• Non ci sono risultati.

La disabilità in azienda: verso una gestione strategica della diversità

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La disabilità in azienda: verso una gestione strategica della diversità"

Copied!
146
0
0

Testo completo

(1)

INDICE

Introduzione pag.4

Capitolo Primo: Il concetto di disabilità

1.1: Premessa pag.7

1.2: La disabilità nelle classificazioni internazionali pag.8

1.2.1: La classificazione ICD pag.8

1.2.2: La classificazione ICIDH pag.10

1.2.3: La classificazione ICF pag.13

1.3: I numeri della disabilità pag.17

1.4: La condizione occupazionale delle persone disabili pag.18

Capitolo Secondo: L’impegno comunitario per i diritti dei disabili

2.1: L’art. 13 del Trattato di Amsterdam pag.21

2.2: Una nuova strategia della Comunità Europea nei confronti dei

disabili pag.22

2.3: Verso un’Europa senza ostacoli per i disabili pag.24

2.4: L’Anno europeo dei cittadini disabili del 2003 pag.26

2.5: La Carta europea dei diritti fondamentali pag.27

2.6: La parità di trattamento in materia di occupazione pag.27

2.7: La strategia Europa 2020 pag.29

Capitolo Terzo: Il collocamento obbligatorio

3.1: I fondamenti costituzionali del collocamento obbligatorio pag.30

3.2: La legge 2 aprile 1968, n. 482 pag.31

3.3: La legge 5 febbraio 1992, n. 104 pag.33

(2)

3.5: Le categorie protette pag.37

3.6: Informazioni sul collocamento pag.41

3.6.1: Assunzioni obbligatorie e quote di riserva pag.42

3.6.2: Criteri di computo per la quota di riserva pag.43

3.6.3: Esclusioni, esoneri parziali e contributi esonerativi pag.45

3.6.4: Il Prospetto informativo pag.46

3.6.5: Avviamenti e convenzioni pag.48

3.6.6: Sanzioni pag.51

3.6.7: Svolgimento del rapporto di lavoro pag.52

3.7: Lo stato di attuazione della legge 68/1999 pag.53

Capitolo Quarto: La gestione della risorsa umana diversamente abile

4.1: Il management della diversità pag.58

4.1.1: Il management della disabilità pag.64

4.1.1.1: L'assessment pag.68

4.1.1.2: La job analysis pag.69

4.1.1.3: Il reclutamento pag.70

4.1.1.4: La selezione pag.71

4.1.1.5: L’inserimento pag.73

4.1.1.6: La valutazione dei risultati pag.74

4.1.1.7: Formazione pag.75

4.1.1.8: Carriera e sviluppo pag.76

4.2: Razionalità economica e principi etici pag.77

4.3: La percezione del dipendente disabile pag.83

Capitolo Quinto: La prevenzione della disabilità nell'ambiente di lavoro

5.1: La gestione preventiva della disabilità pag.85

5.1.1: I costi della prevenzione pag.86

(3)

5.2: La valutazione dei rischi come strumento di prevenzione pag.90

5.3: La valutazione delle soluzioni ergonomiche pag.92

5.4 La sicurezza sul luogo di lavoro per i lavoratori disabili pag.93 5.4.1: La valutazione dei rischi in funzione della disabilità pag.95 5.4.2: L’accessibilità fisica e le soluzioni ergonomiche in

funzione della disabilità pag.96

5.4.3: Un sistema alternativo di evacuazione per disabili:

la proposta dell'Università di Pisa pag.100

5.4.4: L’accessibilità informatica pag.102

5.4.5: Le tecnologie assistive pag.105

Capitolo Sesto: La gestione della disabilità nelle industrie italiane nel settore farmaceutico-biotecnologico-biomedicale

6.1: Valutazioni iniziali pag.107

6.2: Metodologia e strumenti di ricerca pag.109

6.2.1: Definizioni pag.110

6.3: Elaborazione dei dati pag.112

Conclusioni pag.130

Bibliografia pag.134

(4)

Introduzione

In Italia, nonostante la legislazione italiana in materia di diritto al lavoro dei disabili offra numerosi strumenti che mirano a favorire l'inserimento e l'integrazione lavorativa delle persone disabili, continua a verificarsi un inserimento ridotto delle persone con disabilità rispetto a coloro che non presentano alcun tipo di disabilità in tutte le fasce di età.

Tale fenomeno si ripercuote in maniera negativa sulla vita delle persone disabili, nei termini di un ostacolo alla completa integrazione sociale. Il lavoro infatti, rappresenta uno strumento con il quale il soggetto realizza le proprie aspettative di crescita personale ed acquisisce in tal modo pieni diritti di cittadinanza sociale. Esso costituisce non solo una fonte di reddito, bensì anche il mezzo per esercitare il proprio ruolo nella società e costruire all’interno di essa relazioni significative. L'identità sociale resta ancora determinata dal tipo di lavoro svolto e dalla relativa combinazione di saper fare e saper essere.1

In aggiunta, bisogna considerare il fenomeno dell’esclusione delle persone con disabilità dal mondo del lavoro nei termini dei costi sociali che essa comporta: si tratta di costi significativi per la società, sia per quanto riguarda l’erogazione dei servizi sanitari, assistenziali e previdenziali, sia a livello macroeconomico in termini di perdita di produttività potenziale.

In base a tali considerazioni, si è scelto di illustrare il disability management, una tecnica di gestione strategica della disabilità, da porsi in una posizione complementare alla normativa. Si tratta di un approccio manageriale di lungo periodo, che rimodellando le leve di gestione in funzione delle esigenze del lavoratore disabile, coniuga le aspettative di autorealizzazione del soggetto

con le esigenze economico-produttive dell'azienda. In tal modo,

(5)

l'organizzazione, che potrebbe percepire l'obbligo delle assunzioni obbligatorie come un limite alla propria libertà di iniziativa, è stimolata ad assumere lavoratori disabili, che non considera più un ostacolo alla produttività, bensì una risorsa potenziale, che accresce il capitale cognitivo dell'organizzazione, apportando benefici misurabili.

Oltre a rappresentare una tecnica di gestione successiva della disabilità, che si occupa dell'inserimento e dell'occupazione della risorsa diversamente abile in tutte le sue fasi, il disability management si estende a comprendere la gestione preventiva della disabilità, poiché questa in alcuni casi può derivare da condizioni di lavoro improprie.

Il lavoro che segue è strutturato per capitoli: nel primo si introduce il lettore alla definizione del concetto multidimensionale di disabilità, facendo

particolare riferimento alla classificazione internazionale ICF, che

individuando la disabilità come conseguenza o risultato di una complessa relazione tra le condizioni di salute, i fattori personali e i fattori ambientali, può essere ricollegata al contesto organizzativo che interviene a facilitare l'inserimento della persona disabile in azienda in un'ottica di gestione strategica della disabilità.

Si è scelto di proseguire, nel secondo, attraverso una breve analisi delle iniziative che, a livello europeo, dimostrano l’impegno comunitario a favore dei diritti delle persone disabili, tra cui la parità di trattamento in materia di occupazione.

Il terzo capitolo, prosegue con l'analisi della legge italiana che tutela il diritto al lavoro dei disabili che, come si è già detto, mette a disposizione numerosi strumenti per favorirne l'integrazione nel mondo del lavoro, e si conclude con il punto sulla Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della stessa legge. In essa è emerso come la congiuntura economica abbia condizionato in maniera negativa il sistema di integrazione lavorativa delle persone con disabilità.

(6)

Il quarto capitolo e il quinto capitolo sono centrali in termini di importanza, poiché approfondiscono il tema del disability management in un'ottica di gestione preventiva e successiva della disabilità.

Il quarto capitolo si ispira al Code of practice on managing disability in the

workplace, elaborato dall’ International Labour Organization nel 2001, un

documento di natura non vincolante, che fornisce numerosi indicazioni operative per introdurre il lavoratore disabile all'interno del contesto organizzativo.

