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Le donazioni indirette e il problema dei limiti dell'arte stipulatoria.

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INDICE Introduzione Capitolo primo

Introduzione alle donazioni indirette: negozio indiretto e assenza di forma

1.1. Premessa

1.2. Negozio indiretto

1.3. Negozio indiretto, negozio simulato, negozio fiduciario: profili di sovrapposizione e di differenziazione

1.4. Il mancato richiamo della forma solenne all’art. 809 c.c. 1.5. La ratio della forma solenne

1.6. Segue. Cause forti e deboli.

1.7. Il rapporto di proporzionalità inversa tra la causa e la forma 1.8. Approfondimento sulla causa

1.9. Comprovazione sociale e legale

Capitolo Secondo

Una tassonomia delle donazioni indirette: tradizionali, non tradizionali, superamento delle “liberalità non negoziali” 2.1 Ipotesi tradizionali di donazione indiretta

2.2 Contratto a favore di terzo 2.3 Rinuncia abdicativa

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2.5 Adempimento del terzo 2.6 Donazione mista

2.7 Ipotesi non tradizionali di donazione indiretta 2.8 Contratto di assicurazione sulla vita

2.9 Contratto di deposito bancario

2.10 Co-intestazione di conto corrente bancario 2.11 Accollo 2.12 Espromissione 2.13 Delegazione 2.14 Fideiussione 2.15 Trust 2.16 Fondo patrimoniale

2.17 Superamento delle “liberalità non negoziali”: premessa 2.18 Donazioni indirette negoziali e non negoziali

2.19 Fattispecie

Capitolo Terzo

Riflessioni critiche sulla giurisprudenza 3.1 Ordinanza di rimessione n. 106/17

3.2 La conferma della tesi: l’uso della struttura del negozio indiretto nella sentenza n. 18725/2017

3.3 Riflessioni critiche conclusive 3.4 L’animus donandi: premessa

3.5 Animus donandi: da un punto di vista sostanziale 3.6 Animus donandi: da un punto di vista processuale

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Capitolo Quarto Demolitio 4.1 Introduzione

4.2 La quota di riserva

4.3 La crisi della disciplina delle successioni 4.4 Rimedi elaborati dalla dottrina

4.5 Prospettive di riforma 4.6 Riforma?

4.7 Donazioni indirette e disciplina delle successioni 4.8 Destrutturazione del contratto: premessa

4.9 Negozio mezzo atipico

4.10 Donazione indiretta e autonomia privata: il dubbio del Trust 4.11 Conclusione

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Introduzione

Le donazioni indirette sono un tema complesso ma affascinante.

La complessità dipende in primis dalla composizione di questo fenomeno. Come si vedrà, infatti, lo schema base sul quale costruire qualunque ipotesi di donazione indiretta presenta due pilastri: un negozio mezzo e un accordo integrativo. Il primo rappresenta lo strumento che, utilizzato in modo distorto, per l’appunto indiretto, consente di perseguire oltre al suo fine anche un ulteriore scopo liberale. L’accordo integrativo è, se vogliamo, il presupposto della donazione indiretta: infatti, non sarà sufficiente per il perseguimento del fine liberale il distorcimento di un negozio, atto o fatto tipizzato dal legislatore, ma in aggiunta e anzi a priori, le parti dovranno mettersi d’accordo sul significato liberale di questa complessa e indiretta operazione. La liberalità, che altro non è che la volontà di arricchire l’altro nella consapevolezza di non esservi in alcun modo tenuto, sarà infatti tale solo se ambedue le parti, disponente e beneficiario, la configureranno in siffatto modo. Di qui la necessità di un accordo a monte fra le parti.

Lo schema che abbiamo appena descritto è lo scheletro, la struttura portante di qualunque fattispecie di donazione indiretta. Quanto appena detto, suggerisce il secondo elemento di complessità del fenomeno ossia l’esistenza di molteplici sottocategorie. Si presti attenzione però che non è solo ad un’opera formale ed inutile di categorizzazione che ci stiamo riferendo, bensí a quell’aspetto del fenomeno in esame che maggiormente ha fatto discutere e che tutt’oggi divide la dottrina in due filoni: chi sostiene la tesi delle “donazioni indirette” e chi preferisce parlare di “liberalità atipiche”. Ma andiamo con ordine. Avviandoci allo studio del fenomeno che ci

