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Il rischio di credito: l'evoluzione della vigilanza.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea

Il rischio di credito: l’evoluzione della vigilanza

Relatore Candidata

Prof.ssa Paola Ferretti Erika Gerarda Merluzzo

Matricola 537818

Anno accademico

2016-2017

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“Per aspera

Ad astra”

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3

INDICE

INTRODUZIONE

1. CAPITOLO 1: IL RISCHIO DI CREDITO

1.1. Cos’è il rischio di credito………...7

1.2. Le componenti del rischio di credito: il calcolo perdita attesa e

perdita inattesa……….9

1.2.1. Il rischio di insolvenza: il default……….16

1.2.2. Il default nelle banche Italiane……….20

1.3. Le tecniche di mitigazione del rischio di credito………22

1.4. L’andamento del credito dal 2008 a oggi………25

1.4.1. Focus sull’andamento del credito in Italia……….32

1.5. Il rischio di credito dal punto di vista contabile: evoluzione della

disciplina dallo IAS39 all’IFRS9………35

1.5.1. Classificazione delle attività e passività finanziarie……….38

1.5.2. Valutazione e riclassificazione………...42

2.

CAPTOLO 2: BASILEA 3 - FRAMEWORK REGOLAMENTARE

2.1. Breve excursus regolamentare: Basilea 1 e Basilea 2……….45

2.2. La crisi finanziaria e le nuove disposizioni regolamentari………50

2.3. Basilea III e la maggior qualità della base patrimoniale………...52

2.4. Rating Interni e Rating Esterni……….60

2.4.1. Il metodo standard……….60

2.4.2. Il metodo IRB………..62

2.5. Risk-Weighted-Assets:

divergenze

di

calcolo

a

livello

internazionale……….65

2.5.1. Incidenza degli RWA sul patrimonio da accantonare……….67

2.6. Analisi dell’impatto di Basilea 3 a livello Micro e Macro

economico……….70

2.7. Il Supporting Factor come sostegno alle PMI………74

(4)

2.7.2. Metodologia dello SME e criteri di ammissibilità delle PMI……76

2.7.3. L’impatto dello SME sulle PMI……….77

3. CAPITOLO 3: LA REVISIONE DI BASILEA 3: BASILEA 4

3.1. Le criticità di Basilea 3 e la revisione del suo framework………..80

3.2. Riduzione della variabilità nel calcolo degli RWA………84

3.3. L’incremento dei requisiti patrimoniali……….87

3.4. La revisione del metodo Standard……….89

3.5. La revisione del metodo IRB………..91

3.6. Output floor: limiti ai benefici dei modelli interni………95

3.6.1. Diverse reazioni dei paesi dell’Unione Europea all’introduzione

dei floors………97

4. CAPITOLO 4: LE POSSIBILI IMPLICAZIONI DI BASILEA IV

4.1. Le esigenze di capitale derivanti da Basilea IV………100

4.1.1. La revisione del metodo standard e la riduzione della variabilità

degli RWA………104

4.2. Possibili implicazioni pratiche alla luce di Basilea IV………..105

4.3. L’introduzione dei floor e il soffocamento dell’attività bancaria……107

4.4. Conseguenze dell’introduzione di Basilea IV a livello micro e macro

economico………..109

4.5.

Reazioni delle banche USA e dell’Unione Europea all’introduzione di

Basilea IV……….113

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5

INTRODUZIONE

Nella seguente tesi affronterò il tema del rischio di credito e come la disciplina normativa si è evoluta nel corso degli ultimi tre decenni. Il rischio di credito è stato il tema centrale dell’ultimo decennio, la crisi economica scoppiata nel 2007 ha messo in luce tutte le faglie che esistevano nella normativa vigente. Nel primo capitolo mi soffermerò dunque sulla definizione di rischio di credito, analizzando più da vicino le componenti che determinano la perdita attesa e la perdita inattesa; inoltre tratterò il problema del default, sia a livello europeo che italiano e le varie tecniche di mitigazione adottate per far fronte a questo problema. Successivamente, dopo una prima parte descrittiva andrò ad analizzare, in riferimento ai dati statistici disponibili, l’andamento del credito dal 2008 ad oggi sia su scala europea che italiana; infine tratterò l’evoluzione della disciplina contabile, la quale è stata aggiornata nel 2017 con il passaggio dallo IAS 39 all’IFRS 9. Il secondo capitolo è incentrato sul framework regolamentare di Basilea III, e come si è giunti a tale normativa negli anni; dopo un iniziale excursus su Basilea I e Basilea II analizzerò le innovazioni che la disciplina di Basilea III ha apportato in risposta alla crisi finanziaria. Il framework si pone dunque l’obiettivo di risanare le problematiche messe in luce dalla crisi e per fare ciò ha introdotto nel 2009 una serie di riforme sostanziali nell’assetto regolamentare internazionale. I nuovi provvedimenti mirano a una maggiore qualità, coerenza e trasparenza della base patrimoniale; si è voluto altresì avere una maggiore copertura dei rischi e sono state introdotte novità al fine di ridurre la pro ciclicità, la promozione di buffer anticiclici. Nel corso della tesi definirò il concetto di rating e le sue modalità di calcolo, mi soffermerò sul calcolo degli RWA e di come incidano sul patrimonio da accantonare. Procederò poi ad analizzare gli impatti che la normativa di Basilea III ha avuto a livello micro e macro economico e mi soffermerò sullo strumento del Supporting Factor, il quale si è mostrato essere un valido aiuto alle PMI che presentavano segni di difficoltà. Il terzo capitolo sarà incentrato sulla nuova normativa di Basilea IV: nel dicembre 2017 è stata approvata, dopo lunghe trattative, la nuova disciplina regolamentare che andrà, gradualmente, a sostituire la normativa vigente. Analizzerò le innovazioni apportate dal nuovo framework, soffermandomi sui punti maggiormente discussi in tema di rischio di credito: a tal proposito analizzerò le tecniche adottate dal Comitato di Basilea per ridurre la variabilità nel calcolo degli RWA, i nuovi requisiti patrimoniali, e la revisione del metodo standard e IRB. Elemento centrale della nuova

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normativa regolamentare è l’imposizione dell’output floor, il quale fissa un livello minimo ai requisiti patrimoniali calcolati sulla base dei modelli interni; dopo numerose ipotesi di attuazione ha trovato la sua definizione in una percentuale pari al 72.5%, anche se è prevista un’introduzione graduale di cinque anni. Il quarto e ultimo capitolo è incentrato sulle possibili implicazioni che la normativa di Basilea IV potrebbe avere; analizzerò le esigenze di capitale derivanti dalla nuova normativa e di come la revisione del metodo standard inciderà sulle attività ponderate per il rischio. Infine riporterò alcuni articoli di giornale e papers attestanti le diverse reazioni dei paesi dell’unione all’introduzione di Basilea IV e le differenze riscontrate tra le banche USA e le banche Europee.

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7

Capitolo 1: IL RISCHIO DI

CREDITO

1.1

Cos’è il rischio di credito

Con il termine rischio di credito si intende la possibilità che una variazione inattesa del merito creditizio di una controparte nei confronti della quale esiste un’esposizione, generi una corrispondente variazione inattesa del valore di mercato della posizione creditizia1.

Sulla base di tale indicazione è possibile classificare il rischio di credito in diverse tipologie che ne rappresentano anche le componenti elementari e attraverso questa classificazione possono essere individuate le cause che concorrono alla formazione del rischio di credito. Il concetto più diffuso è quello di Rischio di insolvenza (Credit Default Risk): esso rappresenta un’alta probabilità che il debitore non adempia per intero all’obbligazione con la possibilità che ciò comporti una perdita economica per il creditore, corrispondente alla differenza tra il valore del credito e quanto viene effettivamente recuperato. Questo concetto di default fa riferimento a una crisi irreversibile della controparte, tale da rendere necessario l’utilizzo di strumenti di mitigazione del rischio di credito.

