno di una realtà caratterizzata da un culto nazionale ( con valore di autocoscienza nazionale ) e di uno stile politico (che faceva appello ad aspirazioni radicate e cercava di ipostatizzarle mediante il mito, il simbolo, l’estetica della politica ) già giunti a piena maturazione e che avevano ormai una vita autonoma. Mosse mise in rilievo che il nazionalsocialismo fece suoi la nuova politica e gran parte del patrimonio culturale su cui essa si fondava. Inoltre, l’accusa che mediante la propaganda i nazisti abbiano tentato di costruire un mondo illusorio fondato sul terrore è accettabile solo in parte: la documentazione attesta la genuina popolarità della letteratura e dell’arte naziste e, quindi, l’inutilità di doverle imporre con metodi terroristici; lo stile politico nazista era popolare perché si fondava su una tradizione diventata ormai familiare e congeniale34.
Il movimento operaio, nel corso del XIX secolo, condivise con i movimenti politici coevi la tendenza a rielaborare le tradizioni, a creare nuovi miti e a celebrare nuovi riti; le immagini dei capi, dei “padri fondatori” del socialismo, come Marx, Engels, Lassalle, erano conosciute dagli adepti grazie alla diffusione di ritratti e medaglie, e gli stessi erano celebrati nella stampa del movimento35. Nonostante l’ammirazione e la venerazione che questi personaggi godevano, tuttavia, Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita Torino, Einaudi, 2000.
34 V. George L. Mosse The Nationalization of the Masses. Political Symbolism and Mass Movements in Germany from
the Napoleonic Wars through the Third Reich New York, Howard Fertig, 1974. Il libro è stato tradotto in italiano da
Livia De Felice: George L. Mosse ( con introduzione di Renzo De Felice ) La nazionalizzazione delle masse Bologna, il Mulino, 1975.
35 Cfr. F. Andreucci Falce e Martello. Identità e linguaggi dei comunisti italiani fra stalinismo e guerra fredda
Bologna, Bononia University Press, 2005, p. 228. Secondo George Mosse Lassalle, che fondò nel 1863 l’Associazione generale dei lavoratori tedeschi, promosse l’introduzione del culto del capo all’interno dell’organizzazione. Le riunioni organizzate da Lassalle, in particolare, avevano assunto il carattere di veri e propri atti istitutivi di una nuova fede, e il capo era considerato un profeta: (…) Le riunioni da lui indette si svolgevano secondo una propria e ben definita prassi,
non ancora però assurta a vera liturgia politica. L’arrivo del capo in una città e la sua entrata nella sala della riunione cominciarono ad assumere un’importanza di primo piano; una deputazione andava a prendere Lassalle alla
mi sembra prematuro parlare di un vero e proprio culto del capo; questo si sviluppò dopo la rivoluzione del 1917, quando il movimento comunista, con un enorme dispiegamento di forze, promosse il culto dei “padri fondatori” e soprattutto dei nuovi profeti del comunismo che la rivoluzione aveva portato al potere.
1.2
Nascita del culto di Lenin ( 1918-1923 )
Poco dopo la conquista del potere, Lenin, ispirato dall’opera di Tommaso Campanella “ La città del sole”, progettò un piano per la riconfigurazione dello spazio pubblico urbano; il 14 agosto 1918 venne approvato il decreto “ Sullo smantellamento di monumenti eretti in onore degli zar e dei loro dignitari e sulla formulazione di progetti per monumenti sulla rivoluzione socialista russa”.36 Lo scopo di questo progetto era la costruzione di busti e
bassorilievi dedicati non solo ai personaggi che avevano teorizzato il socialismo o combattuto per questa causa, ma anche artisti e intellettuali considerati precursori del socialismo ( nella lista proposta da Lunačarskij troviamo personalità eterogenee come Marx, Herzen, Robespierre, Belinskij, Cherniševskij, Chopin, Garibaldi ), che dovevano fungere come esempio da seguire per la popolazione. Molti di questi monumenti non furono mai realizzati; Lenin disapprovò i progetti più eccentrici e scoraggiò la rappresentazione di
stazione, le associazioni corali eseguivano un concerto sotto la sua finestra d’albergo, e quindi un corteo di carri addobbati di fiori (…) lo accompagnava dall’albergo sino alla sala della riunione, in alcune località passando sotto archi di trionfo eretti lungo le strade (…) La sala era adorna di fiori, talvolta raccolti e sistemati dai figli dei lavoratori. Il momento culminante di ogni riunione era il discorso di Lassalle, che poteva durare anche più di due ore (…) V. George L. Mosse, ibid., pp.231-232.