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interessa il punto di partenza è stato individuato in quelle che, ormai da tempo, dottrina e giurisprudenza ritengono pacificamente ipotesi di donazione indiretta. Queste sono, a titolo esemplificativo, l’adempimento del terzo, la rinunzia abdicativa, il collegamento negoziale e cosí via ricordando. Queste ipotesi, “tradizionali” come le abbiamo chiamate, non generano perplessità nella configurazione alla stregua di una donazione indiretta, i dubbi sorgono al momento dell’individuazione del meccanismo che sta alla base di suddetta configurazione. Chi sostiene la tesi del negozio indiretto andrà a ricercare e individuare i due pilastri che sostengono la figura: negozio mezzo e accordo integrativo. I sostenitori delle “liberalità atipiche”, invece, preferiscono usare questa espressione proprio per sottolineare il loro discostarsi dalla figura del negozio indiretto. I punti attorno ai quali si condensa la critica al negozio indiretto sono due. Innanzitutto non tutte le liberalità si realizzerebbero in modo indiretto: l’unico esempio portato a sostegno di questa critica è il contratto a favore di terzo. In realtà e a ben vedere, non possiamo ritenere che qua la liberalità si realizzi direttamente nei confronti del terzo, perché l’unico strumento attraverso il quale si può arricchire direttamente un terzo è il contratto di donazione, unica liberalità tipica esistente nel nostro ordinamento. Il secondo momento di critica riguarda il negozio indiretto: non tutte le ipotesi di donazione indiretta si realizzerebbero per il tramite di un negozio, ne sono un esempio la piantagione sul suolo altrui, la prescrizione di un diritto, etc.

Quanto si è appena detto ci consente di tornare al secondo momento di complessità del fenomeno in esame. Si è visto che all’interno della categoria delle donazioni indirette è possibile individuare delle sottocategorie. Un tentativo di categorizzazione mal riuscito, e che però per tradizione abbiamo ricordato, è quello delle “liberalità ad

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effetto non negoziale”. Per l’appunto questa espressione viene coniata

da una studiosa, sostenitrice della tesi delle liberalità tipiche1,

partendo dal presupposto che non ogni fattispecie ricomprenda al suo interno un negozio. Tuttavia, e come meglio si vedrà, non potendosi avvalere della struttura del negozio indiretto come ossatura di partenza nella ricostruzione delle singole fattispecie, nella spiegazione delle varie ipotesi la stessa si ritrova costretta a individuare, caso per caso, quella clausola, quella dichiarazione, insomma quell’elemento che nel concreto consente la realizzazione della liberalità. Questo difficile passaggio risulterà ancor più ostico nella ricostruzione di quelle ipotesi che, come si ricordava, vengono definite liberalità non negoziali. In realtà, e come lei stessa ammetterà, essendo necessaria la configurazione della liberalità da ambedue le parti, è impossibile ragionare presupponendo l’assenza di un qualsivoglia accordo intercorrente fra disponente e beneficiario. Pur tuttavia l’autrice ritiene, ancora una volta, di doversi distanziare dai sostenitori della tesi del negozio indiretto e per questo parla di “liberalità ad effetto non negoziale”. Ossia, un accordo tra le parti c’è, ma relativo esclusivamente alla percezione della liberalità. La distinzione che di conseguenza viene disegnata è quella fra liberalità che producono i loro effetti su un negozio (come quelle tradizionali) e quelle che non producono effetti su un negozio ma su un atto o un fatto (liberalità ad effetto non negoziali). Come si preannunciava, una volta individuata la necessità di un accordo in sede di donazione indiretta o liberalità atipica, non si capisce il bisogno di dover continuare a distinguere fra le varie ipotesi: in ogni donazione indiretta troveremo infatti un accordo (integrativo) col quale le parti si mettono d’accordo sul significato in termini liberali del mezzo, che                                                                                                                

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potrà poi essere un negozio, un atto o un fatto. Ecco svanire la critica al negozio indiretto, e con sé anche la tesi delle liberalità atipiche. Concludendo l’analisi del secondo momento di complessità del fenomeno, dobbiamo ricordare una, questa volta fondata, distinzione all’interno delle donazione indirette. Parlare come abbiamo fatto di ipotesi tradizionali di donazione indiretta, significa ammettere che vi siano delle ipotesi non tradizionali. In effetti, una volta segnati i confini all’interno dei quali i privati possono muoversi esercitando l’arte stipulatoria, sono infinite le strade da percorrere per il perseguimento in via indiretta di un fine liberale. Inoltrandoci in questo ambito, troviamo dunque delle ipotesi che comunemente i privati usano per soddisfare indirettamente i loro interessi liberali (contratto di assicurazione sulla vita a favore di terzo), ma che la dottrina né la giurisprudenza configurano come donazione indiretta; accanto a queste abbiamo poi contribuito personalmente alla individuazione di fattispecie che concretamente potrebbero essere impiegate per il raggiungimento del fine liberale.

