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Il culto della personalità di Togliatti nella retorica comunista

II.1 Gli appellat

I. Il capo

La parola “capo” era l’appellativo che più frequentemente veniva utilizzato per definire Togliatti. In questo modo, i comunisti italiani si appropriavano di una tradizione tipicamente sovietica che aveva adottato la parola vozhd’ fin dal 1918, riferendola prima a Lenin, poi a Stalin. Il termine vozhd’ corrisponde in tedesco a Fűhrer e in italiano a Duce: l’appellativo, che inizialmente veniva utilizzato per designare i comandanti militari, confluì nel linguaggio della politica per identificare il capo del partito bolscevico; in esso era implicita una concezione del capo come guida e faro del comunismo nella lotta per la conquista e il mantenimento del potere. Il capo, inoltre, doveva ispirare una devozione illimitata nei militanti, poiché dedicava la sua vita alla costruzione di una società migliore e alla difesa delle classi subalterne.

Antonio Gramsci, in un editoriale apparso su L’Ordine nuovo nel 1924, poco dopo la morte di Lenin, scriveva che ogni in Stato, qualunque sia la classe dominante, si pone il problema di avere un

capo. I marxisti rigettavano l’idea di una dittatura “dei capi”: la dittatura doveva essere esercitata da un’intera classe, il proletariato. Lenin incarnava l’esempio più caratteristico di capo rivoluzionario:

(…) Era Egli divenuto per caso il capo del partito bolscevico? Per caso il partito bolscevico è diventato il partito dirigente del proletariato russo e quindi della nazione russa? La selezione è durata trenta anni, è stata faticosissima, ha spesso assunto le forme apparentemente più strane e più assurde (…) Questa selezione è stata una lotta di frazioni, di piccoli gruppi, è stata lotta individuale, ha voluto dire scissioni e unificazioni, arresti, esilio, prigione, attentati (…) Il Partito Comunista Russo, col suo capo Lenin, si era talmente legato a tutto lo sviluppo del suo proletariato russo, a tutto lo sviluppo, quindi, della intiera nazione russa, che non è possibile neppure immaginare l’uno senza l’altro, il proletariato classe dominante senza che il Partito Comunista sia il Partito del governo e quindi senza che il Comitato Centrale del Partito sia l’ispiratore della politica del governo; senza che Lenin fosse il capo dello Stato (…) Anche il borghese russo comprendeva che Lenin non sarebbe potuto diventare e non avrebbe potuto rimanere capo dello Stato senza il dominio del proletariato, senza che il Partito Comunista fosse il partito del governo (…)94

Secondo Gramsci la figura del capo era strettamente connessa al partito e alla classe che lottava per l’egemonia; egli non era quindi un despota, ma il comandante che era emerso alla guida del movimento attraverso una durissima selezione.

Questa concezione del capo è presente anche in un lungo articolo di Luigi Longo dedicato a Togliatti, pubblicato poco dopo l’attentato su Rinascita; l’autore commentava le grandi manifestazioni popolari che erano seguite ed esprimeva il senso di riconoscenza e di ammirazione che ogni militante doveva provare per il capo del movimento operaio italiano:

Quando noi parliamo dei nostri maestri e dei nostri capi, di Marx e di Engels, di Lenin e di Stalin, di Gramsci e di Togliatti, non possiamo non parlarne con il più grande senso di ammirazione e di riconoscenza (…) Questo sentimento di devozione, all’annuncio dell’attentato alla vita del compagno Togliatti, è esploso in formidabili manifestazioni di massa (…) solenne dimostrazione dell’incommensurabile affetto che lega i comunisti e le grandi masse dei lavoratori e dei democratici italiani al loro grande e amato capo Palmiro Togliatti (…)95

94 Antonio Gramsci “Capo” in L’Ordine Nuovo, a. I, n. 1, marzo 1924. 95 Luigi Longo Il nostro capo in Rinascita, a. V, n. 8, agosto 1948, p.281.

