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"Il ricorso alle nuove tecnologie nei processi di risposta ai bisogni di salute nelle aree disagiate"

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione...1

CAPITOLO I

Il Sistema Sanitario Nazionale: aspetti normativi ed organizzativi

1 L’evoluzione normativa del Sistema Sanitario Nazionale...6

1.1 Nascita del SSN: Legge n. 833/1978...7

1.2 La Riforma-bis: D.lgs n. 502/1992 e n. 517/1993...9

1.2.1 I punti principali della “Riforma-bis”...10

1.3 La “Riforma-ter”: D.lgs n. 229/1999...16

2 L’organizzazione del SSN……….18

2.1 La struttura del SSN ………...19

2.2 Il sistema di finanziamento………..21

2.2.1 Il sistema di finanziamento L. n. 833/1978………..21

2.2.2 Il sistema di finanziamento “misto”: su base capitaria e a tariffa...24

2.3 I diversi modelli regionali nel sistema federale italiano……….35

CAPITOLO II

L’organizzazione del Servizio Sanitario nelle aree disagiate:criticità

e strumenti per il superamento delle stesse

1 Il Servizio Sanitario della Regione Toscana...41

1.1 La regolazione del SSR...41

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1.2.1 La struttura ………..45

1.2.2 La programmazione sanitaria ……….47

1.3 Il riordino del SSR ………..48

2 La sanità nelle aree disagiate………51

2.1 Il governo delle specificità geografiche: aree montane ed insulari …52

3 Le Isole Minori: lo scenario sanitario

……….57

3.1 Il quadro demografico...57

3.2 Le criticità sanitarie………...60

4 Il superamento delle criticità: alcune soluzioni

……….63

4.1 L’Osservatorio nazionale per la verifica dell’assistenza sanitaria………...64

4.2 Il ruolo dell’ICT: la Telemedicina………66

4.2.1 La Telemedicina: alcune definizioni………..66

4.2.2 I benefici attesi………...67

4.2.3 I servizi di Telemedicina………67

4.2.4 La Telemedicina a supporto delle aree disagiate……69

CAPITOLO III

Un modello di “sanità insulare”: il Progetto “OASI-e-Health”

1 Il progetto “OASI-e-Health”……….75

1.1 Introduzione al progetto………...75

1.2 Descrizione del progetto……….78

1.3 Obiettivi………...79

1.4 Quadro epidemiologico………...80

1.5 Il contesto di riferimento e l’assetto attuale dei servizi ……….89

1.5.1 Isola d’Elba………..89

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1.6 Interventi generali ………...91 1.6.1 Isola di Capraia………....91 1.6.2 Isola d’Elba………..93 1.7 Interventi specifici………...97 1.8 Indicatori di monitoraggio………104

Considerazioni conclusive...109

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Introduzione

Partiamo da un dato di fatto...

Art. 32, comma 1 e 2: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

La salute è un diritto di tutti e lo Stato, attraverso il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), deve assumersi il compito di vedere realizzate le condizioni affinché un cittadino veda tutelata la propria salute.

Questo è quanto afferma la Costituzione.

I principi fondamentali di universalità, uguaglianza ed equità su cui si basa il SSN, non sempre però trovano piena attuazione.

Nel nostro Paese vi sono infatti realtà contraddistinte da molteplici criticità, località collinari, montane, insulari caratterizzate da difficoltà di accesso dove l’offerta di salute può risultare non idonea rispetto alle necessità, con conseguente rischio di discriminazione delle popolazioni nella fruizione di appropriati livelli di assistenza.

L’obiettivo del seguente lavoro è quello di inquadrare e analizzare l’organizzazione del servizio sanitario nei cosiddetti territori impervi della Regione Toscana, in particolare nelle isole minori, dove il fattore “insularità” compromette la capacità del servizio sanitario nazionale di svolgere il proprio compito, ossia di garantire l’erogazione di servizi di qualità, con conseguente incremento dei costi di gestione.

Il presente elaborato è stato articolato in tre capitoli:

nel CAPITOLO I viene illustrata l’evoluzione normativa ed organizzativa del Sistema Sanitario Nazionale che ha determinato un progressivo decentramento politico-amministrativo in favore degli organi di governo intermedi, più vicini alle esigenze e al consenso dei cittadini.

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Il CAPITOLO II, dopo una breve descrizione del sistema sanitario toscano, anche alla luce delle ultime riforme intervenute alla fine del 2015, si concentra sull’analisi delle criticità sanitarie nelle aree disagiate, con particolare riguardo alle isole minori caratterizzate da una serie di criticità che compromettono l’erogazione del servizio e l’equità di trattamento dei loro cittadini. Nell’ultima parte del capitolo vengono proposti una serie di strumenti per superare tali problematiche, in particolare viene illustrato il ruolo della telemedicina come strumento di sistema in grado di rispondere in maniera efficace ed efficiente ai bisogni della popolazione che risiede in zone caratterizzate da eccezionali difficoltà.

Nel CAPITOLO III viene riportato un progetto regionale commissionato dal Ministero della Salute a tre Regioni, tra cui la Toscana, per l’ottimizzazione dell’assistenza sanitaria nelle isole minori e nelle zone disagiate. Il progetto in questione, denominato progetto “OASI-e-Health”, si fonda su due pilastri: una maggiore informatizzazione e l’introduzione di nuove tecnologie ed è rivolto alle isole d’Elba e Capraia.

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CAPITOLO I

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1 L’evoluzione normativa del Sistema Sanitario Nazionale

Da sempre il nostro Paese ha attribuito importanza al concetto di salute, anche se l’assistenza sanitaria nel corso del tempo è cambiata profondamente, soprattutto in termini di qualità e ricerca.

Le prime norme organiche in materia sanitaria risalgono agli anni successivi all’unificazione dell’Italia, dove la tutela della salute era di competenza del Ministero dell’Interno presso il quale, all’inizio del ‘900, era stata istituita una Direzione Generale per la Sanità affiancata da un organo consultivo, il Consiglio Superiore di Sanità e da uno tecnico, l’Istituto Superiore di Sanità.

Tra la prima e la seconda guerra mondiale si sviluppa in Italia il sistema mutualistico, un sistema assicurativo previdenziale che garantiva l’assistenza sanitaria ai lavoratori; conseguenza di ciò fu la disuguaglianza sociale che si venne a creare per coloro che non erano coperti da assicurazione sociale contro le malattie. Quindi il concetto di tutela della salute in quegli anni si sganciava completamente dal fatto di essere semplicemente un cittadino, ma era correlato all’appartenere alla classe dei lavoratori.

Si dovrà attendere il 1948 quando, con l’emanazione della Costituzione, il concetto di salute viene riconosciuto come diritto universale dell’individuo

(art. 32), comportando un profondo cambiamento della materia dell’assistenza sanitaria e del ruolo dello Stato che assume il compito di salvaguardare la salute come imprescindibile condizione e garanzia di pieno sviluppo dell’individuo, inteso come persona umana.

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1.1 Nascita del SSN: Legge n. 833/1978

Il primo grande intervento di riorganizzazione della sanità è avvenuto nel 1978 con la Legge n.833, la quale soppresse il sistema mutualistico precedente e istituì il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che rappresenta lo strumento attraverso il quale lo Stato garantisce ai propri cittadini il diritto costituzionale alla tutela della salute in condizioni di uguaglianza su tutto il territorio nazionale.

Ad ispirare il legislatore della prima riforma sanitaria sono proprio i principi costituzionali di universalità, uguaglianza ed equità nell’accesso alle prestazioni sanitarie e la responsabilità primaria dello Stato che assume,quindi, il ruolo di unico “gestore” della salute pubblica, con funzione di indirizzo generale e di coordinamento delle attività amministrative delle Regioni.

Esso era inoltre responsabile della programmazione a livello nazionale e della fissazione dei livelli di prestazione da garantire a tutta la popolazione del nostro Paese.