36 John E. Bowlt Russian Sculpture and Lenin’s Plan for Monumental Propaganda in: Henry A. Millon, Linda
Nochlin (a cura di ) Art and Architecture in the Service of Politics Cambridge, Massachusets and London, The Mit Press, 1978 pp.192-193; Christina Lodder Lenin’s Plan for Monumental Propaganda in : Matthew Cullerne Bown, Brandon Taylor ( a cura di) Art of the Soviets Manchester and New York, Manchester University Press,1993 pp.16-32; Richard Stites Revolutionary Dreams: Utopian Vision and Experimental Life in the Russian Revolution New York, Oxford University Press, 1989, pp.88-92; Nina Tumarkin Lenin Lives! The Lenin Cult in Soviet Russia Cambridge, Mass. and London, England, Harvard University Press, pp.66-67; Victoria E. Bonnell Iconography of Power. Soviet
personaggi del movimento bolscevico viventi, ma mantenne un atteggiamento spesso ambiguo : anche se da varie fonti sappiamo che non amava essere oggetto di venerazione, negli anni successivi il suo nome continuò ad essere oggetto di adulazioni e celebrazioni.37
La stampa diede un grande contributo nel rendere nota la figura di Lenin alle masse: il giornale Izvestija , in particolare, pubblicò fotografie e una breve biografia del capo38.
Nel 1918, nell’ambito delle celebrazioni per il 1° maggio, il poeta Demjan Bednyj scrisse il poema Vozhdiu ( Al capo), una dei primi esempi in cui possiamo trovare il termine vozhd’ riferito a Lenin. Questo appellativo ai tempi della rivoluzione veniva usato per i capi militari, ma dal 1918 in avanti fu esteso ai capi del partito.
La figura di Lenin acquisiva una popolarità sempre maggiore, tuttavia un vero e proprio culto non si era ancora creato; la situazione cambiò dopo il 30 agosto 1918, quando la socialista Fania Kaplan tentò di assassinare Lenin. Per la prima volta il leader venne descritto con termini che evocano il linguaggio religioso39.
Il primo busto ufficiale di Lenin fu scolpito nel 1919 da Georgij Alekseev e le sue copie furono collocate, tra il 1919 e il 1920, in 29 città: erano i primi monumenti dedicati a un leader bolscevico vivente; nel 1919 Lenin apparve anche nei poster politici.40
Il cinquantesimo compleanno di Lenin ( 22 aprile 1920) offrì una grande occasione per lo sviluppo del culto; la festa fu celebrata con discorsi, conferenze, articoli, poesie. I discorsi sviluppavano alcuni attributi chiave che erano riferiti al vozhd’ : le sue qualità sovrumane, la sua semplicità e umanità, l’essenza popolare del capo e il suo potere ( più tardi questi attributi furono riferiti anche a Stalin ).41
I ritratti e i poster che raffiguravano Lenin, creati dai più importanti artisti russi dell’epoca, furono largamente diffusi; Gustav Klutsis, in particolare, creò dei capolavori di arte
37 N. Tumarkin Lenin Lives! p. 90.
38 N. Tumarkin Lenin Lives! p. 79; V.E. Bonnell Iconography of Power p.140.
39 V. il discorso di Zinoviev al Soviet di Pietrogrado e l’articolo di Lev Sosnovskii su Petrogradskaija pravda del
1°settembre in N. Tumarkin, ibid. p.82-84.