L’articolo proseguiva spiegando i motivi che avevano reso Togliatti così amato dal popolo: nel partito comunista i capi emergevano sulla base di una selezione naturale e storica, che premiava le qualità dei militanti; Longo citava Gramsci per avvalorare la sua tesi:

(…) I nostri avversari non sanno capire questi sentimenti di milioni e milioni di esseri per un uomo, per un capo politico (…) Pensate ai milioni di sfruttati e di oppressi, ai figli del bisogno e della lotta, alla loro vita di privazioni e di pene (…) pensate ai tormenti e ai sacrifici delle migliaia e centinaia di migliaia di militanti (…) e allora capirete le manifestazioni e le esplosioni della più riconoscente devozione e del più profondo affetto (…) per chi, con il proprio genio, la propria opera e il proprio sacrificio, ha indicato con sicurezza all’umanità la via della liberazione (…) I nostri avversari (…) immaginano che ogni associazione popolare, che il Partito comunista siano una gang, una banda in cui prevale il più violento, in cui il forte sottomette il debole (…) Costoro non sospettano nemmeno che la selezione dei quadri e dei capi avvenga, da noi, non sulla base di cricche e di colpi di mano, ma sulla base di una selezione naturale e storica (…) E’ nel lavoro e in questa selezione naturale e storica che i quadri migliori “si organizzano attorno a uno dotato di maggiore capacità e di maggiore chiaroveggenza- come disse, con grande acume, Gramsci- il quale “uno” diviene, per forza di cose, prima ancora che per riconoscimento degli uomini, il “capo”(…).96

L’autorevolezza e l’infallibilità del capo erano indiscutibili nei partiti comunisti: questo vale anche nel caso di Togliatti, dal dopoguerra in avanti. Negli anni precedenti il dibattito tra i membri della direzione del partito, che pure avevano già riconosciuto la leadership di Togliatti, era sicuramente più libero: l’infallibilità del capo non era ancora un dogma e qualcuno si permetteva di criticare il suo operato e le sue direttive.

L’esempio eclatante di questo fatto ci viene fornito dalla polemica sorta tra i centri direttivi del Pci di Roma e Milano nel 194397.

Dopo la caduta di Mussolini, sotto il governo di Badoglio, il Pci aveva creato, infatti, due centri di direzione, composti da militanti di formazione e provenienza diversa, le cui esperienze comuni spesso risalivano alla lotta per la fondazione del partito e alle prime battaglie contro lo squadrismo

96 Luigi Longo, ibid., pp.281-282.

97 Cfr. Giorgio Amendola Lettere a Milano: ricordi e documenti 1939-1945 Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 188-221;

fascista. Togliatti si trovava ancora a Mosca dove, dopo lo scioglimento dell’Internazionale comunista ( avvenuto nel giugno del 1943), aveva costituito un centro ideologico di indirizzo e di orientamento politico che aveva come suoi componenti Ruggero Grieco, Edoardo D’Onofrio, Giulio Cerreti, Luigi Amadesi; il centro aveva l’incarico di propagandare la tematica antifascista attraverso le stazioni radio e la stampa in lingua italiana: i discorsi e le direttive di Togliatti potevano essere ascoltati dai militanti in Italia attraverso le emissioni di Radio Mosca e di Radio Milano Libertà.

Nel novembre del 1943 scoppiò una vivace polemica tra i centri direttivi di Roma e di Milano su questioni di organizzazione e direzione del partito che riguardavano anche il ruolo di Togliatti come capo del Pci ed ispiratore della sua politica. Il centro di Roma criticò e considerò politicamente inopportuni alcuni orientamenti, diffusi attraverso Radio Mosca e attribuiti a Togliatti e a Grieco, secondo cui era necessario appoggiare Badoglio; secondo i membri della Direzione romana tutto ciò equivaleva ad un capovolgimento della linea fino ad allora seguita e creava turbamento nei rapporti con gli altri partiti di sinistra98.

Da Roma, il 3 dicembre, Scoccimarro scrisse che in seno alla direzione del partito e del suo funzionamento si era creata una situazione anormale e inadeguata alle esigenze del momento; egli invitava formalmente Longo a Roma per esaminare la situazione e i provvedimenti da prendere. Le repliche della direzione milanese sono contenute in due lunghi scritti nei quali venivano puntualizzate le rispettive opinioni sulle varie controversie e si ricapitolavano i termini della discussione. I militanti romani avevano interpretato i discorsi di Togliatti in modo errato: egli aveva parlato delle questioni nazionali in termini generali, dal punto di vista della scelta che gli italiani dovevano fare tra un governo che appoggiava i nazisti ed uno che era alleato delle Nazioni Unite.