Un’altra tipologia di rischio di credito è il Rischio di Migrazione (o di downgrading) che rappresenta la possibilità di un deterioramento del merito creditizio della controparte. Una manifestazione del rischio di credito, infatti, non è delimitata solamente dalla possibilità che la controparte risulti insolvente che non è quasi mai un evento improvviso e imprevedibile, ma è piuttosto un graduale peggioramento del merito creditizio della

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controparte stessa, che talvolta risulta difficile da identificare. Un declassamento del rating di un debitore da parte di una delle agenzie di rating o da parte degli analisti della stessa banca creditrice, non dà luogo ad una perdita economica immediata per la banca, come avviene nel caso dell’insolvenza, ma l’insolvenza rappresenta l’evento estremo, proceduto da diversi livelli di probabilità che tale evento si possa manifestare in futuro. Una terza classificazione del rischio di credito riguarda il Rischio di Recupero, cioè l’eventualità che il tasso di recupero effettivamente conseguito nei confronti di controparti insolventi risulti inferiore a quello originariamente stimato dalla banca. Le variabili aleatorie che incidono sul rischio di recupero, facendo in modo che i tassi di recupero siano caratterizzati da un’elevata variabilità sono:

 L’importo che verrà recuperato, il quale dipende dalla tipologia e liquidabilità delle garanzie e dal valore dei beni a garanzia al momento del default

 Il tasso di interesse a cui occorre scontare tale importo

 Il tempo necessario per poter ottenere il recupero in seguito all’insolvenza dell’affidato

Una quarta tipologia di rischio di credito è il Rischio di Esposizione, ossia il rischio che il valore dell’esposizione nei confronti di una controparte aumenti in modo inaspettato in corrispondenza del periodo appena antecedente il verificarsi dell’insolvenza del debitore. Tale fattispecie può verificarsi nel caso di concessione di finanziamenti in conto corrente. Un’ultima categoria di rischio di credito è il Rischio Paese, il quale si presenta quando lo Stato viene meno ai suoi obblighi; il rischio paese può essere definito anche rischio sovrano ed è associato a eventi di natura politica o legislativa che incidono sulla probabilità di default della controparte.

Il concetto di rischio di credito non deve essere limitato agli impieghi “classici” di una banca, quali i titoli di Stato, i titoli di debito emessi da enti pubblici, le obbligazioni emesse da società private, i finanziamenti alle aziende, i mutui e il credito al consumo, ma deve essere esteso anche alle posizioni fuori bilancio, ossia strumenti derivati trattati nei mercati Over the Counter e regolamentati, sebbene in questo ultimo caso il rischio di credito sia molto meno rilevante. Il problema delle posizioni off-balance deriva dal fatto

(9)

9

che queste spesso sono iscritte in bilancio al valore storico e non al valore corrente (o al fair value2).

1.2 Le componenti del rischio di credito: il calcolo della perdita attesa e

perdita inattesa

Seguendo la distinzione nelle varie tipologie di rischio di credito, quest’ultimo deve essere misurato e conseguentemente gestito facendo riferimento non a una semplice distribuzione binomiale dei possibili eventi, insolvenza e non insolvenza, quanto piuttosto avendo a riferimento una distribuzione nella quale l’evento insolvenza rappresenta unicamente l’evento estremo, proceduto da diversi livelli di probabilità che questo evento estremo possa in futuro manifestarsi. Solo in questo modo si possono, infatti, cogliere adeguatamente le diverse categorie di rischio.

Dalle definizioni di partenza di rischio di credito si desidera adesso passare ad un’esplicitazione delle componenti, dove è possibile distinguere tra tre principali elementi.

Una prima componente è rappresentata dal tasso di perdita atteso, ossia dal valore medio della distribuzione dei tassi di perdita. È evidente che, in quanto attesa, essa non rappresenta il vero rischio di un’esposizione creditizia. Poiché infatti la perdita attesa stimata ex ante viene direttamente computata sulle condizioni di prezzo applicate dal mercato all’emittente in un’attività finanziaria, se essa dovesse trasformarsi in perdita ex-post ciò significherebbe che, a livello di portafoglio, l’istituzione finanziaria creditrice conseguirebbe il rendimento che si era originariamente prefissata.

La seconda componente relativa alla variabilità di tale perdita attorno al suo valore medio, rappresenta il vero fattore di rischio, ossia il rischio che la perdita si dimostri, a posteriori, superiore a quella inizialmente stimata. La distinzione tra perdita attesa e inattesa risulta rilevante dal punto di vista della diversificazione del portafoglio impieghi: mentre infatti il livello di perdita attesa di un portafoglio risulta pari alla media ponderata

2 Il Fair value è definito come il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata o una

passività estinta, in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili. Regolamento CE N. 2237/20014, principio contabile internazionale IAS n.16.

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delle perdite attese degli impieghi che lo compongono, indipendentemente dalla natura di tali impieghi, la variabilità della perdita risulta tanto minore quanto minore è il grado di correlazione tra i singoli impieghi. La perdita attesa non può essere eliminata diversificando il portafoglio in termini di settori produttivi, classi dimensionali; essa può unicamente essere stabilizzata mediante l’ampliamento e la diversificazione del portafoglio, tale da garantire che il livello di perdita media sia effettivamente quello conseguito dal portafoglio impieghi. Al contrario la variabilità di tale perdita può essere significativamente ridotta mediante un’adeguata politica di diversificazione del portafoglio per aree geografiche, settori produttivi e classi dimensionali. La distinzione tra perdita attesa e perdita inattesa risulta particolarmente rilevante anche da un punto di vista contabile: se infatti la quota di perdita che ci si attende da un portafoglio di impieghi dovrebbe dar luogo a una corrispondente rettifica di valore dell’attivo o un accantonamento a fondo rischi, dall’altro la quota di perdita inattesa dovrebbe trovare adeguata copertura nel patrimonio della banca.

La terza componente è rappresentata dall’effetto diversificazione, ossia dalla diminuzione che il tasso di perdita inattesa subisce quando all’interno del medesimo portafoglio vengono inseriti impieghi i cui tassi di perdita inattesa risultano caratterizzati da una correlazione imperfetta.

Per Perdita Attesa - expected loss- si intende quindi “Il valore medio della distribuzione delle perdite che un’istituzione creditizia si attende di subire su un portafoglio prestiti”3,

essa rappresenta quindi la perdita, dunque il costo, che l’istituzione si attende ex-ante di dover sostenere a fronte dell’esposizione creditizia. Essa è definita come:

EL=PD x EAD x LGD

EL rappresenta, in termini percentuali, la perdita che in media si manifesta entro un intervallo temporale di un anno su ogni esposizione (o pool di esposizioni) esistente in portafoglio. Per i crediti in stato di default la PD è pari al 100% e quindi la EL è pari alla LGD. In quanto attesa non è il vero rischio di un’esposizione creditizia, non è coperta con

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accantonamenti, ma dà luogo ad una rettifica di valore dell’attivo o a un accantonamento a fondo rischi.

Vado adesso ad analizzare ognuna delle sue componenti.

 La probabilità di insolvenza - Probability of Default- PD. Essa può essere definita come la rischiosità della controparte destinataria all’esposizione in un dato orizzonte temporale, la quale dipende dalle caratteristiche economiche-finanziarie. Si distingue tra PD individuale e PD di classe4: per PD individuale si intende la PD associata a ogni singolo

debitore, ad esempio sulla base dei risultati di un modello statistico; per PD di classe si intende la PD associata a ogni rating o pool. Nel caso delle esposizioni al dettaglio, la stima della PD può essere riferita ai pool piuttosto che ai singoli debitori.