Accanto allo Stato, l’assetto istituzionale del 1978 aveva previsto il coinvolgimento in questo meccanismo di altri due soggetti:

 le Regioni, a cui veniva deputata una parte delle competenze legislative in materia di assistenza sanitaria in conformità di quanto espresso dal dettato normativo dello Stato.

Ciascuna Regione, inoltre, forniva i modelli organizzativi relativi alla gestione del personale e predisponeva i supporti di natura contabile ed informativa necessari alla gestione delle Unità operative;

 i Comuni, ai quali spettava l’effettiva gestione ed erogazione del servizio attraverso la costituzione di apposite strutture operative denominate Unità sanitarie locali (USL) all’interno delle quali venivano accorpati anche gli ospedali.

L’assetto delineato dal provvedimento del ’78 denotò nel tempo alcune debolezze derivanti principalmente dall’ambiguità dei ruoli assegnati ai diversi livelli di governo e dalla crisi del processo programmatorio.

In particolare, per quanto riguarda il primo punto, l’incertezza e la conflittualità sulle responsabilità istituzionali si manifestò in una serie di criticità dovute

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soprattutto alla mancata determinazione della natura giuridica delle USL e a tensioni che si vennero a creare tra le stesse USL e i Comuni riguardo le aree di competenza con conseguenti ritardi decisionali ed operativi (Macinati, 2008). Le difficoltà maggiori furono però create da un’attività di programmazione sanitaria carente sia a livello nazionale che regionale.

All’interno del dettato normativo in questione, il Legislatore aveva previsto la stesura, a cura del Ministero, del Piano Sanitario Nazionale (PSN), documento a valenza strategica di durata pluriennale, il quale doveva contenere (Lazzini, 2013):

 il quadro degli obiettivi prioritari da realizzare;

 gli standard per la ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale tra le Regioni, allo scopo di garantire un’omogenea ed equilibrata organizzazione dei servizi;

 gli indirizzi per la ripartizione tra le USL della quota del FSN assegnata alle varie Regioni;

 i criteri e gli indirizzi guida per l’organizzazione, da parte delle Regioni, dei servizi e delle prestazioni;

 le norme per la compilazione dei Piani Sanitari Regionali;

 le procedure per le verifiche periodiche dello stato di attuazione dello stesso Piano.

Nonostante i prodromi della programmazione ci fossero, come spesso accade, la normativa incontrò grosse difficoltà nel momento della sua implementazione. Fu proprio la mancata attuazione del Piano Sanitario Nazionale l’anello debole che fece entrare in crisi l’intero sistema.

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1.2 La “Riforma-bis”: D.lgs n. 502/1992 e n. 517/1993

Le problematiche riscontrate negli anni successivi alla riforma del ’78, in particolar modo quelle relative al processo programmatorio, innescarono situazioni di grande complessità e di difficoltà di gestione e condussero ad una crisi finanziaria del sistema.

Nel documento di programmazione dovevano essere espressi i fabbisogni di salute della popolazione, ossia l’entità delle prestazioni spettanti ad ogni cittadino ed erogate dalle USL e, sulla base di essi, doveva essere individuata la congrua entità di risorse da assegnare al sistema; in questo modo si sarebbe ottenuta una perfetta correlazione tra la qualità del servizio erogato e il finanziamento percepito.

Come già anticipato, tutto ciò non avvenne.

La mancata emanazione del Piano Sanitario Nazionale, e quindi dei suoi contenuti, configurò un sistema caratterizzato da una spesa pubblica svincolata da una reale rendicontazione sullo stato di bisogno: l’ammontare di risorse da destinare alle USL,infatti, non era basato su criteri oggettivi come aveva previsto il Legislatore, ma su un meccanismo burocratico-incrementale ancorato alla spesa storica, per cui ogni anno le USL “sforavano” volontariamente il budget ricevuto l’anno precedente in modo da ottenere più risorse l’anno successivo. E’ evidente che in questo modo la spesa divenne incontrollabile.

A fronte di tale situazione, lo Stato fu costretto ad intervenire“ a piè di lista” con finanziamenti supplementari destinati a ripianare i debiti che ogni anno venivano a formarsi.

Le falle createsi nel sistema condussero il Legislatore a ripensare all’impianto della legge che istituì il Sistema Sanitario Nazionale e a promuovere una nuova riforma sfociata nel D.lgs n.502/1992, successivamente modificato e integrato dal D.lgs n.517/1993.

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Il decreto n.502/1992, noto come “Riforma-bis”, fu espressione del processo di riforma della Pubblica Amministrazione avviato negli anni ’90 con la Legge n.421/1992, la quale delegava il governo ad emanare dei provvedimenti atti a riordinare alcune importanti aree di attività pubblica, tra cui la sanità.

L’esigenza di cambiamento venne avvertita in maniera forte anche perché in quegli anni il contesto stava cambiando, stava cominciando ad affermarsi un processo di conversione verso l’euro, quindi divenne necessario ripensare al sistema.

1.2.1 I punti principali della “Riforma-bis”

Il disegno organizzativo e la governance del sistema sanitario nazionale cambiarono radicalmente, creando uno scenario in teoria orientato ad una maggiore efficienza e qualità nella tutela della salute attraverso alcune fondamentali innovazioni che riguardavano, in particolare, la regionalizzazione e l’aziendalizzazione del sistema (Marinò, 2008).

Con riferimento al primo punto, la riforma del 1992 ha ridimensionato il ruolo dello Stato in favore di un decentramento regionale delle decisioni a carattere organizzativo e gestionale allo scopo di favorire un avvicinamento tra erogatore delle prestazioni sanitarie e beneficiario delle stesse.

Le motivazioni alla base di questa scelta da parte del Legislatore risiedono nel fatto che il livello di governo intermedio era ritenuto il migliore nel cogliere i problemi operativi.

Il disposto normativo del 1992 ha quindi spostato il fulcro del sistema verso il basso, collocando le Regioni al centro della scena sanitaria con il compito di organizzare l’assistenza sanitaria nel proprio territorio ed ha attribuito alle stesse specifiche responsabilità finanziarie ed economiche collegate alla gestione dei servizi.

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 la definizione dei Piani Sanitari Regionali con cui le Regioni stabiliscono il quadro delle attività sanitarie, sociali e assistenziali da erogare per i livelli essenziali di assistenza;

 la definizione dei principi sull’organizzazione del settore;  l’articolazione delle ASL;

 la costituzione delle Aziende Ospedaliere autonome;

 la determinazione dei criteri di finanziamento delle aziende sanitarie in funzione delle specificità territoriali e nel rispetto delle indicazioni che emergono dal PSN;

 l’approvazione dei bilanci e dei documenti di programmazione delle aziende sanitarie.

In questo nuovo quadro lo Stato viene quindi spodestato dalla posizione di garante del diritto alla salute dei propri cittadini, limitandosi a stabilire i Livelli Essenziali di Assistenza definiti come “ insiemi di attività e prestazioni sanitarie che devono essere garantite in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, tenendo conto dei dati epidemiologici e clinici della popolazione” e i finanziamenti da assegnare, sulla base di una quota capitaria alle Regioni.

L’auspicio del Legislatore era quello di incrementare il livello di efficacia del servizio e l’efficienza della gestione dello stesso in modo da rendere controllata la spesa pubblica.