40 V.E.Bonnell, ibid. p.141.
41 Per una trattazione più esauriente sulle celebrazioni del cinquantesimo compleanno di Lenin v. N.Tumarkin, ibid.
propagandistica usando il fotomontaggio e utilizzando stilemi che furono ripresi anche negli anni successivi per raffigurare il vozhd’: il capo spesso veniva raffigurato con un braccio levato, come se stesse impartendo una benedizione; le sue proporzioni erano gigantesche rispetto all’ambiente e alle altre persone che lo circondavano:
Certe forme simboliche probabilmente richiamavano le icone religiose. L’esteso uso del colore rosso, la prospettiva distorta (…) , la composizione ( Lenin circondato dal lavoratore e dal contadino, come Cristo qualche volta era circondato da due apostoli), e la cornice circolare attorno a Lenin ( Cristo era spesso situato in una cornice ovale ) dovevano essere stati familiari ai russi abituati alle convenzioni delle icone religiose. Queste analogie visive erano rafforzate dai commenti scritti e verbali dei contemporanei che usavano la terminologia religiosa per descrivere Lenin , una tendenza che iniziò in conseguenza del tentato assassinio da parte della Kaplan. Nel settembre del 1918 e nei mesi che seguirono, fu caratterizzato con le qualità di un santo, un apostolo, un profeta, un martire, un uomo con qualità simili a quelle di Cristo, e un “ capo per grazia di Dio”. Sebbene gli architetti dell’emergente culto di Lenin presero in prestito estesamente dalla Chiesa Russa Ortodossa nel creare simboli verbali e visivi per il vozhd’, ebbero cura di produrre immagini che apparvero discontinue con l’iconografia zarista (…) Leniniana coltivò l’immagine di Lenin come di un uomo semplice e modesto il cui braccio levato proiettava un nuovo tipo di potere.42
1.3 Il culto del capo defunto ( 1924-1934 )
Lenin morì il 21 gennaio 1924 a Gorki; il paese precipitò in un clima di dolore e paura per il futuro: con la morte del capo veniva a mancare la maggiore fonte di legittimazione del governo bolscevico, e il timore che potessero scoppiare tumulti e sommosse provocò preoccupazione all’interno della
42 V.E. Bonnell, ibid. p.146. Il giudizio della Bonnell è confemato da Olga Velikanova Making of an Idol: on Uses of
classe dirigente. Fu presa pertanto la decisione di promuovere una campagna per mobilitare l’intera popolazione, usando la morte del vozhd’ per lanciare il culto della sua memoria. Per una settimana la stampa si dedicò totalmente alla celebrazione di Lenin; in ogni istituzione del Paese furono organizzati incontri e conferenze in onore del defunto; furono distribuite un’enorme quantità di biografie, poster e medaglie che lo raffiguravano43.
Il corpo del leader, accompagnato dalle figure più eminenti del partito, fu traslato a Mosca il 23 gennaio ed esposto nella Sala delle Colonne dell’ Unione del commercio . Circa mezzo milione di persone sfilarono davanti alla bara di Lenin, per porgergli l’ultimo omaggio, in una atmosfera di composto dolore.
Il 26 gennaio, vigilia del funerale, i personaggi più in vista del movimento bolscevico, tranne Trockij, in occasione del Secondo Congresso dell’Unione dei Soviet, prepararono dei discorsi in memoria di Lenin. Il più famoso è senza dubbio il “discorso del giuramento” fatto da Stalin. Dopo aver descritto le importanti vittorie politiche ottenute dal defunto e gli elementi centrali del suo pensiero, Stalin giurò a Lenin che i bolscevichi avrebbero soddisfatto l’ultima volontà del capo del movimento operaio, mantenendo sempre unito il partito44.
Un discorso ancora più importante, per quanto riguarda l’istituzione del culto del capo defunto, fu proclamato da Zinov’ev. Secondo l’oratore, il dolore dimostrato dalle masse per la morte di Lenin dimostrava quanto il popolo amasse incondizionatamente il vozhd’, che era spesso descritto come un profeta e un salvatore. Zinov’ev lesse anche le lettere scritte da due lavoratori, che esprimevano il loro dolore profondo. Uno di questi si appellava direttamente a Lenin scrivendo:
A nostro padre. Nostro caro padre! Tu hai lasciato i tuoi figli per sempre, ma la tua voce, le tue parole non moriranno mai nei nostri cuori proletari.