In generale si possono seguire due approcci differenti per stimare la PD: nel primo le probabilità di default vengono calibrate sui dati di mercato; nel secondo invece esse vengono calibrate sulla base di rating creditizi formulati da agenzie specializzate come Moody’s, Standard & Poor e Fitch, oppure dalla stessa banca mediante rating interni e assegnando ad ogni classe di rating una corrispondente PD. Seguendo la classificazione del paragrafo precedente, la probability of default esplica e incorpora in sé il rischio di insolvenza e il rischio di migrazione5 definiti precedentemente. Il rischio di insolvenza si

manifesta infatti con un’alta probabilità che il debitore non adempia per intero all’obbligazione, con la possibilità che ciò comporti una perdita economica per il creditore corrispondente. Questo concetto di default fa riferimento ad una situazione di crisi irreversibile della controparte tale da rendere necessaria l’escussione delle garanzie con probabile perdita di quote significative del capitale complessivamente prestato. Il rischio di insolvenza, associato alla PD, è la manifestazione dell’aumento di numero delle controparti insolventi che riguarda tutte le esposizioni soggette. Le possibili cause di tali manifestazioni possono essere ricercate nella diminuzione della crescita economica e nell’aumento dei tassi di interesse. La PD come detto prima racchiude in sé anche il rischio di migrazione, che si manifesta con il deterioramento del merito creditizio delle controparti affidate. Le possibili cause di tali manifestazioni vanno cercate, come per il

4 Banca d’Italia, recepimento della nuova regolamentazione prudenziale internazionale, metodo dei

rating interni per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, circolare 285/2013.

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rischio di insolvenza, nella diminuzione della crescita economica e nell’aumento dei tassi di interesse.

 Il tasso di perdita in caso di insolvenza - Loss Given Default-LGD. Rappresenta la perdita che la banca subisce a fronte dell’esposizione quando la controparte diventa insolvente. Essa non è mai nota ex-ante, ma si manifesta solo quando l’operazione è conclusa. La perdita va determinata facendo riferimento al concetto di perdita economica, che tiene conto dei flussi recuperati e dei costi diretti e indiretti collegati al recupero dei crediti che devono essere attualizzati utilizzando un opportuno tasso di interesse e in relazione alle diverse tipologie di operazioni e non in relazione al singolo obbligato. In formule è possibile identificare la LGD come:

LGD= 1 – RR

Dove RR indica il recovery rate, cioè il tasso di recupero il quale è influenzato dalle caratteristiche dell’esposizione come le garanzie reali, il grado di priorità dell’esposizione, eventuali garanzie personali; dalle caratteristiche della controparte come il settore ed il Paese in cui si opera, alcuni indici finanziari tra cui la leva; dalle caratteristiche della banca e da fattori esterni come lo stato del ciclo economico e il livello dei tassi di interesse. È possibile analizzare il legame tra PD e LGD, per dimostrare come queste due variabili siano fortemente correlate tra loro. Si possono individuare, infatti, fattori sistematici di rischio che incidono contemporaneamente sui tassi di default e su quelli di recupero, come:

 effetti a catena, come il ciclo economico, per cui ad esempio in presenza di una crisi i tassi di default aumentano e conseguentemente i tassi di recupero diminuiscono.

 tassi d’interesse e attività finanziarie che possono costituire oggetto di garanzie reali alla base delle esposizioni.

Un eventuale aumento dei tassi d’interesse può portare ad un innalzamento dei tassi di default, a una riduzione del valore delle garanzie e quindi ad una diminuzione dei tassi di recupero. La componente del rischio di credito LGD è esplicativa del rischio di recupero, che come detto precedentemente esprime una tipologia del rischio di credito. Esso si manifesta con una diminuzione del tasso di recupero dei crediti insolventi e le possibili

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cause sono da ricercare in un aumento dei tassi di interesse e una diminuzione del valore delle attività reali.

In generale l’evidenza dimostra una relazione inversa tra tassi di default e tassi di recupero, dunque diretta tra PD e LGD, esistono però delle eccezioni dovute al fatto che a volte l’attività finanziaria o l’immobile oggetto di garanzia può appartenere ad un settore che risulta inversamente correlato a quello del garante e ciò fa sì che un aumento della PD si traduca in una diminuzione della LGD, al contrario di quanto accade solitamente.

 L’esposizione in caso di insolvenza - Exposure at Default-EAD, è una variabile la cui aleatorietà cambia al variare della forma tecnica del finanziamento. Si distinguono due tipologie di esposizioni: quelle a valore certo, per le quali è noto alla banca l’ammontare esatto del finanziamento concesso, e quella a valore incerto, il cui importo non è quantificabile immediatamente, ma solo al manifestarsi dell’insolvenza, come ad esempio l’apertura di un credito in conto corrente. Per stimare la EAD si può applicare analiticamente la formula:

EAD=DP x UP x CCF Dove:

DP=drawn portion, indica la quota di fido utilizzata; UP=undrawn portion, è la quota non utilizzata;

CCF=credit conversion factor è la percentuale di quota inutilizzata che si ritiene venga utilizzata dal debitore in corrispondenza dell’insolvenza. L’Exposure at Default è la manifestazione diretta del rischio di Esposizione affrontato precedentemente: esso infatti si manifesta con un aumento dell’esposizione e l’insolvenza di una controparte affidata. Tale rischio è connesso all’aleatorietà e alle esposizioni per le quali il debitore gode di discrezionalità.

Infine la perdita attesa è determinata dalla Maturity, cioè la scadenza effettiva, e si intende, per una data esposizione, la media delle scadenze contrattuali dei vari pagamenti, ciascuna ponderata per il relativo importo.

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La Perdita Inattesa -Unexpected Loss-UL, costituisce la vera fonte di rischio per la banca ed è definita come “la variabilità della perdita attorno al suo valore medio, cioè attorno alla EL”6. Essa rappresenta il rischio, ex post, che la perdita si dimostri superiore a quella

stimata ex ante. Ciò deriva dalla possibilità che il tasso di insolvenza (ovvero la PD) risulti a posteriori superiore a quello originariamente stimato e dalla possibilità che il tasso di recupero in caso di insolvenza (ovvero RR) risulti a posteriori inferiore a quello originariamente stimato. Si tratta dunque di comprendere, seguendo una logica di tipo probabilistico come quella descritta dal Value at Risk (VaR), fino a quale punto il deterioramento di queste due variabili può arrivare con un certo livello di confidenza. In termini economici ciò significa stimare fino a dove potrebbe arrivare il tasso di perdita del portafoglio impieghi se si verificassero eventi sfavorevoli come un peggioramento delle condizioni economiche. Ad esempio fissato un livello di confidenza al 99,9 per cento, si tratta di stimare la perdita che potrebbe essere superata solo nello 0,1 per cento dei casi più sfavorevoli. Graficamente ciò può essere illustrato dalla Figura 1, la quale mostra la distribuzione delle frequenze degli importi delle perdite.

Figura 1: La distribuzione del tasso di perdita

Fonte: Forestieri G., Corporate and Investment Banking, EGEA, Milano, 2015.

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Generalmente la perdita inattesa (UL) è quantificata dalla seguente relazione:

dove:

 rappresenta la varianza del tasso di insolvenza;  rappresenta la varianza del tasso di perdita;  LGD è il tasso di perdita atteso in caso di insolvenza;  EDF, è il tasso di insolvenza atteso.

Tale formula si fonda sull’ipotesi che LGD e EDF siano indipendenti e quindi i fattori che influiscono su una variabile non incidono anche sull’altra. Se tale ipotesi non fosse valida, sarebbe necessario correggere la formula aggiungendo la covarianza delle variabili. La distinzione tra EL e UL risulta utile soprattutto dal punto di vista della diversificazione del portafoglio impieghi: infatti mentre il livello di perdita attesa totale, pari alla media ponderata delle perdite attese dei singoli impieghi, non può essere diversificato, la variabilità della perdita inattesa diminuisce al diminuire della correlazione tra gli impieghi. Questa è una caratteristica fondamentale perché permette, mediante una diversificazione del portafoglio, di ridurre il rischio di credito totale a parità di rendimento. Un’ulteriore distinzione tra perdita attesa e inattesa riguarda il fatto che, se per la prima tipologia di perdita è previsto un corrispondente accantonamento a riserva registrato in conto economico, per la perdita inattesa invece deve esserci la copertura mediante il patrimonio della banca e tale ammontare dovrà dunque essere supportato dagli azionisti. Si può concludere ribadendo che la misura della perdita inattesa risulta sempre condizionata dalla prima fase di misurazione del rischio di credito, cioè dalla stima della perdita attesa.