I momenti di complessità del fenomeno che abbiamo brevemente introdotto nascondono tuttavia un substrato molto interessante. Si tratta sostanzialmente di comprendere la ratio che sta alla base del fenomeno, le sue origini e, vedremo in che termini, il punto di arrivo dell’evoluzione in corso. L’analisi richiesta, che abbraccia anche settori socio-economici, mostrerà che, come si era preannunciato, le donazione indirette sono un fenomeno complesso ma, in quanto artefatto, affascinante: la complessità, a ben vedere, non nasconde questo ricco substrato economico-sociale, ma anzi ne è l’espressione. Ciò che ha attirato gli sguardi curiosi di dottrina e giurisprudenza sul fenomeno della donazione indiretta è stata una sentenza delle SU

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della corte di Cassazione.2 Brevemente, e anticipando quanto si dirà più avanti, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul tema data la divergenza di vedute che ormai da qualche anno imperversava nelle aule giudiziare, generando caos e malcontenti fra i privati. A partire dagli anni ’90, infatti, si è assistito ad un progressivo aumento del ricorso a questa figura; accanto alle ipotesi tradizionali di donazione diretta, come si diceva, sono state elaborate anche diverse fattispecie, dinanzi alle quali i tribunali hanno risposto contraddittoriamente. D’altronde questo istituto è stato sostanzialmente riscoperto dai

privati, spolverando opere di inizio secolo,3in un momento che,

alcuni, potrebbero definire “opportuno”. Ossia non è un caso che proprio a partire dalla fine del sec. XX si sia avviato questo massiccio

ricorso alla donazione indiretta.4 La spiegazione va senza dubbio

rinvenuta nella frustrazione degli interessi privati da alcuni percepita soprattutto in ambito successorio. Il nostro ordinamento, considerato ormai antiquato e per ciò da superare, a detta dei più non riuscirebbe a soddisfare le mutate esigenze economico-sociali. Oggetto della critica più accesa sono le disposizioni a tutela degli eredi legittimari, non più baluardi nella difesa della famiglia, ma catene alla libertà di testare del de cuius.

Tuttavia, se da una parte è effettivamente questo l’epicentro dal quale dilaga il fenomeno delle donazioni indirette, dall’altra non possiamo però concordare pienamente sull’opportunità di questa espansione. Laddove, infatti, i motivi che spingono le parti ad optare per una donazione indiretta siano puramente economici (pensiamo al risparmio del costo dell’atto pubblico richiesto invece per il contratto                                                                                                                

2 Cass. SU 18725/2017

3 D. Rubino, Il negozio giuridico indiretto, Milano, A. Giuffrè, 1937; T. Ascarelli, il negozio

indiretto e le società commerciali, in Studi in onore di Cesare Vivante, Roma, Società

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di donazione) non troviamo nulla da obiettare; ma se invece è l’intenzione, occulta e illegittima, di ledere la quota disponibile che la legge riserva agli eredi legittimari a spingere le parti in questa direzione, non si può essere altrettanto consenzienti.

Analizzando i valori portanti il nostro ordinamento, infatti, si è riscontrata un’attenzione corposa che questo dimostra nei confronti della famiglia, in primis la stessa Costituzione dedica più articoli a questo primo ed essenziale nucleo sociale. Ciò detto sarebbe difficile sostenere, a contrario, che nessuna tutela è data a livello costituzionale agli eredi necessari in quanto se i padri costituenti avessero voluto tutelare la successione necessaria la avrebbero espressamente richiamata nella Carta fondamentale. In quest’ultima ritroviamo una semplice ma fortissima tutela del nucleo familiare, alla luce della quale il legislatore civilistico riserva una quota della massa ereditaria a una cerchia ristretta di eredi, a riconoscimento dell’ affectio familiaris tra di loro intercorrente. Uscendo dalla disciplina successoria e volgendo lo sguardo all’istituzione del matrimonio, anche qui possiamo percepire con mano l’importanza che il legislatore riconosce a questa unione: l’articolato meccanismo di scioglimento del matrimonio ne è la dimostrazione. Come credere dunque che uno Stato che tutela la famiglia al punto di predisporre procedure divorzili che tendano verso la riappacificazione di parti nolenti, possa poi non tutelare l’unità familiare in un momento come quello della morte dove non per propria volontà le parti sono divise? Si prende comunque atto dell’esistenza di tesi opposte, anche

validamente sostenute,5 e pur tuttavia noi prediligiamo la prima.

Di conseguenza, e presupposta la ricostruzione della tutela degli eredi legittimari come valore nostrano, appare inaccettabile la proposta                                                                                                                

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avanzata da parte della dottrina di abolire la successione necessaria nel nostro Ordinamento.

La velocità, la longevità, la complessità che contraddistinguono le attuali società dovranno trovare un diverso canale di attuazione. Se la disciplina della successioni può abbisognare, come in effetti è, di un ammodernamento questo dovrà essere in chiave garantistica dei valori sui quali poggia il nostro Stato, non elusiva.