Il quinto capitolo tratterà della prevenzione della disabilità nell'ambiente di lavoro, per poi approfondire il tema della gestione della sicurezza sul lavoro in funzione delle persone disabili. In esso verrà anche illustrato un sistema di evacuazione alternativo delle persone disabili, brevettato dall'Università di Pisa: si tratta di un sistema alternativo di evacuazione che consente, a seguito del verificarsi di un evento pericoloso, lo sfollamento da organismi edilizi, in condizioni di sicurezza, di tutte le persone che si trovano al suo interno, comprese quelle disabili o con difficoltà di deambulazione.

Infine, nell'ultimo capitolo, si presenteranno i risultati di un' indagine conoscitiva, i quali testimoniano un atteggiamento graduale di apertura delle industrie del settore farmaceutico, biotecnologico e biomedicale, nella direzione di una gestione strategica della diversa abilità, che pone le basi per l'adozione di un approccio sistematico nel futuro. Al fine di verificare le modalità con cui viene gestita la disabilità nelle industrie italiane del settore selezionato, è stata avviata la somministrazione di un questionario, strutturato in due parti: la prima riferita alla gestione, la seconda riguardante la prevenzione della disabilità in azienda. Per quanto riguarda la prima parte, gli ambiti indagati sono stati identificati con le attività di progettazione dell'inserimento, gli interventi di accommodation e la diffusione di una cultura dell'integrazione all'interno del contesto aziendale. La seconda ha inteso rilevare le misure adottate per quanto riguarda la prevenzione del rischio e la promozione della salute nell'ambiente di lavoro.

(7)

Primo capitolo

Il concetto di disabilità

1.1 Premessa

La disabilità è un concetto multidimensionale e trasversale, difficile da identificare: coinvolge soggetti di tutte le età, con disabilità diverse, alcune delle quali possono non manifestarsi subito in modo evidente.

Si può parlare di disabilità riferendosi a gruppi distinti che comprendono disabilità fisiche, sensoriali, psichiche, e infine altre forme di disabilità. La disabilità fisica più comune è rappresentata dalla disabilità motoria; le disabilità sensoriali possono comprendere limitazioni visive o uditive, che comportano difficoltà di orientamento, mobilità e comunicazione; la disabilità psichica, come le altre, può avere diverse manifestazioni, che danno luogo a disagi di vario genere.

Dall'indagine sulle condizioni di salute svolta dall’Istat nel 2004 è possibile identificare quattro tipologie di disabilità che sono: il confinamento individuale (costrizione a letto, su una sedia non a rotelle o in casa), la disabilità nelle funzioni (difficoltà nel vestirsi, nel lavarsi, nel fare il bagno, nel mangiare), la disabilità nel movimento (difficoltà nel camminare, nel salire le scale, nel chinarsi, nel coricarsi, nel sedersi), le disabilità sensoriali (difficoltà a sentire, vedere o parlare).

L’evoluzione della terminologia relativa all’ambito della disabilità testimonia un cambiamento nella percezione del fenomeno, che nel passato ha risentito di un atteggiamento profondamente discriminante, per poi giungere, attraverso la diffusione di una cultura della responsabilità sociale, ad una migliore accettazione e quindi integrazione nel contesto sociale e culturale in cui si sviluppa.

(8)

Il noto semiologo e linguista Tullio De Mauro ha suggerito che il campo semantico dell'handicap è in movimento nell'uso comune perché lo è ancora a livello specialistico internazionale, come dimostra il succedersi di numerose classificazioni e riclassificazioni. Si tratta, secondo lo studioso, di un campo di battaglia all’interno del quale antiche ottiche si scontrano con nuove

conoscenze e sensibilità2.

1.2 La disabilità nelle classificazioni internazionali

A partire dalla seconda metà del secolo scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato diversi strumenti di classificazione inerenti all’osservazione e all’analisi delle patologie organiche, psichiche e comportamentali delle popolazioni, al fine di migliorare la qualità della diagnosi di tali patologie.

L'OMS ha contribuito inoltre a fornire un linguaggio comune, al fine di codificare un ampio spettro di informazioni riguardanti la salute, usando un

linguaggio standardizzato e garantendo così lo sviluppo di una

comunicazione trasparente su questi aspetti, in tutto il mondo nelle varie discipline e ambiti scientifici.

Lo scopo della WHO Family International Classifications è quello di promuovere un'appropriata selezione di classificazioni riguardanti l'ambito della salute, che verranno illustrate di seguito.

1.2.1 La classificazione ICD

Nel 1970 l’Organizzazione mondiale della Sanità ha elaborato la Classificazione internazionale delle Malattie (International Classification of

2 Intervista a Tullio De Mauro, reperibile al link: http://www.superabile.it/web/it/CANALI _TEMATICI/Politiche_e_Buoni_Esempi/Dossier/info48753451.html

(9)

Diseases, ICD)3. Lo scopo di tale strumento diagnostico era quello di sviluppare un nuovo sistema di classificazione che consentisse una migliore organizzazione dei servizi sociali e sanitari e delle relative modalità e requisiti di accesso. L’intento dunque era quello di ottimizzare l’allocazione delle risorse sanitarie già esistenti, costituire all’occorrenza nuovi tipi di servizi e ridurre in tal modo lo scarto tra le possibilità offerte e le esigenze effettive, profondamente condizionate dall’evoluzione delle patologie le quali, in seguito al progredire del fenomeno dell’industrializzazione, andavano a modificarsi. A seguito del massiccio progredire dell’ industrializzazione infatti, le patologie croniche stavano superando quelle che fino ad allora si erano dimostrate le più diffuse, cioè quelle infettive.

Tale classificazione era focalizzata sull’ individuazione delle cause delle patologie in essa contenute, avendo cura di descriverne le principali caratteristiche cliniche e i relativi interventi diagnostici disponibili. Il campo di indagine di questa classificazione era ristretto esclusivamente alle cause delle patologie, trascurando invece qualsiasi considerazione in merito agli effetti di queste malattie e alle loro conseguenze. Un limite concettuale non trascurabile questo, che è stato considerato e sopperito nelle successive modificazioni e attraverso periodiche revisioni, avvenute già a partire dal 1976, anno in cui all’ICD viene affiancato un documento relativo proprio alla parte mancante, cioè quella degli effetti delle malattie o manifestazioni ad esse connesse.

Nel maggio del 1990 ne è stata approvata la decima edizione, denominata ICD-10, citata in più di 20000 articoli scientifici e utilizzata in più di cento paesi nel mondo. L'undicesima versione è in corso di preparazione; la fase di sviluppo avrà luogo per altri tre anni e l'ICD-11 sarà ultimata nel 2017.

3 Angeloni S., Il valore delle risorse disabili per l'azienda e il valore dell'azienda per le risorse disabili, FrancoAngeli, 2010

(10)

1.2.2 La classificazione ICIDH

Nel 1976, la XXIX Assemblea Mondiale della Sanità approvò la pubblicazione dellICIDH-1 (International Classification of Impairments,

Disabilities and Handicaps) come supplemento, non come parte integrante

della precedente ICD. Successivamente, nel 1980, il medico inglese Philip Wood introdusse il nuovo documento con funzione sostitutiva, ricevendone l’approvazione.

La prospettiva adottata differiva per il fatto che una malattia potesse condizionare il paziente non solo dal punto di vista fisico, manifestandosi clinicamente attraverso di esso, ma anche imponendogli delle limitazioni di tipo sociale e relazionale.

In esso le cause delle patologie venivano integrate con l'influenza che il contesto ambientale esercita sullo stato di salute delle popolazioni. Tale classificazione si fonda sul concetto di salute, inteso come benessere fisico, relazionale e sociale.

Come emerge dal titolo stesso della classificazione, le conseguenze sono state raggruppate in tre diverse categorie, che sono la menomazione, la disabilità e l’handicap, ciascuna con una diversa accezione.

Con "menomazione" o danno (Impairment) si fa riferimento a qualsiasi perdita o anormalità di strutture e di funzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche. Si tratta della perdita biologica di cui un soggetto risente a seguito di una patologia o di un evento dannoso in cui incorre.