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1.2.1 Il rischio di insolvenza: Il default

Il concetto di rischio di credito, come affermato nelle pagine precedenti, è legato principalmente al concetto di rischio di insolvenza, ovvero il rischio che il debitore non adempia per intero all’obbligazione con la conseguente perdita economica per il creditore. Per ovviare a tale problema la banca e ogni altro istituto finanziario, nel momento di concedere il credito, effettua una valutazione del merito creditizio del cliente, ovvero un’analisi di affidabilità intesa come grado di fiducia di cui il cliente è meritevole. Esso assume in via prevalente la funzione di controllo del comportamento della clientela con l’obiettivo di verificare nei limiti del possibile la capacità del debitore di far fronte al servizio del debito (pagare gli interessi sul debito) e restituire il prestito (estinguere l’obbligazione). Per la banca la finalità principale della selezione della clientela è formulare giudizi puntuali sulla base della capacità della controparte di rispettare alla scadenza gli impieghi assunti a fronte del capitale preso a prestito e quindi di stimare il valore della Probabilità di Default (ovvero la PD). La valutazione del merito creditizio consiste in ricerche effettuate dalle banche volte all’acquisizione di informazioni sulle controparti attraverso procedure e prassi specifiche per ogni segmento di clientela. Il primo aspetto da tenere in considerazione nell’analisi di affidabilità si basa sull’individuazione delle possibili cause che conducono all’insolvenza in relazione alla specifica tipologia di controparte, le quali possono riferirsi a forze comuni come anche a motivazioni peculiari. Le cause di default, infatti, anche se originano sempre dall’incapacità o indisponibilità di rispettare gli impegni assunti a fronte di un capitale preso a prestito, possono essere profondamente diverse. La banca per poter identificate le possibili determinanti che influiscono nel default e procedere quindi con la concessione del prestito deve avere a disposizione un set informativo dettagliato in relazione ai diversi segmenti di clientela, composto generalmente da fonti informative esterne, informazioni fornite dal cliente e da fonti di informazioni interne e di sistema. L’utilizzo di diverse metodologie di analisi risponde principalmente alla necessità di tener conto del livello massimo di costo compatibile con le diverse classi di operazioni e di clientela. Infatti, le tecniche che si basano su informazioni quantitative sono facilmente automatizzabili, quindi traducibili in algoritmi applicati direttamente da elaboratori anche se sotto il controllo di esperti, mentre quelle che si basano su informazioni qualitative sono maggiormente sofisticate e quindi anche più costose perché maggiormente labour

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intensive. Generalmente per finanziamenti di importo molto consistente, di norma

concessi alle grandi imprese, vengono utilizzate tecniche di analisi del merito creditizio complete e sofisticate, che tengono conto sia di fattori quantitativi, ma soprattutto di valutazioni soggettive su fattori qualitativi suscettibili di influenzare la stabilità finanziaria futura della controparte. Mentre per i prestiti al consumo erogati a clientela privata, associati in genere a perdite di entità limitata, vengono utilizzate principalmente procedure il più possibile standardizzate e semplificate basate anche su autocertificazioni richieste al cliente (scoring automatici), in quanto il costo massimo è limitato e non consente pertanto di assorbire l’onere di un’attività di screening sufficientemente personalizzata e completa.

Per avere una definizione dettagliata di default, bisogna fare riferimento al regolamento 575/2013 e alla direttiva 36/2013 con i quali vengono introdotte nell’Unione Europea le regole definite dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria7 ; a tal proposito l’EBA nel

Settembre 2016 ha pubblicato delle linee guida sull’applicazione della definizione di default8 . L’autorità Bancaria Europea ha infatti provveduto a chiarire gli aspetti relativi

alla definizione di default, con lo scopo di migliorare la comparabilità e la coerenza dei requisiti patrimoniali tra i paesi dell’Unione. I presenti orientamenti si applicano dal 1° gennaio 2021. Pertanto gli enti dovrebbero, entro tale data, integrare i requisiti ivi previsti nelle proprie procedure interne e nei propri sistemi informatici. Tuttavia, le autorità competenti potranno, a propria discrezione, accelerare la tempistica della transizione. Come già previsto nella Direttiva 2006/48/CE il Regolamento conferma che per considerare intervenuto il default di un debitore si debbano verificare una o entrambe queste circostanze:

a) ”sia giudicato improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l'escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso l'ente stesso, la sua impresa madre o una delle sue filiazioni”;

b) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su una obbligazione creditizia rilevante”.

Relativamente a tale ultimo punto, è poi attribuita alle Autorità competenti la possibilità

7 Tali nuovi provvedimenti sostituiscono integralmente la Direttiva 2006/48/CE. Il Regolamento UE n.

575/2013 avendo diretta efficacia negli Stati membri non richiede il recepimento da parte degli Stati.

8 European Banking Authority, Guidelines on the application of the definition of default under Article 178

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di sostituire, limitatamente agli intermediari autorizzati all’utilizzo di modelli interni per il calcolo del requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito (IRB) , il periodo di 90 giorni con uno di 180 giorni per le esposizioni che siano garantite da immobili residenziali o non residenziali di piccole e medie imprese incluse nel portafoglio regolamentare “esposizioni al dettaglio”, nonché per le esposizioni verso enti del settore pubblico. Agli intermediari che utilizzano la metodologia standardizzata continua ad applicarsi esclusivamente il termine di 90 giorni ai fini della classificazione nel portafoglio “esposizioni in stato di default”.

Ai fini dell’applicazione dell’articolo 178, l’EBA definisce che “Laddove l’importo del capitale, degli interessi o delle commissioni non sia stato pagato alla data in cui era dovuto, gli enti sono tenuti a dichiarare in arretrato l’obbligazione creditizia”9. In

riferimento alle improbabilità di pagamento, l’EBA attraverso le linee guida fornisce chiarimenti in merito all’applicazione ci ciascuna indicazione di improbabilità di pagamento. In particolare il debitore deve essere classificato come inadempiente se:

 le perdite rilevate nel conto economico degli strumenti valutati al fair value rappresentano la riduzione del rischio di credito in base al quadro contabile applicabile;

 le perdite derivanti da eventi presenti o passati che incidono su un’esposizione individuale significativa o su esposizioni che non sono individualmente significative,

valutate singolarmente o collettivamente.

Tali indicazioni dovrebbero essere considerate come il risultato di un significativo calo percepito nella qualità del credito e quindi dovrebbero essere trattati come un'indicazione di improbabilità nel pagamento10.

Gli enti che utilizzano dati esterni di per sé non coerenti con la definizione delle situazioni di default definita precedentemente, adattano opportunamente i dati al fine di realizzare

9 European Banking Authority, Guide Lines on the application of the definition of default under Article 178

of Regulation UE n.575/2013, op.cit.

10 Al momento dell'attuazione di queste linee guida molte istituzioni avranno già applicato il nuovo principio

contabile IFRS 9 invece degli attuali standard contabili definiti dallo IAS 39. Dal momento che queste nuove regole sono significativamente diverse dallo IAS 39 e introduce il concetto di perdite attese su crediti, che è definito nel nuovo quadro contabile, l'European Banking Authority ritiene necessario specificare il trattamento delle disposizioni in base all'IFRS 9 - nonostante tali norme non siano entrate in vigore.

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una sostanziale equivalenza con la definizione di default. Per ciascuna differenza evidenziata nella definizione, gli enti dovrebbero effettuare tutte le seguenti operazioni:  valutare se la rettifica della definizione di default interna comporterebbe un

maggiore

o un minore tasso di default o se sia impossibile determinarlo;

 eseguire opportune rettifiche ai dati esterni o essere in grado di dimostrare che la

differenza è trascurabile in termini di impatto su tutti i parametri di rischio e sui requisiti in materia di fondi propri.

