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INFEZIONI EMOPROTOZOARIE NELLA VOLPE ROSSA (Vulpes Vulpes) NELLA PROVINCIA DI PISA

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA VETERINARIA

TESI DI LAUREA:

INFEZIONI EMOPROTOZOARIE NELLA

VOLPE ROSSA (Vulpes Vulpes) IN

PROVINCIA DI PISA

Candidato: Violetta Vasta

Relatori: Prof. Francesca Mancianti

Dott. Guido Rocchigiani

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3 INDICE Riassunto/Abstract………...pag. 4 Introduzione……… ………..pag. 5 Le zecche……… ………pag. 5 Babesiosi……… ……… .pag. 16 Hepatozoonosi……….pag. 50 Materiali e Metodi……….pag. 63 Campionamento……….... pag. 64 Campionamento delle zecche……… … pag. 64 Estrazione di DNA………. pag. 67 PCR……… .pag. 69 PCR-RFLP……… ….pag. 74

Risultati……….. .pag.75

Discussione e conclusioni……… … ..pag.83

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Riassunto

Le malattie trasmesse da zecche (“Tick-Borne-Diseases, TBD”) sono un importante problema di sanità animale e pubblica. Oggetto del presente studio è la valutazione della prevalenza delle infezioni sostenute da Babesia ed

Hepatozoon nelle volpi abbattute in provincia di Pisa. Sono stati esaminati con

tecnica PCR campioni di milza provenienti da 78 volpi. Di queste 29 sono risultate positive a Babesia (37%) e 42 a Hepatozoon (54%). I risultati evidenziano l’attuale prevalenza di emoprotozoi nelle volpi selvatiche.

Ad oggi, questo rappresenta il primo studio su Babesia nelle volpi in Italia. Parole chiave: Babesia, Hepatozoon canis, PCR, zecche, volpi.

Abstract

Tick-Borne Diseases (TBD) are a serious threat to animal and public health. Aim of the present study was to evaluate the prevalence of infections caused by

Babesia and Hepatozoon in foxes found in Pisa province. Seventy eight

samples of spleen from foxes were examined by PCR. Among these,29 were positive to Babesia(37%) and 42 to Hepatozoon (54%).

The results highlight the current prevalence of hemoprotozoa in wild foxes. To date, this represents the first study regarding Babesia isolated in foxes in Italy. Key words: Babesia, Hepatozoon canis, PCR, ticks, foxes.

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5

INTRODUZIONE

LE ZECCHE

Le malattie trasmesse dai vettori sono considerate, da sempre, una delle maggiori piaghe dell’umanità e sono caratterizzate da una complessa integrazione tra patogeno, vettore, ospite e ambiente. Tali interazioni sono soggette a coevoluzione conseguenti a mutamenti climatici, modifiche apportate al territorio e fenomeni d’industrializzazione, inoltre sono responsabili della variabilità d’incidenza delle malattie nell’uomo e negli animali (1).

Le zecche sono, in assoluto, gli artropodi vettori più importanti in Europa e America settentrionale .

In particolare in Europa, l’attenzione verso le malattie trasmesse da zecche è in continua crescita, sia per la diffusione d’infezioni storicamente presenti ma confinate a determinate aree geografiche, sia per l’emergenza di nuove forme adattate ad ambienti naturali, il cui numero è sorprendentemente maggiore rispetto a qualsiasi altro continente. Ciò conferma, per l’Europa, la disponibilità di habitat che permettono il consolidamento di cicli ecologici per numerose patologie (2).

(6)

6

ANATOMIA, BIOLOGIA E CICLO BIOLOGICO DELLE IXODIDAE

Le zecche sono artropodi ematofagi appartenenti alla classe Arachnida di cui costituiscono il sottordine Ixodida che attualmente comprende 4 famiglie, 19 generi e 878 specie.

Il corpo delle Ixodidae appare un segmento unico ma in realtà consiste in un

capitulum o gnatostoma e in un idiosoma o corpo.

Il capitulum costituisce la parte anteriore del corpo e sostiene l’apparato boccale o rostro, le cui caratteristiche morfologiche sono essenziali per l’identificazione delle specie e la comprensione del ruolo patogeno. Si distinguono zecche a rostro lungo e zecche a rostro corto. Il rostro è formato da:

Ipostoma, organo impari costituito da denticoli retroversi che consentono un

efficace ancoraggio alla cute durante il pasto di sangue. Nel maschio l’ipostoma è più corto e i denticoli ridotti in numero e dimensioni.

Cheliceri, organi pari formati da due segmenti asta e dito che intervengono al

momento della penetrazione, nella lacerazione dei tessuti.

Palpi, organi pari, mobili formati da quattro segmenti.

L’idiosoma è una regione di maggior dimensione rispetto al capitulum, ospita gli arti, le aperture genitali e anali, diverse strutture sensoriali e tattili.

E’ costituito da un sottile strato di cuticola porosa specializzata nel controllo del bilancio idrico. La cuticola non è uniforme e varia in spessore e rigidità

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7

conferendole particolari funzioni. La superficie superiore della cuticola è sclerotizzata fino a formare uno scudo dorsale, completo nei maschi e incompleto nelle femmine, ninfe e larve. La presenza di scudo completo preclude ai maschi l’ingorgamento ed è inoltre un evidente carattere distintivo tra i sessi. Gli occhi , se presenti, sono localizzati sul margine esterno a livello del secondo paio di arti. Il margine posteriore dell’idiosoma può essere sezionato in corti solchi definiti festoni.

Nelle Ixodidae, un solco a forma di coppa circonda l’apertura anale ed è aperto anteriormente nella metastriata e posteriormente nella prostriata.

Le quattro paia di arti, tre nelle larve, sono composte da sei segmenti o articoli più o meno ricchi di setole, che hanno funzione di recettori sensoriali e termici. Sul tarso del primo paio di arti è presente una depressione che accoglie l’organo di Haller, ricco di recettori olfattivi e di contatto.

Di seguito l’immagine illustra l’anatomia esterna di una zecca femmina del genere Ixodes(Fig.1):

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8

Fig1: A, Aspetto dorsale. B, Aspetto ventrale. C, Ipostoma. D, Capitulum, faccia dorsale. E, Capitulum, faccia ventrale. F, Apertura genitale. G, Spiracoli respiratori. H, Segmenti terminali degli arti. I, Trocantere e segmento tarsale. I. A = Apertura anale; Als = alloscutum; Bc = base del capitulum; C-1 = coxa; CAP = capitulum; Cg = Solco cervicale; Ga = Apertura genitale; Gg =Solco genitale; Hyp = ipostoma; Id = idiosoma; Lg = solco laterale; Mg = solco marginale; OP = opistosoma; Pa = aree porose; Pod = podosoma; Prg = solco preanale; Sp = spiracolo respiratorio.

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Il ciclo biologico delle zecche è caratterizzato da tre stadi di sviluppo separati da mute.

I pasti di sangue precedono le mute e negli adulti l’ovogenesi e la spermatogenesi.

Pertanto le Ixodidae compiono il pasto di sangue tre volte nell’arco della loro vita e questo è molto prolungato, fino a otto giorni negli immaturi e a dodici giorni nell’adulto.

Le Ixodidae trascorrono fino al 98% della loro vita nell’habitat esterno dipendendo, per la loro sopravvivenza, dalle condizioni ambientali alle quali sono esposte.

Gli adulti terminano il ciclo con l’accoppiamento che avviene in genere sull’ospite, poi la femmina fecondata cade a terra, dove depone fino a qualche migliaio di uova, che ricopre con una sostanza cerosa per limitarne la disidratazione essa, infatti, rappresenta il fattore stressante più importante per le zecche che si trovano in habitat naturali e influenza il comportamento di ricerca d’ospite.

Il pasto di sangue di una zecca è un evento molto complesso il cui successo dipende dalla realizzazione di diversi stadi:

1) Attrazione o fase di ricerca dell’ospite che prevede l’utilizzo di recettori sensibili alla presenza di gas, temperatura o vibrazioni.

2) Ingaggio o adesione all’ospite attraverso il primo paio di arti protesi a toccare la cute o il pelo dell’ospite.

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3) Esplorazione del sito ottimale di attacco attraverso stimoli tattili utilizzando i palpi.