La seconda linea di cambiamento contenuta nella “Riforma-bis” riguarda il processo di aziendalizzazione delle Unità Sanitarie Locali, le quali assumono la veste di aziende dotate di (Marinò, 2016):

 personalità giuridica pubblica, ovvero soggetto di diritto diverso dalla persona fisica, individuato come centro di imputazione dei rapporti giuridici;

 di autonomia organizzativa, la quale si esplica nella possibilità di definire, nell’ambito delle funzioni assistenziali assegnate, le modalità di architettura e organizzazione dei servizi ritenute più idonee;

 di autonomia gestionale, che si sostanzia nella previsione di propri organi di governo a cui è demandata la responsabilità di effettuare scelte

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strategiche e gestionali, entro i limiti dettati dalle norme di legge e dagli indirizzi regionali;

 di autonomia patrimoniale, quindi possesso di proprio patrimonio e possibilità di attuare, anche tramite alienazione, opportune azioni di valorizzazione;

 di autonomia contabile, che investe l’area della gestione economico-finanziaria e patrimoniale e indica la presenza di un proprio sistema informativo-contabile (contabilità generale, analitica, bilancio e documenti di programmazione);

 di autonomia tecnica, interpretata come facoltà di scelta delle modalità di organizzazione dei processi produttivi, nell’ambito delle linee guida e dei percorsi assistenziali definiti a livello politico e professionale.

La “vecchia” USL era una struttura operativa del Comune con propria autonomia organizzativa, amministrativa, contabile e contrattuale ma sprovvista di personalità giuridica, che sottostava al potere di indirizzo politico-amministrativo esercitato su di essa dal Comune.

L’Azienda USL diviene, quindi, una realtà completamente separata dall’Ente locale.

Oltre alla trasformazione in Aziende Sanitarie Locali (ASL), il D.Lgs n. 502/1992 ha previsto lo scorporo dalle USL dei presidi ospedalieri di rilievo nazionale e ad alta specializzazione e la loro costituzione in Aziende Ospedaliere (AO) dotate anch’esse di personalità giuridica ed autonomia gestionale, ma, diversamente dalle ASL, esse sono impegnate in ricoveri ad alta complessità. Alle Regioni spetta il compito di stabilire quali ospedali soddisfano i requisiti previsti dalla normativa con conseguente trasformazione in AO, mentre gli ospedali sprovvisti degli standard richiesti rimangono all’interno delle ASL come “Presidi Ospedalieri”.

Il cambiamento dell’azienda sanitaria riguarda anche il suo assetto di governance: il comitato di gestione, che di fatto era espressione del consiglio comunale, lascia spazio ad una triade di soggetti costituita:

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 dal Direttore Generale, che costituisce l’organo monocratico di governo dell’azienda sanitaria nominato dalla Regione in base a liste di candidati laureati in possesso di esperienze gestionali almeno quinquennali in un’unità complessa pubblica o privata. Ad esso sono assegnate le funzioni di pianificazione, di organizzazione e controllo dell’azienda e la responsabilità di verificare la correttezza ed economica gestione delle risorse, nonché l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa;

 dal Direttore Amministrativo, nominato dal Direttore Generale, è un giurista o un economista che si occupa della parte amministrativa dell’azienda;

 dal Direttore Sanitario, il quale definisce le politiche sanitarie dell’azienda, nominato anch’esso dal Direttore Generale, in base al possesso di una laurea in medicina o in professioni sanitarie.

Se ASL e AO risultano accomunate dalla stessa natura giuridica e stesso assetto di governance, profondamente diverse sono le funzioni e le articolazioni organizzative.

Le ASL rappresentano i soggetti del SSN ai quali la Regione assegna in via prioritaria la tutela della salute della collettività, per cui la loro missione istituzionale risiede nell’assicurare i livelli di assistenza attraverso l’erogazione di tre tipi di prestazioni:

 degenza per acuzie, che comprende tutte le prestazioni a carattere ospedaliero;

 servizi territoriali o attività di distretto, riguardano le prestazioni erogate dai medici di medicina generale, le attività di tipo farmaceutico e tutti quei servizi di carattere accessorio come l’assistenza alla persona, servizi per le tossicodipendenze, per le malattie croniche ecc.;

 servizi di prevenzione, ossia tutte quelle attività che attengono l’igiene pubblica e la prevenzione dalle malattie.

Il disposto normativo ha quindi previsto l’integrazione delle ASL, ossia la loro articolazione in tre strutture a cui è assegnata autonomia economico-finanziaria e

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con bilanci separati all’interno del sistema informativo-contabile delle ASL: i presidi ospedalieri, i distretti territoriali e il Dipartimento di prevenzione.

L’AO invece, per sua natura era destinata a svolgere solo l’attività di degenza per acuzie in quanto l’idea del Legislatore era che le Aziende Ospedaliere nascessero per dare evidenza di quelle realtà che erano particolarmente di rilievo e di conseguenza erano impegnate in ricoveri ad alta complessità, che richiedono un elevato grado di specializzazione.

Il dettato normativo del 1992, tra le altre innovazioni, ha attribuito ai cittadini l’assoluta libertà di scegliere in quale struttura curarsi, sia essa pubblica che privata, configurando così un sistema di concorrenza tra i diversi erogatori di prestazioni sanitarie.

L’intento del Legislatore era quello di innalzare il livello qualitativo delle prestazioni ponendo sullo stesso piano le strutture pubbliche e private operanti nell’ambito del SSN nell’ottica di un sistema sanitario improntato ai principi della libera concorrenza e, quindi, della posizione di parità tra gli operatori. Per definire gli standard qualitativi dei provider e regole comuni per disciplinare i rapporti tra soggetti pubblici (AO vs presidi ospedalieri) e tra pubblici e privati, come stimolo all’efficienza del sistema, il dettato normativo del 1992 ha introdotto l’istituto dell’accreditamento, il quale ha sostituito il precedente sistema del convenzionamento.

Nel nostro Paese l’accreditamento rappresenta un processo obbligatorio ed una garanzia che in una certa struttura sanitaria siano presenti quei livelli organizzativi che consentono di erogare con sicurezza e qualità i servizi sanitari. Per dare attuazione alla norma venne emanato il DPR 14 gennaio 1997 che conteneva i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’autorizzazione all’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture sanitarie pubbliche e private chiarendo come i requisiti necessari per l’accreditamento, fossero ulteriori rispetto ai minimi, identificando la Regione come soggetto deputato ad organizzarli.

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L’iter procedurale per ottenere l’accreditamento, come contemplato dal D.Lgs n.229/1999, che ha modificato ed integrato il disposto normativo del 1992, prevede:

 l’autorizzazione alla realizzazione, dove la realizzazione di nuove strutture sanitarie è subordinata all’autorizzazione del Comune;

 l’autorizzazione all’esercizio, rappresenta la soglia di garanzia al di sotto della quale non è possibile esercitare un’attività sanitaria;

 l’accreditamento istituzionale, rilasciato dalla Regione alle strutture autorizzate, pubbliche e private ritenute idonee ad erogare le attività sanitarie per conto del Servizio Sanitario Nazionale;

 la stipula di accordi contrattuali tra la Regione o le Aziende USL e i provider di prestazioni sanitarie che questi potranno offrire.

Il D.Lgs n. 229/1999 ha denominato le strutture provvisoriamente accreditate come strutture “temporaneamente accreditate”, introducendo il concetto di “accreditamento provvisorio”, che riguardava le nuove strutture o l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti. L’accreditamento è provvisorio per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati. L’eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell’accreditamento.

Anche nell’ambito dell’accreditamento alle Regioni spetta un ruolo centrale in quanto, una volta accertata la funzionalità della struttura rispetto agli indirizzi della programmazione regionale e alla rispondenza ai requisiti di qualificazione ulteriori rispetto a quelli necessari per la sola autorizzazione, rilascia al richiedente l’attestato di soggetto accreditato ad erogare le prestazioni sanitarie per conto del SSN.

L’obiettivo dell’accreditamento è quindi quello di fornire un percorso che porti le Aziende a livelli sempre più elevati di qualità dei servizi erogati.

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1.3 La “Riforma-ter”: D.lgs n. 229/1999

A completamento del processo di riordino del SSN avviato con la Legge n.833/1978 e successivamente con il D.Lgs n.502/1992, poi modificato nel D.Lgs n.517/1993, si inserisce il D.Lgs n.229/1999 di “razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale”, noto anche come “Riforma-ter” o “Riforma Bindi”, il quale rappresenta l’attuale riferimento normativo in materia di organizzazione dei servizi sanitari nel nostro Paese.