Se l'ente giudica che un'esposizione precedentemente classificata come in stato di default è tale per cui per essa non ricorre più nessuna delle circostanze previste dalla definizione, esso classifica il debitore o l'operazione come se si trattasse di una esposizione regolare. L’ente deve tenere inoltre conto del comportamento del debitore in un arco di tempo di almeno tre mesi e dopo tale termine valutare se persiste o meno lo stato di default del debitore. Passato tale termine l’ente deve effettuare nuovamente una valutazione e, laddove si constati ancora l’improbabile adempimento integrale delle proprie obbligazioni senza l’escussione delle garanzie, le esposizioni dovrebbero continuare a essere classificate in stato di default fino a quando l’ente valuti un miglioramento effettivo e permanente della qualità creditizia. Inoltre gli enti dovrebbero riclassificare l’esposizione in stato di non default se trascorso almeno un anno vengono soddisfatte le seguenti condizioni:

 Nel corso di tale periodo è stato effettuato un pagamento significativo da parte del debitore, ad esempio quando il debitore abbia rimborsato tramite pagamenti regolari un totale pari all’importo che era precedentemente scaduto o che era stato annullato;

 Durante tale periodo sono stati effettuati pagamenti regolari in base al programma definito;

 Non sussistono indicazioni dell’improbabile adempimento del debitore o qualsiasi ulteriore indicazione stabilito dall’ente;

(20)

 L’ente non ritiene improbabile che il debitore adempia integralmente alle proprie obbligazioni creditizie secondo il programma stabilito dagli accordi di ristrutturazione senza l’escussione di garanzie.

Gli enti dovrebbero inoltre controllare regolarmente l’efficacia delle rispettive politiche definite e in particolare monitorare e analizzare i cambiamenti di status dei debitori o delle linee di credito.

1.2.2 Il default nelle banche italiane

Come definito nelle pagine precedenti le cause di default originano dall’incapacità o indisponibilità di rispettare gli impegni assunti a fronte di un capitale preso a prestito, la banca per poter identificate le possibili determinanti che influiscono sul default e procedere quindi con la concessione del prestito deve avere a disposizione un set informativo dettagliato in relazione ai diversi segmenti di clientela. Tuttavia molte volte, e come la recente crisi finanziaria ha mostrato, un’analisi ex-ante sulle capacità di rimborso del debitore non è sufficiente ad arginare il problema, in quanto il debitore può risultare inadempiente in periodi successivi alla concessione del credito e a causa di una sopraggiunta situazione avversa.

Da gennaio 2015 si ha una nuova definizione di crediti deteriorati armonizzata a livello europeo. La nuova classificazione si divide in inadempienze probabili ed esposizioni

scadute e sconfinanti. Le prime sono esposizioni per cui la banca giudica improbabile che

il debitore adempia integralmente senza il ricorso all’escussione delle garanzie; le seconde sono esposizioni che alla data della segnalazione sono scadute e/o sconfinanti da oltre 90 giorni e superano una certa soglia di materialità riferita alla quota scaduta. Tali esposizioni possono riferirsi alla singola transazione o al singolo debitore. Le inadempienze probabili e le esposizioni scadute e/o sconfinanti formano i Non Performing Loans. Un elevato stock di crediti deteriorati tende ad avere conseguenze negative per le singole banche, sia sotto forma di compressione degli utili e sia in una minore capacità di raccogliere nuove risorse sul mercato. Il problema dei crediti deteriorati delle banche italiane è in larga parte il risultato dell'eccezionale fase recessiva

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21

che ha colpito l'economia italiana negli ultimi anni e in alcuni casi al fenomeno hanno contribuito pratiche di erogazione del credito inadeguate o illecite; all’elevato stock di crediti deteriorati contribuisce la lentezza delle procedure di recupero crediti, a sua volta connessa in larga misura con i ritardi della giustizia civile. La doppia recessione che ha colpito il nostro Paese tra il 2008 e il 2014 ha inciso pesantemente sui bilanci delle banche italiane e sulla qualità dei loro prestiti. La crisi ha avuto due differenti fasi: il sistema bancario italiano ha retto relativamente bene alla recessione del 2008-09, causata dal collasso dei mutui subprime statunitensi e dalla crisi dei relativi prodotti di finanza strutturata, verso cui le banche italiane, a differenza di altri intermediari europei, erano poco esposte; tuttavia, il peggioramento della situazione economica e finanziaria della clientela aveva comportato un significativo aumento del tasso di formazione di nuovi crediti deteriorati e della loro consistenza nei bilanci delle banche. La seconda fase ha avuto inizio nella seconda metà del 2011 con la crisi del debito sovrano italiano. Con la nuova recessione la capacità della clientela di ripagare il debito si è ulteriormente ridotta, comportando un nuovo aumento del tasso di formazione di nuovi crediti deteriorati e una ulteriore crescita della loro consistenza.

Dalle indagini relative al 201611, per il sistema bancario italiano i tassi di recupero sulle

sofferenze si posizionano in media su valori coerenti con i tassi di copertura risultanti dai bilanci. A dicembre del 2015 il tasso di copertura medio era pari al 59%, cui corrisponde un tasso di recupero atteso del 41% e i tempi medi di chiusura delle sofferenze si sono sensibilmente allungati nel periodo analizzato. I tassi di recupero differiscono significativamente da banca a banca, nel decennio 2006-2015 il tasso di recupero è risultato pari in media al 43% oscillando tra un valore minimo del 34% e un massimo del 49%. Dal 2014 si registra tuttavia un notevole incremento del numero delle chiusure, che potrebbe segnalare un’inversione di questa tendenza. I tassi di recupero risultano molto superiori ai prezzi che le banche riescono generalmente a ottenere da una vendita a investitori privati, e variano significativamente da banca a banca, ciò indica che gli intermediari hanno margini e incentivi per proseguire con decisione negli interventi già avviati per elevare l’efficienza dei processi interni di gestione e di recupero dei crediti deteriorati individuando quale sia il mix in grado di massimizzare il valore di tali attivi.

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Analizzando i dati al Novembre 2017 relativamente allo stato di insolvenza delle imprese italiane12 si evidenzia come la capacità delle imprese di far fronte ai propri debiti verso il

sistema finanziario è notevolmente migliorata. Sulla base del modello della Banca d’Italia per la valutazione dei crediti bancari per un campione di circa 290.000 società di capitale indebitate e prive di arretrati nei pagamenti, il valore mediano della probabilità di insolvenza a un anno è diminuito dal 2,5 all’1,0 per cento tra il 2013 e lo scorso luglio.

1.3 Le tecniche di mitigazione del rischio di credito

Come descritto prima, le cause di default anche se originano sempre dall’incapacità o indisponibilità di rispettare gli impegni assunti a fronte di un capitale preso a prestito, possono essere diverse. La banca per poter identificare le possibili determinanti che influiscono nel default e procedure quindi con la concessione del prestito, deve avere a disposizione un set informative dettagliato in relazione ai diversi segmenti di clientele, composto generalmente da fonti informative esterne, informazioni fornite dal cliente e da fonti di informazioni interne e di sistema. A ciò si aggiunge la possibilità per l’intermediario di adottare strumenti di mitigazione, le garanzie, le quali consentono, quando possibile, il recupero del credito concesso.

Le garanzie ricoprono diversi ruoli, qui dobbiamo fare riferimento sia ad una funzione economica, sia ad una funzione regolamentare. La funzione economica delle garanzie è quella di recupero, la cui funzione è quella di abbattere la perdita e trasferire il rischio: nel momento di default, ossia nel momento dell’insolvenza, la banca (o altro intermediario) ricerca se la posizione è garantita o meno e nel primo caso tenta di escutere la garanzia e di rendere più agevole il rientro degli importi erogati. Nella definizione di LGD essa rappresenta la perdita economica al momento del default, rappresenta il reciproco del tasso di recupero e di conseguenza la perdita è il reciproco di quanto riesco di fatto a reiterare. La garanzia è vista come una tecnica di trasferimento del rischio, come tecnica di abbattimento e mitigazione, che consente un’allocazione delle risorse che altrimenti non avverrebbe. La vigilanza, in particolare con Basilea 2 e

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Basilea 3, arricchisce il senso delle garanzie perché danno loro anche una valenza ex-ante, la garanzia consente un abbattimento del rischio di credito che si traduce in una minor misura del rischio di credito e in una minore quantità di capitale da accantonare. La garanzia in chiave ex-ante è quindi una tecnica di mitigazione del rischio di credito che cerca di diminuire l’esposizione al rischio, anche se è soggetta a determinati requisiti che devono essere rispettati.