4) Penetrazione dell’apparato boccale nell’epidermide di un ospite. La zecca lacera i tessuti cutanei con i cheliceri, infine lascia penetrare l’ipostoma in profondità.

5) Cheliceri e ipostoma sono inseriti nella cute, i palpi sono adagiati lateralmente, le ghiandole salivari secernono una secrezione proteica che cementa queste strutture alla cute.

6) Costituzione di una lacuna sanguigna. La distruzione dei tessuti da parte dei cheliceri e dell’ipostoma è amplificata dalla secrezione salivare contenente sostanze ad azione anticoagulante, vasodilatatrice, fibrinolitica e d’inibizione della risposta immunitaria dell’ospite. Si forma quindi una lacuna sanguigna dalla quale la zecca “beve” sangue e fluidi.

7) Rigurgito del pasto di sangue con immissione nell’ospite di eventuali agenti patogeni tramite la saliva.

8) Ingorgamento, inizialmente molto lento, nelle fasi successive si assiste a un rapido aumento di peso.

Una femmina completamente ingorgata pesa dalle 100 alle 120 volte il suo peso iniziale.

9) Distacco con retrazione delle parti boccali e produzione di enzimi proteolitici che disgregano il cemento, permettendo la completa liberazione dell’apparato boccale.

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10) Disingaggio con caduta a terra della zecca.

In base al numero delle fasi di ricerca d’ospite le Ixodidae possono essere

monofasiche, se la larva è l’unico stadio attivo nella ricerca di un ospite sul

quale avverranno le mute e che sarà abbandonato dagli adulti; difasiche, se è attiva nella ricerca sia la larva che l’adulto; trifasiche, se tutti gli stadi sono attivi. Quindi nelle zecche trifasiche, ogni fase parassitaria (larva, ninfa, adulto) è separata da due fasi a terra, dove si realizzerà la muta (3,4,5)

Da un punto di vista ecologico, in generale, le zecche possono essere divise in endofile ed esofile. Le endofile sono associate a ospiti particolari e habitat come tane, nidi, grotte e anfratti vari e passano in questi luoghi la maggior parte del tempo in cui non sono attaccate all’ospite. Al contrario le esofile possono essere ritrovate in ambienti vari come savane, praterie, pascoli e foreste. In questa specie la presenza e la distribuzione sono correlate agli ospiti in misura minore di quanto osservato nelle specie endofile ed è preponderante il rapporto con l’habitat (6).

In tabella è mostrato un riepilogo delle caratteristiche morfologiche (7,8) dei generi presenti nell’area d’interesse geografico (Fig.2).

(12)

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(Selmi, 2013)Tratto da: Le zecche di Marco Selmi (Fig.2)

Caratteristiche Hyalomma Rhipicephalus Boophilus

Ixodes

Dermacentor Haemaphysalis

Lunghezza

adulti (mm)

Grande

(5-6,5)

Media (3-4,5)

Piccola

(2-3)

Piccola

(2- 3,5)

Grande (4-6) Piccola (2,5-3)

Apparato

boccale

Lungo Corto o medio

Molto

corto

Lungo

Medio

Corto

Base del

capitulum

Sub-triangolare

Esagonale Esagonale

Triangolare

Pentagonale

Rettangolare Rettangolare

Scudo smaltato

No

No

No

No

Si

No

Presenza di

occhi

Si

Si

Si

No

Si

No

Presenza di

festoni

Si

Si

No

No

Si

Si

Placche

adanali

Si

Si

Si

No

No

No

Placche anali

Si

No

No

No

No

No

Solco anale Posteriore Posteriore Posteriore Anteriore

Posteriore

Posteriore

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MALATTIE TRASMESSE DA ZECCHE

Le malattie trasmesse da zecche si realizzano in cicli che coinvolgono un ospite, generalmente un animale selvatico e un vettore e sono adattate a particolari ambienti, dove i costituenti del ciclo prosperano ed interagiscono tra loro.

Tutti i cicli delle malattie trasmesse da zecche prevedono una triangolazione interattiva tra microrganismo, ospite e vettore. La realizzazione del ciclo dipende da fattori limitanti di tipo intrinseco (barriere fisiche, fisiologiche, cellulari) ed estrinseco (densità di ospiti e vettori, coincidenza spazio temporale, infettività, ecc.), pertanto ogni singolo elemento del ciclo deve possedere particolari requisiti che rendano attiva la triangolazione.

Il microrganismo agente di una malattia trasmessa da zecche deve essere adatto a infettare e moltiplicarsi alternativamente su tessuti di ospiti vertebrati e invertebrati questo significa superare le alte temperature del corpo dei mammiferi e il loro sistema immunitario complesso, così come adattarsi alla variabilità di temperatura di un invertebrato e al suo sistema di difesa più primitivo ma comunque efficace. Inoltre il successo dell’infezione dipende dall’interazione ospite-vettore e dalla capacità di utilizzare come veicolo i fluidi corretti, tipicamente il sangue nei vertebrati e la saliva nelle zecche. I microrganismi maggiormente evoluti come i protozoi, hanno sviluppato forme infettive sessuate e presentano diversi stadi vitali specializzati nell’aggressione verso le due classi (9).

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Per quanto riguarda l’acquisizione dei patogeni all’interno delle zecche, questa è possibile attraverso due vie, orizzontale e verticale.

L’infezione orizzontale è essenziale per il mantenimento di quasi tutti i cicli in natura e si realizza pasteggiando su un reservoir o tramite accoppiamento anche se quest’ultima evenienza è poco rilevante.

L’infezione verticale si realizza con il passaggio del patogeno tra stadi evolutivi, oppure tra femmine e uova. La trasmissione transtadiale è molto efficace nelle zecche ed è un esempio unico in natura. Questa è resa possibile poiché nelle zecche le mute sono caratterizzate da blandi processi istolitici , che consentono la sopravvivenza del microrganismo in alcuni tessuti e ne permettono il trasferimento allo stadio successivo.

La trasmissione tra femmine e uova può avvenire per via trans ovarica, con il passaggio del patogeno dall’ovaio al follicolo ovarico, dove riesce a moltiplicarsi; oppure l’uovo s’infetta al momento del transito nell’ovidutto infetto (10,11).

Nonostante le malattie trasmesse da zecche siano numerose, porremo particolare attenzione a due di queste: Babesiosi ed Hepatozoonosi (Fig.3).

(15)

15

(Fig.3)

Agenti infettivi trasmessi da zecche al cane e al gatto in Europa:

Malattia

Agente

causale

Ospite

Vettore

Distribuzione

Gravità

Babesiosi

Babesia canis Cane, Volpe Dermacentor reticulatus Ovest, sud ed Europa centrale Moderata, grave Babesia vogeli Cane Rhipicephalus sanguineus

Sud Europa Lieve-moderata Babesia gibsoni Cane, Volpe Hemophysalis spp. Sporadica in Europa Moderata, grave Theileria annae Cane, Volpe Ixodes Hexagonus, Ixodes ricinus Spagna nordovest, Portogallo, Croazia Moderata, grave

Hepatozo

onosi

Hepatozoon canis Cane Rhipicephalus sanguineus

Sud Europa Lieve-subclinica

Hepatozoon

spp.

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BABESIOSI

La Babesiosi, è una patologia causata da parassiti intraeritrocitari del genere

Babesia, rappresenta una delle infezioni più diffuse negli animali in tutto il

mondo con crescente interesse in quanto considerata zoonosi emergente nell'uomo (B.divergens, B microti).

Anche se in grado di infettare una vasta gamma di vertebrati, i protozoi del genere Babesia richiedono sia un vertebrato competente sia un ospite invertebrato al fine di mantenere i cicli di trasmissione.

Tutte le Babesie ad oggi descritte sono trasmesse da zecche ixodidae, replicano nei globuli rossi degli ospiti vertebrati e sono denominate piroplasmi a causa dell’aspetto piriforme, che assumono all'interno delle cellule ospiti (12, 13). La maggior parte degli studi effettuati per conoscere la risposta dell’ospite al protozoo, deriva da osservazioni realizzate su vertebrati che non comprendono l’uomo.

Tutti i mammiferi esaminati sono stati in grado di sviluppare una risposta immunitaria di tipo umorale e cellulo-mediata nei confronti di Babesia, sia dopo un’infezione seguita da guarigione che dopo la vaccinazione profilattica.

