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La barriera dell'incompatibilità nel trapianto di rene da donatore vivente: confronto tra le opzioni terapeutiche disponibili

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

La barriera dell’incompatibilità nel trapianto di rene da donatore

vivente: confronto tra le opzioni terapeutiche disponibili

Relatore:

Chiar.mo Prof. Ugo Boggi

Correlatore:

Chiar.mo Prof. Fabio Vistoli

Candidato:

Lorenzo Gozzini

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Indice

Indice ... 2

Riassunto analitico ... 5

Capitolo 1. Sul concetto di dono ... 9

Capitolo 2. La malattia renale cronica ... 11

Capitolo 3. Il trapianto come terapia della malattia renale cronica ... 13

Capitolo 4. Storia del trapianto di rene ed i pilastri della trapiantologia ... 21

Capitolo 5. Epidemiologia dei trapianti ... 28

5.1 Modello Spagnolo di Donazione e Trapianto d’Organo ... 29

Capitolo 6. Il donatore vivente ... 31

6.1 Epidemiologia ... 33

6.2 Selezione ... 34

6.3 Aspettativa di vita ... 36

6.4 Donazione samaritana ... 37

Capitolo 7. Principi di tecnica chirurgica ... 39

7.1 Il prelievo da donatore vivente ... 39

7.1.1 Nefrectomia open ... 40

7.1.2 Nefrectomia laparoscopica ... 41

7.1.3 Qualità e sicurezza del prelievo ... 46

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7.2.1 Back-table surgery ... 48

7.2.2 Trapianto di rene eterotopico ... 49

7.2.3 Complicanze del trapianto di rene nel decorso postoperatorio ... 54

7.2.4 Altre modalità di trapianto di rene ... 58

Capitolo 8. La terapia immunosoppressiva nel paziente trapiantato ... 60

8.1 Farmaci immunosoppressori anti-rigetto ... 61

8.2 Schemi terapeutici ... 64

8.3 Reazioni avverse... 65

Capitolo 9. Il follow-up del paziente trapiantato ... 67

9.1 Patologia del Graft ... 71

Capitolo 10. Il trapianto di rene da donatore vivente incompatibile ... 74

10.1 Introduzione ... 74

10.2 Le barriere immunologiche al trapianto di rene ... 76

10.2.1 Anticorpi ABO ... 78

10.2.2 Anticorpi Anti-HLA ... 79

10.2.3 Altri anticorpi ... 82

10.2.4 Tecnologie per la definizione di una incompatibilità immunologica ... 83

10.3 Strategie per superare le barriere al trapianto di rene ... 85

10.3.1 Desensibilizzazione... 86

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10.3.3 Algoritmi terapeutici per superare le barriere dell’incompatibilità ... 97

Capitolo 11. Scopo dello studio ... 99

Capitolo 12. Materiali e metodi ... 100

12.1 Gruppi e sottogruppi ... 100

12.2 Caratteristiche della popolazione ... 101

12.3 Analisi statistica ... 105

Capitolo 13. Risultati ... 107

13.1 Cross-over vs Desensibilizzazione: Degenza ... 107

13.2 Cross-over vs Desensibilizzazione: Follow-up ... 108

13.3 Sottogruppi Desensibilizzazione ... 113

13.3.1 DSA e DSA + ABOi vs cross-over ... 114

13.3.2 ABOi vs cross-over ... 115

13.4 Studio immunologico: DSA e dnDSA ... 116

13.5 Studio immunologico: Titolo emoagglutinine e “rebounders” ... 121

13.6 Analisi dei costi ... 123

Capitolo 14. Discussione ... 125

Capitolo 15. Conclusione ... 130

Bibliografia ... 132

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Riassunto analitico

Il trapianto di rene da donatore vivente è la migliore opzione di trattamento della malattia renale cronica allo stadio terminale: oltre a ripristinare le funzioni renali attraverso il dono di un organo statisticamente più efficiente di quello prelevato da cadavere, è un intervento che può essere programmato, permette di recuperare il time spent on dialysis e, se eseguito in modalità pre-emptive, di evitare proprio la terapia dialitica.

Linee Guida internazionali, in accordo con le posizioni di alcuni autori, incoraggiano la donazione da vivente perché può rappresentare una valida opzione per ridurre il gap tra necessità e disponibilità di organi.

La standardizzazione di procedure mini-invasive di nefrectomia per prelievo e l’adozione di efficaci protocolli di follow-up nel donatore hanno ridotto morbilità e mortalità dell’intervento sul donatore, tanto da determinare un significativo trend di aumento delle donazioni di rene da vivente (in Italia il trapianto di rene da donatore vivente ha raggiunto, nel 2017 il 13% del totale).

Uno dei limiti maggiori alla donazione di rene da vivente è rappresentato dall’incompatibilità immunologica tra donatore e ricevente, determinata dall’incompatibilità di gruppo sanguigno ABO oppure dalla sensibilizzazione del ricevente verso antigeni HLA del donatore, cioè alla produzione di anticorpi diretti contro gli antigeni endoteliali del donatore.

Ignorare la condizione di incompatibilità immunologica e trapiantare una coppia incompatibile comporta un alto rischio di sviluppo di una reazione di rigetto iperacuto o rigetto acuto accelerato che determina la perdita del rene trapiantato nell’immediato

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6

postoperatorio. Per questo motivo l’incompatibilità immunologica è stata a lungo considerata una controindicazione assoluta al trapianto di rene tra coppie incompatibili. Attualmente, le strategie terapeutiche per fronteggiare le barriere immunologiche al trapianto sono due:

• Applicazione di un protocollo di desensibilizzazione • Trapianto incrociato (cross-over) con un’altra coppia

Il presente studio prende in esame i risultati a breve, medio e lungo termine dell’applicazione delle due principali strategie terapeutiche adottate presso il Centro Trapianti di Pisa per superare la barriera dell’incompatibilità immunologica al trapianto di rene da donatore vivente incompatibile.

L’analisi della casistica del Centro Trapianti di Pisa è stata condotta esaminando e confrontando tra i due gruppi, parametri di funzione e danno renale (Creatininemia, Azotemia, Uricemia, Emoglobina), parametri farmacocinetici (tacrolinemia), tasso e tipo di complicanze, tasso di rigetto, tasso di perdita del graft e tasso di decesso. Sono stati confrontati i parametri relativi alla degenza postoperatoria ed al follow up. Sono stati inoltre identificati due sottogruppi tra i pazienti desensibilizzati in base al tipo di incompatibilità (e quindi al protocollo di desensibilizzazione a cui sono stati sottoposti) e confrontati con il controllo dei gruppi cross-over.

Analizzando il follow up sono stati identificati i pazienti che hanno prodotto un rialzo del titolo DSA pre-trapianto oppure che hanno sviluppato dnDSA. All’interno di questo gruppo è stato ulteriormente selezionato un campione di pazienti producente DSA ad alto titolo, che è stato confrontato con la totalità dei pazienti non producenti DSA ad alto titolo.

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7

All’interno del gruppo degli ABO-incompatibili è stato monitorato il titolo delle emoagglutinine ed è stato identificato un gruppo di pazienti rebounders, i cui dati sono stati confrontati con il gruppo non rebounders.

È stata infine formulata una stima dei costi delle procedure di desensibilizzazione effettivamente impiegate nel campione.

Non sono emerse differenze statisticamente significative nel confronto tra il gruppo dei pazienti trattati con modalità cross-over rispetto a quelli sottoposti a terapia desensibilizzante.

Non sono emerse differenze statisticamente significative nel confronto tra il sottogruppo DSA ed il gruppo cross-over ma è stato osservato un trend sfavorevole nei confronti del gruppo DSA (35% dei pazienti del gruppo DSA ha avuto un rigetto rispetto al 15% dei cross-over).

Non sono emerse differenze statisticamente significative nel confronto tra il sottogruppo ABOi ed il gruppo cross-over.

Non sono emerse differenze statisticamente significative nel confronto tra i sottogruppi

rebounders e non rebounders del gruppo ABOi.

I pazienti di entrambi i gruppi principali, desensibilizzati e cross-over, hanno prodotto DSA durante il monitoraggio (37% vs 37%) ma con diversa distribuzione temporale: i cross-over prevalentemente tardivamente mentre i desensibilizzati fin dai primi anni di follow up. Considerando il titolo del DSA, è stato rilevato che i pazienti che sviluppano DSA ad alto titolo tendono ad avere maggior incidenza di rigetto (50% vs 14%).