La Mitigazione del Rischio di Credito, nota come Credit Risk Mitigation (CRM) riguarda quindi l’identificazione delle tecniche, in particolare strumenti o garanzie, idonee al presidio del rischio di credito ed i requisiti di idoneità, affinché tali strumenti possano abbattere l’accantonamento patrimoniale obbligatorio previsto dalla regolamentazione. Pertanto, le tecniche di CRM sono rappresentate da contratti accessori al credito cioè da altri strumenti e tecniche che determinano una riduzione del rischio di credito, riconosciuta in sede di calcolo dei requisiti patrimoniali. L’adozione delle tecniche di CRM è consentita a tutte le banche, indipendentemente dal metodo scelto (metodo standard o metodo IRB) per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito. Le tecniche riconosciute per tutti i metodi di calcolo del requisito patrimoniale sono suddivise in due categorie generali: la protezione del credito di tipo reale e la protezione del credito di tipo personale.

Alle prime appartengono le garanzie reali finanziarie e quelle di tipo immobiliare, le ipoteche su immobili commerciali e residenziali, e le operazioni di leasing immobiliare. Per quanto riguarda i requisiti di idoneità, la normativa annovera una loro classificazione:

 Certezza giuridica: tutti i documenti relativi alla garanzia devono essere di indiscussa validità dal punto di vista giuridico, pienamente vincolanti per tutte le parti e legalmente opponibili in ogni giurisdizione;

 Netta ed oggettiva separazione dei beni in garanzia da quelli del patrimonio del depositario, nel caso in cui le garanzie siano conservate presso un terzo depositario;

 Bassa correlazione con l’esposizione sottostante, vale a dire non devono sussistere elementi di dipendenza tra la evoluzione della capacità di restituzione da parte del debitore originario ed il valore del bene posto a garanzia;

 Assenza di disallineamenti, vale a dire la durata residua della garanzia deve essere allineata con la scadenza del debito garantito;

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 Solidi processi di gestione del rischio: è opportuno che vengano assunte adeguate misure per prevenire e, ove possibile assicurare con polizze, i rischi connessi sia alla possibile perdita della garanzia sia alle possibili imputazioni per danni a terzi con riferimento ai beni avuti in garanzia;

 Privilegio di primo grado sulla garanzia. Tuttavia garanzie di grado superiore al primo sono ammesse nella misura in cui esse conservino chiaramente una capacità di copertura del rischio dopo la escussione della prima garanzia, tenuto conto di tutti gli oneri finanziari connessi al ritardo di incasso ed i costi diretti ed accessori, incluse le spese figurative dovute alla procedura di escussione.

Tra le tecniche di protezione di tipo personale, invece, si ritrovano le garanzie personali (avvallo, polizza fideiussoria) e derivati su crediti. In particolare, per le tecniche di tipo personale i requisiti sono sia di carattere oggettivo che soggettivo.

Per quanto riguarda i requisiti oggettivi minimi (validi sia nel metodo standard che IRB), la garanzia deve essere:

 diretta: la garanzia deve rappresentare un impegno diretto assunto contrattualmente dal garante;

 esplicita: la garanzia deve essere legata all’esposizione, o al gruppo di operazioni, verso cui il garante assume l’impegno in modo specifico, esplicito, chiaro ed incontrovertibile.

 irrevocabile: non sono ammesse clausole nel contratto a favore del garante che gli consentano la revoca della garanzia o un eventuale aumento del costo effettivo a seguito del deterioramento della qualità creditizia dell’esposizione garantita (ad es. la scadenza concordata non può essere ridotta unilateralmente a posteriori dal garante);

 incondizionata: il soddisfacimento della obbligazione assunta a garanzia non può essere soggetta a condizioni che possano impedire al garante di essere obbligato a pagare tempestivamente nel caso in cui il debitore originale sia inadempiente; solo nel metodo IRB avanzato possono essere riconosciute, a determinate condizioni, garanzie condizionate.

Per quanto riguarda i requisiti soggettivi (differenziati tra metodo Standard e IRB) sono ritenute ammissibile le garanzie prestate dai seguenti soggetti:

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25

 soggetti sovrani, enti pubblici, banche, società di intermediazione mobiliare con ponderazione di rischio inferiore al soggetto garantito;

 imprese con rating esterno pari almeno ad A- ovvero con Probabilità di insolvenza (PD) corrispondente a tale rating;

 non sono poste restrizioni al tipo di garanti idonei, pertanto il garante potrebbe avere anche una valutazione di rating inferiore a quello dell’obbligato principale, purché rientrante in specifici criteri, chiaramente definiti dalla banca stessa, e tali da assicurare una corretta valutazione della capacità del garante di adempiere all’impegno assunto.

A tali garanzie si aggiungono poi la contro-garanzia e la cogaranzia. La contro-garanzia è una garanzia di secondo livello, ovvero indiretta, che consente alla banca di richiedere il pagamento dell’obbligazione al contro garante nel caso di inadempimento sia del debitore, sia del garante. La controgaranzia deve coprire tutti gli elementi del rischio, con una protezione completa e diretta. La cogaranzia è invece una garanzia diretta di primo livello che concorre con un’altra garanzia nel caso di default del debitore.

1.4 L’ andamento del credito dal 2008 a oggi

Dopo aver analizzato lo stato di sofferenza dei crediti e aver introdotto le tecniche di mitigazione del rischio di credito, passerò ad analizzare gli eventi degli ultimi anni che hanno portato alla crisi finanziaria del 2007, soffermandomi in particolare sulla domanda e concessione di credito da parte degli enti creditizi in questa lunga e turbolenta fase della storia economica contemporanea.

La crisi finanziaria dei mutui subprime ha avuto inizio negli Stati Uniti nel 200613. I

presupposti della crisi risalgono al 2003, quando cominciò ad aumentare in modo significativo l'erogazione di mutui ad alto rischio, ossia a clienti che in condizioni normali non avrebbero ottenuto credito poiché non sarebbero stati in grado di fornire sufficienti garanzie. A partire dal 2000 e fino alla metà del 2006, negli Stati Uniti i prezzi delle abitazioni sono cresciuti in maniera costante e significativa, generando una vera e propria

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bolla immobiliare. Tale dinamica era favorita dalla politica monetaria accomodante della Federal Reserve (FED). Tassi di interesse bassi equivalevano a un basso costo del denaro per i prenditori dei fondi, ossia per le famiglie che richiedevano mutui ipotecari, e finirono pertanto con lo stimolare la domanda di abitazioni alimentandone ulteriormente i relativi prezzi. La bolla immobiliare, inoltre, rendeva conveniente la concessione di mutui da parte delle istituzioni finanziarie che, in caso di insolvenza del mutuatario, potevano comunque recuperare il denaro prestato attraverso il pignoramento e la rivendita dell'abitazione. In tale contesto il giudizio delle agenzie di rating ha assunto un'importanza crescente in quanto riferimento condiviso per la valutazione dei prodotti. Il rating, tuttavia, esprimeva i risultati di stime basate sui modelli di valutazione adottati dalle agenzie e risultava pertanto assoggettato ai limiti che le ipotesi alla base dei modelli stessi potevano presentare. Tali limiti divennero evidenti in seguito allo scoppio della crisi subprime, quando divenne chiaro che le agenzie avevano utilizzato modelli non sufficientemente sofisticati, ovvero basati su ipotesi e scenari sull'evoluzione del quadro congiunturale troppo ottimistici. In quella circostanza fu evidente inoltre, che le agenzie avevano assegnato rating troppo generosi (anche per effetto di conflitti di interessi che creavano incentivi in tale direzione) e si erano dimostrate troppo caute nel rivedere il proprio giudizio sugli emittenti che incominciavano a manifestare i primi segnali di crisi. Le istituzioni finanziarie più coinvolte nell'erogazione dei mutui subprime registrarono pesanti perdite. A partire da luglio 2007 e per tutto il 2008, inoltre, si susseguirono vari declassamenti del merito di credito (downgrading) di titoli cartolarizzati da parte delle agenzie di rating. Tali titoli, ormai ampiamente diffusi sul mercato, persero ogni valore e diventarono illiquidabili, costringendo le società veicolo a chiedere fondi alle banche che li avevano emessi e che avevano garantito linee di liquidità. Alcune banche, tuttavia, non furono in grado di reperire la liquidità necessaria per soddisfare tali richieste, poiché nessun istituto finanziario era disposto a fare loro credito. Tali circostanze condussero alcuni tra i maggiori istituti di credito statunitensi verso il fallimento, evitato grazie all'intervento della FED. La banca di investimento Lehman Brothers, tuttavia, non ricevette aiuti statali o supporto da soggetti privati e avviò le procedure fallimentari il 15 settembre 2008. L'insolvenza della banca d'affari americana Lehman Brothers innescò una nuova fase di intensa instabilità. La crisi apparve sempre più nella sua natura sistemica, con turbolenze senza precedenti che si estesero dal mercato dei prodotti