In migliaia andiamo a porgere il nostro saluto al nostro grande capo; piangiamo davanti alla tua bara (…)45. 43 Per una trattazione più esaustiva sulla celebrazione del funerale di Lenin v. N.Tumarkin, ibid. pp.134-164. 44 N. Tumarkin, ibid. p. 152-153.
Il 27 gennaio fu celebrato il funerale, organizzato in ogni particolare da una commissione ( diretta da Feliks Dzeržinskij, capo della Čeka ) creata appositamente per quella occasione. Questa cerimonia comportò la prima mobilitazione di massa della popolazione e fu una pietra miliare nella storia dei riti del partito comunista. Centinaia di migliaia di persone seguirono il feretro di Lenin trasportato nella Piazza Rossa dai membri del Politburo; molti sfilavano nel corteo funebre portando ritratti del capo, levandoli come i fedeli solevano fare con le icone nelle processioni religiose; un’orchestra eseguiva la musica dell’ “ Internazionale” e inni funebri.
Grigorij Evdokimov, deputato del Soviet di Leningrado, pronunciò l’orazione funebre. Il discorso, ricco di metafore, celebrava Lenin descrivendolo con vari epiteti: “ il più grande genio del mondo”, “il gigante del pensiero, della volontà, del lavoro”, “la stella splendente dell’umanità”, “il capo delle masse”, “il capitano capo del nostro vascello”. 46
Nel periodo successivo al funerale l’agenzia di propaganda “Glavpolitprosvet” promosse la creazione, in ogni casa del Paese, di spazi dedicati a Lenin; tradizionalmente ogni famiglia ortodossa poneva, in una stanza o in un angolo della propria casa, delle icone, oggetto di venerazione e di preghiera; quelle icone dovevano essere rimpiazzate da fotografie e ritratti del “caro padre” defunto47.
Contemporaneamente a questa misura, il mito dell’immortalità di Lenin, diffuso dallo slogan : “Lenin è morto, ma il leninismo vivrà per sempre” fu inculcato a tutti gli strati della popolazione; questa espressione comparve sulla stampa, nei discorsi ufficiali dei membri del movimento bolscevico, fu scritta a grandi lettere sotto poster e fotografie che rappresentavano il leader defunto48.
Il culto di Lenin si appropriò anche del mito dei “due corpi del re”. Secondo questa concezione, di origine medievale, il sovrano ha due corpi: uno visibile e mortale e un altro invisibile, immortale,
46 Il discorso di Evdokimov è riprodotto in parte in N. Tumarkin, ibid. pp.161-162. 47 Per quanto riguarda i “Lenin Corners” v. N. Tumarkin, ibid. pp.21-224.
48 Cfr. François-Xavier Coquin L’image de Lenine dans l’iconographie révolutionnaire et postrévolutionnaire in
infallibile e capace di una perfezione assoluta; proprio questo secondo corpo avrebbe permesso a Lenin di rimanere sempre presente come guida e faro del movimento comunista.49
Il tentativo di rendere immortale il vozhd’ fu rafforzato dalla decisione di imbalsamare il suo corpo e di esporlo in un mausoleo costruito nella Piazza Rossa di Mosca. Il progetto fu seguito dalla Commissione per l’Immortalizzazione della memoria di V.I. Ul’ianov (Lenin); una cripta temporanea fu allestita dal 1° agosto 1924 per permettere alla popolazione che non aveva partecipato al funerale di rendere omaggio al capo, mentre il mausoleo definitivo in pietra fu aperto con una solenne cerimonia nel 193050.