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8

La stima dei costi delle due strategie mostra un’evidente differenza a sfavore della terapia desensibilizzante.

I dati raccolti dimostrano che il trapianto di rene tra coppie incompatibili è oggi una via terapeutica praticabile e che sono disponibili due strategie valide per superare l’incompatibilità immunologica attingendo dal pool dei donatori incompatibili.

Poiché i costi ed il livello di complessità clinica della terapia desensibilizzante sono elevati e non disponiamo di protocolli standard, proponiamo un algoritmo che preveda l’espansione del programma di scambio di rene tra donatori viventi incompatibili (che possa includere anche coppie compatibili) per aumentare la possibilità di creare una coppia compatibile, limitando l’applicazione della terapia desensibilizzante alle sole coppie

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Capitolo 1. Sul concetto di dono

Quas dederis, solas semper habebis opes Marco Valerio Marziale

Il termine “dono” deriva dal latino donum, più anticamente danum, che conserva la medesima radice di dare e, nell’accezione comune significa: “ciò che si dà altrui volontariamente, senza esigerne prezzo o ricompensa, o restituzione.”

La donazione è un atto libero e voluto, i cui paradigmi risiedono in gratuità e spontaneità. Il carattere principale della donazione è la libertà: donare è un gesto di libertà intrapreso da un individuo che cede “qualcosa” accettando i rischi della possibile assenza di ricambio. Il valore della donazione è particolarmente evidente nel caso del trapianto d’organo da vivente perché sembra trasgredire il principio ippocratico “primum non nocere”. Tuttavia, il reale beneficio della donazione si ripercuote in entrambi gli elementi della coppia ricevente-donatore: il primo beneficia del dono, il secondo dell’aver salvato la vita di qualcuno (generalmente di una persona vicina).

Nell’ambito della donazione da vivente sono dunque esaltate le caratteristiche morali del dono: gratuità, generosità, carattere definitivo, spontaneità ed assenza di egoismo altruistico.

Ogni dono è per sua natura definitivo ed irreversibile. Non può esserne pretesa la restituzione. Tuttavia, secondo la tradizione polinesiana, ogni cosa donata racchiude in sé lo hau, uno spirito che proviene dal donatore e ricorda il dovere della restituzione.

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Nel caso delle donazioni d’organo tout court il debito è immenso e può generare un forte senso di colpa.

Il termine francese reconnaissance può essere tradotto in italiano con due sfumature: “riconoscimento” (processo di identificazione) e “riconoscenza” (bisogno di ringraziare). La

riconoscenza del ricevente genera riconoscimento dei valori morali del dono e chi dona,

donando, riconosce il bisogno di chi riceve.

La reconnaissance del valore morale del dono permette al ricevente di far fronte al debito

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Capitolo 2. La malattia renale cronica

La malattia renale cronica (CKD) consiste nella perdita permanente e progressiva delle funzioni renali a causa di uno spettro eterogeneo di processi fisiopatologici combinati tra loro che esita fenomenologicamente nel declino della velocità di filtrazione glomerulare (GFR) persistente almeno tre mesi e/o nella comparsa di albuminuria patologica.1

La CKD è un problema rilevante di salute globale, si stima che almeno il 10% della popolazione adulta in USA ne sia affetta1 mentre in Italia la prevalenza si attesta al 7,5% nel

sesso Maschile e 6,5% in quello Femminile in un campione compreso tra 35 e 79 anni.2

Poiché le due cause maggiori di CKD sono la nefropatia diabetica e la nefroangiosclerosi vascolare, entrambe patologie correlate all’invecchiamento, è evidente che l’incidenza di CKD è in progressivo aumento in tutti i Paesi sviluppati.1 Tuttavia, la velocità con cui

aumenta l’incidenza di CKD non è la stessa con cui cresce la sindrome uremica associata allo stadio terminale di CKD; è infatti dato riconosciuto, che la CKD già nelle prime fasi di malattia costituisce un importante fattore di rischio cardiovascolare che spesso compromette la sopravvivenza prima di giungere allo stadio terminale.1

L’End Stage Renal Disease (ESRD) corrisponde, secondo la classificazione KDIGO, allo stadio 5 della CKD che generalmente si manifesta con la sindrome uremica che ha esito invariabilmente letale a meno della correzione delle alterazioni attraverso l’intrapresa di una terapia sostitutiva della funzione renale, cioè la dialisi o il trapianto di rene.1

Le cinque principali categorie eziologiche della CKD sono: 1. Nefropatia diabetica

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3. Malattia renale cronica associata ad ipertensione arteriosa 4. Malattia del Rene Policistico autosomica dominante

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Capitolo 3. Il trapianto come terapia della malattia renale cronica

Era stirpe divina non d’omini, lion la testa,

il petto capra, e drago la coda; e dalla bocca orrende vampate vomitava di foco Iliade VI 223-225 (descrizione della chimera)

Attualmente il trapianto di rene rappresenta il gold standard nella terapia della malattia renale cronica allo stadio terminale (ESRD)1,3–7

A partire dagli anni ’90, è stata dimostrata la validità del trapianto di rene nel paziente uremico in termini di morbilità, mortalità, costi e qualità della vita8: soprattutto se

comparato alla dialisi, l’unica attuale terapia sostitutiva conservativa della CKD, il trapianto offre notevoli vantaggi di sopravvivenza e qualità della vita.9

Il trapianto renale è l’unica opzione terapeutica che ripristina integralmente la funzione renale depurativa ed endocrina permettendo il completo recupero fisico e sociale dell’uremico tanto da permettere alla femmina il completamento della gravidanza.4

È stato dimostrato che, in virtù della migliore qualità della vita e del recupero del time spent

on dyalisis, il trapianto risulta essere vantaggioso anche sul piano del peso economico

rispetto alla dialisi.10

Il paziente che ha sviluppato CKD che avanza verso lo stadio terminale può rivolgersi al Centro Trapianti che provvederà alla valutazione preliminare del candidato per accertarne l’idoneità al trapianto. In caso di idoneità, il paziente viene iscritto alla lista d’attesa per un donatore cadavere e sarà convocato d’urgenza al momento della disponibilità di un donatore compatibile.

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Nel caso in cui si disponga di un donatore vivente, si procede alla valutazione di donatore e ricevente secondo le indicazioni della Legge 458 del 26 giugno 1967 al fine di pianificare l’eventuale procedura di trapianto.

Sebbene siano poche le condizioni che costituiscono controindicazione assoluta al trapianto di rene, la carenza di organi ed i potenziali rischi della terapia anti-rigetto, rendono necessaria un’attenta selezione, informazione e preparazione del paziente al trapianto di rene.

Le controindicazioni assolute al trapianto sono:5,11

• Presenza di neoplasia attiva • AIDS

• Co-infezione HBV e HDV • infezioni attive non trattate

• Grave insufficienza cardiaca, epatica o polmonare

• Malattia vascolare aterosclerotica diffusa che impedisca tecnicamente la procedura chirurgica

• Tossicodipendenza, etilismo e problematiche psicosociali non risolvibili • Aspettativa di vita dopo il trapianto inferiore ai 5 anni

Poiché il trapianto renale offre benefici significativi anche a pazienti diabetici, ipertesi ed anziani, queste categorie non configurano una controindicazione assoluta al trapianto a condizione che l’aspettativa di vita stimata sia superiore ai 5 anni.1

Situazioni che rappresentano una controindicazione relativa, che cioè meritano un approfondimento clinico prima dell’inserimento in lista, comprendono:11

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• Storia di malattia neoplastica • Patologie autoimmuni in fase attiva • Epatite cronica attiva B o C

• Storia di abuso di sostanze

• Disordini psichiatrici/condizioni sociali che configurino il rischio di inadeguata compliance alla terapia anti-rigetto cronica

• Malattia cardiovascolare avanzata e scompenso cardiaco • Anomalie del tratto urinario

Le infezioni croniche da HIV, HCV ed HBV non costituiscono una controindicazione al trapianto ma solo alcuni Centri Trapianti hanno sviluppato protocolli ad-hoc per queste categorie di pazienti.1

Nel contesto della valutazione di idoneità al trapianto, il candidato è sottoposto ad esami clinici ed approfondimenti diagnostici volti all’identificazione di eventuali controindicazioni o fattori di rischio per la recidiva della malattia di base post-trapianto.