La menomazione provoca una disabilità (Disability), che si definisce come la perdita o la limitazione della capacità di compiere delle attività apparentemente semplici da svolgere per un individuo normodotato che vive "normalmente" la sua quotidianità. Un soggetto divenuto disabile a seguito di una menomazione si vede impossibilitato a svolgere normali funzioni quotidiane, lavorative, ricreative o di altro genere, che sarebbe in grado di

(11)

compiere in mancanza della menomazione stessa, che può essere sia fisica che psichica. Le attività quotidiane sono definite in base all’importanza che rivestono e si distinguono in essenziali, come nutrirsi o muoversi in modo autonomo, e non essenziali, ma comunque necessarie, come svolgere un’attività lavorativa.

L’"handicap" infine, questa la vera novità, può derivare sia da menomazioni permanenti, che da problemi temporanei di salute e dalla normale evoluzione della mente nel corso della propria vita. Esso si concretizza nella condizione di svantaggio che non consente di svolgere un ruolo sociale considerato "normale" in relazione al sesso, all’età e al contesto socio-culturale in cui il soggetto svantaggiato è inserito. Si configura come una variabile soggettiva, che relaziona il soggetto svantaggiato alla realtà sociale che lo accoglie.

Le menomazioni possono presentarsi in diverso modo: da quelle riguardanti le capacità intellettive, a quelle psicologiche, oppure quelle che riguardano il linguaggio o la parola. Allo stesso modo la disabilità può riguardare il comportamento, le capacità locomotorie, la cura della propria persona o anche la comunicazione. Infine l’handicap può interessare la mobilità, l’indipendenza fisica, l'integrazione sociale, l'orientamento.

Il concetto di normalità, riferito ai tre ambiti presi in considerazione, varia a seconda che si tratti del primo, del secondo o del terzo. Infatti, si considera menomazione una deviazione da uno status di tipo biologico o fisico dell’individuo, che impedisce il suo funzionamento fisico o psichico. La deviazione relativa al concetto di disabilità coinvolge la prestazione dell’individuo, appunto il suo svolgimento di attività di vario genere. Infine, la deviazione relativamente all’acquisizione di handicap si manifesta come una variabile di tipo ambientale e sociale, difficilmente classificabile in senso unitario.

(12)

una relazione sequenziale che li lega, e che parte dalla menomazione, in quanto fenomeno a livello corporeo, passa attraverso il livello personale della disabilità e giunge infine all’handicap, che impedisce un ruolo sociale, collettivo, del singolo.

Tale ruolo sociale può essere ostacolato dall’ambiente sociale e dalle sue organizzazioni, che non mettono in pratica le opportune misure di rimedio, ma può essere anche facilitato, attraverso interventi volti a ridurre il distacco e accentuare le opportunità di partecipazione e inclusione nelle strutture della società.

Tale classificazione risente di un limite strutturale: l’eccessivo schematismo e il rapporto causa-effetto con cui essa è presentata, non sempre si verifica nella realtà: anzi, un soggetto può aver subito una menomazione, ma non essere necessariamente disabile, o altresì può incorrere in una disabilità, senza per questo subire una condizione di svantaggio sociale in rapporto all’ambiente in cui si inserisce; ancora può verificarsi che una menomazione dia luogo ad un handicap, senza però che il soggetto venga impedita la possibilità di svolgere normali attività di tipo quotidiano4. Spesso è proprio quello che si verifica:

l’incapacità delle istituzioni o del contesto sociale di provvedere

all’inclusione a livello sociale dell’individuo.

Nel 1997 viene elaborata e presentata al Meeting di revisione dell’OMS con i Centri collaboratori, la versione ICIDH-Beta 2, modificata in diverse occasioni fino all’ultima versione del 1999.

L'obiettivo è quello di ridefinire un linguaggio di riferimento standard per la descrizione del "funzionamento" e della "disabilità", considerati come componenti fondamentali della salute di un individuo.

I due termini, funzionamento e disabilità, sono termini "ombrello", che coprono diverse dimensioni: le funzioni e la struttura del corpo, le attività a

4 Angeloni S., Il valore delle risorse disabili per l'azienda e il valore dell'azienda per le risorse disabili, pag 36, FrancoAngeli, 2010

(13)

livello individuale e la partecipazione alla società.

A differenza della versione precedente, non si tratta una classificazione che riguarda soltanto le condizioni di persone con disabilità fisiche o mentali, ma può essere applicata a qualsiasi persona in una condizione di salute tale da richiedere una valutazione dello stato di funzionamento a livello corporeo, personale o sociale.

Il ICIDH-2 mira al superamento dei limiti della prima edizione del 1990, si aggiorna nella classificazione e nei criteri di valutazione, offre maggiori chiarimenti circa i rapporti tra i diversi livelli di classificazione e si completa con la dimensione dei fattori contestuali che possono compromettere la partecipazione sociale della persona.

1.2.3 La classificazione ICF

Nel maggio del 2001, in occasione della 54esima World Healt Assembly l'Organizzazione Mondiale della Sanità viene presentata la versione finale dell’ICIDH-2, con il nome di ICF: l’International Classification of

Functioning, Disability and Health (ICF), oggi ampiamente condiviso5. L’approvazione dell’ICF ha di fatto cancellato l’utilizzo dell’ICIDH-80 nella pratica e ha introdotto l’ICF come strumento standard.

La classificazione ICF, si concentra sulle componenti della salute, con lo scopo di fornire parametri standard di misurazione delle condizioni di salute ai diversi operatori che appartengono ad ambiti scientifici diversi in luoghi anche distanti tra loro, impedendo così eventuali fraintendimenti ed errori di comunicazione. Le componenti della salute sono descritte dal punto di vista corporeo, individuale e sociale; si distinguono in due gruppi che comprendono funzioni e strutture corporee da un lato, e attività e

5 International Classification of functioning, disability and healt, reperibile al link: http://www.who.int/classifications/icf/en/

(14)

partecipazione dall’altro.

L’approccio è molto innovativo poiché si parla di salute in maniera multidimensionale, si integrano la dimensione biologica, psicologica e sociale e si rintracciano in queste dimensioni e nei rapporti che le legano le determinanti dello stato di salute del soggetto.

In particolare, si intende descrivere le condizioni di salute delle persone in relazione all'ambiente sociale, familiare e lavorativo, per individuare all’interno di essi le cause che possono determinare qualsiasi tipo di disabilità. La disabilità deriva dalla complessa interazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano il contesto all’interno del quale l’individuo è inserito.

Secondo il documento, la salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non solo assenza di malattia o infermità, da cui dipende il buon o cattivo funzionamento della persona.

Il funzionamento a sua volta si poggia su tre dimensioni, che sono quella del corpo, in relazione alle sue funzioni e strutture corporee, quella della persona, considerata in base al suo livello di attività, e quella della persona che vive in una società e nella quale partecipa e alla quale offre il proprio variabile contributo.

Un essere umano è dis-abile, quando le sue funzioni e strutture corporee non gli consentono di prendere parte ad un’attività e di essere coinvolto in situazioni di tipo partecipativo.

La correlazione tra stato di salute e ambiente attribuisce alla disabilità il significato di una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.

Ovvero, la disabilità non viene considerata esclusiva di un gruppo minoritario di persone, bensì, si tratta di una disabilità più ampia, che può coinvolgere chiunque durante la propria vita.

(15)

Tab.1

Funzioni e disabilità Fattori contestuali Componenti Funzioni e strutture corporee Attività e partecipazione Fattori ambientali Fattori personali Domini Funzioni corporee Strutture corporee Aree di vita Influenze esterne su funzionamento e disabilità Influenze interne su funzionamento e disabilità Costrutti Cambiamento nelle funzioni corporee Cambiamento nelle strutture corporee Capacità Eseguire compiti in un ambiente standard Performance Eseguire compiti nell’ambiente attuale Impatto facilitante o ostacolante delle caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti Impatto delle caratteristiche della persona Aspetto positivo Integrità funzionale e strutturale Attività Partecipazione Facilitatori Non applicabile Funzionamento Aspetto negativo Menomazione Limitazione dell’attività Restrizione della partecipazione Barriere e ostacoli Non applicabile Disabilità

Fonte: adattata da ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento, della disabilità e della salute, Versione Breve, Erickson

L’ambiente è inteso in un senso ampio, come tutte quelle situazioni in cui il soggetto interagisce con gli altri e facendolo esplica le proprie capacità. Esso può essere un ostacolo, ma anche un fattore incentivante.