1.4 Il culto del capo vivente: Stalin
Durante gli anni Venti Lenin, pur occupando una posizione preminente nel pantheon dei capi bolscevichi, non era l’unico eroe ad essere celebrato; Trockij, in particolare, acquisì uno status privilegiato tra i “compagni d’armi” che circondavano il vozhd’ e la sua immagine apparve frequentemente nei poster politici dell’epoca.51
Stalin, ancora prima della definitiva conquista del potere, spesso fu ritratto accanto a Lenin, nell’intento di sottolineare implicitamente la stretta correlazione che esisteva tra i due grandi capi del movimento bolscevico; possiamo datare l’inizio di un vero e proprio culto della persona di Stalin già dal dicembre 1929, in occasione del suo cinquantesimo compleanno. Per celebrare questo
49 Per le origini del termine v. Ernest H. Kantorowicz The King’s Two Bodies: A Study in Medieval Political Theology
Princeton, University of Princeton Press, 1957.
50 Per una trattazione più esaustiva v. N. Tumarkin, ibid. pp.165-206.
51 V. E. Bonnell Iconography of Power ibid. pp.152-153. Trockij in alcuni poster era ritratto come un moderno
S.Giorgio nell’atto di sconfiggere il drago del capitalismo, cfr. S.White The Bolshevic Poster New Haven, Yale University Press, 1988.
evento il quotidiano Pravda dedicò un intero numero al leader e fu pubblicata un’antologia che conteneva discorsi elogiativi pronunciati da altri membri del partito in suo onore52.
Uno dei più attivi promotori del culto di Stalin fu Kaganovič, che dall’inizio degli anni Trenta costruì la sua carriera all’ombra del leader e presto divenne un suo uomo di fiducia nonché “secondo segretario” ; nel dicembre 1929 Kaganovič formulò una risoluzione che ascriveva a Stalin il ruolo di “migliore allievo, erede e successore di Lenin” e lo proclamava nuovo leader53.
Nell’ottobre del 1931 il giornale Proletarskaja Revoljucija pubblicò una lettera di Stalin, nella quale il leader si scagliava contro ogni tipo di criticismo nell’ interpretazione della storia del movimento bolscevico: l’infallibilità di Lenin era un dogma, agli storici rimaneva il compito di pubblicare documenti che dimostrassero una realtà data a priori:
(Stalin) si arrogò la posizione di primo storico del partito (…) Stalin seguì la strategia con l’asserzione dell’infallibilità
di Lenin. Rendendo il precedente vozhd’del partito una figura iconografica al di là di ogni criticismo, la lettera di Stalin implicitamente candidò il successivo vozhd’ a un simile trattamento.54
Contemporaneamente la figura di Stalin nella propaganda visiva acquisiva un’importanza sempre più grande; la rappresentazione del rapporto di Lenin e Stalin attraversò varie fasi negli anni Trenta: all’inizio era Lenin era figura dominante, ma presto fu rappresentato come uguale al secondo leader; dal 1933 in avanti Stalin divenne il personaggio dominante55.
Lenin rimase sempre oggetto di venerazione, ma la sua immagine negli anni seguenti tendeva a sbiadire: la propaganda si concentrò prevalentemente su Stalin. Artisti come Gustav Klutsis, Isaak Brodskij, Victor Govorkov raffiguravano il vozhd’ come un dio vivente, investito di una potenza soprannaturale ma anche benevolo e compassionevole nei confronti dei suoi devoti; dagli anni
52 V.E. Bonnell, ibid.p.156.
53 Cfr. Benno Ennker The Stalin Cult, Bolshevic Rule and Kremlin Interaction in the 1930s in :B.Apor, J.C. Behrends,
P.Jones, E.A.Reese (a cura di) The Leader Cult in Communist Dictatorships. Stalin and the Eastern Bloc New York, Palgrave Macmillan, 2004, p.89.
54 R. Tucker Stalin in Power: the Revolution from Above 1928-1941 New York, Norton, 1973, p.154. Per una
trattazione più esauriente di questa polemica, scatenata da un articolo dello storico Slutskij, v. ibid. pp. 152-160.