Il Legislatore, spinto dall’esigenza di affinare alcuni aspetti precedentemente trascurati o sottovalutati, tenta di rivisitare l’impianto normativo del 1992 attraverso l’introduzione di alcuni punti, quali (Lazzini, 2013):

 la completa realizzazione del processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie alle quali viene attribuita autonomia imprenditoriale;

 ruolo forte attribuito alla programmazione, nell’ambito della quale avviene la libera scelta del cittadino;

 maggior coinvolgimento dei Comuni nella programmazione sanitaria regionale e aziendale e nella verifica del raggiungimento degli obiettivi di salute;

 rafforzamento del ruolo dell’accreditamento attraverso la definizione, come visto in precedenza, di nuovi criteri di equilibrio tra le modalità di competizione tra le strutture pubbliche e private;

 definizione delle risorse in funzione dei Livelli Essenziali ed Uniformi di Assistenza da erogare gratuitamente;

 l’affermazione dell’esclusività del rapporto di lavoro dei professionisti sanitari;

 una maggiore attenzione alla formazione permanente;

Con questo intervento legislativo, in sostanza, da un lato è stato rafforzato il ruolo delle Regioni attraverso l’ampliamento delle competenze e delle attribuzioni in materia di programmazione e gestione dei servizi, dall’altro i Comuni hanno recuperato significativi spazi di intervento attraverso una collaborazione con l’organo di governo regionale nella formulazione delle strategie assistenziali più adeguate ai bisogni della popolazione locale.

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Ben presto, però, anche il c.d “Decreto Bindi” mostra i suoi limiti, divenendo necessario modificarlo in più parti attraverso decreti correttivi.

L’ostacolo più grande alla piena attuazione di quest’ultima riforma rimane, comunque, il nuovo quadro istituzionale e normativo del sistema: l’affermazione di distinti modelli regionali di assistenza propri dell’evoluzione in senso “federalista” del sistema.

Di poco successivo è, come vedremo nel proseguo del capitolo, il D.Lgs n. 56/2000 che introduce il nuovo sistema di finanziamento regionale dei servizi, in conformità con la riforma generale apportata con la revisione del Titolo V, parte II, della Costituzione.

In questo quadro di federalismo, nella previsione di un potere normativo regionale che si affianca e sostituisce la normativa nazionale, trovano spazio i più recenti interventi in materia sanitaria: il Decreto legge 18 Settembre 2001, n.347, divenuto Legge del 16 Novembre 2001, n. 405 intitolato “Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria”.

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2 L’organizzazione del SSN

2.1 La struttura del Sistema Sanitario Nazionale

Il SSN si pone come obiettivo la promozione del benessere e della salute dei cittadini e delle comunità. Per questo la governance del sistema richiede che il SSN non solo migliori il livello di tutela della salute della popolazione facendo leva sulle risorse che ha a disposizione ( personale, strutture,tecnologia, attività), ma si faccia promotore dell’integrazione delle politiche intersettoriali al fine di agire positivamente sulle determinanti della salute e del benessere.

In tal senso il SSN collabora con i diversi soggetti istituzionali per trasformare operativamente, tenendo in considerazione le specificità locali, gli indirizzi concordati per il miglioramento dello stato di salute della popolazione.

Il SSN è attualmente articolato su tre livelli di governo: livello centrale, livello regionale e livello territoriale.

Livello di governo centrale

L’organo centrale del SSN è rappresentato dal Ministero della Salute che assume la funzione di indirizzo e programmazione dell’intera materia sanitaria: in particolare, le sue funzioni attengono la definizione degli obiettivi in termini di determinazione dei LEA da assicurare al territorio nazionale in modo tale da perseguire il miglioramento complessivo dello stato di salute della popolazione. Il Ministero è strutturato in due Dipartimenti, ognuno dei quali suddiviso in Direzioni Generali:

 Dipartimento per l’ordinamento sanitario, la ricerca e l’organizzazione del Ministero: si occupa dell’organizzazione del bilancio e del personale del Ministero. Tra i suoi compiti rientrano quello di scelta dei requisiti per l’esercizio e l’accreditamento delle attività del Sistema Sanitario Nazionale, la sperimentazione dei protocolli di intesa (come quelli tra Regioni ed Università ad esempio), l’individuazione dei fabbisogni delle professioni sanitarie, la ricerca biomedica, la vigilanza sugli IRCCS e la CRI. La verifica dei dati statistici relativi a tutte le attività del SSN e del Ministero, valuta gli investimenti pubblici e comunitari, ha la gestione e lo sviluppo dell’informatizzazione dell’attività amministrativa;

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 Dipartimento della tutela della salute umana, della sanità pubblica veterinaria e dei rapporti internazionali: si impegna su tutti gli aspetti riguardanti la salute del cittadino come la prevenzione e la profilassi, la produzione e la commercializzazione dei medicinali nonché la farmacovigilanza, la sicurezza alimentare e sicurezza sul lavoro. Accanto a questo primo nucleo figurano inoltre la ricerca veterinaria e la vigilanza sugli Istituti zooprofilattici sperimentali, l’analisi delle procedure comunitarie relative agli alimenti transgenici, l’assistenza sanitaria agli emigrati e stranieri, i pareri medico-legali relativi a pensioni e indennizzi speciali, l’attività editoriale medica e il volontariato.

Alle dipendenze del Ministero si collocano altri enti ed organi di livello nazionale:

 il Consiglio Superiore della Sanità (CSN), è l’organo consultivo tecnico-scientifico del Ministro della Salute: composto da cinquanta componenti di fama tecnico-scientifica nominati dal ministro e da componenti di diritto, rappresentati da Dirigenti Generali preposti ai Dipartimenti e Servizi del Ministero della Salute, dal Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, dal Direttore dell’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro e dal Direttore dell’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali.

 Istituto Superiore di Sanità (ISS), è un organo tecnico-scientifico del SSN che svolge funzioni di ricerca, di sperimentazione, di controllo e di formazione per quanto concerne la salute pubblica;

Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro (ISPESL), è un organo tecnico-scientifico del SSN che rappresenta il centro di riferimento nazionale di informazione, documentazione, ricerca, sperimentazione, controllo e formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza e benessere nei luoghi di lavoro;

Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR), svolge funzioni di supporto alle attività regionali, di valutazione comparativa dei costi e rendimenti dei servizi resi ai cittadini e di segnalazione di disfunzioni e

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sprechi nella gestione delle risorse personali e materiali e nelle forniture, di trasferimento dell’innovazione e delle sperimentazioni in materia sanitaria;

Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), sono enti nazionali autonomi che perseguono finalità di ricerca nel campo biomedico ed in quello della organizzazione e gestione dei servizi sanitari insieme con prestazioni di ricovero e cura;

Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II.ZZ.SS.), sono enti sanitari di diritto pubblico dotati di autonomia gestionale ed amministrativa, che rappresentano lo strumento tecnico ed operativo del SSN per quanto riguarda: la sanità animale, il controllo di salubrità e qualità degli alimenti di origine animale, l’igiene degli allevamenti ed il corretto rapporto tra insediamenti umani, animale ed ambientale;

Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), è l’autorità nazionale competente per l’attività regolatoria dei farmaci in Italia: opera in autonomia, trasparenza ed economicità, collabora con le regioni, l’ISS, gli IRCCS, le Associazioni dei pazienti, i medici e le società scientifiche, il mondo produttivo e distributivo.

Livello di governo regionale

La Regione assume la diretta responsabilità per quanto riguarda il governo e la spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute del Paese. Esse hanno competenza esclusiva nella regolamentazione ed organizzazione di servizi di attività destinate alla tutela della salute, dei criteri di finanziamento delle ASL e delle AO.