Vorrei concludere questa introduzione con un accenno all’aspetto economico del fenomeno in esame. Le donazioni indirette e la loro complessità sono, come dicevo, espressione del mutato contesto economico-sociale. Sembra strano che nel XXI secolo, nel climax dell’industrializzazione, dinanzi a tecnologie che mai avremmo potuto immaginare cinquanta anni fa, sotto la guida politica di super imprenditori, ancora sorgano liti insanabili (e di conseguenza relativi strumenti elusivi) a seguito dell’apertura di una successione.

La storia dell’uomo si ripete, perché la sua natura rimane immutata. Da Giacobbe ed Esaù fino ai giorni nostri, l’eredità è ancora elemento portante della ricchezza personale. Ciò che è cambiato è solo la forma: “allora il capitale era terriero, oggi è divenuto immobiliare,

industriale, finanziario”.6

                                                                                                               

6 T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, Milano, 2014, pag. 581. “ per ragioni che

è possibile definire in qualche misura tecniche, oggi il caoitale continua a svolgere un ruolo fondamentale nei processi di produzione, e pertanto nella vita pubblica. Prima di dare il via a qualunque produzione sussiste l’obbligo di poter contare su findi adeguati, onde pagare uffici e infrastrutture, finanziare investimenti materiali e immateriali do ogni genere, e ovviamente trovare una sede per la nuova impresa. Le abilità e le competenze umane si sono certo molto rivalutate nella storia. Ma si è rivalutato, in ugual misura, anche il capitale non umano: non ci sono dunque motivi fondati a priori per aspettarsi una progressive scomparsa dell’eredità, da questo punto di vista.”

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Analizzando nel dettaglio il “flusso successorio” 7 si può concretamente apprezzare quale sia effettivamente stato, dall’800 ad

oggi, il peso dell’eredità8. Nel XIX sec. i lasciti ereditari avevano una

forza strutturante sia da un punto di vista economico ma anche sociale. Il discorso che Balzac fa tenere al suo personaggio Vautrin a Rastignac nel romanzo “Papà Goriot” è espressione di questa                                                                                                                

7T. Piketty, ult. op .cit., pag. 584, “ Il flusso successorio ossia a quanto ammonta il totale

delle successioni e delle donazioni trasmesse nel corso di un anno, espresso in percentuale di reddito nazionale”.

8 È interessante notare che l’economista in questione includa nel flusso successorio anche le

donazioni, ritenendola una importante forma di trasmissione della ricchezza.

Il grafico sottostante dimostra l’importanza delle donazioni negli ultimi due secoli e la loro spettacolare crescita negli ultimi decenni (come si diceva anche per le donazioni indirette). “Oggi il capitale trasmesso per donazione è importante quanto quello delle successioni propriamente dette, o quasi. Le donazioni rappresentano oggi quasi la metà del livello raggiunto dal flusso successorio, ed è perciò fondamentale valutarne per intero la portata. […] Siamo insomma in presenza di una nuova età dell’oro delle donazioni, ancora più massiccia di quella del XIX secolo. È interessante notare che oggi, come nel XIX secolo, le donazioni avvengono nella grande maggioranza dei casi a beneficio dei figli, spesso nel quadro di un investimento immobiliare, e che si effettua in media dieci anni prima del decesso del donatore. La crescente importanza delle donazioni a partire dagli anni settanta-ottanta corrisponde dunque, in qualche misura, a un ringiovanimento di chi riceve. […] In ogni caso, quale che sia il risvolto preciso delle varie spiegazioni possibili, il fatto è che la nuova età dell’oro delle donazioni è un ingrediente essenziale per l’attuale ritorno in scena dell’eredità”. T. Piketty, ult. op .cit., pag. 606; Grafico 11.5, T. Piketty, in

http://piketty.pse.ens.fr

Graphique 11.5. Le rapport entre le patrimoine moyen au décès et le patrimoine moyen des vivants, France 1820-2010

60% 80% 100% 120% 140% 160% 180% 200% 220% 240% 260% 1820 1840 1860 1880 1900 1920 1940 1960 1980 2000 Lecture: en 2000-2010, le patrimoine moyen au décès est 20% plus élevé que celui des vivants si l'on omet les

donations faites avant le décès, mais plus de deux fois plus élevé si on les ré-intègre.