I requisiti per l’iscrizione in lista d’attesa sono:

• Assenza di lesioni neoplastiche al momento dello studio • Esclusione di infezioni attive

• Abolizione del fumo

• Abolizione dell’abitudine all’alcol • Assenza di calcoli nella colecisti

• Assenza di epatopatia cronica avanzata attiva

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• Assenza di evidenza di aneurismi dei vasi cerebrali ed assenza di segni neurologici focali da almeno 6 mesi

• Assenza di grave ritardo mentale, di abuso di sostanze e di sindromi psichiatriche psicotiche

• Assenza di obesità patologica grave (BMI > 35 Kg/m²)

Le cause di danno renale cronico che possono configurare una ESRD e quindi una potenziale indicazione al trapianto di rene, comprendono:

• Malattie metaboliche:

o Diabete Mellito: principale causa di nefropatia nei paesi occidentali; pur non configurando una reale controindicazione al trapianto, il paziente diabetico sottoposto a trapianto di rene è di difficile gestione clinica poiché la terapia anti-rigetto a cui è sottoposto altera significativamente il profilo di rischio cardiovascolare, già gravato dalla patologia di base.

Quando possibile, sembra preferibile il trapianto rene-pancreas, in particolare per i pazienti affetti da DM di tipo I.12

o Iperossaluria primaria di tipo I: rara malattia ereditaria autosomica recessiva che determina nefrocalcinosi fin dall’infanzia. A causa della frequente recidiva è stata considerata a lungo una controindicazione assoluta, ma oggi, in casi selezionati, si può considerare l’opzione di trapianto combinato rene-fegato.

o Malattia di Fabri: malattia ereditaria X-linked recessiva caratterizzata da un accumulo di glicosfingolipidi che intorno alla quarta decade determina ipertensione e malattia renale cronica.

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o Cistinosi: rara malattia ereditaria autosomica recessiva da difetto del sistema lisosomiale caratterizzata da accumulo cellulare di cisteina. In questa categoria di pazienti il trapianto sembra efficace ma è indicata l’assunzione cronica di cisteamina per limitare il rischio di recidiva.

o Glomerulopatia da lipoproteine: disordine da accumulo di liporpoteine a livello capillare che conduce ad ESRD per interessamento dei capillari glomerulari.

L’elevato tasso di ricorrenza di malattia post-trapianto ne controindicano l’impiego come strategia terapeutica.4,13

• Malattie ereditarie:

o Malattia del Rene Policistico autosomica dominante (ADPKD): frequente malattia ereditaria che si manifesta generalmente in età adulta con lo sviluppo di ipertensione arteriosa, ematuria e CKD. Il paziente affetto da ADPKD è solitamente preparato al trapianto previa nefrectomia per limitare il rischio di infezione ed emorragia dei reni nativi. I risultati del trapianto nei pazienti affetti da ADPKD sono eccellenti.14

o Sindrome di Alport: sindrome ereditaria X-linked dominante determinata dalla mutazione di una componente della membrana basale glomerulare. Generalmente il trapianto esita in una buona ripresa della funzione renale. o Sindrome di Alagille: malattia autosomica dominante a penetranza

incompleta che si manifesta con ittero colestatico nel neonato e CKD. La via del trapianto può essere perseguita in seguito allo studio della funzione epatica e del sistema vascolare che può essere talmente compromesso da configurare una controindicazione.

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• Glomerulonefriti primarie:

o Glomerulosclerosi segmentale e focale (FSGS): patologia primitiva con alto tasso di recidiva (30-50%) ed alta incidenza di perdita del graft. Non costituisce una controindicazione al trapianto poiché sono stati introdotti protocolli terapeutici efficaci nella prevenzione della recidiva, specie dopo la perdita del primo graft.15–17 I fattori di rischio noti che aumentano

l’incidenza di recidiva, limitando l’applicazione del trapianto, sono: giovane età del ricevente, lunga durata di malattia, proliferazione mesangiale e consanguineità del donatore.18,19

o Glomerulonefrite membranosa (MGN): patologia primitiva con alto tasso di recidiva (10-40%) e moderata incidenza di perdita del graft. La recidiva è più frequente nel trapianto da donatore vivente19,20 ma il trapianto non è

controindicato.

o Glomerulonefrite membranoproliferativa di tipo I (MPGN I): patologia primitiva con alto tasso di recidiva (20-50%) e moderata incidenza di perdita del graft. Il trapianto non è controindicato.

o Glomerulonefrite membranoproliferativa di tipo II (MPGN II): patologia primitiva con alto tasso di recidiva (80-100%) ed alta incidenza di perdita del graft.

o Nefropatia da IgA: patologia primitiva con altissimo tasso di recidiva, fino al 100% a 10 anni19,21 ma bassa incidenza di perdita del graft. Rappresenta una

buona indicazione al trapianto di rene previa determinazione, qualora possibile, dell’assenza di malattia subclinica nel donatore potenziale. o Sindrome di Goodpasture

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• Malattie sistemiche:

o Lupus Eritematoso Sistemico: malattia autoimmune sistemica che configura un alto rischio di perdita del graft soprattutto quando associata alla Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi che accelera il processo aterosclerotico già favorito dal dismetabolismo indotto dalla terapia anti-rigetto. Non configura una controindicazione al trapianto di rene.

o Porpora di Schonlein-Henoch: malattia pediatrica da deposito mesangiale di IgA. Si associa ad alto rischio di recidiva post-trapianto con tasso del 10% di perdita del graft.21

o Amiloidosi: malattia sistemica con tasso di recidiva tra il 10 ed il 40%. Il trapianto può essere sconsigliato in caso di malattia grave diffusa.

o Granulomatosi di Wegener

o Microglobulinemia di Waldenstrom

o Mieloma Multiplo: malattia neoplastica che controindica per definizione il trapianto di rene.

o Anemia falciforme

o Sindrome Uremico-Emolitica • Nefropatia vascolare:

o Nefroangiosclerosi da ipertensione arteriosa o Poliarterite

o Trombosi dell’arteria renale o Sclerodermia

• Malattie urologiche:

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o Pielonefrite cronica o Nefronoftisi

o Urolitiasi o Nefrite attinica • Nefropatia cronica da FANS

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Capitolo 4. Storia del trapianto di rene ed i pilastri della trapiantologia

“The scientist knows that he does not know, whereas the clinical surgeon treating patients is expected to know. The scientist can wait for all the data to become available, whereas the surgeon must make a decision based on available data. The scientist deals with mass data, whereas the surgeon deals with an individual patient.”

J. Murray, premio Nobel 1990 “Many a golden opportunity has been squandered by anti-prophets who do not realize that the grounds for declaring something impossible or inconceivable may be undermined by new ideas wich cannot be foreseen.”

P.B. Medawar, 1961

La possibilità di sostituire un organo malato con uno sano è una pietra miliare della storia della medicina: idealizzata nell’antichità attraverso il mito ed il simbolo della chimera, concettualizzata da esperimenti pioneristici nella prima metà del Novecento e praticata con tenacia e lungimiranza, malgrado i numerosi insuccessi, dai pionieri della trapiantologia, è oggi una valida realtà clinica in grado di garantire alta qualità della vita a chi, in passato, era destinato a morte sicura.

La storia degli albori della trapiantologia è avvincente perché è storia di intuizione, coraggio e perseveranza di pochi che hanno cambiato la vita di molti.

L’attività trapiantologica è decollata solo attraverso l’acquisizione di tre pilastri: 1. Tecnica chirurgica, a partire dall’anastomosi vascolare

2. Terapia immunosoppressiva e compatibilità dell’organo

3. Sistema organizzativo di valutazione, selezione ed allocazione degli organi

Sebbene la chimera sia simbolo “archetipico” di diverse società arcaiche, la storia della trapiantologia ha inizio con i lavori di Emerch Ullmann (1861-1937), chirurgo austriaco

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nativo di Pecs, allievo di Tehodor Billroth ed assistente di Pasteur a Parigi, che nei primi anni del Novecento presentò alla Società Medica di Vienna la descrizione del primo autotrapianto di rene funzionante, eseguito su un cane, anastomizzando arteria e vena renale ai vasi del collo e confezionando un’ureterocutaneostomia per il drenaggio delle urine.22

Nel frattempo, Alexis Carrel, padre della chirurgia vascolare, descrisse la tecnica dell’anastomosi vascolare e si dedicò al trapianto nel cane attraverso eleganti studi tra il 1904 ed il 1910 che gli valsero il premio Nobel nel 1912.23–27

Il maestro di Carrel, Mathieu Jaboulay, sperimentò lo xenotrapianto di rene sull’uomo28 e

fu seguito da Ullmann che trapiantò il rene di un maiale alla piega del gomito di una donna22

ma entrambi i tentativi esitarono nella morte del ricevente durante il decorso postoperatorio.