Un sistema integrato che coniughi la sfera sanitaria con quella sociale e lavorativa, potrebbe così ridurre le possibilità di insorgenza di una condizione di salute sfavorevole.

(16)

positivo, che parla di funzioni corporee, di attività e partecipazione sociale, di un soggetto che ha la possibilità di affermarsi e di realizzarsi.

La sequenza lineare menomazione - disabilità - handicap, lascia spazio ad una visione circolare in cui se l' ambiente favorisce il soggetto, questo ha a disposizione tutte le possibilità per esplicare le proprie abilità.

L'ambiente di riferimento di cui si terrà conto nel corso della presente trattazione è rappresentato dal contesto aziendale, nel quale la pianificazione e l'attivazione di una gestione di tipo strategico delle risorse umane disabili può tradursi nel raggiungimento di obiettivi economico-produttivi che incidono in maniera positiva sull'andamento aziendale. Il Disability management, nell'ottica della classificazione ICF, si configura come un approccio manageriale che predispone le condizioni affinché si verifichi la formazione di un contesto aziendale facilitante nei confronti delle risorse umane nella loro totalità.

(17)

1.3 I numeri della disabilità

Più di un miliardo di persone nel mondo vive con qualche forma di disabilità. Si tratta del 15 per cento della popolazione mondiale, di cui tra il 2 e il 4 per cento presenta significative difficoltà di funzionamento. Il tasso di disabilità è destinato ad aumentare a causa dell’invecchiamento della popolazione, a cui si affianca l’aumento delle malattie croniche6.

La fonte ufficiale più recente da utilizzare per studiare il problema della disabilità in Italia è rappresentata dall’Indagine Istat sulle “Condizioni di salute e il ricorso ai servizi sanitari”, condotta nel periodo di riferimento 2004-2005.

Come già emerso dai paragrafi precedenti, la disabilità è un fenomeno complesso, in particolare se si tiene conto della classificazione ICF, la quale identifica la disabilità come conseguenza o risultato di una complessa relazione tra le condizioni di salute, i fattori personali e i fattori ambientali, che intervengono a facilitare, ma molto più spesso a ostacolare il soggetto (cfr 1.3.4)

Prendendo come riferimento tale fonte, risulta importante considerare che essa ha escluso volutamente gli aspetti della disabilità mentale e la condizione di disabilità delle persone con un’età inferiore ai sei anni, selezionando quindi solo le persone con disabilità con un’età maggiore ai sei anni, che vivono in famiglia. Tale esclusione comporta un sottodimensionamento del problema, che va trattato in collegamento al tasso di invecchiamento della popolazione.

Fatte le opportune premesse, le persone con disabilità in Italia ammontano a 2 milioni e 600 mila, che corrisponde circa al 4,8 per cento della popolazione. Circa la metà rappresenta persone con un’età superiore a ottanta: la perdita di

6

(18)

autonomia funzionale infatti aumenta all’avanzare dell’età7.

La disabilità e l’invecchiamento sono condizioni strettamente collegate: tale collegamento rende possibile una previsione dell’evoluzione dei livelli di disabilità, sulla quale stabilire indicazioni utili all’attivazione di politiche pubbliche ad hoc, in funzione di una riduzione dell’impatto del fenomeno in termini di sostenibilità economica futura.

Per quanto riguarda le tipologie di disabilità, 1 milione e 25 mila persone dichiara di avere più di una difficoltà nelle aree considerate, che sono: difficoltà di movimento, difficoltà di vista, udito e parola, difficoltà nelle funzioni della vita quotidiana.

1.4 La condizione occupazionale delle persone disabili

A causa di un atteggiamento discriminatorio e stigmatizzante, gran parte della popolazione disabile è esclusa dall’accesso ai servizi di base che riguardano la salute, l’educazione e il mondo del lavoro.

Tale situazione contribuisce ad approfondire il loro stato di emarginazione, aumentando la possibilità di incorrere in condizioni di povertà.

Molte persone disabili sono sottoimpiegate o guadagnano meno della controparte normodotata. Inoltre, le loro prospettive di crescita in ambito lavorativo risultano ostacolate, in particolar modo per quanto riguarda le donne diversamente abili8.

In Italia, il 66 per cento delle persone con disabilità è fuori dal mercato del lavoro, di cui il 43 per cento è in pensione, mentre il 21,8 per cento appartiene alla categoria di inabili al lavoro.

Tra le persone che dichiarano difficoltà nella vista, nell’udito e nella parola si

7La disabilità in Italia. Il quadro della statistica ufficiale, 2010, Istat Servizio Editoria 8

(19)

riscontra la percentuale di occupati più alta, rispetto alle altre tipologie di disabilità.

Tra le persone in età lavorativa, risultano occupati meno del 18 per cento, rispetto al 54 per cento circa delle persone non disabili. In particolare, la percentuale di inabili al lavoro che ammonta al 21,8 per cento sul totale delle persone con disabilità, aumenta fino ad arrivare al 50,9 per cento per quanto riguarda la fascia di età 15-44 anni.

L’inserimento lavorativo è un fattore fondamentale della vita di un individuo per arrivare ad una piena realizzazione e così ad una certa integrazione sociale.

L’esclusione delle persone con disabilità dal mondo del lavoro comporta dei costi significativi per la società, sia nei termini dell’erogazione dei servizi sanitari, assistenziali e previdenziali, sia a livello macroeconomico in termini di perdita di produttività potenziale.

Tale fattore è ostacolato dall’ambiente di riferimento, che contribuisce ad ostacolare l’accesso ai servizi educativi, l’accessibilità fisica in senso stretto e con essa l’inadeguatezza dei mezzi e dei trasporti.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha stimato che l’esclusione delle persone disabili ha un costo che ammonta dall’1 al 7 per cento del Pil dei Paesi coinvolti.

La scarsa produttività è da considerarsi in corrispondenza con alcune variabili, tra le quali il gap che intercorre tra la produttività effettiva e potenziale e la differenza tra la disoccupazione delle persone disabili e delle persone non disabili.

La promozione delle pari opportunità e dell’inclusione delle persone con disabilità rappresenta un elemento centrale per garantire lo sviluppo sociale ed economico.

(20)

Si tratta di un cambiamento di prospettiva che collega alle esigenze personali di autorealizzazione, esigenze di carattere completamente diverso, ma non distante: rivedere la disabilità in termini economici può rappresentare motivo di considerazione maggiore e così ulteriore sforzo di risoluzione.

(21)

Secondo capitolo

L’impegno comunitario per i diritti dei disabili

L’impegno comunitario è sempre stato costante nei confronti delle tematiche legate al mondo della comunità disabile, attraverso un continuo lavoro di studio, analisi, progettazione e confronto con i disabili stessi e con il mondo associativo che ne rappresenta le istanze. Si procederà esponendo di seguito le iniziative a livello europeo più significative al riguardo.

2.1 L’articolo 13 del Trattato di Amsterdam

Il tema della discriminazione delle persone disabili è diventato centrale nell’azione dell’Unione europea a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam del 1997 all’interno del quale è presente l’articolo 13 che è considerato la pietra miliare delle politiche antidiscriminatorie messe in atto a livello comunitario. Analizzando il testo dell’articolo si legge che:

Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell’ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali9.

Per la prima volta l’Unione europea inseriva tra le sue competenze un intervento specifico per contrastare i fenomeni discriminatori, non più solo confinati alla questione di genere uomo-donna per quanto riguardava

9 Trattato di Amsterdam firmato nel 1997 ed entrato in vigore il 1 maggio 1999, parte prima, principi, reperibile al link http://www.europarl.europa.eu/topics/treaty/pdf/amst-it.pdf

(22)

l’eliminazione del divario salariale, ma esteso ad una più generale politica sociale.