Livello di governo territoriale

La tutela della salute attraverso la produzione dei servizi è assegnata alle ASL e alle AO, che rappresentano l’ultimo livello di governo, entrambe definite dal Legislatore come aziende dotate di personalità giuridica ed autonomia imprenditoriale.

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Alle prime spetta il compito di gestire e coordinare l’attività dei diversi soggetti operanti all’interno del SSN, siano essi presidi ospedalieri interni, AO o strutture ospedaliere private, allo scopo di garantire il soddisfacimento dei bisogni sanitari afferenti alla popolazione.

Alle AO, in competizione diretta con i privati, è invece assegnata una funzione di produzione di servizi ai cittadini, nel rispetto delle modalità e nei regimi appropriati, attraverso l’uso efficace delle risorse a disposizione.

2.2 Il sistema di finanziamento

Molte sono state le modifiche che nel corso degli anni hanno riguardato nello specifico le modalità di finanziamento della spesa sanitaria, con la finalità di spostare sempre più la responsabilità e le leve per il controllo dal livello centrale di governo a quello regionale.

Risulta quindi opportuno ripercorrere in maniera sintetica le principali tappe che hanno condotto all’attuale meccanismo di finanziamento della spesa sanitaria di tipo federale.

2.2.1 Il sistema di finanziamento L. n. 833/1978

Il Legislatore della prima riforma sanitaria aveva previsto la realizzazione di un meccanismo di finanziamento dell’attività sanitaria attraverso la costituzione di un apposito capitolo del bilancio dello Stato, il Fondo Sanitario Nazionale (FSN), all’interno del quale confluivano le risorse destinate dal Governo alla copertura della spesa sanitaria

Ogni anno, infatti, la Legge Finanziaria, sulla base del fabbisogno individuato dalla programmazione sanitaria nazionale, assegnava parte delle entrate tributarie,costituite da contributi sanitari e imposizione fiscale, al sistema.

Il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) provvedeva alla ripartizione del Fondo Sanitario Nazionale alle Regioni attraverso un meccanismo di allocazione su base capitaria andando ad alimentare il Fondo Sanitario Regionale (FSR). A quel punto le Regioni, preso atto

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dell’entità del FSR, potevano manifestare una certa autonomia regionale che consisteva nella possibilità di effettuare dei margini correttivi non all’importo complessivo ma nelle modalità di suddivisione dello stesso all’interno delle Regioni (figura 1).

Lo stesso meccanismo di ripartizione, basato sul numero di abitanti, veniva utilizzato anche per stanziare le risorse del FSR in favore delle USL comprese nel territorio regionale.

Come abbiamo avuto modo di appurare precedentemente, la mancata approvazione dei Piani Sanitari Nazionali e l’adozione di una logica di allocazione delle risorse basata sui livelli di offerta piuttosto che sui livelli di domanda, costrinse ad effettuare la ripartizione dei finanziamenti alle Unità Sanitarie Locali sulla base del criterio storico facendo entrare in crisi l’intero meccanismo e costringendo il Legislatore a “rimettere mano” alla materia sanitaria.

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2.2.2 Il sistema di finanziamento “misto”: base capitaria e a tariffa

La riforma degli anni ’90 ha radicalmente modificato le modalità di finanziamento dell’assistenza sanitaria, introducendo un sistema che potremmo definire “misto”, ossia basato sulla finanza di trasferimento e sulla tariffazione delle prestazioni, orientato a sganciare la spesa dai livelli di offerta, per legarla invece ai livelli di domanda ed ottenere maggiori incentivi verso il miglioramento della qualità dei servizi offerti e l’impiego efficiente delle risorse (Marinò, 2008).

Il finanziamento su base capitaria

Se gli anni ’80 sono stati caratterizzati dalla sostanziale centralizzazione del reperimento delle risorse e dalla distribuzione del Fondo Sanitario Nazionale dal livello governativo centrale alle USL in base alla spesa storica, i decreti di riordino degli anni ’90 hanno assegnato alle Regioni l’autonomia finanziaria riguardo alla possibilità di aumentare i contributi sanitari, le tasse locali e la compartecipazione alla spesa, per la copertura dei livelli di assistenza superiori rispetto ai LEA, nonché per fronteggiare gli eventuali disavanzi delle aziende sanitarie (Marinò, 2014).

Il sistema di finanziamento così delineato era articolato su più livelli:

 lo Stato aveva il compito di definire i LEA e contestualmente l’ammontare del FSN da distribuire alle Regioni, per mezzo del CIPE, sulla base di un’assegnazione pro-capite il cui importo complessivo era suddiviso nelle quote finanziarie destinate a garantire per ogni singolo cittadino i predefiniti livelli minimi assistenziali. La quota capitaria era determinata sulla base di un sistema di coefficienti parametrici che tenevano conto delle specifiche caratteristiche demografiche e socio-sanitarie della popolazione residente in ciascuna Regione;

 la Regione, a sua volta, provvedeva a ripartire il FSR alle ASL sempre secondo il meccanismo della quota capitaria, con la possibilità, per ciascuna Regione, di poter introdurre opportuni parametri in grado teoricamente di esprimere il bisogno prospettico assistenziale della popolazione;

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 le ASL ricevono i fondi dalla Regione e finanziano le prestazioni in regime di ricovero ed ambulatoriali erogate dai produttori (AO e cliniche private) ai propri assistiti sulla base di tariffe determinate a livello regionale.

Da ciò emerge come la “regionalizzazione” del Servizio Sanitario non si riferisca solo all’attribuzione alle Regioni delle funzioni legislative e amministrative in materia sanitaria, ma soprattutto al coinvolgimento delle stesse nel controllo della spesa e nell’erogazione dei servizi.

Si è in questo senso assistito ad un progressivo sganciamento della spesa sanitaria dal bilancio dello Stato.

Inizialmente, il FSN ripartito tra le Regioni in base ad una quota capitaria corretta, rappresentava la fonte principale di finanziamento destinata all’erogazione dei LEA. Tale ripartizione creava nel governo del sistema un vincolo finanziario superabile dalle Regioni soltanto mediante il ricorso ad ulteriori risorse finanziarie provenienti da forme alternative di autofinanziamento.

Qualora infatti le Regioni avessero voluto innalzare gli standard qualitativi di assistenza rispetto ai LEA previsti dalla programmazione nazionale, sarebbero dovute ricorrere a forme di autofinanziamento, quali risparmi su altre voci del bilancio regionale o l’ulteriore richiesta di risorse da parte dei cittadini.

Lo Stato risultava quindi escluso da qualsiasi intervento di ripiano di disavanzi, imputabili sia ai LEA superiori a quelli previsti, sia alla presenza di modelli organizzativi regionali diversi da quelli assunti come base, sia relativi alla gestione delle ASL.

La riduzione del peso della quota di finanziamento a carico dello Stato nei FSR diviene sempre più evidente quando, grazie alle crescenti spinte federali, i contributi sanitari vengono sostituiti con un finanziamento tramite imposte regionali: IRAP e IRPEF vengono introdotte con il D.Lgs n.446/1997.

Infine , cioè a partire dal 2001, lo sganciamento della spesa sanitaria dal bilancio dello Stato diviene definitivo grazie alla riduzione delle dimensioni del fondo e la sua destinazione alla perequazione a favore delle Regioni svantaggiate.

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L’assegnazione della piena autonomia finanziaria alle Regioni ha creato infatti rilevanti situazioni di squilibrio strutturale tra le Regioni più ricche e quelle più povere in termini di risorse destinate al finanziamento dei bisogni assistenziali della popolazione. Per questo, il D.Lgs n.56/2000 ha previsto la costituzione di un fondo perequativo nazionale finalizzato proprio a ridurre le differenze tra le Regioni in base a parametri socio-demografici.