98 V. il verbale della riunione del gruppo di direzione di Roma del 4 novembre 1943 che riportava le considerazioni di

Palmieri (Giorgio Amendola) ; lo scritto è stato pubblicato in: Giorgio Amendola, ibid., pp. 214-216: A mio avviso le

emissioni di Mosca non possono costituire per noi delle direttive che siamo tenuti a seguire. Esse ci informano del pensiero di Ercoli e degli altri compagni che sono a Mosca, ed hanno perciò per noi un grande valore e dobbiamo rifletterci e prenderle in seria considerazione. Ma non sono direttive (…) primo, perché a Mosca non c’è più la sede dell’Internazionale comunista (…) Secondo, a Mosca non c’è la direzione del nostro partito, a Mosca c’è il compagno Ercoli, che è il capo del nostro partito. Ma egli non è oggi in grado di esercitare questa funzione. Appena egli sarà in Italia riprenderà la sua funzione alla testa del partito, ma oggi non è in grado di fissare delle direttive. La direzione del P. è oggi in Italia (…).

Le critiche mosse a Togliatti furono disapprovate e respinte nettamente: la supremazia del capo non doveva essere messa in discussione:

Ercoli è il capo del Partito comunista italiano, riconosciuto e stimato da tutto il partito, riconosciuto e stimato da tutti i partiti fratelli; Ercoli è stato per molti anni un segretario dell’IC, un relatore, e dei più ascoltati, ai suoi congressi, e noi ci comportiamo come se non esistesse e ce ne ricordiamo solo per sconfessarlo (…) Noi disapproviamo la parte della vostra risoluzione che si riferisce ad Ercoli e disapproviamo anche come si è parlato nella vostra riunione del capo del nostro partito. Noi già da alcune settimane avevamo notato la nostra deficienza nell’azione necessaria e doverosa di popolarizzazione del nostro capo nell’attuale momento (…) avrete visto che in un articolo dell’Unità parlavamo di Ercoli e abbiamo preso occasione del suo articolo sulla Pravda per pubblicarlo con un titolo che mettesse in rilievo proprio le qualità di capo del nostro partito del compagno Ercoli e noi ci proponiamo di continuare in questo senso mettendo in ogni numero dell’Unità qualcosa che ricordi il nostro capo. Noi speriamo che anche voi farete lo stesso, cosa tanto più necessaria, a nostro avviso, dopo la (per questo aspetto) disgraziata risoluzione e vostre discussioni (...)99

Questo tema fu ulteriormente sviluppato nella lettera personale che il centro di Milano inviò l’11 dicembre a Scoccimarro, firmato da Secchia, Li Causi e Longo. La lettera conteneva un preoccupato richiamo ad una seria riflessione per evitare situazioni incresciose all’interno del partito. Si considerava un errore l’aver imbastito una discussione per condannare le presunte prese di posizione di Togliatti; si osservava inoltre che la creazione di una direzione unica a Roma avrebbe potuto assumere un significato particolarmente grave poiché esisteva ancora una direzione a Mosca di cui Togliatti faceva parte come segretario. La lettera proponeva quindi alla approvazione delle direzione romana il testo di una risoluzione in cui si confermavano fiducia e devozione a Togliatti come capo del Pci e si auspicava che egli potesse rientrare al più presto in Italia per riprendere la direzione del partito. Il testo definitivo della risoluzione fu trasmesso a Roma da Vineis ( Pietro Secchia):

99Estratti della lettera di Luigi Longo alla Direzione di Roma datata 6 dicembre 1943, pubblicata in: Luigi Longo, ibid.,

La direzione del PCI costituitasi a Roma il 26 agosto 1943 con l’approvazione e la partecipazione dei tre delegati nominati nel giugno 1940 dalla direzione del PCI residente a M. [Mosca], conferma la sua devozione e fiducia al compagno Ercoli [P. Togliatti], capo del nostro partito, si compiace di constatare la corrispondenza della propria azione politica con la linea espressa dal compagno Ercoli nell’articolo pubblicato sulla Pravda del 12 novembre e si augura che egli possa al più presto rientrare in Italia e riprendere il suo posto di direzione immediata del partito (…)100

Dopo questo episodio non si verificarono più critiche ufficiali mosse a Togliatti dai membri dirigenti: la leadership di Togliatti si conformò completamente al modello sovietico e i discorsi e le direttive del capo acquisirono un’aura di infallibilità.

II. L’educatore

Nei partiti comunisti i grandi dirigenti non erano soltanto considerati capi e guide infallibili, ma venivano pure celebrati come maestri; essi erano i depositari dei grandi insegnamenti del marxismo- leninismo ed avevano il compito di trasmettere a tutti i compagni, con la parola e con l’esempio, ciò che avevano appreso nei lunghi anni di militanza nel partito. L’opera pedagogica era fondamentale per la formazione dei giovani quadri, per combattere ogni pericolosa deviazione e per la creazione dell’ “uomo nuovo” che avrebbe costruito la società socialista.