Nel periodo successivo fu abbandonato il sogno del trapianto: se le conoscenze di tecnica chirurgica erano prossime all’adeguatezza, quelle nel campo dell’immunologia erano assolutamente insufficienti.

Lo stesso Carrel aveva intuito, nel 1914, che i fallimenti clinici del trapianto erano dovuti a lacune nelle conoscenze del sistema immunitario.29

Negli anni ’30 Voronoy, chirurgo di Kiev, completò una serie di 6 trapianti di rene fallimentari tra cui il primo allotrapianto da donatore cadavere prelevato 6 ore dopo il decesso senza rispetto della compatibilità AB0 (B vs 0), anastomizzando i vasi renali del graft ai vasi femorali del ricevente.30

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23

Fu durante la Seconda Guerra Mondiale che Sir Peter Medawer condusse a Londra alcuni studi sugli innesti cutanei dimostrando che il rigetto di allotessuti è un fenomeno immunologico; dieci anni dopo insieme a Brent e Billingham dimostrò la possibilità di indurre una tolleranza specifica negli animali da esperimento inoculando nel feto di topo cellule immunocompetenti provenienti dalla milza di donatori adulti, ottenendo nel 1960 il premio Nobel ed aprendo definitivamente l’era dell’immunologia dei trapianti.31–33

Nel 1946 al Peter Bent Brigham Hospital di Boston, i chirurghi Hufnagel, Hume e Landstainer eseguirono un trapianto di rene da donatore cadavere in una donna affetta da danno renale acuto anastomizzando i vasi renali ai vasi del braccio della paziente: l’organo funzionò due giorni permettendo la sopravvivenza dal coma uremico e riportò in auge l’interesse per la trapiantologia.29

Simonsen in Danimarca e Dempster in Gran Bretagna avvalorarono le tesi di Medawer sull’eziologia immune alla base del rigetto29 ed a Boston fu introdotto il protocollo di

induzione della tolleranza a base di cortisone e radioterapia.5

Nel frattempo, in Francia, a Parigi, Kuss, Dubost e Michon affinarono la tecnica chirurgica del trapianto descrivendo la tecnica europea o di Kuss che prevede l’allocazione del graft in sede extraperitoneale in fossa iliaca.34,35

Tra i frequentatori delle sale operatorie di Kuss vi era Murray e fu lo stesso Kuss a sostenere che l’unica possibilità razionale per il trapianto di rene era di eseguirlo tra gemelli omozigoti.5

Il 23 dicembre 1954 Murray, Merill ed Harrison completarono a Boston il primo trapianto coronato da successo: trapiantarono il rene tra 2 gemelli omozigoti applicando la tecnica di Kuss.36 Il primo paziente trapiantato sopravvisse per 9 anni prima di morire per cause

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extrarenali; il medesimo team eseguì successivamente un secondo intervento analogo su due gemelle omozigoti, che sopravvissero fino agli anni Novanta.5

Nel 1990 Joseph Murray fu insignito del Premio Nobel per le scoperte riguardanti i trapianti di cellule e organi nel trattamento delle patologie umane, onorificenza che ad oggi è stata attribuita solo a nove chirurghi, dei quali l’ultimo è proprio Murray, nonché l’unico chirurgo plastico vincitore del premio Nobel.

Il gruppo di Boston aveva investito grandi risorse nella terapia dell’insufficienza renale: prima del successo del team di Murray, il pioniere Hume collezionò una lunga serie di insuccessi e fu perfezionata la terapia dialitica introdotta da Kolf in Germania.5

Anche dopo il trapianto di Murray, sia a Boston che a Parigi non furono raggiunti risultati altrettanto soddisfacenti fino all’introduzione di una terapia farmacologica adeguata all’induzione della tolleranza immunologica: nel 1961 Kuss eseguì a Parigi il primo trapianto coronato da successo tra due persone non imparentate utilizzando una combinazione di 6-mercaptopurina, prednisone e radioterapia ma la svolta nella terapia immunosoppressiva arrivò nel 1962 quando Elion e Hichings introdussero l’azatioprina (Nobel nel 1988), il primo farmaco antirigetto.3,5

Durante gli anni ’60 andava affermandosi una primitiva forma di cooperazione tra gli ospedali in USA per massimizzare la disponibilità degli organi da trapiantare ma i risultati, come testimoniato dall’editoriale di Starzl (padre della trapiantologia epatica) del 1967, erano ancora deludenti a causa di protocolli rudimentali di immunosoppressione basati su splenectomia, timectomia, radioterapia, steroidi ad alte dosi ed azatioprina.37 La maggior

parte dei pazienti trapiantati moriva di infezione opportunistica e in particolare a causa del citomegalovirus per il quale non era disponibile un farmaco efficace.

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25

Dieci anni più tardi, nel 1977, Borel introdusse la Ciclosporina A e l’anno successivo, Roy Calne la sperimentò nel primo trial clinico abbassando la dose dei corticosteroidi: per la prima volta la sopravvivenza dei pazienti trapiantati ad un anno raggiungeva l’89%.1,3,5,38

Nel frattempo, Snell e Dausset avevano descritto il complesso maggiore di istocompatibilità, Terasaki e McClelland avevano introdotto il primo test di cross-match39

che in seguito fu superato dal test di Ting e Morris.40,41

Lo studio dei meccanismi immunologici del rigetto permise di scoprire che il rigetto iperacuto era per lo più determinato dal trapianto eseguito tra soggetti con gruppo sanguigno incompatibile.5

Ecco come il trapianto di rene si è affermato come opzione della pratica clinica, grazie all’alchimia della combinazione di tecnica chirurgica, immunosoppressione ed organizzazione.

“I trapianti d’organo rappresentano senza dubbio una delle più importanti innovazioni della medicina del ventesimo secolo e sono sicuramente la più grande innovazione nel mondo della chirurgia degli ultimi 50 anni”.5

L’epoca moderna della trapiantologia ha inizio negli anni Novanta con l’introduzione del Tacrolimus e del Micofenolato Mofetile prima e successivamente degli inibitori di mTOR (Sirolimus ed Everolimus) e degli anticorpi monoclonali (Basiliximab, Daclizumab e Rituximab); con i nuovi protocolli immunosoppressivi la sopravvivenza ad un anno supera il 90%, il trapianto di rene si afferma come pratica standardizzata in tutti i sistemi sanitari avanzati e le nuove sfide sono rappresentate dall’ampliamento della disponibilità di organi anche attraverso il superamento delle barriere dell’incompatibilità immunologica.

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Per quanto riguarda la tecnica chirurgica, poco è cambiato nell’intervento sul ricevente rispetto al trapianto di Murray mentre il prelievo da donatore vivente ha visto modificare l’approccio da lombotomico a laparoscopico, secondo la tecnica descritta da Ratner e Kavoussi alla John Hopkins nel 1995.42

In Italia, l’attività trapiantologica è stata introdotta dal Professor Paride Stefanini, a Roma nel 1966 quando, il 30 aprile, eseguì il primo trapianto di rene in Italia ed il terzo in Europa: i chirurghi Ribotta e Casciani si recarono a L’Aquila per prelevare il rene ptosico di una donatrice, trasportarono in un viaggio di 2 ore l’organo fino all’istituto oggi dedicato a Stefanini, dove il Professore, assistito dal Professor Cortesini, trapiantò il primo rene italiano in una ragazza diciassettenne affetta da Insufficienza Renale Cronica. La paziente sopravvisse per 4 mesi prima di soccombere ad una sepsi verosimilmente determinata dall’immunosoppressione aggressiva.5,43

La scuola romana fu seguita da quella milanese del Professor Edmondo Malan e da quella veronese del Professor Piero Confortini; a Pisa la trapiantologia è stata introdotta dal Professor Mario Selli, discepolo di Stefanini, che dal 1972 realizzò una serie di 17 trapianti di rene.