Le varie specie di Babesia hanno distribuzioni geografiche distinte in funzione della presenza di ospiti competenti.

In America settentrionale, la Babesiosi è causata principalmente da Babesia

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molti simili a B. microti nei roditori che fu riconosciuto come nuova specie e fu denominato WA1 (18, 19, 20).

In Europa, la Babesiosi è molto più rara, ma più letale. Il decorso della malattia è variabile e si può manifestare con un’infezione apparentemente silente o con una sintomatologia fulminante, simil-malarica, che può condurre a morte.

La gravità della sintomatologia dipende da numerosi fattori quali l'età, l’immunocompetenza e l’eventuale coinfezione con altri agenti patogeni.

CARATTERIZZAZIONE DELL'ORGANISMO Specificità dell’ospite ed Ecologia

Le Babesie sono i parassiti del sangue più diffusi in tutto il mondo in base al numero e alla distribuzione delle specie animali ospiti, essendo al secondo posto solo dopo i tripanosomi (21).

In genere hanno due classi di ospiti, un invertebrato e un ospite vertebrato. Il mantenimento del ciclo della Babesia dipende da entrambi gli ospiti.

Ospiti invertebrati

Ad oggi, tutti i vettori responsabili della trasmissione della Babesia spp. sono stati identificati nelle zecche ixodidae, con un’unica segnalazione che testimonia il coinvolgimento di una specie non appartenente alle ixodida, denominata Ornithodoros erraticus, come serbatoio per Babesia meri (22).

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Dei sette generi principali di zecche ixodididae solo sei si sono dimostrati essere vettori di diverse specie di Babesia, sia sperimentalmente sia in situazioni naturali(23).

Alcune specie di Babesia, come Babesia bigemina e Theileria equi (Babesia

equi) possono infettare più di un genere di zecche (24), mentre B. microti può

infettare solo le zecche dal genere Ixodes (13). Diverse zecche inoltre, possono trasportare più di una specie di Babesia.

Ad esempio, Ixodes dammini può ospitare solitamente B. microti, ma (25) nella sua fase ninfale (16, 26),possiamo trovarla insieme a Babesia odocoilei. Non è noto se può trasmetterne più di una alla volta.

L'ecologia, il ciclo biologico di Babesia microti e la sua interazione con Ixodes

dammini noto anche come Ixodes scapularis (27) sono tra i più conosciuti per la

specie di Babesia (13).

Lo stadio ninfale di Ixodes dammini e la sua interazione con il Peromyscus

leucopus (topo dai piedi bianchi) è essenziale per il mantenimento del ciclo

vitale di B.microti. Indagini sul campo stimano che fino al 40% di questi topi sono infetti (28,29, 26), e in uno studio è stato dimostrato che addirittura il 60% dei topi erano infettati. Gli stadi adulti di Ixodes dammini compiono i loro pasti principalmente sui cervi (Odocoileus virginianus), che non fungono da serbatoi per B.microti .Si nutrono in autunno e di nuovo in primavera, dopo di che depongono le uova. Le uova si schiudono in estate (fine luglio), e le larve si nutrono principalmente su topi nel mese di agosto e settembre. Questo è il momento in cui la zecca assume B.microti.

(19)

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Le larve infette superano l‘inverno e mutano per diventare ninfe in primavera (29).

Si stima che circa il 40% delle zecche in fase ninfale in alcuni territori (ad esempio, Nantucket Island) dove la babesiosi è endemica, possono essere infettate (29). Le ninfe si nutrono del loro ospite da maggio a luglio. Infine, mutano a esemplari adulti in autunno, completando il ciclo vitale della zecca. Nelle zone in cui la babesiosi umana è endemica, le ninfe si nutrono principalmente su P. leucopus (cioè, nordest degli Stati Uniti) (26).

Tuttavia, la varietà della zecca si estende al sud degli Stati Uniti, dove le ninfe si nutrono principalmente di lucertole (30). È stato visto che le lucertole sono serbatoi poveri e non sono in grado di mantenere B. microti come agente infettivo mentre i topi sono in grado di farlo (30) .

In Europa ci sono stati solo due casi segnalati d’infezione da B. microti (31),probabilmente a causa della limitata interazione tra la zecca infetta con B.

microti e gli esseri umani(32).

La zecca Ixodes trianguliceps specifica del topo è il serbatoio per B. microti (13) e non è in grado di nutrirsi dagli esseri umani.

La zecca responsabile della trasmissione di B.divergens per gli esseri umani è

Ixodes ricinus (31, 32). Il ciclo di vita di questa zecca richiede tre anni, come

larva nel primo anno, come ninfa nel secondo, e infine come adulta nel terzo. Un'osservazione degna di nota è che si ha un’elevata incidenza d’infezioni da parte di B. divergens che si verifica nei bovini quando aumenta la temperatura

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ambientale, presumibilmente per la maggior attività delle zecche in queste condizioni. Inoltre, la maggior parte dei casi umani si sono verificati in soggetti che avevano frequenti contatti con bovini. Infine, I. ricinus è anche il vettore responsabile della malattia di Lyme in Europa.

Nel 1998 è stata identificata una nuova specie di Babesia inizialmente indicata come piroplasma WA1. Per questa nuova specie sono stati inizialmente ipotizzati quali possibili vettori: Dermacentor variabilis, Ornithodoros coriaceus, e Ixodes pacificus situate in aree in cui si sono verficati i casi d’infezione umana (32). Successivamente, nel 2006, altri studi condotti analizzando il DNA parassitario nel sangue fresco di campioni prelevati da un neonato, fornirono i dati necessari per dimostrare definitivamente che l’isolato WA1 poteva essere identificato come una nuova specie che è stata denominata B. duncani (33). Ospiti vertebrati. Sono state identificate più di 100 specie di Babesia (13) che infettano una vasta gamma di mammiferi, soprattutto quelli appartenenti all'ordine Rodentia, ma anche diverse specie avicole (12, 13). Quasi tutti i mammiferi sensibili all’azione della zecca infettata da Babesia rappresentano un potenziale serbatoio (13). I possibili ospiti di B. microti e B. divergens possono variare da piccoli mammiferi terrestri fino a primati subumani e all’uomo, per quanto riguarda B. microti, e dai ruminanti a varie specie di roditori e all’uomo per quanto riguarda B. divergens (34,35).

B. equi (T. equi), che infetta il cavallo ed è trasmessa da Hyalomma spp,

produce un’anemia emolitica acuta che può essere seguita da uno stato cronico con riduzione della capacità di trasportare ossigeno, provocando diminuzione

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delle prestazioni nei cavalli da corsa (36). Le infezioni da B. equi sono anche un problema per l'importazione e l'esportazione di cavalli .

B. bigemina, colpisce prevalentemente il bestiame, causando gravi danni

economici soprattutto negli Stati Uniti. Gli ospiti vertebrati includono bufalo d'acqua e altri ruminanti selvatici, mentre la trasmissione avviene attraverso Boophilus spp. Anche se le infezioni non sono così gravi come quelle causate da Babesia bovis (non presente negli Stati Uniti), vi è una fase di anemia emolitica acuta che può anche essere fatale.

Babesia canis si trova in tutto il mondo ed è la specie di Babesia più diffusa che

colpisce i cani. E’ trasmessa principalmente dalla zecca Rhipicephalus

sanguineus (sia per via transovarica che transtadiale) o dalla zecca

Dermacentor reticulatus.

Babesia canis rientra nella classificazione delle grandi Babesie(Fig.4). I

trofozoiti misurano 4-5 µm di lunghezza e hanno aspetto piriforme con un’estremità appuntita e l’altra arrotondata. Gli sporozoiti infettanti sono iniettati dalla zecca durante il pasto di sangue dell’artropode, questi invadono gli eritrociti, dove replicano per fissione binaria causandone la rottura. Nelle infezioni croniche, i parassiti possono essere sequestrati nel letto capillare della milza e del fegato e sono rilasciati in maniera intermittente nel circolo ematico. Sono state descritte tre specie di Babesia canis (tabella 1): B. canis canis, B.

canis rossi, B.canis vogeli ognuna trasmessa da diverse specie di zecca. La

prima è trasmessa da Dermacentor reticulatus, la seconda da Haemaphysalis

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Il ceppo del parassita influenza la gravità dell’infezione nell’ospite vertebrato in relazione anche all’età, allo stato immunitario e alla presenza d’infezioni concomitanti.