Sources et séries: voir piketty.pse.ens.fr/capital21c

Ra pp ort en tre le s p atr im oin es mo ye ns de s d écé de nts et de s vi va

nts Rapport obtenu sans ré-intégrer les donations faites avant le décès Rapport obtenu en ré-intégrant les donations faites avant le décès

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funzione di struttura sociale :“con lo studio e il lavoro è impossibile sperare di condurre una vita agiata ed elegante; l’unica strategia

realistica è sposare la signorina Victorine e, con lei, la sua eredità.”9

Durante il periodo dei due conflitti mondiali, il flusso ereditario subisce un drastico crollo che comporta la quasi totale scomparsa dell’eredità. Nei successivi anni del dopo guerra, il capitale si accumula solo grazie al lavoro e al risparmio; saranno solo le

generazioni degli anni settanta-ottanta a percepire nuovamente

l’importanza dell’eredità nella loro vita. 10

Ad oggi il flusso successorio è tornato ad avere una rilevanza pari a quella che si è vista durante la Belle Epoque, ma la vera domanda è: “ come evolverà nel XXI secolo?” Le previsioni sul tema, sottolineando l’ampio margine di incertezza che v’è ogniqualvolta i parametri

considerati sono anche sociali e demografici,11 sono nel senso di

un’importanza sempre maggiore dell’eredità. La critica fondata sulla longevità delle attuali società, caratteristica che secondo alcuni porterebbe alla fine dell’eredità, si rivela falsa: “ in una società che invecchia si eredita più tardi, ma si ereditano importi più elevati, per

cui il peso globale dell’eredità rimane immutato.”12

                                                                                                               

9 T. Piketty, ult. op. cit., pag. 584.

10 T. Piketty, ult. op. cit., pag. 587, “ La presenza o meno di donazioni significative

determina in larga parte chi tra di loro diventerà proprietario, a quale età, con quale congiunto, dove e per quale superficie- in ogni caso con maggiore precisione rispetto alla generazione dei loro genitori”.

11 T. Piketty, , ult. op. cit., pag. 615, “Va sottolineato, come è ovvio, l’ampio margine di

incertezza connaturato a previsioni del genere, le quali hanno per lo più un interesse illustrativo, la crescita del flusso successorio, nel secolo che si è appena aperto, dipende da molti parametri economici, demografici e politici suscettibili, come dimostra la storia del secolo passato, di mutazioni di grande ampiezza e del tutto imprevedibili. È possibile immaginare, sulla carta, anche altri scenari, che porterebbero a conclusioni diverse: nel caso si verifichi, ad esempio, un’accelerazione inaspetatta della crescita demografica o

economica, o un radicale cambiamento nelle politiche pubbliche nei confronti del capitale privato o delle eredità. Insistiamo inoltre sul fatto che l’evoluzione del profilo dei patrimoni per età dipende in primo luogo dai comportamenti in materia di risparmio, ossia le ragioni che gli uni e gli altri hanno per accumulare i patrimoni.”

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Concludendo, e per riprendere il pensiero di Honoré de Balzac, la nostra società non è quella di Vautrin, dove l’eredità prevaleva sul lavoro, ma non è neppure rimasta ferma agli anni cinquanta-sessanta, dove era il lavoro a prevalere sull’eredità. Torna nel nostro discorso la parola complessità, in quanto la attuale realtà è la risultante di una commistione fra lavoro ed eredità, dove spesso i Rentiers sono anche “mega dirigenti”.

Data quindi l’importanza che le successioni, in senso giuridico, sociale ed economico, continuano ad avere attualmente, si necessita un’attenta analisi delle donazioni indirette: e come parte integrante il “flusso successorio”, ma soprattutto nell’ottica della sua funzione elusiva dei valori fondanti il nostro ordinamento.

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Capitolo Primo

Introduzione alle donazioni indirette: negozio indiretto e informalità 1.1. Premessa. Il fenomeno delle donazioni indirette ha attirato l’attenzione dei giuristi a seguito di un’attesa sentenza della Corte di

Cassazione sull’argomento.13 Prima di poter procedere a un’analisi

cosciente e critica della decisione, tuttavia, è necessario ricostruire l’istituto a partire dalla riconduzione alla figura generale di appartenenza: il negozio indiretto. Occorre sottolineare però che se da una parte l’assimilazione, e la complementare differenziazione, del negozio indiretto (inteso questa volta come categoria), ad altre figure è costante nella dottrina, d’altra parte una tesi autorevole e

condivisibile14 rifiuta queste banali operazioni di mera “devianza

linguistica”.

1.2. Negozio indiretto. Il negozio indiretto è espressione del principio

generale dell’autonomia privata sancito all’art. 1322 c.c. 15

Riassumendo quanto diremo in modo più approfondito successivamente, i privati, realizzando indirettamente il fine liberale attraverso l’uso distorto di un negozio mezzo, altro non fanno che integrare l’ordinamento con questa loro autonoma creazione. Il diritto si estende cosí al negozio indiretto, come se non bastasse a se stesso; i privati godono della vincolatività giuridica che lo Stato imprime al loro accordo.