A partire dall’esperienza del Professor Selli, il Centro Trapianti di Pisa si è proposto come avanguardia sperimentale nel campo dei trapianti di rene da donatore vivente: il 27 aprile del 2000 è stato eseguito il primo prelievo di rene laparoscopico da donatore vivente in Italia,44,45 il 13 giugno 2001 il primo trapianto combinato simultaneo rene da vivente –

pancreas da cadavere in Europa, il 15 novembre 2005 il primo trapianto di rene crociato da donatore vivente (3 coppie) in Italia46, il 22 novembre 2008 il primo prelievo robotico in

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Recentemente, il 19 luglio 2018, sotto la guida dei professori Boggi e Vistoli di Pisa e del dottor Breda di Barcellona è stato eseguito il primo trapianto cross-over internazionale.

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Capitolo 5. Epidemiologia dei trapianti

Sin donante no hay transplante Slogan spagnolo

Fin dall’introduzione nella pratica clinica del trapianto di rene come terapia dell’ESRD è emersa una significativa discrepanza tra necessità e disponibilità di organi. Un surrogato rappresentativo di questo gap è la durata media dell’attesa in lista.

Secondo il report annuale del Centro Nazionale Trapianti aggiornato al 31 dicembre 2017, in Italia sono iscritti alla lista d’attesa per ricevere un rene da cadavere 6492 pazienti. Il tempo medio di attesa in lista è di 3,2 anni.

Il 2017 ha registrato un flusso di trapianti di rene che ha soddisfatto le necessità d’organo di 1934 pazienti degli 8959 che hanno transitato in lista, producendo una riduzione del numero complessivo dei pazienti in attesa di trapianto del 5,1%.

Figura 1. Flusso lista d'attesa per il trapianto di rene in Italia nel 2017 (da Sistema Informativo Trapianti - CNT)

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L’attività di trapianto di rene durante il 2017 ha toccato il picco dei 2244 trapianti, confermando il trend in progressiva crescita registrato negli ultimi anni.

Complessivamente, il Sistema Informativo Trapianti del Centro Nazionale Trapianti (CNT), segnala che sono stati eseguiti, nel 2017, 310 trapianti di rene da donatore vivente (13% del totale).

5.1 Modello Spagnolo di Donazione e Trapianto d’Organo

Il modello di riferimento europeo per la donazione ed il trapianto d’organo è il Modello

Spagnolo.48,49

Fino agli anni Ottanta la Spagna non copriva un ruolo significativo nel campo della trapiantologia, ma, a partire dall’istituzione nel 1989, della Organización Nacional de

Trasplante (ONT), ha rivoluzionato il proprio sistema organizzativo di donazione e trapianto

d’organo, tanto da raggiungere il primato dei 40 donors per million population nel 2015.49

I punti cardinali del Modello Spagnolo consistono nello sviluppo di un sistema centralizzato di coordinamento a cui afferiscono i coordinamenti locali, gestiti da specifici profili tecnici di Donor Coordinator. Gli altri elementi del Modello comprendono lo sviluppo di Quality

Assurance Program in Decesed Donation,50 la stretta cooperazione con i Media, il continuo training professionale del team medico dedicato ed il rimborso delle attività di donazione.

Sul piano tecnico, l’intuizione che ha maggiormente permesso di raggiungere i 40 donors

per million population consiste nell’adozione di programmi di monitoraggio dei decessi

estesi a tutto il territorio per aumentare il pool dei donatori a cuore battente.

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1. Ottimizzare i protocolli per il prelievo d’organo su donatore cadavere a cuore non battente (così detto donatore in morte cardiaca, non-heart beating donor).

2. Espandere i criteri di selezione dell’organo introducendo il concetto di trapianto marginale (ad esempio attraverso il programma old for old)

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Capitolo 6. Il donatore vivente

“No man is an island entire of itself; every man Is a part of the continent, a part of the main” John Donne

Il primo successo nella storia della trapiantologia fu ottenuto al Peter Bent Brigham Hospital di Boston quando Murray completò il primo trapianto coronato da successo tra due gemelli omozigoti. Non essendo stata ancora inventata la dialisi, era la prima volta che un paziente con ESRD sfuggiva alla morte. Era la prima volta che un paziente sfuggiva alla morte grazie all’altruismo di un altro individuo. Era il primo trapianto di rene da donatore vivente.

Nella sua autobiografia51 Murray racconta che, poco prima dell’intervento, il gemello

ricevente scrisse una nota urgente al gemello donatore: “get out of here and go home”, a cui fu risposto: “I am here and I am going to stay.”

È grazie al coraggio dei trapiantologi ma soprattutto a quello dei donatori che oggi la donazione di rene rappresenta una procedura sicura che permette di restituire un alto standard di qualità di vita ad un malato di ESRD.

Il trapianto di rene da donatore vivente è la migliore opzione di trattamento per i pazienti con ESRD, numerosi studi ne dimostrano la superiorità rispetto alla dialisi ed al trapianto da donatore cadavere.52,53

Rispetto alla dialisi, il trapianto restituisce la libertà dal time spent on dialysis ed il controllo dello stile di vita, migliorandone profondamente la qualità tanto da consentire il recupero dell’attività lavorativa.10

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Rispetto al trapianto da cadavere, il trapianto da vivente è una procedura che può essere attentamente pianificata. Quando possibile, può essere eseguito anche prima dell’inizio della dialisi, in modalità pre-emptive, ottenendo notevoli benefici sulla qualità della vita e sul deterioramento dell’organo che deriverebbe dalla terapia dialitica,54–57 tanto che la

durata della dialisi è considerata un importante fattore di rischio per la sopravvivenza del graft.58

Dati internazionali sulla donazione da vivente ne dimostrano i vantaggi in termini di outcomes: il tasso di Delayed Graft Function (parametro che inficia sulla durata dell’organo59) si attesta al 5% rispetto al 50% della donazione da cadavere.60 Nel lungo

termine, la perdita di funzione del graft si manifesta dopo 20 anni dal trapianto nel 50% dei trapiantati da vivente e dopo 35 anni nel 50% dei soggetti con ottima compatibilità, contro una media di 10 anni nel 50% dei trapiantati da cadavere.60

Vantaggi del trapianto da donatore vivente:

1- Migliore outcome globale 2- Migliore qualità dell’organo 3- Minori tempi di ischemia fredda 4- Programmazione dell’intervento

5- Possibile esecuzione in fase predialitica (modalità pre-emptive) 6- Possibile soluzione alla carenza di organi

Figura 2. Vantaggi del trapianto di rene da donatore vivente

In Italia la donazione d’organo da vivente è regolata dalla Legge 458 del 26 giugno 1967, che definisce la possibilità di eseguire il trapianto tra consanguinei.

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Secondo le normative vigenti, i requisiti alla donazione che ne costituiscono le premesse etiche, consistono in:

1- Aver compiuto la maggiore età ed essere in possesso della capacità di intendere e di volere

2- Consapevolezza dei rischi della donazione e dei limiti del trapianto

3- Tutela dei principi di libertà, gratuità, consapevolezza e revocabilità dell’intenzione al dono

A parità di compatibilità immunologica, il profilo di sopravvivenza tra trapianto da donatore consanguineo e non consanguineo è sovrapponibile, quindi superiore in termini di outcomes al trapianto da donatore cadavere.61

Il trapianto tra non consanguinei emotionally related, quali il coniuge, convivente o amico, è giustificato, secondo il Comitato di Bioetica Nazionale, come gesto di altruismo sulla base del vincolo affettivo ed è accettato nella pratica clinica previa verifica della libera volontà della donazione.

6.1 Epidemiologia

La donazione di rene è una procedura che ha visto un’importante crescita intorno agli anni 2000 fino a raggiungere il picco nel 2004 dove in USA sono stati trapiantati 6647 reni da vivente a fronte di 9359 donazioni da cadavere.62 Il trend delle donazioni da vivente ha

successivamente subito un leggero calo, ma i donatori viventi rappresentano tutt’ora circa 1/3 del pool di reni disponibili in USA.