Quaranta Stalin veniva spesso ritratto accanto a dei bambini sorridenti nell’atto di porgergli dei fiori.56
Nella stampa e nei discorsi ufficiali il leader era descritto con molteplici aggettivi: “il Lenin di oggi”, “il grande rivoluzionario”, “il più saggio degli uomini”,”maestro”, “caro padre” .57
I ritratti di Stalin erano presenti ovunque: dalle sedi di partito alle fabbriche, ai kolchoz, alle mostre; il vozhd’ era sovente associato con la figura di Cristo; nella mostra “Stalin e il popolo sovietico”, allestita nel 1939 presso la galleria Tretiakov di Mosca, i quadri esposti celebravano la vita del leader dalla sua infanzia al presente. Alcuni quadri lo ritraevano bambino mentre arringava una folla estasiata, situazione che poteva ricordare alcuni aspetti della vita di Cristo58.
Il culto di Stalin fu esportato anche nelle province più remote: Mosca divenne la “Roma sovietica”e anche i leader regionali godevano di grande prestigio come intimi amici del vozhd’:
I culti dei capi subordinati (…) erano simili a quello del vozhd’. Città, fabbriche, fattorie collettive, scuole, strade e altri luoghi furono ribattezzati in loro onore. I loro scritti e i loro discorsi furono pubblicati. Le loro biografie costituivano un genere letterario distinto con l’idealizzazione della vita rivoluzionaria di servizio (…) I loro compleanni erano celebrati e in occasione della loro morte le loro case erano trasformate in musei. Nell’Unione Sovietica nell’era di Lenin e Stalin l’immagine dei politici in generale era eroica e il partito produceva eroi su larga scala. Vi erano eroi del movimento rivoluzionario e della Guerra Civile ( Čapaev ) (…) , gli eroi del Komsomol e quelli dei Pionieri ( Pavlik Morozov ), madri eroiche, eroi stakhanoviti del lavoro, i čekisti e gli uomini dell’Armata Rossa che erano i guardiani della rivoluzione (…) Lo stile artistico dello stalinismo era il “Realismo Socialista” che aspirava a toni epici, mentre lo stile in architettura era monumentale.59
Per un certo periodo personaggi come Iosif Vareikis ( primo segretario regionale a Voronež ) e Robert Eikhe ( segretario a Novosibirsk ) ricevevano nelle loro province onori maggiori rispetto a quelli che venivano tributati a Stalin.60 Nel 1937 Stalin e gli altri capi comunisti denunciarono il
56 Molti di questi ritratti agiografici sono stati raccolti e pubblicati da V.E. Bonnell,ibid.
57 V. Regine Robin Stalinisme et culture populaire in Marc Ferro et al. Culture et révoluton Paris, 1989.
58 v. V.E.Bonnell, ibid. p.167-168; I. Golomstock Totalitarian Art in the Soviet Union, the Third Reich, Fascist Italy
and the People’s Republic of China New York, Harper Collins, 1990. p.237.
59 E.A.Rees Leader Cults: Varieties, Preconditions and Functions in B.Apor et al, ibid.,p.10.
clima di eccessiva adulazione che circondava i leader provinciali;61 in quel periodo il vohzd’
inaugurò il periodo del Grande Terrore: Stalin veniva elogiato come l’implacabile difensore dello stato contro i suoi nemici, sia interni ( elementi del vecchio regime zarista, oppositori politici, parassiti ) che esterni ( stati a regime democratico o fascista, capitalisti ). Il vero comunista doveva conoscere e accettare acriticamente due libri canonici: Il breve corso di storia del Partito
Comunista dell’Unione Sovietica del 1938 e la biografia ufficiale di Stalin, pubblicata nel 1939.
1.5 Il Generalissimo e “Padre dei popoli”
La Seconda Guerra Mondiale, detta “la Grande Guerra Patriottica”, divenne il grande evento che legittimò il regime sovietico, oscurando perfino la fama della Rivoluzione d’Ottobre62; Stalin
divenne un leader di enorme prestigio anche a livello internazionale, fu celebrato come l’architetto della vittoria e il simbolo di un’indomabile volontà di resistere all’ invasore in film, nella letteratura e nell’arte63. Il culto del capo fu rafforzato da una fusione di tematiche patriottiche sovietiche con le
tematiche tradizionali legate alla grande Russia Imperiale;64 allo stesso tempo, la figura di Lenin
quasi sparì nell’iconografia ufficiale, per dare maggiore risalto al vozhd’ vivente. Nella propaganda furono ridimensionati il ruolo del partito e il concetto di classe, mentre il patriottismo e l’ethos imperiale assunsero un’importanza centrale.