La prima manifestazione patologica associata all’infezione è rappresentata dall’anemia emolitica che può essere semplice o complicata.

Nel primo caso abbiamo sintomi lievi di anemia associati a letargia debolezza ed epatomegalia.

Quando i fenomeni emolitici sono accompagnati da altri fattori che determinano gravi anemie e insufficienze d’organo, parliamo di una babesiosi complicata. Ad esempio l’infezione da B.canis rossi si manifesta frequentemente con forme iperacute associate a collasso, shock ipotensivo, tachicardia, pallore delle mucose, polso debole ed emoglobinuria. Spesso, in questi casi, sono associate infezioni da parte di specie diverse.

La malattia può presentarsi sotto diverse forme cliniche con coinvolgimento del sistema circolatorio, respiratorio e anche di quello nervoso centrale con l’insorgenza di atassie, paresi e spasmi che possono essere confusi con una sintomatologia causata dal virus della Rabbia compromettendone il riconoscimento.

Alla necroscopia è possibile osservare epatomegalia e splenomegalia con corpuscoli splenici in rilievo e colorazione scura dell’organo, petecchie gengivali e nelle porzioni ventrali dell’addome.

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Babesiosi canina in Europa

In Europa il principale agente eziologico di babesiosi canina è B.canis. Sono stati segnalati diversi casi in Austria(37),Croazia (38,39), Francia (40), Germania (41), Ungheria (42),Italia (43), Paesi Bassi (44), Polonia (45), Portogallo (46),Slovenia (47), Spagna (48), Svizzera (49), e di recente anche in Norvegia (50). Clinicamente la malattia può essere distinta in forme complicate e non-complicate. E’ stato infatti osservato che la babesiosi non complicata è responsabile di anemia emolitica(51), mentre la forma complicata può determinare lo sviluppo di una sindrome causata da risposta infiammatoria sistemica (SIRS) e da disfunzione d'organo multipla (MODS). Entrambe le forme sono mediate da citochine. I segni clinici della babesiosi non complicata comprendono pallore delle mucose, febbre, anoressia, depressione, splenomegalia, ipotensione e polso martellante(52). Nella forma complicata la manifestazione clinica dipende dalle problematiche che si sviluppano. In Europa, si è osservato un elevato tasso di mortalità nelle forme complicate straordinariamente simili a quelle di babesiosi sudafricana, vale a dire MODS, babesiosi cerebrale, shock, rabdomiolisi, insufficienza renale acuta (ARF), sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), disfunzione epatica acuta e pancreatite acuta (AP). Il tasso di mortalità più elevato è stato osservato in Ungheria, dove la MODS era presente nel 16% dei casi, l’epatopatia nel 24%, la pancreatite acuta nel 6%, l’insufficienza renale acuta nel 30%, la coagulazione intravasale disseminata (DIC) nel 17%, l’anemia emolitica immuno-mediata (IMHA) nell'8%, la sindrome da distress respiratorio acuto nel 6%, e la babesiosi cerebrale nel 3%. In Croazia la complicanza più comune è

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24

stata la MODS (10%) (53) che in molti casi era associata a insufficienza renale acuta, seguita da epatopatia, ARDS e babesiosi cerebrale (54,55). In uno studio sulle infezioni da B. canis in Croazia, un notevole numero di cani presentava shock ipotensivo (55). In contrasto con questi risultati, l'infezione da B. canis in altri paesi europei, ha invece una bassa mortalità. Ad esempio, in Polonia il tasso di mortalità è del 3,9% e la problematica più comunemente associata è l’insufficienza renale acuta, mentre in Spagna e in Italia la complicazione più comune in cani infetti è la DIC (coagulazione intravasale disseminata) (56). In questi paesi la MODS non è stata riscontrata e il tasso di mortalità è significativamente inferiore. Recentemente in Spagna sono state scoperte infezioni provocate da piccole Babesie che sembrano evolvere in una patologia più severa associata a insufficienza renale acuta(mortalità nel 22% dei casi). Differenze tra i vari ceppi di Babesia

Per molti anni è prevalsa l’idea che la babesiosi causata da B. rossi fosse differente da quella causata da B. canis. Nelle infezioni causate da B. rossi il rischio di sviluppare complicanze è elevato ed è accompagnato da un tasso di mortalità significativamente più alto. (51,57,58) Invece l’infezione da B.canis era considerata più mite con sieropositività molto variabile (20-85%) nelle aree endemiche e bassa incidenza di forme clinicamente sintomatiche. I risultati di numerosi studi sulla babesiosi da B.canis in Europa hanno evidenziato un’ampia variabilità nella mortalità, dall’1,5 al 20%. Il tasso dei decessi è più alto in Ungheria (20%) e Croazia (11-13,9%) (59) e più basso in Francia (1,5%). La mortalità in Olanda è 17% (44) e in Portogallo 9% (46) ma questi numeri dovrebbero essere interpretati con cautela. Riguardo allo studio della babesiosi

(25)

25

canina in Olanda occorre considerare che la diagnosi di babesiosi in tre cani su quattro è stata fatta postmortem, di fatto, dunque, questi soggetti non hanno potuto beneficiare di alcun trattamento antibabesia. Considerato che un solo cane è morto di babesiosi durante lo studio, di fatto il vero tasso di mortalità è del 5%.

Gli studi effettuati in Portogallo devono esser interpretati alla luce del fatto che due cani su quattro erano stati sottoposti a eutanasia senza trattamento, il terzo era infettato da B. canis, Erlichia canis e Leishmania infantum e il quarto cane era infettato da B.canis e Leishmania infantum. Da questi dati emerge che il tasso di mortalità in Portogallo legato alla sola infezione da B. canis (senza coinfezioni) è in realtà basso.

Le manifestazioni cliniche, le complicanze e la mortalità nelle infezioni da

B.canis in Ungheria e Croazia hanno molti più aspetti comuni con quelle

causate da B. rossi in Sudafrica rispetto che con quelle causate da B. canis in altri paesi europei. Considerando tutti questi dati, si può pensare che la patologia causata da B. canis in Europa non sia una singola malattia, ma l’insieme di due entità cliniche diverse, una forma mite, senza compromissione multiorgano e una forma più severa che è generalmente complicata da MODS (multiple organ dysfunction syndrome) e ipotensione. La causa potrebbe risiedere nel parassita stesso, nell’ospite o nell’interazione tra i due. Riguardo al primo punto è stato dimostrato che differenti specie, o isolati di babesia possono produrre quadri clinici notevolmente diversi (58). Inoltre sono state rilevate differenze significative nell’esito finale della malattia e nella prognosi a seguito d’infezioni con ceppi diversi o singole specie di Babesia (B. rossi) (60).

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Oltre ai diversi quadri patologici indotti nel cane dalle tre differenti specie di B.

canis, un recente studio ha dimostrato che B. canis e B. rossi mostrano

comportamenti differenti in vivo e in vitro (61).I numerosi metodi per discriminare le tre specie di B. canis non permettono una differenziazione a livello molecolare, tuttavia un sistema d’investigazione rapido e sensibile basato sull’amplificazione di sequenze di DNA della B. canis con la PCR potrebbe dare ulteriori informazioni rispetto ad altri metodi.

Il gene che codifica per la piccola subunità di DNA ribosomoiale (ssu-rDNA) è stato ampiamente utilizzato sia per la diagnosi, che per la differenziazione delle specie di Babesia con metodi quali PCR e Southern Blot (62).

Il gene SSU-rDNA è anche considerato utile per l’analisi filogenetica, dato che mostra una variazione limitata nella sequenza nucleotidica. Inoltre non è necessario avere una sequenza completa di SSU-rDNA per fare un’analisi filogenetica valida, poiché è maggiormente utile confrontare le regioni semi conservate, che non gli interi geni.(63) Il confronto di sequenze di SSU-rDNA è stato largamente utilizzato per l’analisi filogenetica degli “apicomplexa” per studiare le relazioni tra i generi e/o tra specie all’interno di un genere (64). Al fine di differenziare sperimentalmente le tre specie di Babesia del cane con un metodo rapido e sensibile e per stabilire le relazioni filogenetiche tra loro e altre specie di Babesia sono stati sequenziati e analizzati i frammenti PIRO-A/PIRO-B dal gene ssu-rDNa delle tre Babesie.