Il percorso normativo che ha condotto all’attuale meccanismo di finanziamento della spesa sanitaria può essere sintetizzato in quattro fasi (Marinò 2008):

 la prima, dal 1980 al 1992, è stata contraddistinta dalla centralizzazione del reperimento delle risorse e della esclusività del finanziamento statale alle USL;

 la seconda, dal 1993 al 1997, in cui si è assistito ad un maggior decentramento della responsabilità finanziaria al livello regionale tramite l’assegnazione alle Regioni del vincolo di bilancio e l’autonomia finanziaria sia per la copertura dei livelli di assistenza superiori a quelli essenziali, sia per i disavanzi delle aziende sanitarie, con la facoltà di aumentare i contributi sanitari, le tasse locali e la compartecipazione alla spesa;

 la terza, dal 1998 al 2001, in cui le spinte federali conducono alla sostituzione dei contributi sanitari con un finanziamento tramite imposte regionali (IRAP e addizionale IRPEF introdotte con il D.Lgs n.446/1997), integrato da una parte del gettito dell’IVA e dalle accise sulla benzina con conseguente riduzione del FSN;

 l’ultima fase, a partire dal 2001, è contraddistinta dall’attuazione definitiva del federalismo fiscale grazie al D.Lgs n.56/2000 ed è orientata a creare le condizioni per il totale sganciamento della spesa sanitaria dal bilancio dello Stato per farla divenire di competenza esclusiva della Regione.

Nel corso degli anni si è assistito ad un modello basato sull’accentramento nel reperimento delle risorse finanziarie e sul decentramento della spesa, dipendente

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dalla capacità del governo centrale di stimare il fabbisogno finanziario da destinare alla copertura dei LEA.

La sottostima delle risorse finanziarie rispetto ai LEA ha provocato la formazione di ingenti disavanzi a livello regionale, coperti poi con trasferimenti da parte dello Stato o dalle Regioni. La risoluzione del problema è stata dapprima individuata nella regolazione pattizia tra Stato e Regioni, con la quale lo Stato assumeva la responsabilità di provvedere alla correzione della sottostima strutturale della spesa sanitaria, mentre le Regioni assumevano contestualmente l’impegno di definire adeguate misure di controllo finalizzate alla riduzione dei deficit (blocco delle assunzioni, riduzione dei posti letto ecc.).

Di grande importanza, per il passaggio ad un modello di finanziamento federale, è stato il Patto di Stabilità per la salute siglato l’8 Agosto 2001, nel quale il Governo ha assegnato alle Regioni le risorse finanziarie a ripiano dei disavanzi pregressi e ha provveduto ad integrare ulteriormente i finanziamenti, attribuendo ad esse nuovamente la responsabilità sulla copertura dei disavanzi attraverso l’introduzione di strumenti di controllo della domanda e politiche finanziarie dirette ad accrescere le entrate.

Il d.l n.347/2001 recepiva i contenuti del Patto di Stabilità, mediante l’introduzione di nuovi stanziamenti statali per il triennio 2002-2004.

La nuova stagione della finanza derivata è inoltre caratterizzata dalla previsione di meccanismi premiali a cui è legata una quota di trasferimenti statali, vincolati alla realizzazione di azioni e misure da parte delle Regioni per il contenimento della spesa pubblica, in coerenza con la legge n.448/1998.

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Il finanziamento a tariffa

L’avvento del federalismo ha quindi assegnato alle Regioni la completa responsabilità in merito alla determinazione delle regole di riparto del FSR tra le varie ASL.

Queste ultime, come abbiamo appena visto, ricevono dall’ente regionale risorse finanziarie di trasferimento (su base capitaria) e le utilizzano per garantire ai propri assistiti o ad assistiti di altre ASL i Livelli Essenziali di Assistenza, definiti in sede di programmazione nazionale e regionale, sia attraverso proprie strutture, sia acquisendo prestazioni da altri soggetti in virtù del principio di libera scelta assegnata al cittadino delle strutture sanitarie presso cui soddisfare il proprio bisogno di salute, nell’ambito di quelle accreditate con il SSN.

Questo scambio di prestazioni tra strutture sanitarie è regolato da un sistema di prezzi politici (tariffe), definiti dalla Regione, che rende possibile legare i flussi di finanziamento dei soggetti produttori (siano essi AO o presidi ospedalieri interni alle ASL) ai volumi di produzione.

In sostituzione di meccanismi di finanziamento legati al livello di offerta (quindi alla capacità produttiva potenziale), il finanziamento a tariffa determina un meccanismo di allocazione delle risorse basato contemporaneamente sul costo prospettico delle prestazioni e sul livello effettivo di produzione, il quale dipende dal livello di domanda.

La tariffazione non viene applicata indistintamente a tutte le prestazioni ospedaliere perché possono sussistere delle attività che per le loro caratteristiche di forte specializzazione ed elevato costo, oppure in virtù della loro rilevanza strategica, è più congeniale che il loro finanziamento sia frutto di un’attività di programmazione più che di un processo di mera contrattazione tariffaria.

Il meccanismo in questione riguarda le prestazioni ambulatoriali e quelle in regime di ricovero; proprio quest’ultimo è stato preso come parametro per calcolare il rimborso tariffario e, data la sua eterogeneità, è stato classificato dal Decreto del 15 Aprile 1994 in raggruppamenti omogenei (ROD o, in inglese, DRG) definiti in base ad alcuni criteri, quali:

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 la gravità della malattia;

 l’omogeneità di diagnosi a cui sono associati trattamenti sostanzialmente omogenei.

Per ogni raggruppamento è stata associata una tariffa unica in base alla quale remunerare gli episodi di ricovero.

Come abbiamo avuto modo di vedere, prima della “Riforma-bis”, il SSN adottava il criterio della spesa storica per rimborsare le strutture sanitarie e questo aveva indotto comportamenti opportunistici da parte delle stesse strutture; con il disposto normativo del 1992 viene introdotto questo meccanismo dei “Diagnosis Related Groups” che associa ad ogni prestazione fornita una tariffa corrispondente.

Tale sistema nasce dalla ricerca sulla funzione di produzione delle strutture ospedaliere iniziata nel 1967 da un gruppo di ricercatori dell’Università americana di Yale, coordinato dal Prof. Fetter al quale Medicare (gestore sanità pubblica in America) commissionò una ricerca che condusse alla formulazione dei DRG, impiegati per determinare prospetticamente l’ammontare del rimborso dovuto agli ospedali che erogano prestazioni in regime di ricovero.

Il sistema dei DRG è un sistema iso-risorse, ossia un sistema che si prefigge di raggruppare i pazienti ricoverati in ospedale per acuti sulla base di una diagnosi clinica che evidenzi il livello di assistenza prestata e la quantità di risorse utilizzate.

L’utilizzo di questi criteri ci consente di pervenire a gruppi di pazienti caratterizzati da un’omogeneità dal punto di vista del consumo di risorse e, quindi, dei costi di produzione.

A tale sistema si contrappone quello di iso-severità, dove i pazienti non vengono raggruppati per la quantità di risorse che assorbono, ma per la “gravità” delle condizioni cliniche.

Appare evidente come risulti più difficile attribuire alla “gravità” un peso e quindi una tariffa; ciò necessiterebbe di notevoli informazioni sui profili clinici e fisiologici dei pazienti desumibili dalla cartella clinica, la quale richiede un maggior costo per la raccolta dei dati.

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Per questo motivo si scelse un sistema iso-risorse, dove la fonte conoscitiva risiede nella Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO), istituita dal D.M 28 Dicembre 1991, che fornisce le informazioni utili ad attribuire un ricovero ad una classe diagnostica, in particolare:

 la diagnosi principale e quelle secondarie;  gli interventi chirurgici;

 le eventuali complicanze;  le patologie concomitanti;  l’età;

 il sesso;

 lo stato del paziente al momento della dimissione.

Le SDO vengono trasmesse dall’ASL alla Regione e da questa al Ministero in modo da consentire la comparazione a livello nazionale.