All’interno dell’articolo 13 è stato inserito anche un apposito riferimento al contrasto dei fenomeni discriminatori sulla base degli handicap: le persone disabili sono diventate così, come per altri soggetti vittime di potenziali atteggiamenti discriminatori, come gli omosessuali o i migranti, i depositari di un’attenzione particolare da parte dell’UE al fine di assicurare loro il pieno inserimento nella vita economica, sociale, culturale e politica degli Stati membri attraversi i principi dell’integrazione e dell’inclusione.

2.2 Una nuova strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili

Nel 1996, un anno prima dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, la Commissione si indirizzava alle altre istituzioni con una comunicazione specifica sulla parità di opportunità per i disabili10.

Secondo tale pubblicazione sono diversi gli ambiti in cui si verificano discriminazioni a danni di persone con qualche forma di menomazione –

fisica, sensoriale, mentale, intellettuale – determinando l’esclusione delle

stesse da diritti ed opportunità:

1. “nell'istruzione: i giovani continuano ad incontrare problemi di accesso all'istruzione ordinaria e ad un'adeguata formazione di buona qualità;

2. sul lavoro: la probabilità per i disabili di essere disoccupati è due o tre volte più levata e ciò' per periodi più lunghi rispetto al resto della popolazione;

10 Comunicazione della Commissione sulla Parità per i disabili, Una nuova strategia della Comunità europea nei confronti dei disabili, pubblicata il 30 giugno 1996, COM(96) 406 def reperibile al link

(23)

3. mobilità e accesso: numerosi sistemi di trasporto continuano ad essere inaccessibili o difficilmente accessibili;

4. alloggio: alloggi adattati o adattabili sono spesso rari o estremamente costosi;

5. sistemi assistenziali: questi sistemi in generale offrono un'assistenza minima che è spesso insufficientemente coerente con l'obiettivo di agevolare la partecipazione11”.

La Commissione sottolineava come un cittadino comunitario su dieci fosse afflitto da una forma di menomazione, è che questa comportasse spesso una sotto-partecipazione del disabile all’interno della società.

Per quanto riguarda il settore lavorativo “varie stime ufficiali fanno ritenere

che la probabilità per i disabili di essere disoccupati è almeno due o tre volte più elevata e di durata più lunga rispetto al resto della popolazione attiva. Inoltre essi possono essere colpiti in maniera sproporzionata durante le crisi economiche. Pertanto sono essi a pagare un costo più elevato durante i periodi di incertezza economica e di trasferimenti di attività. Poiché l'indipendenza economica è fondamentale per l'esercizio di altre libertà, questa forma di discriminazione ha gravi ripercussioni sulla qualità della vita dei disabili”12.

Appare evidente come la disoccupazione non sia necessariamente collegata ad un demerito della persona quanto al più generale pregiudizio secondo cui un datore di lavoro è più facilmente incline a valutare la persona disabile in base al suo handicap e non tenendo conto delle sue effettive capacità (cfr. 4.4). La Commissione a tal proposito invitava i legislatori nazionali a spendersi al fine di rimuovere gli ostacoli che limitavano la partecipazione dei disabili all’interno del mondo del lavoro e chiedevano ai datori di lavoro di

11 Ibidem 12 Ibidem

(24)

sorvegliare che gli ambienti lavorativi fossero aperti ed accoglienti nei confronti degli stessi, al fine di rimuovere pratiche discriminatorie fondate su pregiudizi e/o stereotipi. Proprio in questo senso viene ribadito nella comunicazione come l’emarginazione strutturale delle persone disabili determini un costo economico particolarmente elevato che mina l’efficacia stessa del mercato del lavoro.

2.3 Verso un’Europa senza ostacoli per i disabili

In piena armonia con le scelte adoperate per il contrasto agli altri fenomeni discriminatori, anche per le persone disabili si esorta l’adozione del principio del mainstreaming affinchè tutte le politiche nazionali e comunitarie siano attente alle loro particolari esigenze:

“La strategia di mainstreaming comporta l'integrazione della prospettiva "disabilità" in tutti le fasi dei processi politici – dalla concezione e attuazione al monitoraggio e alla valutazione - al fine di promuovere le pari opportunità per le persone con disabilità”13

Altrettanto importante è l’indirizzo della Commissione nel verso di un sempre

maggiore dialogo sociale tra istituzioni politiche, organizzazioni e

associazioni di settore che possa costituire la base operativa per la formulazione di politiche pubbliche che possano intervenire sulle questioni specifiche al fine di un progressivo miglioramento delle condizioni di vita delle persone disabili.

Nel maggio del 2000 la Commissione sottolineava nuovamente il suo impegno nei confronti dei temi in questione con una nuova comunicazione dal titolo “Verso un’Europa senza ostacoli per i disabili”14. Secondo i dati disponibili:

13 Ibidem, pagina 13

(25)

[…] possiamo stimare che una persona su dieci nell’Unione europea è colpita dall’una o dall’altra forma di disabilità, e ciò rappresenta attualmente circa 37 milioni di persone. I disabili costituiscono un gruppo eterogeneo. Le disabilità e i problemi ad essa connessi sono vari e diversificati. Le disabilità possono essere visibili o nascoste, profonde o leggere, uniche o multiple, croniche o intermittenti. Tra i tipi di disabilità figurano i disturbi motori, i disturbi mentali/cognitivi, i disturbi dell’udito, della parola e della vista15

La parità di opportunità e trattamento passa per l’Unione europea dai temi della mobilità e dell’inserimento nel mondo lavorativo, in quanto essi sono ritenuti aspetti cruciali per la rimozione degli ostacoli che non permettono la piena partecipazione delle persone disabili alla società.

A tal proposito nella Comunicazione si legge:

“ I piani d’azione nazionali per l’occupazione comprendono alcuni sforzi evidenti per il miglioramento delle prospettive professionali dei disabili, considerati come uno dei gruppi che possono beneficiare maggiormente delle azioni preventive e di misure a favore dell' occupabilità. Per sostenere questa importante rivoluzione politica, la Commissione sostiene i lavori di ricerca e le discussioni in corso con gli Stati membri, le parti sociali e le organizzazioni non governative sulle nuove tendenze,

e al Comitato delle regioni, del 12 maggio 2000, dal titolo « Verso un'Europa senza ostacoli per i disabili » [COM(2000) 284 def. - Non pubblicata sulla Gazzetta ufficiale]

(26)

idee, politiche e prassi innovative che emergono in questo settore”.16

2.4 L’Anno europeo dei cittadini disabili

Nel 2003 è stato indetto l’Anno europeo dei cittadini disabili “al fine di

aumentare la presa di coscienza, di stimolare la partecipazione, di creare una dinamica per le nuove politiche, a tutti i livelli, e di rafforzare il concetto di cittadinanza europea per i disabili”17.

L’anno della disabilità che ha racchiuso obiettivi ben precisi, tra cui:

a) la sensibilizzazione relativamente al diritto dei disabili di essere tutelati dalla discriminazione e di godere di pieni e pari diritti;

b) l'incoraggiamento della riflessione e la discussione sulle misure necessarie per promuovere pari opportunità per i disabili in Europa;

c) la promozione dello scambio di esperienze in materia di buone prassi e strategie efficaci attuate a livello locale, nazionale ed europeo;

d) l'intensificare la cooperazione fra tutte le istanze interessate, in particolare i governi, le parti sociali, le ONG, i servizi

sociali, il settore privato, il settore associativo, i gruppi di volontariato, i disabili e i loro familiari […]18

L’obiettivo europeo era chiaramente quello di focalizzare l’attenzione di tutti i Paesi membri sui temi legati alla partecipazione alla vita economica e politica delle persone disabili ai fini di creare una società inclusiva. La natura

16 Ibidem, pag 5 17 Ibidem, pag 21

18 Decisione del Consiglio del 3 dicembre 2001 relativa all’anno europeo dei disabili 2003, 2001/903/CE reperibile al seguente link http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32001D 0903&from=IT

(27)

comunitaria e transnazionale dell’iniziativa si concretizzava nell’impegno dell’UE a far si che le best practices fossero messe in comune tra i vari Paesi in modo da creare una raccolta di buone strategie sulle quali incentrare le successive scelte politiche in materia.