Il DNA genomico da tutti i campioni è stato ottenuto rapidamente e in sicurezza con il metodo “InstaGeneQuick” visto che il protocollo non richiedeva né estrazione fenolica né precipitazione con etanolo. Lo studio attraverso l’uso di

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PCR-RFLP ha permesso la distinzione delle tre specie di B. canis e confermato che si tratta di entità distinte, mentre in passato la distinzione era basata su altri fattori come specificità del vettore, cross-immunità, sierologia e aspetti patologici (65). Questo lavoro rappresenta la prima applicazione di tecniche di biologia molecolare che dimostra il polimorfismo genetico tra le specie di

Babesia del cane Un precedente studio, aveva solo dimostrato un polimorfismo

genetico tra materiale isolato all’interno di ceppi europei di B. canis usando l’ibridazione Southern Blot con sonda multilocus pS8 (66). Inoltre con PCR-RFLP, si possono facilmente differenziare B.canis da B. gibsoni, le due specie di Babesiosi canina che sono già facilmente distinguibili morfologicamente (67): un frammento di DNA di 524-bp è amplificato a partire dal DNA di B. gibsoni, e può esser digerito sia da Taql sia da Hinfl. La PCR-RFLP è più rapida e sensibile rispetto alle analisi sierologiche, in più questa procedura ha permesso una facile distinzione tra le tre specie di B. canis e tra altre specie di Babesia con parassitemie basse fino all 0,01%. Esistono delle importanti differenze sierologiche tra le 3 specie di B. canis (68) ma una diagnosi sierologica può essere ostacolata dagli aspetti epidemiologici, sia del parassita che del vettore. Ad esempio i cani possono essere esposti a parassiti veicolati da diversi vettori in una determinata area geografica, che potenzialmente possono dare co-infezione. In Francia i cani potrebbero essere in contatto con Dermatocentor

reticulatus nelle aree rurali e con Rhipicephalus sanguineus nelle aree urbane

(69) Allo stesso modo in Africa tropicale, si potrebbe verificare un’infezione doppia da B. vogeli e da B. rossi, dal momento che i loro rispettivi vettori possono coesistere. Inoltre la diagnostica sierologica può incontrare molte

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difficoltà nell’individuare infezioni croniche. Al contrario la PCR-RFLP è più efficiente nell’individuare una co-infezione che può esser facilmente ipotizzata da differenti “patterns di restrizione”, anche con parassitemie basse. L’analisi filogenetica ha mostrato che B.canis e B. rossi si aggregano insieme, mentre B.

vogeli forma un gruppo monofiletico insieme a B.divergens e a B.odocoilei.

Per quanto riguarda B. equi e B.microti, la loro classificazione tassonomica rimane incerta dal momento che, insieme alle specie Theileria, esse sono accomunate da uno stadio di pre-invasione nelle cellule reticolo-endoteliali (70).I risultati basati sull’analisi di sequenze parziali di ssu-rDNA, in associazione con le differenze riscontrate nella specificità del vettore, della cross-immunità, della sierologia e dell’anatomia patologica (71),confermano che le tre specie di B.canis possono essere tassonomicamente separate, senza considerare la loro somiglianza morfologica. Le quattro grandi Babesie del bestiame, B. bigemina, B.maior, B.ovata, e B. occultuns che, come le precedenti, non possono essere differenziate sulla base di un normale esame microscopico, sono state elevate al livello di specie usando criteri come la specificità del vettore, la cross-immunità, e i dati sierologici. In conclusione la PCR.RFLP descritta in questo studio permette una differenziazione molecolare semplice, rapida e sensibile dei tre gruppi di B. canis presenti nel mondo. Questo metodo può essere usato, insieme ad altri, precedentemente pubblicati, per l’individuazione o la diagnosi di una data specie di B. canis. In aggiunta, siccome questo procedimento è in grado individuare elementi di co-infezione, può facilitare la sorveglianza epidemiologica della Babesiosi canina

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cosmopolita. Ciò potrebbe essere di particolare importanza nell’allestimento di vaccini più efficaci (61).

(Fig.4)

Schema del ciclo biologico

Apicomplexans / sporozoans. Il ciclo vitale passa attraverso tre stadi di riproduzione(Fig 5) (12). :

1) Gametogonia (fase sessuata) con fusione dei gameti all’interno dell’intestino della zecca.

2) Sporogonia (fase asessuata) con sviluppo di sporozoiti nelle ghiandole salivari della zecca.

3) Merogonia (fase asessuata) con formazione di merozoiti nei globuli rossi dell’ospite vertebrato

.

Taglia Specie Sinonimo

Grande Babesia vogeli Babesia canis vogeli Babesia canis Babesia canis canis

Babesia rossi Babesia canis rossi Babesia sp.

Piccola Babesia gibsoni Babesia gibsoni

Theileria annae Babesia microti-like

Theileria sp. Theileria annulata

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Eventi nella zecca

I patogeni si possono già individuare nella zecca dieci giorni dopo che questa ha cominciato a nutrirsi sull’ospite vertebrato infetto. Dopo 46-60 ore i parassiti possono ancora essere rilevati all’interno degli eritrociti consumati, ma alcuni di loro (i gametociti) cominciano a sviluppare nuovi organelli (fig 5A): detti Strahlenkorper.

Tali organelli sono stati trovati all'interno dell'ospite della zecca in tutte le infezioni da Babesia e Theileria spp. (12) che sono stati esaminati e sembra siano coinvolti nella fusione dei gameti. (12) (Fig. 5C).

Lo zigote, dotato di flagello e chiamato anche oocinete, originato dalla fusione dei gameti, entra nelle cellule epiteliali dell'intestino della zecca circa 80 ore dopo che la zecca ha compiuto il suo pasto.

Dalle cellule epiteliali, i parassiti raggiungono le ghiandole salivari attraverso l’emolinfa(72)e passano alla fase di sporogonia con lo sviluppo degli sporozoiti che può essere diviso in tre fasi. Innanzitutto, il parassita si espande e riempie la cellula ospite (Fig. 5D), formando uno sporoblasto multinucleato con una struttura trabecolare, ramificata e relativamente indifferenziata, tridimensionale, da cui si formano gli sporozoiti. Il secondo stadio inizia solo dopo che la zecca ha cominciato ad alimentarsi di nuovo e si ha lo sviluppo all’interno delle trabecole di organelli specializzati dei futuri sporozoiti (micronemi, roptrie, e segmenti di membrana) (Fig. 5E). Infine si formano gli sporozoiti maturi attraverso un processo di germinazione (Fig. 5F). Gli sporozoiti maturi misurano circa 0,8-2,2 millimetri, sono di forma piriforme e contengono un reticolo

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endoplasmatico liscio, ribosomi liberi, organelli simil-mitocondriali, un singolo rostro anteriore, e diversi micronemi (12). Circa 5.000- 10.000 sporozoiti possono essere prodotti all'interno di un singolo sporoblasto.

Si stima che diverse migliaia di sporozoiti sono depositati nel derma attorno alla bocca della zecca durante le ore finali del pasto e da questi dipende l’efficienza della trasmissione probabilmente facilitata dall’effetto anti-infiammatorio e immunosoppressivo della saliva (73).

Specie "Grandi" di Babesia, come B. divergens, possono essere trasmesse per via trans ovarica. Dopo che gli zigoti (chiamati anche oocineti) sono penetrati nell’emolinfa, possono invadere altre cellule, come cellule adipose o nefrociti, e subiscono un secondo ciclo di divisione (13). Questi oocineti secondari possono poi invadere le ovaie ed esser trasmessi per via trans ovarica.

Eventi nei vertebrati. Il periodo in cui la zecca è attaccata all’ospite vertebrato influenza direttamente l'efficacia di trasmissione degli sporozoiti (74) vale a dire, più a lungo la zecca è a contatto con l’ospite, più è probabile che la trasmissione degli sporozoiti si verificherà. Se la zecca può nutrirsi fino a sazietà, i tassi d’infezione si avvicinano al 100% (74).