Ad oggi i DRG sono circa 579 e sono raggruppati in 25 macro gruppi di famiglie cliniche, le Major Diagnostic Cathegories (MDC):

1. Malattie e disturbi del sistema nervoso; 2. Malattie e disturbi dell’orecchio;

3. Malattie e disturbi dell’orecchio, del naso e della gola; 4. Malattie e disturbi dell’apparato respiratorio;

5. Malattie e disturbi dell’apparato circolatorio; 6. Malattie e disturbi dell’apparato digerente; 7. Malattie e disturbi epatobiliari e del pancreas;

8. Malattie e disturbi dell’apparato muscoloscheletrico e connettivo; 9. Malattie e disturbi della pelle, del sottocutaneo e della mammella; 10. Malattie e disturbi endocrini, metabolici e nutrizionali;

11. Malattie e disturbi del rene e delle vie urinarie;

12. Malattie e disturbi dell’apparato riproduttivo maschile; 13. Malattie e disturbi dell’apparato riproduttivo femminile; 14. Gravidanza, parto e puerperio;

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16. Malattie e disturbi del sangue e degli organi ematopoietici e del sistema immunitario;

17. Malattie e disturbi mieloproliferativi e tumori poco differenziati; 18. Malattie infettive e parassitarie (sistematiche);

19. Malattie e disturbi mentali;

20. Uso di alcool o farmaci e disturbi mentali organici indotti da alcool o farmaci;

21. Traumatismi, avvelenamenti ed effetti tossici dei farmaci; 22. Ustioni;

23. Fattori influenzanti lo stato di salute ed il ricorso ai servizi sanitari; 24. Traumi multipli significativi;

25. Infezioni da HIV

All’assegnazione ad una categoria diagnostica maggiore, segue la distinzione dei DRG in due principali sottoclassi che identificano la presenza o meno di interventi chirurgici: i DRGs chirurgici e i DRGs medici (figura 2).

Come è facile intuire, i primi necessitano dell’utilizzo della sala operatoria e per questo generano un consumo più elevato di risorse. Gli interventi chirurgici vengono classificati tenendo conto della richiesta più o meno elevata di fattori produttivi, quindi in cima alla classifica si posizioneranno gli interventi più complessi.

Le prestazioni che ricadono nella seconda sottoclasse vengono assegnate in conformità alle informazioni desunte dalla diagnosi principale.

Caratteristica fondamentale del sistema di misurazione descritto è che le classi diagnostiche sono esaustive ed esclusive, cioè ogni ricovero, sulla base delle informazioni contenute nella SDO, può essere assegnato ad uno e ad un solo DRG.

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Fonte: Anselmi, 2013

Dopo aver illustrato il meccanismo dei DRG, che classificano le prestazioni erogate in regime di ricovero, occorre adesso andare ad analizzare il sistema tariffario collegato alle prestazioni.

Esso è stato introdotto dal D.M 14 Dicembre 1994 e, in virtù del principio di decentramento sancito dalle leggi di riforma degli anni ’90, alle Regioni è stata concessa la possibilità di scegliere se adottare le tariffe indicate dal Ministero della Salute, con la possibilità di modificarle nei limiti di un certo range di variabilità, oppure di definire propri tariffari applicabili a tutti i soggetti erogatori operanti nel territorio di riferimento.

La norma stabilisce che la fissazione delle tariffe avvenga in base al costo standard di produzione, incrementato di una quota percentuale commisurata al valore medio, ottenuto dal rapporto tra i costi generali di struttura e il costo standard stesso.

Per il calcolo del costo standard di produzione delle prestazioni le componenti che entrano in gioco sono:

 il costo del personale direttamente impiegato;  il costo dei materiali consumati;

Figura 2 La struttura tariffaria

M.D.C. INTERVENTO DRG medico Diagnosi Principale) ( DRG Chirurgico (Tipologia d intervento) Neoplasie Diagnosi specifiche Sintomi Altre diagnosi Interventi maggiori Interventi minori Altri interventi

Interventi non correlati

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 il costo delle apparecchiature utilizzate;  i costi generali dell’unità produttiva.

I primi tre sono costi diretti, cioè direttamente imputabili ad una certa prestazione; i costi generali sono invece i costi dei fattori di produzione attribuiti all’unità produttiva ma non direttamente utilizzati nella produzione della singola prestazione, per cui devono essere distribuiti proporzionalmente tra tutte le prestazioni da questa prodotte.

Per poter essere remunerativo, il costo standard deve tener conto della componente dei costi legati alle strutture, ma queste non sono tutte uguali poiché ci sono erogatori caratterizzati da una complessità molto elevata in termini di prestazioni fornite, altri sono meno complessi.

Oltre alla complessità della casistica trattata, vi sono altri fattori di variabilità che incidono sui costi ospedalieri: strutture che presentano volumi di attività superiori alla media oppure altre contraddistinte da un’elevata dotazione di personale, o altre ancora la cui incidenza dei costi strutturali risulta superiore rispetto alla media.

E’ proprio per queste ragioni che alle Regioni è stata data la possibilità di articolare i propri tariffari in relazione a differenti criteri e, in particolare, in base alla tipologia degli erogatori o ai volumi di prestazioni erogate.

Alcune, nello stimare il costo standard di produzione, hanno applicato un complesso di “pesi” capaci di esprimere la maggiore onerosità relativa di ogni DRG, rispetto al costo di un ricovero medio; altre Regioni, invece, hanno definito le proprie tariffe attraverso un’analisi di costo svolta presso le strutture sanitarie del proprio territorio di riferimento.

La Regione Toscana, ad esempio, ha adottato quest’ultimo sistema; dapprima ha individuato quattro classi di istituti di cura, raggruppati sulla base dell’omogeneità delle prestazioni erogate:

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Classe 1 Istituti di cura che assicurano prestazioni ospedaliere per acuti in regime di urgenza/emergenza con dotazione di reparti autonomi di degenza per discipline specialistiche, in quantità almeno pari a reparti di discipline base

Classe 2 Istituti di cura per prestazioni urgenti ed emergenti che presentano una prevalenza di reparti dedicati alle discipline base

Classe 3 Istituti che garantiscono prestazioni ospedaliere per acuti in regime di elezione programmata per attività di alta specialità o per altre attività, esercitate sia in area medica che chirurgica con presenza di almeno cinque strutture organizzative di ricovero o con una dotazione di personale dipendente superiore a sette unità ogni dieci posti letto Classe 4 Istituti che erogano prestazioni ospedaliere per acuti in regime

elezione programmata ma che non soddisfano i requisiti stabiliti per la classe precedente

Dopo aver definito i campioni rappresentativi delle quattro classi individuate, ha calcolato per ciascuno di essi il costo totale di produzione (ammortamenti compresi). Dopodiché, per ottenere il costo standard di produzione di una prestazione, viene diviso il valore complessivo delle attività per il numero di ricoveri erogati. Il valore ottenuto corrisponde al “Punto DRG”, il quale viene moltiplicato per il “Peso DRG”, evocativo della complessità che la prestazione ha comportato in termini di costo assorbito, ottenendo così la tariffa.

La libertà concessa alle Regioni di stabilire propri tariffari ha comportato dei problemi nell’ambito della mobilità sanitaria tra i vari enti regionali.

Questo fenomeno nasce dal già visto principio di libertà riconosciuta ai cittadini di scegliere liberamente la struttura presso cui soddisfare il proprio bisogno di salute.

Nel caso in cui l’assistito scelga di rivolgersi ad una struttura non appartenente alla propria ASL, presso la quale è incardinato, questo genera una mobilità passiva e quindi l’ASL di riferimento si trova costretta a remunerare la struttura scelta dal cittadino per la prestazione di cui quest’ultimo ha beneficiato; viceversa, si parla di mobilità attiva qualora un’ASL eroghi delle prestazioni a pazienti provenienti da altre ASL e, di conseguenza, avrà diritto a percepire i rimborsi corrispondenti.