In Italia la donazione da vivente è in progressiva crescita ma, secondo i dati SIT relativi al 2017, si attesta al 13% delle donazioni di rene.

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34

Le strategie per incentivare la donazione da vivente includono anzitutto programmi di educazione fin dalla diagnosi di malattia renale cronica, prima dell’ingresso in dialisi,63 ma

anche il rimborso dei costi delle procedure di selezione e donazione64 e la promozione della

donazione cross-over tra coppie incompatibili.

6.2 Selezione

Generalmente chi dona è disposto ad accettare rischi personali per la salute dei propri cari65

ma la corretta selezione del donatore deve prevedere in primis la preservazione della salute del donatore, rispettandone l’autonomia decisionale.

Le prime Linee Guida internazionali sulla donazione di rene da vivente risalgono all’Amsterdam Forum del 2004 in cui è stato stabilito che i candidati alla donazione devono essere sottoposti ad una valutazione medica e psicosociale di idoneità al trapianto che comprende:66

- Anamnesi ed esame obiettivo - Determinazione del BMI

- Determinazione del profilo dei valori pressori

- Determinazione del profilo metabolico glucidico e lipidico - Screening imaging per nefrolitiasi ed anomalie delle vie urinarie - Screening per patologia neoplastica subclinica

- Screening per malattie infettive trasmissibili con l’organo trapiantato - Studio degli antigeni del complesso HLA

- Valutazione della funzione renale

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- Eventuali indagini genetiche per patologie ereditarie quali la malattia policistica renale, nel caso di rilievi anamnestici suggestivi

Secondo le Linee Guida European Best Practice Guidelines group (EBPG), la presenza simultanea di più di un fattore di rischio tra ipertensione arteriosa, obesità, proteinuria, intolleranza glucidica ed ematuria preclude la possibilità di donare il rene, così come la diagnosi di Diabete Mellito e l’obesità con BMI oltre 35 Kg/m². Inoltre, secondo EBPG, sarebbe opportuno che il donatore fosse studiato da un medico esterno al Centro Trapianti e non coinvolto nella storia clinica del ricevente.

L’età avanzata non è considerata una controindicazione alla donazione.

In linea generale, la nefrectomia per prelievo d’organo in pazienti giudicati ad alto rischio è riferita ai Centri ad Alto Volume di attività per trapianti da donatore vivente

extended-criteria.67

Secondo la British Transplantation Society, quando il rischio per il donatore è giudicato non accettabile dal team dei trapiantologi, anche qualora persista l’intenzione di donare il rene, il team può decidere di non operare ed eventualmente richiedere una seconda opinione; in altri termini, consenso ed autonomia sono necessari ma non sufficienti per la donazione in assenza di un giudizio medico di idoneità.65

Riportando le parole delle Linee Guida per la Valutazione del Donatore di Rene da vivente, “ogni singolo potenziale donatore è unico e non è possibile definire un processo di

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6.3 Aspettativa di vita

Dal confronto tra due grandi studi sul follow up a lungo termine dei donatori di rene,68,69 in

una casistica di 80000 soggetti seguiti tra il 1994 ed il 2009, emerge che l’aspettativa di vita del donatore è sostanzialmente simile a quella della popolazione di riferimento.

Si stima che la sopravvivenza a 5 anni di un soggetto maschio di 35 anni, nefrectomizzato, sia del 99,1% a differenza del 99,3% della popolazione generale, cioè identico al rischio che corre un individuo non nefrectomizzato con le stesse caratteristiche, che guida un’automobile per 16 miglia ogni giorno.70

Un report USA del 2002 ha rilevato che, complessivamente, solo 56 donatori di rene erano entrati in lista d’attesa per il trapianto da donatore cadavere e 43 di questi aveva ricevuto il trapianto.71

La casistica del registro svedese presentata all’Amsterdam Forum del 2004, che comprende 400 donatori di rene seguiti per 20 anni, riporta il dato sorprendente della maggiore sopravvivenza del gruppo dei donatori paragonata alla popolazione di riferimento.72

Tuttavia, dagli anni Novanta ad oggi, è cambiato il profilo del donatore di rene accettato;67,73,74 attualmente vengono sottoposti a nefrectomia per prelievo individui con

ipertensione, diabete ed obesità moderata (in passato controindicazioni assolute).

Questa categoria di donatori deve essere attentamente informata sui rischi della nefrectomia, anche se da numerosi studi emerge che molti donatori sono disposti ad accettare rischi aggiuntivi per la salute dei propri cari.65

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6.4 Donazione samaritana

Il donatore samaritano (o Non-Directed Donor, NDD) è un individuo che, in piena autonomia decisionale, libero e consapevole del proprio gesto, decide di donare un rene come puro atto di altruismo, garantito dall’assoluto anonimato.75

La letteratura internazionale 75 riporta casi di donazione samaritana precedenti agli anni

2000 ma in Italia la discussione circa l’etica di questa modalità di donazione risale al 2010 quando, in seguito alla volontà di tre individui di intraprendere il percorso di donazione NDD, si è espresso in merito il Comitato Nazionale per la Bioetica.

La donazione samaritana rappresenta un unicum nel campo della bioetica perché, a differenza della donazione d’organo emotionally-related, è protetta dall’anonimato e non è animata dalla volontà di aiutare un proprio caro; ricorda piuttosto la donazione di sangue ma con l’enorme differenza dell’invasività della procedura a cui ha intenzione di sottoporsi il donatore.

Per tali ragioni si tratta di un evento eccezionale che deve essere inserito in protocolli ad

hoc volti a valutare la bontà dei principi che ispirano la volontà a donare.76,77

Studi sui donatori samaritani mostrano che gli outcomes sono simili a quelli dei donatori

tradizionali77 ed il profilo psicologico è stabile.78 Inoltre, è emerso che la donazione

comporta benefici personali ed emozionali nella vita del donatore.79

La prima donazione samaritana in Italia risale al 7 aprile 2015 quando l’altruismo di un individuo ha permesso la realizzazione di cinque trapianti tra tre coppie incompatibili. Nei successivi tre anni, altri cinque individui hanno deciso di divenire donatori samaritani.

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Capitolo 7. Principi di tecnica chirurgica

Un nodo non è mai quasi perfetto, o è perfetto o è irrimediabilmente sbagliato Detto marinaresco

7.1 Il prelievo da donatore vivente

L’intervento chirurgico di prelievo del rene da donatore vivente è una nefrectomia la cui tecnica ideale deve assicurare da un lato, la massima sicurezza del donatore riducendo al minimo il rischio di complicanze, il dolore postoperatorio ed il deficit funzionale, dall’altro, deve ottimizzare la qualità dell’organo prelevato per garantirne la funzione al momento dell’allocazione nel ricevente.

L’intervento di nefrectomia per prelievo da donatore vivente può essere eseguito secondo due approcci: open/tradizionale con accesso lombotomico, o mini-invasivo che comprende le tecniche laparoscopica pura,80 hand-assisted,81 retroperitoneoscopica,82 mini-open,

single-site,83 transvaginale o robotica.84

La scelta del tipo di tecnica chirurgica dipende dalle caratteristiche anatomiche del donatore ma anche, e soprattutto, dall’esperienza del Centro; alcuni studi randomizzati hanno dimostrato la superiorità dell’approccio mini-invasivo in termini di durata del ricovero, dolore e qualità della vita nel decorso postoperatorio,85–87 ma un’indagine

pubblicata nel 2012, che ha coinvolto 12 paesi europei e 97 Centri Trapianti, ha mostrato che il 39% era ancora fortemente radicato all’approccio open.88

Una spiegazione al trend “conservativista” di alcuni Centri è data dal fatto che i franchi benefici dell’approccio mini-invasivo giungono dopo una fase iniziale di inferiorità della tecnica paragonata a quella tradizionale.89

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Tuttavia, al fine di ottenere una corretta programmazione chirurgica per il prelievo di rene, è opportuno considerare caratteristiche del donatore quali il BMI e pregressi interventi addominali: l’obesità lieve e la condizione di sovrappeso rappresentano un’indicazione preferenziale all’approccio laparoscopico mentre l’anamnesi positiva per pregressa chirurgia addominale ne rappresenta una controindicazione relativa.90