Con la puntura della zecca gli sporozoiti sono inoculati nell’ospite vertebrato e invadono gli eritrociti, ad eccezione di Theileria e di alcune specie di Babesia, in cui vengono parassitati prima i linfociti.

Gli sporozoiti invadono i linfociti e si differenziano in schizonti multinucleati (75) e poi ulteriormente in merozoiti, che germinano fuori dallo schizonte e lisano la cellula. Questi merozoiti o sporozoiti infettano gli eritrociti dell’ ospite (Fig. 5G)

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tramite un processo di invaginazione (Fig. 5H), formando un vacuolo parassitoforo. La membrana del vacuolo si disintegra gradualmente, e il parassita appare con il caratteristico aspetto a singola membrana del piroplasma, in contrasto con la specie di Plasmodium che invade con un meccanismo simile, ma mantiene la membrana della cellula ospitante in aggiunta alla propria. Negli eritrociti ospitanti, più merozoiti si trasformano in trofozoiti dividendosi per scissione binaria (Fig. 5I); questa riproduzione asessuata produce numerosi merozoiti, che lisano la cellula e passano a infettare nuovi eritrociti. Quattro parassiti si possono formare contemporaneamente, dando luogo a una forma a croce di Malta (Fig. 5I). La riproduzione rapida distrugge la cellula ospitante e porta a emoglobinuria nell'ospite. Alcuni trofozoiti possono tuttavia diventare potenziali gametociti (76). Questi trofozoiti non si riproducono, a questo punto, ma aumentano di dimensioni. Successivamente, quando sono nell’intestino della zecca, si svilupperanno in gameti prima di lasciare gli eritrociti all'interno dell'intestino della zecca .

Classificazione filogenetica

Secondo la classificazione tassonomica le Babesie spp. appartengono al philum Apicomplexa (chiamato anche Sporozoa), classe Aconoidasida (Piroplasmea), e ordine Piroplasmida (76,77).

I Piroplasmi sono caratterizzati da forme intraeritrocitarie che possono assumere un aspetto piriforme. Hanno complessi organelli apicali (compresi roptrie e micronemi), uno stadio merogonico all'interno degli eritrociti dei

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vertebrati ospitanti, e lo sviluppo sessuale e la formazione dello sporozoita all'interno dell’ospite invertebrato, che nel caso di Babesia spp. è stata descritta solo in zecche(12,32). Due delle famiglie all'interno dell'ordine Piroplasmida sono Babesiidae e Theileriidae; la distinzione primaria tra le due è solitamente definita con l'assenza di un ciclo preeritrocitico in Babesia e l'assenza di trasmissione transovarica in Theileria (12,13).

Inizialmente, le specie di Babesia sono state identificate in base a parametri morfologici delle forme intraeritrocitarie (cioè, trofozoiti) visibili su strisci colorati di sangue di animali infetti e vertebrati. Quest’analisi, insieme con la specificità dell'ospite, ha fornito un mezzo di classificazione delle varie specie(78). Questi metodi sono stati progressivamente superati da metodi più recenti di biologia molecolare utili nel differenziare gli organismi analoghi e confermano la presenza di distinzioni in base a caratteristiche più oggettive.

Le analisi molecolari per classificare le Babesie, piuttosto che i metodi basati su parametri morfologici e di specificità dell'ospite, hanno trovato maggior impiego, in quanto i diversi parassiti nello stesso ospite possono sembrare morfologicamente simili (ad esempio, Plasmodi e alcune specie di Babesia); Lo stesso parassita può avere diversi aspetti microscopici nei vari ospiti, probabilmente a causa di specifici fattori dell’ospite stesso, come la funzione della milza e la predisposizione immunologica (ad esempio, B. divergens ha il suo aspetto "caratteristico" in eritrociti bovini, ma in esseri umani si presenta con un vasto pleomorfismo, che complica la sua diagnosi)(79). Le tecniche più recenti sono forse più obiettive di quelle basate sull'osservazione delle

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caratteristiche visibili, (78). Pertanto, ad oggi si ritiene che la classificazione basata sul confronto delle sequenze di DNA sia quella più attendibile

In seguito, attraverso la descrizione di uno stadio di B. equi, si è dovuta riclassificare questa specie come T. equi, il che ha ulteriormente supportato la rivalutazione del precedente sistema di classificazione. E’ stata anche suggerita l’esistenza di un ciclo preeritrocitario per B. microti, tuttavia sarebbero necessarie ulteriori conferme. La valutazione di altri loci genetici dovrebbe contribuire a chiarire il rapporto tra i due generi e portare a una miglior comprensione della posizione tassonomica di queste specie.

Le due specie di Babesia principalmente infettanti per l'uomo sono B. microti e

B. divergens, assieme a specie scoperte più recentemente come B.duncani

(33,81).Sono stati descritti casi d’infezione umana relazionati ad altre specie come B. bovis e B. canis, ma ad oggi scarsamente documentati. E’ interessante notare che sia le "grandi" (B. divergens) sia le "piccole" (B. microti) Babesie sono in grado di infettare gli esseri umani, nonostante abbiano bisogno di ospiti con requisiti diversi.

L’analisi molecolare è stata utile per un’ulteriore definizione nella relazione filogenetica tra Babesia e Theileria (80, 19) e potrà anche dare un valido contributo nella scoperta di patogeni nuovi e/o precedentemente non rilevabili.

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Theileria

L'identificazione di una fase preeritrocitaria in ospiti vertebrati differenzia la specie dalla specie Babesia. Tuttavia, sembrerebbe che questo stadio possa esistere anche nella B. microti (75) ma è stato confermato ad oggi solo in T.

equi (B. equi) (75, 23). Studi scientifici hanno evidenziato diversi aspetti delle

fasi di questa Theileria che possono fornire preziose intuizioni sulle infezioni da piroplasmi. Le fasi preeritrocitarie di Theileria parva e T. annulata sono rappresentate da schizonti intralinfocitari che sono in grado di moltiplicarsi formando cloni di cellule T e B. Questa trasformazione è reversibile; il trattamento con buparvaquone comporta l’eliminazione degli schizonti, e conseguente inibizione della proliferazione. Le specie Theileria vanno incontro a una schizogonia ripetuta nei linfociti, con conseguente rilascio di piccoli merozoiti che successivamente infettano i globuli rossi e diventano trofozoiti. È proprio la fase linfocitica che causa molte delle gravi manifestazioni della malattia (linfoadenopatia, iperpiressia, trombocitopenia, e panleucocitopenia). Non sorprende che il processo linfoproliferativo causato dall’infezione abbia generato un notevole interesse, in quanto fornisce uno strumento unico e potenzialmente importante per esaminare ed eventualmente chiarire i meccanismi di controllo del ciclo cellulare nei linfociti. Le due specie più comunemente utilizzate in questi studi sono T. parva (causa della febbre East Coast), che provoca preferenzialmente proliferazione delle cellule T (cellule T che esprimono recettori sia αβ che ϒδ delle cellule T), e T. annulata, strettamente correlata (causa di theileriosi tropicale), che infetta principalmente le cellule B e macrofagi.

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Entrambe le specie causano una malattia linfoproliferativa grave, e le cellule infette possono proliferare indefinitamente in colture cellulari. Queste cellule trasformate hanno diversi tratti caratteristici, compresi cambiamenti negli epitopi di superficie per anticorpi monoclonali, pleomorfismo, e tempi brevi di generazione (da 16 a 25 ore in vitro). Inoltre, quando i linfociti infettati sono iniettati in topi privi di timo essi infiltrano i tessuti e formano masse metastatiche simil-tumorali (82). Sorprendentemente, la trasformazione rimane reversibile con trattamento farmacologico, anche dopo molti anni in coltura. L'esatto meccanismo attraverso il quale la Theileria induce proliferazione non è noto, ma è possibile che T. annulata. e T. parva potrebbero impiegare meccanismi differenti. E’ stata coinvolta la disregolazione di diverse chinasi (83, 84, 85, 86), così come un’interruzione o induzione di vari attivatori trascrizionali.