2.5 La Carta europea dei diritti fondamentali

Accanto alle iniziative sopraelencate che l’UE ha messo in campo a partire dall’articolo 13, di fondamentale importanza risulta anche l’approvazione della Carta europea dei diritti fondamentali19 proclamata solennemente nel corso del Consiglio europeo di Nizza del 2000 (dal quale prende anche il nome con cui è comunemente conosciuta Carta di Nizza).

Tale documento invitava ad intervenire anche le realtà associative, tra cui anche quelle rappresentative delle persone disabili. L’articolo 26 in particolare interviene ad enunciare il diritto di inserimento dei disabili:

L'Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità20.

2.6 La parità di trattamento in materia di occupazione

In contemporanea con le iniziative che hanno segnato l’Anno europeo della disabilità, l’Unione europea non si è arrestata e ha deciso di proseguire il proprio impegno con l’elaborazione di un piano d’azione comunitario per

19 Carta europea dei diritti fondamentali, in GUCE C364/1 del 18/12/2000, testo reperibile in formato pdf al link http://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

(28)

l’arco temporale 2004-201021.

Il documento programmatico fa riferimento alla direttiva attuativa

dell’articolo 13, la 2000/78, che obbligava gli Stati membri ad attuare la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro e alla Carta di Nizza, visto l’intento degli Stati membri di inserirla quanto prima come allegato nel successivo trattato di riforma europeo.

Poiché l'occupazione rimane il principale fattore critico per l'inclusione sociale, la prima fase di attuazione del piano d'azione dell'UE per la disabilità - che dovrebbe essere sviluppato nel 2004 e 2005 - si concentrerà sulla creazione delle condizioni necessarie per promuovere l'occupazione delle persone con disabilità rendendo loro più accessibile il mercato del lavoro generale nell'intera Unione allargata22.

Appare evidente come il tema del lavoro sia cruciale nell’ottica comunitaria dell’intervento nei confronti delle problematiche delle persone disabili; il lavoro e l’occupazione vengono considerati come elementi centrali per la piena realizzazione della persona. La Commissione delinea quindi anche le azioni concrete da mettere in atto e che si concentrano principalmente sull’accesso al mondo del lavoro, sull’istruzione e l’educazione permanente secondo i principi del life learning programme, la rimozione delle barriere architettoniche che non permettono la piena integrazione dei disabili sui luoghi di lavoro. Per la Commissione pertanto l’inclusione delle persone disabili deve passare dall’occupazione delle stesse, sottolineando come “il

fatto di partecipare al mercato del lavoro consente alle persone di guadagnarsi da vivere e di partecipare con maggiore pienezza. Esso conferisce inoltre alle persone una maggiore dignità e un più alto grado di

21 Comunicazione della Commissione, del 30 ottobre 2003, Pari opportunità per le persone con disabilità: un Piano d'azione europeo [COM(2003) 650 def. - Non pubblicata sulla Gazzetta ufficiale] reperibile al link http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52003DC0650&from=IT

(29)

autonomia”23.

2.7 La strategia Europa 2020

Nonostante la situazione di crisi non faciliti il superamento della condizione di svantaggio in cui versa la persona disabile, che continua ad essere valutata in base a stereotipi più che sulla reale efficienza, la Commissione ha indetto la Strategia Europa 202024, con cui intende favorire l'innalzamento dei tassi di

disoccupazione al fine di favorire la coesione sociale, territoriale ed economica dell’Unione. Proprio in merito all’inclusione la Commissione ha sottolineato come tassi di differenza occupazionale, tra uomini e donne, lavoratori nazionali e stranieri, persone disabili e persone non disabili, determinino un blocco della crescita economica del Paese stesso in cui sono registrati e più in generale dell’Unione.

Secondo le stime europee le categorie socio-professionali

maggiormente discriminate sono anche quelle più facilmente soggette a situazioni di maggiore povertà ed esclusione sociale e all’interno di questo quadro, le persone disabili costituiscono sicuramente uno tra i soggetti maggiormente a rischio.

23 Ibidem, pagina 5

24 Comunicazione della Commissione, Europa 2020, Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, COM(210) 2020 del 3 marzo 2010, Bruxelles

(30)

Terzo capitolo

Il collocamento obbligatorio

L'evoluzione normativa in materia di diritto al lavoro dei soggetti diversamente abili testimonia un percorso evolutivo significativo, che ha condotto al superamento di un atteggiamento di esclusiva protezione sociale a favore dell'ulteriore affermazione dei principi di parità e non discriminazione. Il sistema del collocamento obbligatorio è stato ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Corte Costituzionale poichè, pur in presenza di una limitazione della libertà di iniziativa economica privata, tendeva a garantire comunque un'occupazione fruibile dall'impresa e non un sostegno puramente caritativo25. Si procederà in questo capitolo all’analisi della normativa, al fine di individuarne gli strumenti e le modalità con cui si occupa di garantire la sua funzione, per poi mostrarne i risultati relativi all’ultimo biennio di riferimento.

3.1 I fondamenti costituzionali del collocamento obbligatorio

La disciplina del collocamento obbligatorio trova il proprio fondamento all'art. 4 della Costituzione italiana, nel quale si legge che: "la Repubblica

riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società".

Il diritto dei disabili e dei minorati all'educazione e all'avviamento professionale è sancito dall'art. 38, co.3 della stessa: "Gli inabili ed i minorati

(31)

hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale".

Inoltre, la Repubblica ha il dovere di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, come sancito all'art.3 Cost26.

3.2 La legge 2 aprile 1968 n. 482

Il primo intervento organico in materia di collocamento dei soggetti disabili si è avuto in Italia nel 1968 con la legge del 2 aprile n. 482, intitolata “Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private”27. Tale legge è stata abrogata dalla successiva legge del 12 marzo 1999, n. 68, a causa della sua inefficienza applicativa.

Tale strategia normativa non ha consentito, infatti, di raggiungere

l'integrazione effettiva dei lavoratori disabili nelle imprese, le quali hanno sempre vissuto l'obbligo come una limitazione della propria autonomia28.

Il principale punto debole della legge sul collocamento obbligatorio è stato identificato nella rigidità del criterio per l'abbinamento dei candidati lavoratori con le aziende, che non teneva conto delle capacità dei candidati in relazione alle mansioni da svolgere in azienda.

All’interno del Titolo III infatti, che si occupava delle modalità per il collocamento, erano specificati gli organi addetti al collocamento, gli Uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione, i quali si attenevano alle

26 Costituzione Italiana, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, reperibile al link: http://www.governo.it/Governo/Costituzione/principi.html

27 Legge 2 aprile 1968, "Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private", Pubblicata nella GU. 30 aprile 1968, n. 109, reperibile al link http://www.handylex.org/stato/l020468.shtml

(32)

graduatorie e ai criteri stabiliti dalle commissioni provinciali per il collocamento obbligatorio.

In particolare, all’art. 17 venivano illustrati i compiti della commissione provinciale:

a) approvare le graduatorie per l'avviamento al lavoro degli iscritti negli appositi elenchi di cui all'articolo 19;

b) approvare l'aggiornamento trimestrale degli elenchi provinciali delle categorie tutelate dalla presente legge;

c) decidere, in caso di esaurimento degli aspiranti di una categoria, per la copertura dei posti disponibili con aspiranti appartenenti alle altre categorie, tenendo presente in sede di assegnazione di detti posti nell'ambito della stessa categoria protetta i criteri di preferenze stabiliti dall'articolo 15, comma quarto, della legge 29 aprile 1949, n. 264;

d) nel caso che la determinazione dei posti disponibili da assegnare alle singole categorie presso i singoli datori di lavoro, dia luogo a frazioni percentuali, decidere per la loro assegnazione nel limite dell'aliquota complessiva riservata per le assunzioni obbligatorie;

e) esprimere il parere sulle domande di oblazione presentate dalle aziende inadempienti29

I soggetti considerati all’art. 11 Titolo II, tra cui le Aziende private con alle proprie dipendenze più di 35 lavoratori tra impiegati e operai, e all'art. 12 gli Enti pubblici con più di 35 dipendenti, venivano obbligati ad assumere lavoratori appartenenti alle categorie indicate nel Titolo I, per aliquote prefissate, pena l’applicazione di sanzioni variabili, senza concorso e subordinatamente al verificarsi delle vacanze organiche.