Nel biennio 1947-48 l’importanza della formazione dei quadri a tutti i livelli crebbe notevolmente fino a diventare uno dei temi organizzativi primari; il problema dell’omogeneità del sapere fu risolto mediante una standardizzazione catechistica del pensiero marxista-leninista, assumendo come testo-base la Storia del Pc(b) dell’Urss .

Tra il 1946 e il 1950 l’Ufficio quadri del Partito creò le scuole centrali101, organizzate tipo convitto,

con sedi a Roma, Milano e Bologna, a cui si affiancarono quelle provinciali; le materie più importanti insegnate erano l’economia politica, la storia del socialismo e le questioni ideologiche del marxismo-leninismo. Le scuole di partito perseguivano il fine di una ristrutturazione della personalità intellettuale e umana degli allievi; questi, in particolare, erano chiamati a compiere un fondamentale atto di verifica della loro conseguita maturità marxista-leninista tramite l’autocritica, la pubblica confessione dei loro limiti personali e degli errori ideologici o politici commessi nel passato. Una forma più severa dell’autocritica era l’autobiografia, che ciascun allievo era tenuto a fare negli ultimi mesi del corso in presenza dell’intero collettivo, riesaminando criticamente la sua

101 Su questa tematica, v. in particolare: Giuseppe Carlo Marino Autoritratto del Pci staliniano. 1946-1953 Roma,

Editori Riuniti, 1993, pp.63-72; Sandro Bellassai La morale comunista. Pubblico e privato nella rappresentazione del

PCI (1947-1956) Roma, Carocci, 2000, pp.68-90; Maurizio Degl’Innocenti Il mito di Stalin. Comunisti e socialisti nell’Italia del dopoguerra Manduria, Lacaita, 2005, pp.16-30.

vita, dall’ambiente sociale di provenienza e dall’influenza dei familiari alle esperienze di vita e ai legami con il Partito. Era una specie di rito di iniziazione, superato il quale l’iniziato veniva ammesso con un atto burocratico ( attraverso la lettera dell’Ufficio quadri) nella comunità dei militanti “adulti”.

Spesso anche le federazioni e le sezioni organizzavano corsi e seminari di formazione politica e ideologica; i corsi si intitolavano a Marx, a Lenin, a Stalin, a Ždanov, a Togliatti: a volte l’intitolazione variava in base ai contenuti, ma più spesso per l’esigenza di fare assumere veste diversa a iniziative metodologicamente identiche.

In generale, i corsi si svolgevano nello stesso modo: un dirigente incaricato di stimolare e guidare la riflessione collettiva, proponeva e illustrava un tema, presentando un’opportuna documentazione e una bibliografia di approfondimento; poi si procedeva alla lettura pubblica e individuale degli scritti e al loro commento in rapporto al tema centrale della riflessione, quindi seguiva un dibattito di confronto tra gli allievi. Infine, il dirigente esponeva le conclusioni finali, che dovevano consolidare gli esiti della riflessione collettiva.

All’interno dei partiti comunisti la figura dei grandi “maestri” era continuamente celebrata, e il loro esempio continuamente additato durante la formazione dei nuovi quadri: essi erano Marx, Engels, Lenin, Stalin, e i vari capi che operavano nei Paesi comunisti. Mátyás Rákosi, ad esempio, veniva spesso celebrato come “l’insegnante della nazione ungherese”. Le biografie a lui dedicate lo descrivevano come un maestro instancabile che aveva dedicato la vita all’educazione dei compagni; fin dalla giovinezza Rákosi aveva organizzato gruppi di studio per l’insegnamento dei principi del marxismo-leninismo; le sue qualità di maestro diventarono ancora più evidenti durante i processi politici che subì nel 1925-26 e nel 1934-35; in quelle occasioni il futuro leader difese e predicò le idee e i fini del movimento comunista dal banco degli imputati102.

Nel caso dei partiti comunisti l’importanza centrale attribuita al ruolo del maestro era connessa non solo alle consuetudini pedagogiche, ma era soprattutto funzionale all’affermazione di una gerarchia

102 Per le biografie di Rákosi cfr. B. Illés Mátyás Rákosi- Sein Leben in Bildern Budapest, 1952; Georg Samueli

basata sull’autorità; la morale comunista si fondava sul binomio disciplina-ubbidienza103: i militanti,

nel rigoroso rispetto dell’ortodossia, dovevano seguire fedelmente i princípi della dottrina marxista- leninista ed accettare acriticamente le direttive del capo del partito, che erano espressione di questi princípi.