La relazione tra questi studi con Babesia non è stata ancora del tutto chiarita ma, nonostante la mancanza di prove, non si esclude un suo coinvolgimento sul controllo del ciclo cellulare con gravi conseguenze per l’ospite. Alcuni studi hanno addirittura attribuito ad alcune specie di Babesia un ruolo leucemogeno, che potrebbe coinvolgere meccanismi simili a quelli impiegati da Theileria, ma sarebbero necessari ulteriori studi per trarre delle conclusioni fondate.

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Risposta immunitaria dell’ospite

Tutti gli ospiti mammiferi esaminati sono stati in grado di sviluppare immunità nei confronti di Babesia, sia dopo un episodio d’infezione e guarigione che dopo vaccinazione profilattica. Il sistema immunitario è efficacemente "innescato" nelle prime fasi d’infezione. Nel momento in cui la zecca compie il suo pasto di sangue, gli sporozoiti sono liberati nel plasma circolante, dove permarranno per un breve periodo. In questa fase, una terapia anticorpale con immunoglobulina G (IgG) può prevenire l'infezione attraverso il legame e la neutralizzazione degli sporozoiti, prima che questi riescano a invadere le loro cellule bersaglio (Fig. 6A). Una nuova fase inizia quando le Babesie stabiliscono la loro infezione intraeritrocitica (Fig. 6B). È durante questa fase di progressione che la parassitemia aumenta e può verificarsi la manifestazione della malattia acuta. Le cellule del sistema immunitario innato sono responsabili del controllo del tasso di crescita del parassita e quindi del grado di parassitemia. In assenza di macrofagi e Cellule NK, si sviluppa una parassitemia maggiore e in un periodo più breve.

Il processo d’inibizione è mediato dalla produzione di fattori solubili: interferone gamma (IFN-ϒ), da cellule NK e fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α), ossido nitrico (NO) e specie di ossigeno reattivo (ROS) da parte dei macrofagi. Tuttavia, non è ancora chiaro come queste molecole possano interferire con lo sviluppo del parassita all'interno degli eritrociti. Secondo un modello sperimentale, i livelli di parassitemia cominciano a diminuire dopo circa 10 giorni dall’infezione (Fig. 6C) in seguito alla degenerazione di Babesia all'interno degli eritrociti e al passaggio attraverso la milza, che è iper-reattiva.

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In questo stadio l’infezione entra nella fase di risoluzione e la malattia regredisce attraverso l’intervento dei linfociti T, in particolare della sottopopolazione di CD41 produttori di IFN-ϒ. E 'stato ipotizzato che l’ IFN-ϒ sia direttamente responsabile della degradazione del parassita all’interno dell’eritrocita, ma questo diretto coinvolgimento non è stato dimostrato.

Risposte umorali.

La componente umorale del sistema immunitario è attualmente considerata di limitata importanza nella protezione contro le infezioni da Babesia. I topi immuni a B. rodhaini rimangono protetti anche dopo irradiazione che sopprime la produzione di anticorpi da linfociti B. Analogamente, si è costatato che in bovini infettati da B. divergens, la risposta anticorpale non è il fattore determinante nello sviluppo della parassitemia primaria. Inoltre, il trasferimento di siero immune su topi immunodeficienti infettati con B. microti non conferisce loro la capacità di superare l'infezione (87). Tuttavia, un certo grado d’immunità nei confronti a B. microti può essere trasferita a bovini e topi attraverso siero contenente anticorpi specifici anti-Babesia . Il siero immune può anche ritardare l'insorgenza di parassitemia da B. rodhaini, ma non impedisce lo sviluppo dell'infezione né protegge i topi infettati dalla morte. E’ stato dimostrato che gli anticorpi nel siero neutralizzano gli sporozoiti di Babesia o i merozoiti nella fase extracellulare (88, 89). Infatti, gli anticorpi hanno più effetto sui parassiti liberi che sui globuli rossi infetti .

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(Fig.6) Modello teorico delle cellule e delle molecole coinvolte nell'immunità stimolata da

Babesia

Pertanto, il ruolo protettivo degli anticorpi sembra essere limitato a una breve finestra di tempo tra il momento in cui i parassiti entrano nel flusso sanguigno e quello in cui invadono le cellule bersaglio (Fig. 6A). Alcune osservazioni

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suggeriscono che le specie di Babesia possono sovvertire la risposta immunitaria umorale e manipolarla a loro vantaggio. Diversi studi con B.

bigemina mostrano che una proteina del parassita espressa sulla superficie

degli eritrociti dell’ospite è coinvolta nel legame con le IgM (90). Gli autori ipotizzano che il legame con le IgM potrebbe essere in qualche modo utile per la crescita del parassita e la sua sopravvivenza (90). Questa teoria è supportata dal fatto che i topi IgM-deficienti sono inaspettatamente resistenti all’infezione da B. microti, il che conferma l’idea che i parassiti possano utilizzare le IgM per facilitare il processo d’infezione. Uno stratagemma simile sembra esistere anche nei confronti della via del complemento in cui non è stata osservata la lisi di Babesia. Al contrario, è stato visto che diversi componenti della via del complemento sono essenziali durante l'invasione degli eritrociti da parte di B.

rodhaini (91). Inoltre, in uno studio in cui il complemento era utilizzato per

promuovere la fagocitosi, si è inaspettatamente costatato che la presenza di complemento inibiva tale processo del patogeno.

Risposte cellulo-mediate.

La risposta cellulo-mediata all’infezione da Babesia è suggerita dall’importante attività della milza in difesa dell'ospite.

La milza è un grande organo linfoide, costituito da cellule T, cellule B, cellule natural killer (NK), e macrofagi. Alcune di queste popolazioni cellulari, quindi, potrebbero essere responsabili degli effetti protettivi osservati. Infatti, è stato possibile proteggere i topi dall’infezione mediante trasferimento di cellule spleniche di animali immuni (92). Inoltre, buoni livelli di protezione, sembrano

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essere conferiti in particolar modo dagli splenociti e non da cellule linfoidi (93); ciò probabilmente riflette che gli antigeni sistemici sono convogliati preferenzialmente verso la milza e non verso i linfonodi periferici. Il coinvolgimento specifico delle cellule T è stato esaminato utilizzando animali timo-carenti. Se s’infettano con B. microti topi congenitamente privi di timo, si ottiene come risultato un’elevata e persistente parassitemia, che contrasta con la parassitemia transitoria osservata in topi normali. Questi dati indicano che le cellule T sono critiche nel determinare la resistenza a babesiosi e intervengono nella fase di risoluzione. Inoltre, è stato dimostrato che il trasferimento di linfociti T purificati ottenuti da animali immuni è sufficiente a conferire l'immunità verso

B. microti (93), e che il trasferimento di timociti immuni in topi immunodeficienti

conferisce loro la capacità di superare l’infezione (87) (Fig. 6C). Antigeni di B.

microti possono innescare un’attivazione specifica delle cellule T, in particolare

la sottopopolazione nota come cellule CD41 Th1. Topi privati delle cellule T helper CD41 sono maggiormente suscettibili alle infezioni da B. microti rispetto ai topi normali (94,95). Al contrario, la suscettibilità all'infezione non è compromessa (91) ne diminuita (95) in topi privati delle cellule T citotossiche CD8. Pertanto, le cellule T helper CD41 sembrano essere la sottopopolazione principalmente responsabile della protezione contro B. microti. Sebbene la presenza di una specifica sottopopolazione sia correlata con la resistenza della babesiosi, non è ancora chiaro quali siano i meccanismi responsabili dell’eliminazione del patogeno nell'ospite infetto. In particolare, non vi sono prove che le cellule immunitarie in realtà distruggano i parassiti liberi o gli eritrociti infetti attraverso lisi diretta. E’ stato osservato che i resti di B. microti

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morte, rimangono all’interno degli eritrociti al momento del calo della parassitemia. Questo indica che il responsabile della degenerazione del parassita potrebbe essere un mediatore solubile. Fino ad oggi, questa teoria, è l’unica plausibile, poiché la lisi del complemento e la citotossicità CD8 sono state escluse. È interessante notare che la produzione di IFN-ϒ, da parte delle cellule T CD41 è responsabile almeno in parte della risoluzione della parassitemia (94). Ci sono di fatto alcune prove che dimostrano l’implicazione dell’IFN-ϒ nella tossicità per i parassiti intracellulari, compresi quelli che sono all’interno delle emazie(Fig. 6B e C). Sebbene l'attivazione di cellule immunitarie in generale sembra essere protettiva contro la babesiosi, rimane la possibilità che alcune delle popolazioni di cellule immunitarie potrebbe prendere parte nella patogenesi della malattia. Questa possibilità è supportata dal fatto che topi immunodepressi messi a contatto con il ceppo letale di B. rodhaini sopravvivono meglio rispetto a topi immunocompetenti non trattati.