(33)

3.3 La legge 5 febbraio 1992, n. 104

Un passo decisivo in direzione di una regolamentazione più organica

del problema dell’handicap ispirata al principio di parità e non

discriminazione, è avvenuto con la legge-quadro per l’assistenza,

l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate del 199230, a cui il legislatore affiancherà nel 1999 la legge n. 68, entrata in vigore 300 giorni dopo la data di pubblicazione il 18 gennaio del 2000, intitolata “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.

La legge-quadro prevede numerosi diritti in materia di rapporto di lavoro, tra i quali si ricordano la disciplina dei permessi lavorativi e periodi di astensione dal lavoro, trasferimenti e avvicinamenti, scelta della sede di lavoro. La legge n. 104/92, che ha svolto il ruolo di apripista per l’elaborazione della legge n.68/99, persegue le seguenti finalità:

a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola,

nel lavoro e nella società;

b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che

impediscono lo sviluppo della persona umana, il

raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività, nonché la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali;

c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e

30 Legge 5 febbraio 1992, n. 104, Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Pubblicata in G. U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O. Reperibile al link http://www.handylex.org/stato/l050292.shtml

(34)

la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;

d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata31.

Per quanto riguarda il diritto al collocamento obbligatorio dei lavoratori diversamente abili, la legge quadro rinvia alla nuova disciplina del collocamento obbligatorio.

3.4 La legge 12 marzo 1999, n. 68

La nuova disciplina ha introdotto un atteggiamento di tipo incentivante in merito al diritto al lavoro dei disabili, attraverso servizi di sostegno e di collocamento "mirato".

Il titolo stesso della legge lo conferma: la persona disabile diviene soggetto titolare di un diritto, il diritto al lavoro, non più l’oggetto dell’assunzione obbligatoria. Il collocamento mirato interviene per riformare il precedente

sistema di collocamento obbligatorio, superando il meccanismo di

imposizione dall’alto di regole sul reclutamento della forza lavoro percepite dai datori di lavoro come rigide e coercitive.

Esso comporta una valutazione delle esigenze ma anche delle competenze del soggetto diversamente abile e soprattutto la adattabilità del posto di lavoro rispetto ad esse.

La definizione di collocamento mirato è sancita dal legislatore all’art.2, nel quale si fa riferimento a “quella serie di strumenti tecnici di supporto che

permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso l’analisi di posti 31 Ibidem, art.1

(35)

di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzione di problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione”32.

La collocazione del presente articolo ne testimonia la sua centralità quale strumento di interpretazione dei restanti ventidue articoli.

La nuova modalità di collocamento predispone strumenti utili di supporto al lavoratore disabile. Il ruolo delle aziende viene percepito come attivo e quello dei soggetti diversamente abili come produttivo, in un’ottica che tiene conto di entrambi i fattori, senza trascurare le indiscusse esigenze di economicità e produttività delle organizzazioni.

La novità è costituita dall’introduzione di strumenti, compiti, funzioni e organi, che si affiancano ad una certamente utile ridefinizione delle quote d’obbligo, già previste dalla precedente normativa, con lo scopo di trasformare i vecchi ammortizzatori sociali di stampo assistenzialistico in nuovi mezzi di crescita della persona, in particolare del soggetto diversamente abile. Sebbene costruita sull’impostazione originaria della legge abrogata, si presenta come un testo innovativo rispetto al precedente, che intende rispettare le esigenze dei soggetti che vede coinvolti, creando occasioni di concertazione e collaborazione certamente più efficaci. L’obiettivo è la ricerca di una adesione consensuale da entrambe le parti33. L’invalidità viene abbandonata come criterio di valutazione: si riconosce al soggetto diversamente abile la possibilità di mettere in atto una capacità professionale completa, se l'inserimento viene sostenuto da opportuni interventi formativi.

32 Legge 2 aprile 1968, "Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private", Pubblicata nella GU. 30 aprile 1968, n. 109, art.2, reperibile al link http://www.handylex.org/stato/l020468.shtml

33 Buffa F., La disciplina lavorativa e previdenziale per i diversamente abili, cap.3 pag 53, Giuffré Editore, 2009

(36)

L’attuazione di ogni iniziativa utile a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili è affidata ad “uffici competenti”. Tali organismi sono individuati dalle Regioni ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 46934, come descritto dall’art. 6 della legge 68/99. Gli uffici competenti, in raccordo con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi, si occupano di numerose attività, tra cui rientrano:

“la programmazione, l’attuazione, la verifica degli interventi

volti a favorire l’inserimento dei soggetti di cui alla presente legge nonché dell’avviamento lavorativo, alla tenuta delle liste, al rilascio delle autorizzazioni, degli esoneri e delle compensazioni territoriali, alla stipula di convenzioni e all’attuazione del collocamento mirato”35.

È prevista da parte degli organismi competenti, la stipula di convenzioni con il datore di lavoro, nelle quali vengono stabiliti tempi e modalità di assunzioni che il datore di lavoro si impegna a rispettare, tra cui lo svolgimento di tirocini con finalità formative e di orientamento, l’assunzione con contratto di lavoro a termine, la possibilità di svolgere periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché l’esito negativo della prova, qualora

sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro36.

Si evince da queste disposizioni un ruolo significativo attribuito in primis alla flessibilità in entrata: la flessibilità lavorativa appare legittimata, nonostante i potenziali pericoli derivanti dallo svolgimento di lavoro atipico per

34 Decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, “ Conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'articolo 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 5 dell'8 gennaio 1998, reperibile al link: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/97469dl.htm

35 Legge 12 marzo 1999, n.68, Norme per il diritto al lavoro dei disabili, in G.U. n.68 del 23 marzo 1999, art.6 reperibile al link http://www.parlamento.it/parlam/leggi/99068l.htm

(37)

l’inserimento lavorativo dei lavoratori disabili37.

Questa tendenza sottolinea la volontà del legislatore di andare incontro alle esigenze dei datori di lavoro, permettendo loro di adempiere gli obblighi di legge in modo graduale, attraverso modalità preliminari come i tirocini. In diverse occasioni comunque si riscontra un significativo livello di libertà concesso dal legislatore al datore di lavoro.

Un ruolo non secondario è quindi quello attribuito alle attività di formazione, il cui svolgimento è previsto durante il rapporto di lavoro attraverso l’attuazione di tirocini formativi e di orientamento, con le quali si intende raggiungere obiettivi rilevanti di formazione o in alternativa riqualificazione di soggetti diversamente abili non in possesso di adeguate capacità professionali. Alle cooperative, ai consorzi e alle organizzazioni di volontariato, la normativa attribuisce un ruolo pienamente attivo, non più marginale, prevedendo la stipula di convenzioni con essi da parte degli uffici competenti . Si tratta di apposite convenzioni finalizzate all'inserimento lavorativo temporaneo dei disabili appartenenti alle categorie protette di cui all'art. 1, presso le cooperative sociali stesse, a cui i datori di lavoro si impegnano ad affidare commesse di lavoro.

3.5 Le categorie protette

Il positivismo giuridico riconosce ai soggetti deboli una tutela più ampia, con lo scopo di garantire loro il diritto fondamentale all’uguaglianza.