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La mobilità di risorse appena descritta avviene a livello regionale per cui in sede di ripartizione del FSR, le ASL, oltre a ricevere la quota di finanziamento su base capitaria, riceveranno anche il differenziale (saldo di mobilità) ottenuto tra il valore delle prestazioni erogate ai soggetti di altre ASL, e il valore di quelle acquistate da altre ASL di cui i propri assistiti hanno beneficiato. Il problema sorge quando la mobilità si estende a livello extra-regionale poiché, come abbiamo appena avuto modo di vedere, le Regioni adottano tariffari diversi. Alla fine degli anni ’90 vi erano ASL che si resero conto di produrre più di quanto ricevevano in termini di finanziamento pro-capite dalla Regione e poiché non era possibile modificare la quantità di risorse ricevute, hanno abbassato le tariffe associate ai DRG, quindi hanno diminuito il valore delle prestazioni. Questo ha implicato una differenziazione molto forte tra i tariffari delle diverse Regioni, comportando situazioni sfavorevoli per quelle Regioni caratterizzate da una forte mobilità passiva, penalizzate anche dal fatto che il saldo di quella attiva fosse più basso, a seguito della diminuzione del valore delle prestazioni.

A fronte di tale squilibrio nel 2008 viene introdotta la Tariffa Unica Compensativa (TUC), la quale viene utilizzata per le compensazioni inter-regionali; per la regolamentazione interna ogni Regione adotta il proprio sistema tariffario.

Con ciò si conclude l’analisi del sistema di finanziamento dell’assistenza sanitaria, che come abbiamo visto si articola su due livelli di approvvigionamento.

Il primo riguarda l’assegnazione da parte della Regione di risorse su base capitaria al fine di una distribuzione equa tra le ASL; il secondo si basa sul finanziamento a tariffa, attraverso il meccanismo dei DRG, al fine di allocare una quantità prefissata di risorse finanziarie tra forme e livelli alternativi di assistenza e tra le diverse strutture ospedaliere, in relazione ai volumi di attività e alla complessità della casistica trattata.

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2.3 I diversi modelli regionali nel sistema federale italiano

A seguito delle riforme varate nel 1992 e nel 1999, le Regioni hanno acquisito la titolarità della funzione sanitaria e quindi la responsabilità della tutela della salute. La “regionalizzazione” del sistema sanitario è stata percepita dalle Regioni come un grande riconoscimento di potere ed ha condotto le stesse a configurare le modalità di erogazione e finanziamento del servizio ottenendo come risultato la creazione di diversi modelli istituzionali ed organizzativi.

Il SSN si è quindi trasformato in un sistema costituito da una pluralità di modelli regionali, alcuni aventi caratteristiche simili, altri invece contraddistinti da presupposti fondanti molto differenti.

I principali schemi adottati a livello regionale sono riconducibili a tre tipi, ognuno dei quali differisce per il ruolo e le funzioni assegnate alle Aziende Sanitarie Locali nella programmazione delle attività e nel governo delle risorse:

1. Modello “ASL- terzo pagatore” o “Modello Lombardo”; 2. Modello “ASL- programmatore” o “Modello Toscano”; 3. Modello “ASL- sponsor”.

Il primo modello, applicato alla Regione Lombardia, è orientato all’aumento della pressione competitiva attraverso la distinzione netta tra soggetti acquirenti del servizio e soggetti erogatori di prestazioni. La funzione dell’ASL si limita a quella di acquirente delle prestazioni per conto dei propri assistiti, mentre il compito di erogare il servizio viene assegnato alle Aziende Ospedaliere e ad altre strutture accreditate, le quali ottengono una remunerazione pari alle prestazione erogate.

In questo tipo di impostazione la parola chiave è la competizione: le AO e i privati concorrono tra loro per attrarre il maggior numero di pazienti e ricevere più risorse dalle ASL di riferimento; in questo modo il risultato che si ottiene è un innalzamento complessivo della qualità delle strutture, tant’è che la Lombardia è una delle regioni più attrattive da un punto di vista sanitario.

La tutela della salute pubblica viene garantita attraverso la stipula di accordi contrattuali tra le ASL e i soggetti erogatori accreditati, all’interno dei quali

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vengono stabiliti gli standard qualitativi delle prestazioni erogate, i limiti alla concorrenza e le forme di controllo attuate dalle ASL.

Le criticità che investono tale sistema di competizione risiedono nelle difficoltà negoziali delle ASL che hanno spazi di manovra limitati a causa di vincoli contrattuali imposti dalla Regione: selezione degli erogatori dei servizi attraverso l’accreditamento, determinazione dei livelli tariffari delle prestazioni, scelta dei criteri di erogazione delle prestazioni.

A questo si aggiunge, dato l’elevato numero di strutture di produzione, la difficoltà di programmare l’offerta che risulta in gran parte subordinata all’andamento della domanda, con potenziali effetti negativi sul controllo della spesa pubblica sanitaria.

Dal modello appena descritto si discosta notevolmente il “Modello ASL-programmatore” o “Modello Toscano”, applicato nella maggior parte delle regioni, nel quale la Regione assume il ruolo di regolatore della concorrenza tra i soggetti accreditati.

Il suddetto schema è quello che maggiormente rispecchia il modello generale predisposto a livello centrale, dove le ASL svolgono la duplice funzione di finanziatori e di erogatori di prestazioni tramite i propri presidi.

In virtù della loro natura di strutture di “rilievo nazionale” e di “alta specializzazione”, le AO, nel modello in questione, costituiscono una scelta residuale, in quanto l’idea di base della Toscana è che alle ASL venga assegnata la funzione assistenziale di primo livello, mentre alle AO è demandata la funzione di produzione di secondo livello, ossia di alta specialità.

In questo modo si viene a creare una complementarietà tra i soggetti che operano a livelli diversi ed è proprio tale complementarietà che caratterizza il Modello Toscano, il quale è orientato a diminuire le pressioni concorrenziali in favore di una crescita omogenea delle sue strutture sanitarie.

Per far sì che la qualità degli erogatori venga percepita in modo omogeneo su tutto il territorio della regione e per evitare di avere un flusso anomalo di pazienti verso un’ASL che creerebbe disagi al sistema, è necessaria una regolamentazione che nel modello “ASL- regolatore” si realizza attraverso la creazione di

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sovra-strutture di coordinamento chiamate Aree Vaste, le quali corrispondono ad un determinato contesto territoriale e rappresentano la dimensione operativa di scala superaziendale che garantisce il coordinamento e la programmazione delle attività svolte dalle ASL e dalle Aziende Ospedaliere.

Il terzo modello individuato a livello teorico è il “Modello ASL-sponsor” , che prevede un ruolo più attivo delle ASL nella selezione degli erogatori accreditati in base alle opzioni qualità-prezzo offerte. In questo modo l’ASL stipula accordi di fornitura con un “paniere” di erogatori, pubblici e privati, invitando i cittadini a scegliere tra le strutture sponsorizzate dall’ASL di riferimento, con la facoltà per il paziente di ricorrere ad altri fornitori di prestazioni al di fuori degli accordi contrattuali, ma in questo caso l’ASL tende a rimborsare solo le tariffe pari a quelle corrisposte ai fornitori preferiti, lasciando a carico del cittadino il differenziale.

Questo meccanismo, come è facile intuire, è entrato presto in crisi poiché di fatto limitava la libertà del cittadino di accedere alle libere prestazioni e dopo un periodo di sperimentazione è stato tolto.

Da quanto brevemente esposto risulta evidente, nonostante le diversità che caratterizzano i vari modelli regionali, l’importanza della contrattazione tra le unità sanitarie che consente di monitorare il livello della spesa sanitaria e di attuare meccanismi di allocazione delle risorse al fine di raggiungere l’equilibrio economico di sistema a livello regionale (Marinò, 2008).

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CAPITOLO II

L’organizzazione del Servizio sanitario nelle aree disagiate: criticità

e strumenti per il superamento delle stesse

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