Il 27 giugno 1945 Stalin fu insignito del titolo di “Generalissimo”; egli fu sovente celebrato come “Salvatore della patria”. Il termine russo rodina, che definisce la madrepatria, deriva
61 O.Khlevnyuk The First Generation Stalinist “Party Generals” in E.A.Reese ( a cura di ) Centre-Local Relations in
the Stalinist State , 1928-1941 New York, Palgrave Macmillan, 2002, pp.58-9.
62 N. Tumarkin The Living and the Dead: The Rise and Fall of the Cult of World War II in Russia New York, Harper
Collins, 1994.
63 John Barber The Image of Stalin in Soviet Propaganda and Public Opinion during World War II in John Garrard ,
Carol Garrard ( a cura di ) World War II and the Soviet People New York, 1993, pp.38-49.
etimologicamente dal verbo rodit’, che significa “far nascere, partorire”: la parola, quindi, stabilisce una stretta connessione con l’idea di maternità e di femminilità65. Stalin, presentandosi come
difensore di una madrepatria formata da un’unione multietnica di nazioni, assumeva i connotati del padre di tutti i popoli che formavano l’Unione Sovietica.
Il realismo socialista del dopoguerra abbandonò i toni violenti del rosso e del nero, optando per colori più sfumati; Stalin veniva rappresentato in uniforme, ma con un atteggiamento di benevolenza e calma maestosità; in molti manifesti politici egli appariva sorridente, circondato da uomini e donne abbigliati nei vari costumi nazionali. Gli autori cercavano di testimoniare il lato umano del leader infallibile, cogliendo i dettagli della sua vita privata; un ottimo esempio di questa tendenza ci viene fornita da un poster realizzato nel 1952 da Viktor Ivanov: Stalin era rappresentato in uniforme militare, di fronte a una libreria che conteneva le opere di Marx, Engels, Lenin e Stalin in volumi rilegati. Il vozhd’ era colto in un momento di pausa dalla lettura: teneva nella mano sinistra un libro aperto ( le opere di Lenin), nella mano destra aveva una pipa accesa; nonostante i capelli grigi, il leader non appariva invecchiato, e la sua posa rivelava una dignitosa maestosità.66
1.6 Il culto della personalità nell’analisi di Stalin
67Stalin non scoraggiò mai il culto il culto della sua persona che il partito stava promuovendo; nonostante questo, raramente affrontò ufficialmente questa tematica e, quando lo fece, criticò la diffusione del culto. In discorsi pronunciati negli anni Trenta, accentuò l’importanza storica delle forze sociali ( quindi della massa dei lavoratori ) e ridimensionò il ruolo del leader. Egli non negava il contributo che grandi individui come Lenin avevano dato nel modificare gli eventi storici, ma la
65 Frequentemente, soprattutto durante la seconda Guerra mondiale, la figura femminile fu utilizzata nei manifesti
politici per simbolizzare la Russia.
66 Il poster di Ivanov è stato pubblicato in: V. E.Bonnell, ibid., p. 274.
loro grandezza era strettamente connessa con la comprensione del contesto storico in cui avevano operato68. Secondo l’analisi di Stalin il suo trionfo sull’opposizione interna era dovuto al fatto che
solo lui aveva interpretato correttamente e rappresentato gli interessi dei gruppi sociali; in linea con il pensiero bolscevico, egli non rifiutava la logica del grande leader che emerge a capo del movimento, ma criticava la nozione di “culto della personalità”: le masse non dovevano giurare fedeltà al capo per il suo carisma e per le sue qualità individuali, ma alla causa che il vozhd’ rappresentava. Il culto della personalità del capo era una pratica antibolscevica, che però faceva parte del retroterra culturale del popolo russo: era impossibile eliminarla totalmente69.