La scelta del rene da prelevare dipende dalle peculiarità anatomiche del donatore e dalla funzione dei suoi reni: è opportuno lasciare in sede l’organo con le caratteristiche migliori; in assenza di differenze, è preferibile prelevare il sinistro in virtù della maggiore lunghezza della vena renale che riduce il rischio di trombosi dopo il trapianto.91

7.1.1 Nefrectomia open

La tecnica open varia a seconda del Centro, l’approccio tradizionale è quello lombotomico38

ma sono descritti approcci alternativi quali il laparotomico anteriore, attraverso incisione anteriore trasversa per via transperitoneale92 e la nefrectomia open mini-invasiva con

incisione anteriore di 8-10 cm, per via extraperitoneale.93

L’approccio lombotomico prevede il posizionamento in decubito laterale su tavolo flesso per iper-estendere il fianco d’interesse chirurgico; l’incisione è eseguita in senso antero-posteriore al di sotto dell’undicesima costa lungo il fianco iper-esteso (se necessario può essere asportata l’ultima costa). Segue la sezione dei muscoli, in senso postero-anteriore, grande dorsale, obliquo esterno, obliquo interno e trasverso assieme alla fascia trasversalis in modo da ottenere l’accesso allo spazio retroperitoneale, dove si procede all’identificazione e successiva dissezione della fascia di Gerota e del grasso perirenale risparmiando l’ilo per non compromettere la vascolarizzazione ureterale. In successione devono essere isolati gli elementi vascolari, prima la vena renale (con il sacrificio delle

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tributarie gonadica e surrenalica) e poi l’arteria renale, che si trova al di sotto della vena, prestando molta attenzione alla presenza di arterie polari o accessorie, ed infine l’uretere che è la prima struttura ad essere legata e sezionata, il più distalmente possibile, cioè all’incrocio con i vasi iliaci. Rapidamente vengono legati e sezionati arteria e vena rispettivamente all’altezza dell’origine aortica e del drenaggio cavale e si procede al prelievo dell’organo che viene infuso con soluzione di Collins refrigerante eparinizzata. L’approccio transperitoneale anteriore prevede un’incisione traversale al di sotto del margine costale dal lato di interesse con mobilizzazione e retrazione dei visceri antistanti il rene: a destra duodeno e flessura epatica, a sinistra milza, pancreas e flessura splenica. I passaggi successivi sono identici all’approccio tradizionale.

Un’importante complicanza da scongiurare dovuta all’approccio open è lo pneumotorace iatrogeno da lesione pleurica: è dunque sempre opportuno eseguire una radiografia del torace nell’immediato postoperatorio.

7.1.2 Nefrectomia laparoscopica

Il team di Clayman eseguì la prima nefrectomia laparoscopica per patologia renale nel 1990;94,95 cinque anni più tardi, nel 1995, Ratner e Kavoussi al Johns Hopkins Hospital di

Baltimora descrissero la prima nefrectomia laparoscopica per prelievo di rene da donatore vivente42 che tutt’ora viene eseguita seguendo gli step descritti nel lavoro originale. In USA

l’introduzione della laparoscopia per la nefrectomia a scopo di prelievo d’organo ha prodotto un incremento del 50% delle donazioni di rene da vivente nel decennio 1995-2005 (da 4000/annui a 6000/annui) grazie alla percezione di una minore invasività sia sul piano algico che estetico.96

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La nefrectomia laparoscopica per prelievo d’organo può essere eseguita secondo due tecniche: laparoscopica pura ed hand-assisted; sono state descritte anche altre tecniche laparoscopiche che sfruttano l’approccio retroperitoneale, ma che però hanno trovato minor diffusione, cioè la tecnica retroperitoneoscopica pura97 ed hand-assisted.98

Il posizionamento del paziente per la nefrectomia laparoscopica (trans-peritoneale) prevede un decubito laterale modificato su tavolo flesso, con le anche ruotate posteriormente e le braccia estese sopra il capo per offrire al chirurgo la possibilità di eseguire un’incisione di Pfannenstiel per la rimozione del rene e, in caso di necessità, per convertire rapidamente l’intervento in open attraverso una laparotomia mediana di necessità. Lo pneumoperitoneo può essere indotto con ago di Veress ombelicale o in fossa iliaca oppure con tecnica a vista; è opportuna un’abbondante idratazione per supportare il flusso ematico renale antagonizzato dallo pneumoperitoneo. Segue il posizionamento dei tre ports di 10 mm per i trocars, uno sulla linea mediana a livello dell’ombelico (ombelicale), un altro a livello dell’ombelico o appena sotto, lungo il bordo laterale della guaina del muscolo retto (laterale) ed il terzo sulla linea mediana due o tre dita sotto il processo xifoideo (epigastrico). Può essere inserito un quarto port di 5mm sulla linea ascellare per facilitare l’esposizione del campo.

Il port ombelicale è dedicato al video-endoscopio mentre le porte epigastrica e laterale sono quelle operative.

La procedura laparoscopica pura di prelievo del rene è stata codificata per il prelievo del rene sinistro irrorato da un’unica arteria renale, tuttavia sono riportate in letteratura esperienze positive anche nel prelievo del rene destro99 ed in circostanza di arterie

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Posizionati i trocar, si procede all’incisione della fascia di Toldt ed allo scollamento del colon fino alla flessura splenica tramite eletterocauterio o ultracision per mobilizzare il colon discendente e rifletterlo medialmente esponendo la fascia di Gerota. Devono quindi essere identificati gli elementi vascolari e l’uretere: la vena renale è identificata a partire dal decorso della vena gonadica (che viene sacrificata insieme alle vene surrenaliche), l’arteria renale si trova posteriormente alla vena. Sembra che il risparmio della vena gonadica si associ ad una minore incidenza di dolore testicolare postoperatorio.101

I collaterali della vena renale possono essere legati al lato della vena renale o controllati con radio-frequenza piuttosto che chiusi con clip che potrebbero interferire con la fase finale della nefrectomia.45

L’esposizione dell’arteria renale deve essere eseguita con gran cautela per scongiurare il rischio di sanguinamento, causa frequente di conversione a procedura open.102

Se l’arteria mostra segni di vasospasmo può essere applicata papaverina in loco.103

Esposti i vasi (compresi quelli polari se presenti), l’intervento procede con la mobilizzazione dell’organo sul piano laterale ad esclusione dell’ilo, con attenzione a non danneggiare le strutture in stretto rapporto al polo superiore: surrene ed arteria renale.

Si eseguono in successione le sezioni di uretere, arteria e vena, cercando di mantenere una lunghezza adeguata dei monconi per le anastomosi nel ricevente. Generalmente, la sezione dei vasi è preceduta dall’infusione di eparina ma è una pratica discussa.104

Il rene, completamente mobilizzato, viene caricato sull’endo-catch inserito attraverso un’incisione sovrapubica di Pfannenstiel di 7 cm e viene estratto dal donatore per essere

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immediatamente sottoposto alla perfusione con soluzione fredda al banco per contenere la durata dell’ischemia calda tra i 2 e 3 minuti.

Figura 4. Risultati estetici a 2 settimane dal prelievo con tecnica laparoscopica pura105

La variante hand-assisted è una procedura mini-invasiva di nefrectomia laparoscopica descritta da Wolf nel 1998106 che si caratterizza per l’utilizzo di un hand-port, cioè di un

port dedicato alla mano del chirurgo, che richiede quindi un’incisione periombelicale di 7-8 cm a livello periombelicale mediano.

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Figura 5. Schema di posizionamento dell'hand-port105

A differenza dell’approccio laparoscopico puro, la tecnica hand-assisted è appresa rapidamente dal chirurgo trapiantologo107 che è facilitato dal feedback tattile nella

procedura di dissezione e mobilizzazione dell’organo, tuttavia la laparotomia mediana necessaria al posizionamento dell’hand-port vanifica i vantaggi estetici e relativi al dolore post-operatorio della tecnica laparoscopica pura.

L’incidenza di conversione da tecnica laparoscopica a tecnica open varia in base al livello di confidenza del Centro Trapianti con la procedura: dal 13% in una casistica108 del 1999, al

2% in una109 del 2004, fino all’1% in una casistica110 del 2009.