Il termine categorie protette è stato elaborato in ambito giuridico e viene utilizzato per indicare quelle categorie di soggetti caratterizzati da una particolare debolezza nel rapporto di lavoro dovuta a particolari condizioni fisiche o sociali, e quindi considerati meritevoli di una protezione più ampia che l’ordinamento garantisce e promuove attraverso la formulazione di misure

(38)

specifiche.

Il concetto di “soggetto protetto” in ambito lavorativo ha subito gli effetti di un atteggiamento più sensibile da parte degli ordinamenti nei confronti di numerosi soggetti definiti “deboli”. L’estensione di tale termine è venuta a comprendere coloro che hanno un impedimento fisico, includendo prima soggetti con evidente minorazione fisica, i ciechi e sordomuti, e garantendo infine la protezione ad ampie categorie, definite proprio per questo motivo "protette".

La legge-quadro del 1992 individua i soggetti aventi diritto, stabilendo che: “è persona handicappata colui che presenta una minorazione

fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”38.

Si evince una marcata attenzione all’entità dello svantaggio sociale come principio di valutazione dell’handicap (cfr. cap.1). Si stabilisce inoltre, all’interno dello stesso articolo, che la persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.

Si definisce la connotazione di gravità, che si presenta:

“qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia

personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo o globale nella sfera individuale o in quella di relazione”39.

38 Legge 5 febbraio 1992, n. 104, Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Pubblicata in G. U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O. Art. 6. Reperibile al link http://www.handylex.org/stato/l050292.shtml

(39)

In tal caso viene riconosciuta priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici.

L’accertamento dell’handicap di cui all'art. 4, compete alle unità sanitarie locali mediante commissioni mediche di cui all’art. 1 della legge 15 ottobre 1990, n.29540, integrate da un operatore sociale e da un esperto dei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali, come sancito dall’art. 4 co.1.

La legge 68 del 1999 sancisce all’art.1 la sua applicazione con riferimento ai seguenti soggetti:

· Persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento, accertata dalle commissioni competenti per il riconoscimento dell’invalidità civile in conformità alla tabella indicativa delle percentuali di invalidità per minorazioni o malattie invalidanti approvata, ai sensi dell’art.2 del d. lgs. 23 novembre 1988, n.50941, dal Ministero della Sanità sulla base della

classificazione internazionale delle menomazioni elaborata dalla

Organizzazione mondiale della sanità (cfr. cap.1).

Bisogna osservare che la scienza medica individua nei portatori di handicap intellettivo coloro che costantemente sono affetti da un ritardo di tipo mentale, mentre distingue coloro che sono affetti da minorazioni psichiche e che, pur disponendo di una normale capacità di apprendimento, solo in alcuni momenti sono esposti a reazioni patologiche che ne rendono problematica la vita

40 Legge 15 ottobre 1990, n.295, "Modifiche ed integrazioni all'articolo 3 del D.L. 30 maggio 1988, n. 173 , convertito, con modificazioni, dalla L. 26 luglio 1988, n. 291, e successive modificazioni, in materia di revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti", reperibile al link http://www.handylex.org/stato/l151090.shtml

41 Decreto legislativo 23 novembre 1988, n.509, Norme per la revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti, nonché dei benefici previsti dalla legislazione vigente per le medesime categorie, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge 26 luglio 1988, numero 291, reperibile al link: http://www.handylex.org/stato/d231188.shtml

(40)

lavorativa.

· le persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento, accertata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) in base alle disposizioni vigenti.

· alle persone non vedenti o sordomute, di cui alle leggi 27 maggio 1970, n. 38242 e successive modificazioni, e 26 maggio 1970, n. 38143 e successive modificazioni; si definiscono non vedenti i ciechi assoluti, o coloro che hanno un residuo visivo non superiore a un decimo in entrambi gli occhi, con eventuale correzione, mentre sordomuti sono coloro i quali sono colpiti da sordità dalla nascita o prima dell’apprendimento della lingua parlata.

· le persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all'ottava categoria di cui alle tabelle annesse al testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 91544, e successive modificazioni45.

Si rilevano trattamenti differenziati in base al tipo di disabilità presentata dal soggetto: le persone invalide dal lavoro infatti risultano più tutelati rispetto a quelle del primo sottogruppo, ossia gli invalidi civili per i quali è prevista una soglia di invalidità più alta46.

42 Legge 27 maggio 1970, n. 382, Disposizoni in materia di assistenza ai ciechi civili, reperibile al link: http://www.handylex.org/stato/l270570.shtml

43 Legge 26 maggio 1970, n. 381, Aumento del contributo ordinario dello Stato a favore dell'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza ai sordomuti, e delle misure dell'assegno di assistenza ai sordomuti, pubblicata nella GU 23 giugno 1970, n.156, reperibile al link: http://www.handylex.org/stato/l260570.shtml

44 DPR 23 dicembre 178, n. 915, Testo unico in materia di pensioni di guerra, reperibile al link: http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:presidente.repubblica:decreto:1978;915

45 Limena F., L'accesso al lavoro dei disabili, pgg. 28-39, Cedam, Padova, 2004

46 Angeloni S., L'aziendabilità. Il valore delle risorse disabili per l'azienda e il valore dell'azienda per le risorse disabili, pagg. 62-68, Franco Angeli, 2010

(41)

Per le categorie di orfani e dei coniugi di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, all'art. 18 si legge che:

“In attesa di una disciplina organica del diritto al lavoro degli orfani e dei

coniugi superstiti di coloro che siano deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero in conseguenza dell'aggravarsi dell'invalidità riportata per tali cause, nonché dei coniugi e dei figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro e dei profughi italiani rimpatriati, il cui status è riconosciuto ai sensi della legge 26 dicembre 1981, n. 763, è attribuita in favore di tali soggetti una quota di riserva, sul numero di dipendenti dei datori di lavoro pubblici e privati che occupano più di cinquanta dipendenti, pari a un punto percentuale e determinata secondo la disciplina di cui all'articolo 3, commi 3, 4 e 6, e all'articolo 4, commi 1, 2 e 3, della presente legge”47.

3.6 Informazioni sul collocamento

Si procederà ora analizzando in dettaglio gli obblighi previsti dalla presente legge che, come già esposto in precedenza, ha come finalità quella di

promuovere l’inserimento e l’integrazione lavorativa dei soggetti

diversamente abili, grazie a strumenti quali servizi di sostegno e di collocamento mirato. Quest’ultimo porta con sé un radicale cambiamento di prospettiva, che si fonda appunto sulla previsione innovativa di un collocamento che esula da rigidi obblighi e prescrizioni.

47 Legge 12 marzo 1999, n.68, Norme per il diritto al lavoro dei disabili, in G.U. n.68 del 23 marzo 1999, art.18 reperibile al link http://www.parlamento.it/parlam/leggi/99068l.htm

Riferimenti

Documenti correlati

Sulla base di quanto previsto nel presente articolo, gli Stati Parti prenderanno tutte le misure appropriate ed efficaci per assicurare l’eguale diritto delle persone con

28 – oggetto della valutazione dei rischi – laddove si pre- vede che essa deve riguardare “tutti i rischi per la sicu- rezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli

emergenza, è necessario, per quanto possibile, imme- desimarsi nelle varie problematiche che questa può in- contrare nell’utilizzo e nella fruibilità, in sicurezza, degli spazi”,

 La Direzione territoriale Inail di Milano Porta Nuova e il Comitato Italiano Paralimpico Comitato Regionale Lombardia si impegnano ad attivare, come previsto

Per affrontare il cambiamento occorre progettare, implementare e rafforzare un sistema di controllo di gestione disegnato su misura ed applicato alla propria realtà

Effetti finanziari Disegno di Legge di Bilancio e precedenti note di variazioni Sezione I Disegno di Legge di Bilancio e precedenti note di variazioni Integrato (Sez. I + Sez

Tra essi, basterà citare quello di garantire la concreta attuazione a livello europeo della Convenzione ONU – che l’Unione ha ratificato sin dal 23 dicembre 2010

Mancano interventi sostanziali nell’ambito della scuola, della promozione dell’inclusione lavorativa, della non autosufficienza, dell’avvio reale dei Livelli