Stalin sapeva perfettamente che l’adulazione ostentata dall’entourage del suo partito era spesso dettata da mera convenienza politica; inoltre la diffusione del suo culto era potenzialmente dannosa per l’educazione della nuova intellighenzia.
In molte occasioni Stalin arginò le espressioni del culto più eccentriche e irrealistiche; nel febbraio 1938, per esempio, si oppose alla pubblicazione del libro Racconti dell’infanzia di Stalin da parte della casa editrice del Komsomol, dichiarando che l’opera tentava di inculcare il culto della sua personalità70 .
Uno dei problemi più sentiti riguardava l’educazione dei quadri del partito. Secondo Stalin l’insegnamento doveva essere focalizzato sullo studio teorico delle leggi dello sviluppo storico e non sulle gesta dei grandi individui; Stalin eliminò un’intera sezione agiografica a lui dedicata dagli storici Yaroslavskij e Pospelov nel Kratkij kurs71 .
La lettura delle biografie dei grandi capi era invece raccomandata per le masse, che certamente avrebbero avuto difficoltà nell’accostarsi agli studi teorici sul marxismo-leninismo. Negli anni Quaranta Stalin incoraggiò la pubblicazione di una nuova biografia di Lenin; la preparazione della
68 v. la conversazione che Stalin ebbe nel 1931 con Emil Ludwig, cit . in Sarah Davies, ibid, , p.32.
69 V. la conversazione tra Stalin e Leon Feuchtwanger del 1937 pubblicata in L. Feuchtwanger Moscow 1937 London,
1937.
70 Cfr. Sarah Davies, ibid.,p.34.
71 Cfr. Sarah Davies , ibid. p.36. Il Kratkii kurs fu però considerato a lungo come una delle maggiori espressioni del
biografia del vozhd’ vivente, invece, fu molto travagliata. L’opera vide finalmente la luce nel 1939 e divenne, con il Breve Corso, una lettura fondamentale per la popolazione sovietica72.
Una delle preoccupazioni maggiori del leader era quella di tenere distinta la sfera pubblica della sua vita- che doveva essere esibita e additata alle masse come esempio- da quella privata. Stalin ebbe sempre cura di proteggere la sua famiglia dalla curiosità popolare e furono divulgati relativamente pochi aspetti e aneddoti della sua infanzia e giovinezza73.
1.7 La destalinizzazione
Nel febbraio del 1956 si tenne il XX Congresso del Pcus74; il rapporto introduttivo, presentato il 14
febbraio dal nuovo leader, Nikita Krusciov, presentava notevoli novità: clamorosamente egli non nominò mai Stalin e criticò apertamente il culto della personalità. Il segretario del Pcus affermava che l’era dell’accerchiamento dell’Urss si era chiusa, grazie alla nascita di un vasto sistema socialista mondiale e alla disgregazione degli imperi coloniali; confermava la crisi generale del capitalismo, ma precisava che esso era ancora in grado di svilupparsi, sia pure in forme distorte e squilibrate che accentuavano le sue contraddizioni. Krusciov, inoltre, riprendeva la tesi delle diverse “vie al socialismo”, non escludendo che la transizione al socialismo potesse avvenire in modo pacifico, attraverso la via parlamentare.
Il 25 febbraio Krusciov, in una seduta a porte chiuse, lesse di fronte ad una platea ristretta di delegati sovietici il “rapporto segreto”. Il segretario del Pcus non rigettava tutta l’azione di Stalin:
72 Per le vicende legate alla pubblicazione della biografia di Stalin v. D. Brandenberger Stalin as a symbol: a case study
of the personality cult and its construction in S.Davies, J.Harris ( a cura di ) Stalin. A New History Cambridge,
Cambridge Universiy Press, 2004.
73 L’infanzia di Stalin era narrata particolarmente in libri e sussidiari destinati ai bambini, v. C. Kelly Grandpa Lenin
and Uncle Stalin: Soviet Leader Cult for Little Children in B. Apor et al., ibid., pp. 102-122.
74 Su questa tematica, cfr.: A. Guerra Il giorno che Chrušcev parlò. Dal XX Congresso alla rivolta ungherese Roma,