Il prelievo di rene da vivente, al pari della maggior parte delle procedure chirurgiche addominali, può essere eseguito anche con l’ausilio del sistema robotico da Vinci, sia con tecnica laparoscopica pura che in modalità hand-assisted.111

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7.1.3 Qualità e sicurezza del prelievo

Lo sviluppo di complicanze chirurgiche legate alla nefrectomia per prelievo d’organo dipende da fattori di rischio generici, quali l’obesità, l’abitudine al fumo e l’età avanzata, e specifici quali l’attività di volume del Centro Trapianti.112

La maggior parte delle complicanze della donazione con tecnica laparoscopica è di tipo gastrointestinale mentre le complicanze della donazione con tecnica open sono soprattutto di tipo polmonare e tromboembolico.113

In letteratura non sono riportate evidenze di differenze relative ai risultati del trapianto in termini di funzione renale nel confronto tra tecnica open, laparoscopica pura o hand-assisted114,115 mentre sono ben documentati i vantaggi offerti dalla procedura mini-invasiva

sul piano di dolore post-operatorio, durata della degenza e risultato estetico.116,117

I fattori che influenzano maggiormente la qualità del prelievo sono la lunghezza dei vasi renali, la durata dell’ischemia calda e lunghezza e vascolarizzazione dell’uretere.91

Pur essendo un intervento programmato su un soggetto sano, la mortalità della chirurgia sul donatore non può essere azzerata ed il team chirurgico deve lavorare al massimo per mitigarne il rischio.118 Il rischio di morte a 90 giorni dal prelievo è stimato intorno a

3,1/100000 donazioni119 ovvero quello di morire in un incidente d’auto in un anno.

Il chirurgo ha buone ragioni per non dormire il giorno prima di un prelievo. Il trapiantologo

Tilney, nelle sue memorie120, ricorda che persino il prelievo che ha portato al primo

trapianto di rene fu complicato dallo scivolamento del clamp posizionato sull’arteria renale; il chirurgo Harrison controllò l’emorragia, il decorso postoperatorio fu buono ed il resto è storia.

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Come riportato nel documento informativo sul programma di trapianto di rene da vivente del CNT, le principali complicanze della nefrectomia per prelievo d’organo sono:

- Ipertensione arteriosa: 15%, come nella popolazione generale; il rischio è moderatamente aumentato nei donatori afroamericani121 ed obesi.122

- Atelettasia polmonare: 13,5% - Occlusione intestinale: 5,2% - Infezioni del tratto urinario: 4,5% - Polmonite: 4%

- Pneumotorace: 3,2% - Ritenzione urinaria: 3%

- Proteinuria: 3%, non sembra associata ad un significativo deterioramento della funzione renale.123 Lo sviluppo di ESRD nel donatore di rene si attesta allo

0,2-0,5%.124

- Trombosi, aneurismi, trauma splenico, lesione pancreatica, ematomi, ernie, disfunzione epatica, necrosi tubulare acuta, depressione: <1%

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7.2 Il trapianto di rene

Il trapianto di rene consta di due fasi procedurali che fanno seguito al prelievo: la back-table surgery ed il trapianto.

7.2.1 Back-table surgery

Prima dell’impianto nel ricevente, il rene prelevato dal donatore deve essere preparato (benched) sulla back-table (bench). Le procedure di benching nel rene da donatore vivente sono limitate perché le dissezioni vascolari sono già state completate durante la nefrectomia.

Durante la preparazione il rene è mantenuto tra 1°C e 4°C attraverso il contatto con una soluzione di preservazione.

La chirurgia da banco prevede in sequenza: 1. Clamp distale dell’uretere

2. Preparazione della vena renale

3. Preparazione dell’arteria renale: verifica di eventuali danni e preservazione dei collaterali, in particolare della branca per il polo inferiore che provvede alla vascolarizzazione dell’uretere

4. Preparazione dell’uretere: per un’adeguata vascolarizzazione occorre preservare il triangolo di grasso contenuto tra uretere, polo inferiore ed arteria renale

5. Linfostasi del grasso peri-ilare per prevenire episodi di linforrea postoperatoria 6. Eventuali biopsie di lesioni solide evidenziate solo in questa sede

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Figura 6. Rene prelevato da donatore vivente6

7.2.2 Trapianto di rene eterotopico

La procedura chirurgica standard di trapianto di rene consiste nel trapianto eterotopico con approccio open codificato da Kuss, Dubost e Servelle nel 1951.

Nella procedura standard, il graft viene allocato in fossa iliaca ed anastomizzato ai vasi iliaci; non c’è accordo sul lato da impegnare per il trapianto: alcuni autori propongono di allocare il graft nella fossa iliaca controlaterale alla posizione nativa del rene (left kidney to rigth

side e right kideny to left side) affinché, in caso di stenosi o necrosi del tratto urologico, sia

più agevole l’accesso a tale struttura. Altri autori sostengono che la regola principale da seguire sia di operare sul lato opposto a quello già impegnato da pregresse procedure; quando entrambi i lati sono disponibili, quello destro è preferibile in virtù delle caratteristiche anatomiche dei vasi iliaci (più lunghi, superficiali ed orizzontali rispetto a quelli di sinistra) che rendono più agevole il confezionamento dell’anastomosi vascolare. Un altro fattore determinante per scelta del lato è lo stato dei vasi iliaci prescelti: è

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sistematicamente escluso il lato in cui sia dimostrata la presenza di aterosclerosi significativa o pregressi eventi trombotici. Infine, si preferisce la fossa iliaca sinistra se è programmato un trapianto di pancreas, combinato o successivo al trapianto di rene. Il trapianto eterotopico in fossa iliaca offre alcuni vantaggi:

- Non intaccando il peritoneo, il recupero della funzione intestinale è rapida

- Emorragie e perdite urinarie restano confinate in uno spazio perigraft non espandibile, facilitandone la diagnosi ecografica

- La situazione superficiale rende il graft ben esplorabile all’esame ecografico che è routinario durante il follow up ed eventualmente alla biopsia percutanea

- La vicinanza alla vescica permette di sfruttare la parte prossimale dell’uretere del donatore che è quella con migliore vascolarizzazione

Il trapianto di rene si esegue in anestesia generale con posizionamento di catetere venoso centrale per il monitoraggio della pressione venosa centrale e di catetere vescicale per l’introduzione di soluzione fisiologica con antibiotici per distendere la vescica facilitandone l’identificazione intraoperatoria.

Il paziente viene posizionato in decubito supino e si procede all’incisione, che deve avere due caratteristiche: assicurare un buon accesso in fossa iliaca e ridotto rischio di complicanze legate alla cicatrice.

L’incisione può essere eseguita secondo tre modelli: l’incisione pelvica di Gibson, l’incisione a mazza da hockey e l’incisione obliqua.

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L’accesso al piano preperitoneale si ottiene identificando e sezionando prima la fascia del muscolo obliquo esterno e poi il muscolo obliquo interno con bisturi elettrico; identificato il grasso preperitoneale, si disloca medialmente il peritoneo parietale legando e sezionando i vasi epigastrici inferiori e preservando il funicolo spermatico nell’uomo. Se il graft possiede arterie renali multiple, può essere sfruttata l’arteria epigastrica inferiore per confezionare l’anastomosi con l’arteria polare inferiore. È importante porre attenzione alle manipolazioni del peritoneo per ridurre il rischio della rara complicanza definita “renal paratransplant hernia” conseguente a lesioni peritoneali.6

A questo punto si inserisce un divaricatore autostatico (prestando attenzione a non ledere il nervo femorale) e si procede all’identificazione dei vasi iliaci che vengono scheletrizzati dai connettivi e dall’adipe che li circonda prestando attenzione alla legatura di tutti i linfatici per ridurre il rischio di linforrea perigraft nel post-operatorio. Durante la procedura linfostatica deve essere identificato e risparmiato il nervo genitofemorale che decorre al margine mediale dello psoas.

Preparati i vai iliaci si procede al core dell’intervento: il confezionamento delle anastomosi vascolari.

Generalmente, l’anastomosi termino-laterale venosa è eseguita prima dell’anastomosi termino-laterale arteriosa ma alcuni autori preferiscono iniziare dall’anastomosi arteriosa se il vaso scelto sul ricevente è l’arteria iliaca interna. Tuttavia, specie per il trapianto da donatore vivente, si preferisce anastomizzare l’arteria renale del graft con l’arteria iliaca esterna che è di più facile gestione chirurgica.

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