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27

strutturati ai mercati azionari, in particolare ai titoli delle società del settore finanziario, e progressivamente all'intero sistema finanziario evidenziando un elevato grado di interconnessione. Per effetto dell'esposizione diretta o indiretta delle banche di alcuni paesi europei al fenomeno dei mutui subprime, il contagio si estese anche all'Europa. In breve tempo, la crisi dei mutui subprime si trasferì all'economia reale statunitense ed europea, provocando una caduta di reddito e occupazione. A tale caduta concorsero la restrizione del credito bancario a famiglie e imprese, il crollo dei mercati azionari e dei prezzi delle abitazioni e il progressivo deterioramento delle aspettative di famiglie e imprese, con conseguenti ripercussioni su consumi e investimenti. Le interdipendenze commerciali tra paesi, infine, comportarono una pesante riduzione del commercio mondiale.

In Europa, la crisi toccò per prima Northern Rock, quinto istituto di credito britannico specializzato nei mutui immobiliari, oggetto a metà settembre del 2007 di una corsa agli sportelli. La Banca centrale britannica procedette alla nazionalizzazione dell'istituto, impegnando circa 110 miliardi di sterline. Consistenti piani di salvataggio per istituti di credito in difficoltà vennero predisposti da Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Svezia. Nel complesso gli aiuti erogati dai governi alle banche dei rispettivi sistemi nazionali raggiunsero i 3.166 miliardi di euro in Europa, sotto forma di garanzie (2.443 miliardi), ricapitalizzazioni (472 miliardi) e linee di credito e prestiti (251 miliardi). Il restringimento delle possibilità di investimento, unito alla percezione di una forte incertezza sulle prospettive economiche dell’economia globale, incise negativamente su tutte le componenti della domanda aggregata. La restrizione creditizia a sua volta aumentò la probabilità d’insolvenza di famiglie e imprese inducendo un nuovo aggravamento della congiuntura. Di conseguenza all’acuirsi della crisi, quasi tutte le principali economie avanzate registrarono forti contrazioni del PIL nel 200914,

come mostrato in figura 2.

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Figura 2: Andamento del Pil in Italia e nell’Area Euro

Fonte: Istat, Documento di economia e finanza, allegato statistico, 2014

Un’analisi svolta dalla banca centrale europea nel 2012 sulle difficoltà di accesso al credito per le piccole-medie imprese, mostrava come su un campione di imprese che nel triennio 2009-2011 avevano chiesto dei finanziamenti alle banche, solo una percentuale dei richiedenti riusciva a ottenere il credito alle condizioni richieste. Solo le economie più forti e stabili, come la Germania e Austria sono riuscite a reagire meglio alle congiunture negative dell’economia in quegli anni, altri paesi come Italia, Spagna e Grecia siano stati maggiormente colpiti dalla crisi. Queste conseguenze possono essere ricondotte sia ad una struttura economica debole, sia alla dipendenza di questi paesi dal settore bancario come unica fonte per le richieste di finanziamento, ma soprattutto alla crisi del debito sovrano scoppiata nel 2010. Inoltre per contenere il rischio di credito, il sistema bancario si è orientato maggiormente verso le imprese più grandi e di migliore qualità, a scapito delle imprese più piccole.

La crisi del debito sovrano trova, come la crisi del 2007, le sue radici nella crisi dei mutui subprime statunitensi. I paesi dell'eurozona presentavano differenze15 significative nelle

condizioni di finanza pubblica e nel tasso di crescita. I Paesi core (come la Germania) si connotavano per livelli contenuti del debito pubblico e per un‘attività economica più solida, mentre Paesi come Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna, si caratterizzavano

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29

per una maggiore vulnerabilità legata a dinamiche non sostenibili del debito pubblico, dovuta all'indebitamento accumulato negli anni, all'incremento incontrollato del deficit e a bassi tassi di crescita del PIL e, non ultimo, agli oneri delle operazioni di salvataggio degli istituti bancari in crisi.

Nonostante tali differenze, nel 2010 l'Area euro aveva beneficiato della ripresa economica, sebbene con ritmi e modalità eterogenei tra paesi e aree geografiche: i tassi di crescita del Pil avevano raggiunto i valori pre-crisi negli Stati Uniti e in Germania, ma si sono mantenuti a livelli significativamente inferiori nel Regno Unito e in molti paesi dell'Area euro (tra i quali l'Italia). Il dissesto dei conti pubblici della Grecia, reso noto nell'ottobre 2009, ha segnato, tuttavia, il passaggio a una nuova fase della crisi, quella del debito sovrano, interrompendo la ripresa già incerta.

La crisi ha avuto epicentro nei paesi periferici dell'eurozona (Portogallo, Irlanda e Grecia) per poi estendersi nel corso del 2011 a Spagna e Italia. Le tensioni di questi paesi si sono riflesse immediatamente su tutti i principali mercati finanziari, ove si sono registrati cali di ampie dimensioni, in alcuni casi comparabili a quelli verificatisi nel corso della crisi del 1929. Gli effetti della crisi hanno poi trovato nelle concessioni di credito bancario un veloce canale di trasmissione verso l'economia reale: a partire dall'inizio del 2009 si sono registrati, infatti, forti segnali di irrigidimento degli standard di concessione del credito da parte del sistema bancario sia in Europa sia negli Usa. I dati segnalavano evidenze sia del cosiddetto razionamento in senso forte, consistente in un vero e proprio rifiuto di accordare nuovi finanziamenti, sia del cosiddetto razionamento in senso debole, consistente nella concessione di finanziamenti a condizioni tanto onerose da indurre il debitore a rifiutare l'offerta di credito.

Procedendo nell’analisi di come è cambiato l’accesso al credito durante gli anni della crisi finanziaria, posso adesso andare ad analizzare il triennio successivo, fino al 2014.

L’indagine semestrale della Banca Centrale Europea indica che, nonostante la quota di aziende che hanno domandato nuovi prestiti sia simile nei diversi paesi (ad eccezione di Irlanda e Olanda), in Italia e Spagna l’incidenza di quanti non riescono a ottenere i finanziamenti richiesti è superiore rispetto a Germania, Belgio e Austria.

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Secondo i dati della BCE16 del novembre 2017, l’espansione del credito nell’area Euro si è

accentuata, e come mostrato in Figura 3 ,sono aumentati sia i prestiti alle imprese, sia quelli alle famiglie, rispettivamente 2,4% e 2,9%. Inoltre il costo medio dei nuovi finanziamenti alle imprese e famiglie si è stabilizzato sui valori minimi osservati dall’avvio dell’Unione monetaria. Nell’area Euro i tassi di interesse sono aumentati, riflettendo il miglioramento delle condizioni congiunturali.

Figura 3: Dispersione e costo dei crediti nell’area dell’euro

Fonte: Banca d’Italia, Bollettino economico, novembre 2017

In riferimento all'ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria condotto da Banca d'Italia nel novembre 2017, i rischi per la stabilità finanziaria derivanti dall'economia internazionale continuano a diminuire, le aspettative sulla crescita mondiale per il biennio 2017-2018 sono state riviste al rialzo come si può notare dalla figura 4. Tali previsioni sono state formulate nel mese indicato sull’asse orizzontale.