                                                                                                               

13 Cass. N. 18725/17

14 R. Sacco “Contratto indiretto”, pag. 1, 2011, in Digesto, Leggi d’Italia.

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Apprezzeremo la malleabilità di questo istituto studiando caso per caso le varie concretizzazioni che ne hanno fatto le parti e la giurisprudenza. Prima di scendere nel dettaglio possiamo anticipare, volendo generalizzare, che il negozio indiretto è quello strumento che consente alle parti, attraverso l’uso distorto di un negozio tipizzato dal legislatore, di raggiungere un ulteriore fine, spesso liberale.

Questa definizione tuttavia, per quanto corretta, è incapace di trasmettere la portata, si potrebbe dire, “storica” del fenomeno. L’analisi del diritto positivo, infatti, può solamente descrivere il diritto vigente in un dato ordinamento, la sua disciplina e la sua funzione; ma per comprendere il senso della struttura di ciascun istituto è necessario studiarne l’origine e soprattutto la trasformazione “pratica”, ossia indipendente da interventi legislativi, e in un certo

senso “profana”. 16 Ricordando una famosa osservazione di O. W.

Holmes, la sostanza del diritto corrisponde in ogni tempo a quello che è ritenuto attualmente conveniente, ma le sue forme e meccanismi

debbono molto al passato. 17 Gli ordinamenti giuridici, cioè, sebbene

si evolvano nel corso del tempo, percorrono questi processi di adattamento non solo lentamente ma anche peculiarmente. I vecchi istituti non vengono abbandonati, ma trasformati; cosí essi stessi sono modificati dalle nuove istanze che si prefiggono di tutelare, e a loro                                                                                                                

16 T. Ascarelli, Il negozio indiretto, in Studi in onore di Vivante, Roma, 1931,

pag. 1 ss. “ Il diritto si evolve spesso lentamente, ma organicamente; i nuovi istituti non sorgono improvvisi ma si sviluppnao poco a poco, sul tronco dei vecchi istituti, che vanno via via rinnovandosi, e adempiendo nuove funzioni. É appunto attraverso questo continuo adattamento di vecchi istituti a nuove funzioni che il diritto si svolge, a volte conservando cosí le tracce della sua storia passata in forme che spesso rimangono identiche pur nel rinnovarsi delle funzioni”.

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volta modificano, articolando a loro immagine, le moderne esigenze sociali. In questo modo il nuovo non sarà mai tale, al suo interno si potranno individuare elementi “consuetudinari” che originano nel passato, ed altri contemporanei. “Questo processo può forse offendere la simmetria e l’estetica del sistema, ma presenta il vantaggio di conciliare progresso e conservazione, di soddisfare le nuove esigenze, rispettando la continuità di svolgimento giuridico e la certezza della disciplina, che scaturisce dall’utilizzazione di istituti già noti, elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, assoggettati alla prova

dell’esperienza e da questa già plasmati”.18

Secondo una diversa definizione il negozio indiretto è “la figura che ricorre quando le parti, pur ponendo in essere un determinato contratto avente una funzione tipica, intendono perseguire finalità ulteriori o diverse che si potrebbero realizzare con un altro strumento

negoziale o che non si potrebbero altrimenti realizzare”.19 A parte la

considerazione che la richiamata definizione risente

inequivocabilmente della tesi della causa come “funzione economica sociale” del contratto, della quale ci occuperemo più avanti, essa appare criticabile. Ritenere, infatti, che attraverso il negozio indiretto si possa raggiungere un fine diverso da quello del negozio-mezzo impiegato è scorretto. Come si vedrà successivamente, e precisamente nel capitolo dedicato al mancato richiamo della forma solenne nell’art. 809 c.c., l’applicazione del negozio indiretto su un diverso negozio (cd. negozio-mezzo) produce l’arricchimento della causa tipizzata dal negozio mezzo usato, non invece il cambiamento della stessa. Per quanto da un punto di vista meramente lessicale un arricchimento, non possiamo negarlo, determina un cambiamento,                                                                                                                