Il più grande maestro vivente per i comunisti italiani era Palmiro Togliatti. Egli, come teorico ed uomo d’azione, sapeva orientare, dirigere e organizzare le masse; come uomo, intriso di una profonda cultura umanistica e di rispetto e compassione, non solo sapeva parlare a uomini provenienti da ogni strato sociale, ma aveva la capacità di ascoltare i loro dubbi, comprendere e correggere i loro errori:

(…) Togliatti è l’organizzatore, è l’artefice del nostro Partito (…). Organizzare significa stabilire dei legami tra gli uomini e tra le cose. Significa soprattutto educare degli uomini, collocarli ognuno al proprio posto, sapere bene utilizzarli e dirigerli, controllare e coordinare il loro lavoro (…). Quest’arte egli la conosce in modo meraviglioso e ha sempre dedicato gran parte del suo tempo alla formazione e all’educazione dei quadri. Innanzi tutto egli sa ascoltare e sa cogliere quello che vi è di interessante nella conversazione, nel rapporto o nella proposta anche del più umile compagno (…) Sa trovare l’elemento di verità anche in una argomentazione imperfetta.

Mette in luce sempre la causa, l’origine dell’errore che il compagno commette (…) Esercita una permanente autocritica sullo stesso lavoro di direzione. Non è mai nella posizione del maestro, di colui che guarda i compagni dall’alto in basso. Educa i compagni come un amico. Questa sua preziosa qualità fa sì che egli conosca veramente molti compagni e sia in grado di utilizzarli nel modo migliore (…).104

(…) L’organizzazione decide, i quadri sono preziosi, ci ha detto Stalin, e Togliatti, che conosce e segue personalmente migliaia di quadri del Partito, ha insegnato ad ognuno quanto sia essenziale non perdere di vista questi problemi nel lavoro quotidiano. Critica, autocritica, devozione al Partito, zelo nel lavoro (…) sono esempi vivi che ognuno ritrova nell’attività quotidiana del Segretario Generale del Partito Comunista Italiano.

L’attività personale e continua di ogni iscritto, anche nelle forme più elementari, rispondenti alle capacità di ognuno, è stata la cura costante della ricerca e dell’insegnamento di Togliatti in questi anni (…).105

103 Cfr. Giuseppe Carlo Marino, ibid., pp. 75-79.

104 Pietro Secchia Palmiro Togliatti organizzatore in Rinascita a. V, n. 8, agosto 1948, pp. 285- 288. 105 Gian Carlo Pajetta Togliatti organizzatore del Partito in Quaderno dell’Attivista, agosto 1948.

Togliatti non imponeva le sue convinzioni e le sue risoluzioni, ma riusciva a farle comprendere ed accettare ai compagni attraverso un’opera pedagogica costante, un continuo invito alla riflessione e al ragionamento: egli padroneggiava, scrisse Concetto Marchesi, l’arte maieutica, che esercitava non su pochi seguaci, ma su moltitudini umane.106

Il compito precipuo di ogni allievo- militante era quello di non deludere il maestro e di non tradire i suoi insegnamenti, cercando di imitare il suo esempio e di attrarre verso il partito nuove leve107:

(…) Dobbiamo consacrare sull’esempio del compagno Togliatti tutte le nostre energie, tutta la nostra forza, tutta la nostra intelligenza alla causa della pace, della libertà, del socialismo.

Dobbiamo essere sempre più degni del compagno Togliatti. Ogni compagno deve studiare di più perché il Partito diventi forte ideologicamente come possente è il cervello e la preparazione teorica del compagno Togliatti. Dobbiamo diventare più forti organizzativamente come grande è l’esperienza e il genio organizzatore del compagno Togliatti. Dobbiamo essere più audaci come audace e coraggioso è stato sempre il compagno Togliatti. Dobbiamo avere più profondo il senso del sacrificio, dell’abnegazione e della responsabilità come continuamente il compagno Togliatti ce ne dà l’esempio (…).108

Ogni militante doveva continuamente ricordare gli insegnamenti di Togliatti e, soprattutto nel periodo di elezioni, propagandarli con impegno e assiduità:

(…) Dobbiamo ricordare nella battaglia delle elezioni quello che Togliatti ci ha insegnato. Dobbiamo ricordare quanto sia importante l’organizzazione larga, salda ed efficiente del Partito, dalle sue cellule ai comitati direttivi (…). Dobbiamo ricordare l’insegnamento del compagno Togliatti sulla necessità che tutti i compagni siano attivi partecipanti della lotta politica, del colloquio quotidiano con le larghe masse dei lavoratori, dell’attività per consolidare il partito ed

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