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Figura 4: Previsioni sulla crescita del PIL nel 2018

Fonte: Bollettino economico banca d’Italia, novembre 2017

Nell'area dell'euro il consolidamento della crescita e la riduzione dell'incertezza nello scenario macroeconomico hanno contribuito, nel settore bancario, al rafforzamento del patrimonio che si accompagna a un graduale miglioramento delle condizioni reddituali. Anche se la prospettiva globale è ampiamente ottimistica17, la possibilità di rischi

geopolitici e incertezza è alto. In Europa i possibili risultati derivanti dai negoziati con la questione Brexit continuano a essere elemento di incertezza e di rischio per i mercati finanziari dell’unione europea. Le banche dell’area Euro si trovano ad affrontare una situazione più stabile, ma sono tuttavia assoggettate ad un ambiente più vulnerabile. Il consumo privato è stato il driver fondamentale di crescita negli ultimi anni e gli investimenti sono risultati rafforzati. Uno dei principali punti deboli dell’Eurozona è l’indebitamento del settore privato e pubblico: sebbene dal 2014 il debito pubblico abbia subito una contrazione, il debito totale è rimasto a livelli particolarmente elevati. In linea con quanto detto, il rischio di credito rimane il rischio principale per la maggior parte delle istituzioni. Il generale livello del rischio di credito è ancora piuttosto elevato secondo gli standard storici, tuttavia ci sono stati progressi nella gestione. Questa tendenza è stata confermata dalla riduzione delle esposizioni dei Non Performing Loans, tuttavia persistono punti deboli nei controlli dei dati qualitativi e quantitativi del credito e nella segnalazione agli enti competenti.

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1.4.1

Focus sull’andamento del credito in Italia

Come già affrontato nelle pagine precedenti, la crisi finanziaria emersa negli Stati Uniti nell’agosto del 2007 e la recessione dell’economia reale si sono ripercosse sul sistema bancario internazionale, provocando tensioni nella posizione patrimoniale e finanziaria degli intermediari. Dopo una lunga fase espansiva18, in Italia, la crescita del credito

bancario al settore privato ha iniziato a flettere alla metà del 2007. La decelerazione si è accentuata nel 2008 e ancora nel 2009, in concomitanza con l’intensificarsi della crisi finanziaria e con il deterioramento del quadro economico nazionale e internazionale. Il ritmo di espansione annuo, pari a circa il 12 per cento all’inizio del 2007, nel 2009 risultava sostanzialmente nullo. Le prime analisi sembravano sostenere l’ipotesi che l’Italia, rispetto ad altri paesi, potesse essere considerata al riparo dal contagio per la minor esposizione a quelli che al momento si presentavano come i fattori specifici della crisi: la presenza di asset tossici nel sistema bancario e il grado di indebitamento delle famiglie. Inoltre, anche sul lato dell’economia reale, dopo anni di crescita molto bassa, dal 2006 si scorgevano indizi di risveglio della produzione manifatturiera. Tuttavia la realtà è stata diversa: il forte calo delle esportazioni aveva provocato una caduta del PIL, il quale si mostrava tra i più bassi dell'area Euro.

A partire dal quarto trimestre del 2008, gli intermediari avevano reso più restrittive le condizioni di accesso al credito, seppure con un’intensità decrescente. L’inasprimento dei criteri di offerta aveva avuto termine nel quarto trimestre del 2009, nel 2010 le banche avevano segnalato una sostanziale stabilità delle condizioni. I finanziamenti delle banche appartenenti ai primi cinque gruppi si erano contratti del 4,4 per cento e il credito erogato dalle altre banche operanti in Italia, pur registrando una forte decelerazione rispetto al 2008, continuava a crescere. La decelerazione del credito alle imprese aveva interessato tutti i rami di attività, ma era risultata accentuata per le società manifatturiere e per quelle di costruzioni. Distinguendo in base alla dimensione aziendale, emergeva il forte rallentamento dei prestiti alle imprese maggiori, passati da una crescita del 15 per cento19 nell’autunno del 2007 a una contrazione di oltre il 4 per cento nel 2010. La

18 Banca d’Italia, Occasional paper, Domanda e Offerta di credito in Italia durante la crisi, 2010. 19 Banca d’Italia, Occasional paper, Domanda e Offerta di credito in Italia durante la crisi, 2010.

(33)

33

dinamica del credito alle imprese piccole e medie aveva subito una flessione meno accentuata, partendo da livelli inferiori, ma risultava anch’essa leggermente negativa. La recessione ha comportato un incremento dei crediti deteriorati verso clientela (sofferenze, incagli, esposizioni ristrutturate, scadute o sconfinanti), vi ha contribuito soprattutto la crescita, di oltre il 50 per cento, delle posizioni verso clienti in temporanea difficoltà. Nell’intero 2009 il flusso di nuove sofferenze rettificate delle banche operanti in Italia era stato pari a 28 miliardi, contro i 18 registrati nel 2008. L’aumento è stato più marcato per le banche appartenenti ai primi cinque gruppi e la crescita del flusso di nuove sofferenze è stata maggiore per i prestiti concessi alle imprese rispetto a quelli erogati alle famiglie.

La dinamica dei prestiti nel triennio 2010-2012 era rimasta debole, questo rifletteva sia la debolezza della domanda sia le condizioni di offerta ancora restrittive. La domanda di credito da parte delle imprese si era ridotta per la scarsa propensione a investire, ma si erano irrigidite le condizioni di accesso al credito per le piccole e medie imprese, le quali risultavano avere maggiori difficoltà di accesso al credito rispetto alle imprese di dimensioni maggiori.

Facendo riferimento ai bollettini economici pubblicati trimestralmente da Banca d'Italia negli anni 2013-2017, come si può notare dalla seguente figura 5, le condizioni di accesso al credito per le imprese di medie-piccole dimensioni sono rimaste molto stringenti, aumentando ancora le difficoltà per queste imprese a rimanere operative.

Figura 5: Prestiti bancari al settore privato in Italia

(34)

Alla fine di ottobre 2017 l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha rivisto al rialzo il merito di credito del Paese: a tale decisione hanno contribuito anche il calo dei rischi nel settore bancario e il consolidamento intrapreso dalle finanze pubbliche. La crescita del credito rimane debole, frenata dalla scarsa domanda di finanziamenti delle imprese e in rapporto al reddito disponibile, i debiti sono stabili su livelli molto contenuti nel confronto internazionale. L’indebitamento per scopi di consumo continua a crescere a tassi elevati: l’aumento è concentrato tra i finanziamenti finalizzati all’acquisto di beni durevoli, connotati da un minore rischio di credito rispetto ad altre forme di debito. In rapporto alla spesa complessiva annua delle famiglie italiane, il credito al consumo resta in linea con i valori osservati in altri paesi e si sta riportando sui livelli precedenti alla fase recessiva innescata dalla crisi dei debiti sovrani. Il miglioramento della situazione finanziaria delle imprese si traduce in un marcato aumento della capacità di rimborso dei prestiti, infatti, dall’uscita dalla recessione dell’economia italiana, la capacità delle imprese di far fronte ai propri debiti verso il sistema finanziario è notevolmente migliorata.

1.5 Il rischio di credito dal punto di vista contabile: evoluzione della

disciplina, dallo IAS39 all’IFRS 9

Dopo la crisi del 2007-2008, la comunità degli enti regolatori ha generalmente riconosciuto che i meccanismi di assorbimento delle perdite disponibili all’epoca hanno fallito nel cogliere tempestivamente il deterioramento della qualità del credito dell’industria bancaria. Nel corso degli ultimi anni, l’armonizzazione delle regole contabili ha rappresentato uno dei principali obiettivi della Comunità Europea per agevolare lo sviluppo e l'efficienza dei mercati finanziari europei. L'applicazione di differenti principi contabili in ciascun Paese membro ha determinato infatti uno scarso grado di confrontabilità dei bilanci delle imprese europee, costituendo di fatto un freno allo sviluppo di tali mercati. La normativa contabile europea, diversamente applicata nei singoli Paesi membri, non risultava infatti più adeguata nel garantire tale obiettivo. In quest'ottica, la decisione della Comunità Europea di introdurre progressivamente i principi contabili internazionali IAS/IFRS dello IASB (International Accounting Standard Board) all'interno di ciascun Paese membro nasce dall’esigenza di “affidarsi” ad un corpus

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