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non è vero l’inverso. Ossia, non necessariamente un cambiamento è un arricchimento. Volendo schematizzare, potremmo anche ritenere esistente fra i due termini un rapporto di genus a species: il cambiamento è un genere cui appartiene la specie dell’arricchimento. Da questa specificazione discende un’importante conseguenza. Affermare che il negozio indiretto modifica la causa del negozio-mezzo significa rimettere in discussione la causa del negozio tipizzato impiegato. Dovremmo allora rivalutare la causa nel suo complesso e specificatamente se essa sia forte o debole. La questione è di grande rilevanza, come si vedrà nel successivo paragrafo analizzando i rapporti (di proporzionalità inversa) esistenti fra la causa e la forma del contratto. Sinteticamente, la causa forte è caratteristica dei contratti tipizzati poiché questi sono stati ampiamente comprovati socialmente e legalmente; al contrario, un contratto è caratterizzato dalla causa debole quando manca un tal genere di comprovazione e ci sono ragioni per dubitare della fondatezza e meritevolezza dell’accordo. Un esempio classico è il contratto di donazione. Di conseguenza, mentre nelle prime ipotesi la forma non sarà necessaria, lo sarà invece, al fine di sorreggere una causa debole, nelle seconde ipotesi di accordo, cosí giustificando il costo della coercibilità dello stesso.

Comprendiamo allora che il negozio indiretto non può che incidere sulla causa del contratto tipizzato impiegato, arricchendone la causa ma mai cambiandola, nel senso di imporre una causa diversa.

Fatta questa precisazione, riprendiamo la ricordata definizione: “…che si potrebbero realizzare con un altro strumento negoziale o che non si potrebbero altrimenti realizzare”. Un esempio del primo caso, ossia di finalità che si possono perseguire grazie al negozio indiretto ma che si potrebbero altresí raggiungere grazie ad un altro

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strumento negoziale, è proprio la donazione indiretta. Il secondo meccanismo cui fa riferimento l’autore è invece quello delle società di comodo. Quest’ultima è la prima ipotesi riguardo alla quale si è

parlato in Italia di negozio indiretto:20 un soggetto, proprietario di più

beni immobili, stipula un contratto di società non per perseguire il tipico scopo dell’attività economica lucrativa, ma per sfuggire ai suoi creditori o al fisco conferendo i beni immobili al patrimonio della società di capitali. Ricordiamo che l’art 2248 c.c. prescrive l’assoggettamento delle forme di godimento immobiliare a quelle della comunione ordinaria. La risposta dell’ordinamento in questo caso è non la nullità dell’accordo bensí una sua diversa

configurazione in sede interpretativa ed applicativa,21 per mezzo della

qualificazione da parte del giudice. Inquadrato il rapporto, nonostante il nomen di società di capitali, nella comunione ordinaria, sarà concessa al creditore personale del comproprietario l’azione esecutiva o conservativa. L’autore ricordato, probabilmente influenzato da

un’autorevole dottrina,22 ritiene che la società di comodo sia un

evidente esempio di negozio indiretto. A noi pare più evidente la vicinanza alla simulazione relativa: fra negozio indiretto, simulazione e negozio fiduciario, i confini sono molto labili.

Rodolfo Sacco23 opera una velata critica alla ricostruzione del

negozio indiretto, sottolineando un ulteriore profilo di criticità. Egli afferma che nella tassonomia corrente tre sono le figure che vengono ricondotte alla nozione di negozio indiretto: le società di puro comodo, le alienazioni fatte a scopo di garanzia e le donazioni                                                                                                                

20 Ascarelli, Il negozio indiretto, pag. 23, in M. De Paolo, ult. op. cit. 21 M. De Paolo, ult. op. cit.

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indirette. “Ma il manto dogmatico doveva anche apparire specioso, e lo scopo della categoria poté ben essere ricondotto a quello di offrire un nomen iuris fintamente unitario, onde legittimare alcuni contratti che sono sospetti per una certa contraddittorietà fra il contenuto negoziale e il fine perseguito, pertanto sono esposti all'attacco di chi voglia impugnarli come simulati e come conclusi in frode alla legge”. Si tratta sostanzialmente di una falsa qualificazione del rapporto: le parti lo chiamano “società” per sottrarsi a delle norme imperative non gradite, ma “resta il fatto che la falsa qualificazione è una pura devianza linguistica, priva di conseguenze giuridiche; può trarre in inganno per un istante, ma è un ingombro che la parte interessata, nonché il terzo interessato, ha il diritto di rimuovere; la qualificazione

falsa non incide sulla natura del contratto né del rapporto”.24 Non è,

afferma Sacco, un problema di qualificazione dell’atto in questo caso, ma banalmente di individuazione della norma da applicare.