Infezione persistente

L'esistenza dello stato di portatore asintomatico cronico nelle infezioni da

Babesia di animali domestici e selvatici è stato riconosciuto da molti anni (96,

97, 13), e di conseguenza, la gran parte delle informazioni sullo stato di carrier cronico nelle infezioni, proviene da esperimenti condotti su animali. Cani infettati con B. gibsoni, per esempio, possono rimanere portatori cronici dopo la scomparsa dei sintomi clinici (96). Animali cronicamente infetti possono mantenere titoli anticorpali elevati e alcuni possono sviluppare segni di altre malattie croniche, come patologie epatiche, glomerulonefrite proliferativa cronica, o entrambe (96).I criceti utilizzati a livello sperimentale, mostrano una

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parassitemia iniziale che può evolvere in uno stato di portatore in cui i parassiti possono essere riscontrati poco di frequente. Lo stato di portatore può durare due o più anni, ma nell'ultimo mese di vita, gli animali mostrano segni di ricaduta caratterizzati da un aumento della parassitemia, ascite ingravescente, anoressia, letargia. Sono state evidenziate infezioni croniche anche sui primati. Da questi studi, sembra che lo stato di portatore cronico dopo infezioni sperimentali con Babesia sia più comune di quanto ritenuto (98,74,14).

Fino a poco tempo fa era difficile determinare la durata effettiva d’infezione da

Babesia e da organismi simil-Babesia negli esseri umani, perché i test utilizzati

per evidenziare lo stato di portatore cronico mancavano di sensibilità. Con l'utilizzo della PCR su campioni di sangue umano si è dimostrato che lo stato di portatore cronico può durare da mesi ad anni (99,100).

La presenza di queste infezioni croniche può diventare un importante problema pratico, soprattutto in seguito all’utilizzo di trasfusioni di sangue in aree in cui la Babesiosi è endemica,

Diagnosi

La diagnosi di babesiosi si basa generalmente sull’individuazione degli organismi su strisci di sangue, che possono essere visualizzati con colorazione Giemsa (Fig.7) (101,102). Questi devono essere fatti in tempi rapidi poiché lo stoccaggio, anche con la refrigerazione, può rendere impossibile individuare gli organismi (102).

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Fig.7 Immagine al microscopio ottico di uno striscio di sangue positivo per Babesia spp.

La diagnosi può essere complicata dal fatto che, negli animali clinicamente affetti, non sempre gli organismi sono visibili su strisci di sangue, e bassi livelli di parassitemia sono comuni anche con infezioni patenti. Esaminando il sangue con la tecnica del Buffy Coat è possibile migliorare l'individuazione dei parassiti. Nelle infezioni croniche e subcliniche, gli organismi possono essere talmente pochi che la loro identificazione risulta molto difficoltosa.

Per migliorare la sensibilità diagnostica è stata utilizzata la tecnica del gradiente di Percoll: si è visto che in eritrociti di cani infettati con B. canis, gli strati che si formavano in superficie avevano un elevato livello di parassitemia poiché le cellule erano più grandi e avevano un peso specifico inferiore.

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Nel gradiente di Percoll la concentrazione di parassiti era di 134 volte maggiore rispetto a quella ritrovata nella porzione centrale di un normale striscio di sangue e superiore di 30 volte nella parte periferica dello striscio.

E’ possibile utilizzare anche tecniche sierologiche come l’IFA, tuttavia questo metodo presenta diverse limitazioni, poiché, in aree endemiche, si possono evidenziare fenomeni di reattività crociata e inoltre, in molti animali giovani o a inizio infezione i risultati possono essere negativi, poiché gli anticorpi richiedono un tempo di almeno 8-10 giorni per svilupparsi.

Sono disponibili anche tecniche di fissazione del complemento ed ELISA ma nella pratica sono poco utilizzate.

E’ stata eseguita una grossa indagine in North Carolina su cani di razza Pittbull in cui sono state eseguite l’IFA, la PCR e analisi microscopiche. Diversi cani erano positivi alla PCR ma non mostravano titoli positivi all’IFA, mentre in altri casi il risultato della PCR non coincideva con titoli elevati .

La presenza di sieropositività associata a PCR e strisci di sangue negativi, ci sta a indicare che possono essere presenti animali con livelli di parassitemia bassi ma costantemente infetti.(103).

La PCR NESTED usata per amplificare la piccola subunità ribosomiale dell’ RNA è una tecnica estremamente sensibile ed in grado di rilevare una parassitemia di 0,0001% (104).

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La diagnosi di Babesiosi canina deve essere la più specifica possibile, dal momento che la virulenza, la prognosi e la risposta al trattamento sono enormemente variabili.

Vaccini

Attualmente, non sono disponibili vaccini per l'uomo contro Babesia, né l'infezione è così frequente da giustificare l’impegno di una vaccinazione su larga scala. Gli investimenti più significativi sono stati fatti nello sviluppo di vaccini per il bestiame e altri animali, che tuttavia potrebbero in futuro rivelarsi utili anche per lo sviluppo di un vaccino umano. Gran parte del lavoro fatto per sviluppare vaccini si è concentrato sulle grandi Babesie, come B. bovis, B.

divergens e B. bigemina (105, 106, e 107). Lo sviluppo della ricerca ha portato

a produrre vaccini attenuati, vaccini che utilizzano antigeni solubili da culture in vitro e vaccini ricombinanti (107,108). Il confronto dei diversi aspetti di ceppi attenuati e virulenti ha favorito l’acquisizione di conoscenze nello sviluppo della malattia e ci ha aiutato a identificare potenziali componenti chiave coinvolti, come i geni specifici che inducono virulenza (109) o forme attenuate o non virulente (109). Studi mirati allo sviluppo di vaccini contro le varie specie di

Babesia hanno anche aiutato a chiarire alcuni dei meccanismi immunitari che si

verificano in risposta al processo d’infezione.

Vaccini vivi. L'uso di parassiti vivi per immunizzare bovini contro la diffusione della babesiosi è stato impiegato per molto tempo nella gestione del bestiame (110,111) con successo variabile. Nel 1964 è stato prodotto un ceppo attenuato di B. bovis utilizzato in vitelli splenectomizzati (110). Questo ceppo si è

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dimostrato molto utile come vaccino. Da allora, sono stati sviluppati numerosi vaccini attenuati per diverse specie di Babesia (112, 113, 114).

Vaccini ricombinanti. Nonostante i vaccini attenuati si siano dimostrati efficaci, il loro utilizzo è anche associato a diverse problematiche; tra le più importanti abbiamo la co-trasmissione di altri agenti enzootici, come il virus della leucemia bovina, e la breve vita dei lotti (115). Sono stati impiegati eritrociti infettati da B.

bovis, B. bigemina, e altre specie di Babesia, trattati con radiazioni, per

prevenire la parassitemia ma non sono efficaci come gli altri vaccini (12,107). La ricerca di vaccini ricombinanti è concentrata sullo sviluppo di vaccini dai principali antigeni di superficie dello sporozoita. In particolare, le proteine complesse apicali sono di particolare interesse a causa del loro ruolo nell’invasione della cellula ospite. Gli antigeni di queste proteine, hanno dimostrato una risposta immunitaria sufficiente per la protezione. Alcune proteine candidate sono state identificate nella specie Babesia, comprese le proteine associate al roptries (RAP), che sono codificate da una famiglia multigenica (107). La RAP-1 sia proveniente da B. bovis, che da B. bigemina è altamente immunogenica sia per le cellule B che T e provoca una risposta di tipo Th1 dalle cellule T helper, inducendo un’immunità protettiva parziale (108). Tuttavia, la presenza di specifici anticorpi RAP-1 non sempre è correlata con il grado d’immunità protettiva, il che implica un ruolo più complesso per entrambe le funzioni effettrici e di supporto delle cellule T CD41.

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