1.3 Negozio indiretto, negozio simulato, negozio fiduciario: profili di sovrapposizione e di differenziazione. Da quanto abbiamo detto, si comprende che la categoria del negozio indiretto è una speciosa e falsa generalizzazione. Ciononostante si rende essenziale per la trattazione del tema usare tale espressione, ricordando però che non si tratta di una categoria giuridica strettamente intesa. Il negozio indiretto, infatti, è uno strumento, un meccanismo, sulla cui base i privati possono operare per raggiungere indirettamente ulteriori scopi; non è invece una cornice legittimante figure erroneamente assimilate. È quindi in senso descrittivo che dobbiamo intendere l’uso dell’espressione “negozio indiretto” nel corso di questa tesi, come motore di funzionamento del marchingegno delle donazioni indirette.                                                                                                                

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Come si comprende, non sono le donazioni indirette ad essere ricomprese, come parte della dottrina sostiene, all’interno del negozio indiretto (come categoria) assieme ad altre figure; al contrario sono le donazioni indirette a ricomprendere al loro interno, come ossatura, il negozio indiretto. Precisiamo inoltre che neppure le donazioni indirette possono essere ricostruite come categoria. Sebbene, infatti, la nostra sia un’opera di individuazione delle linee guida che i privati è opportuno che seguano nel perseguimento indiretto del fine liberale, nessun confine è possibile apporre alla loro fantasia. Di conseguenza parlare di categoria significherebbe tentare, senza riuscire, di imporre un argine alla fantasia dei privati, oltre al quale questi non possono spingersi; ma le nostre linee guida altro non sono che pilastri di sostegno, non mura di cinta, di queste potenziali infinite strutture. Ciò nonostante, molti autori credono erroneamente di dover procedere a uno studio approfondito delle figure che si avvicendano ai confini, inesistenti, della categoria del negozio indiretto, traendone (in)utili e non veritieri criteri di differenziazione e similitudine. Per tradizione, li ricordiamo brevemente.

Le figure richiamate sono generalmente due: negozio simulato e negozio fiduciario.

Per quanto riguarda il primo, parte della dottrina trova nella fittizietà, che contraddistingue questa figura, il corrispettivo dell’elemento caratterizzante il negozio indiretto: la simulazione sta alla fittizietà, come il negozio indiretto sta all’indiretta e occulta realizzazione dello scopo ulteriore prefissato dalle parti. Ricordando tuttavia la distinzione fra simulazione relativa e assoluta (in quest’ultima le parti non vogliono quel negozio simulato, nella simulazione relativa le parti vogliono quel negozio ma per raggiungere un fine diverso dallo scopo tipizzato), possiamo osservare invece la netta differenza

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rispetto al negozio indiretto: in questo le parti vogliono il negozio mezzo, il che equivale a dire che vogliono sia l’applicazione della relativa disciplina, sia la realizzazione della causa tipica del negozio, al quale aggiungono un fine ulteriore, ad esempio liberale, che porta con sé l’applicazione della disciplina del contratto di donazione nei limiti indicati dall’art. 809 c.c. Più semplicemente potremmo dire che se la parola d’ordine nella simulazione è fittizietà, nel negozio indiretto è invece effettività.25

Per quanto riguarda il negozio fiduciario, questo si ha quando una parte fiduciante trasferisce ad un’altra ( fiduciaria) un bene affinché lo gestisca per finalità particolari, col vincolo del rispetto di determinati obblighi e l’impegno a ritrasferire il bene quando l’incarico sia esaurito. Possiamo distinguere fra fiducia cum amico e cum creditore. Nella prima il fiduciante trasferisce al fiduciario il bene affinché lo gestisca nell’interesse del fiduciante, magari dietro corrispettivo, per un periodo nel quale, può darsi, il fiduciante non vuole apparire proprietario di quel bene.

La fiducia cum creditore si ha quando il fiduciario è creditore del fiduciante che a garanzia del debito ha trasferito quel bene al suo creditore, il quale dovrebbe ritrasferirglielo al momento del pagamento. Il pericolo è che si violi il divieto di patto commissorio, col quale in caso di inadempimento da parte del debitore il creditore

conserva la proprietà del bene sottoposto a pegno o ipoteca. 26

                                                                                                               

25 M. De Paolo, ult. op. cit.

26 Non si può non accennare però all’evoluzione registrata negli ultimi decenni nel nostro

ordinamento in tema di alienazioni a scopo di garanzia e divieto di cui all’art. 2744 c.c. Per lungo tempo e fino agli anni ’80, dottrina e giurisprudenza ritenevano che non si configurasse una alienazione a scopo di garanzia laddove il trasferimento fosse immediato, ma solo sospensivamente o risolutivamente condizionato. Il motivo era uno scorretto

impiego del meccanismo simulatorio da parte dei giudici, I quali ritenevano che in presenza, ad esempio, di una vendita risolutivamente condizionata lo scopo di scambio fosse simulato, mentre era dissimulato uno di finanziamento: di conseguenza il venditore otteneva una

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Ciò che induce in errore la dottrina e che la porta a interrogarsi sul rapporto fra negozio indiretto e fiduciario è che in entrambi gli effetti sono voluti dalle parti, anche se diretti al perseguimento di uno scopo diverso da quello tipico del negozio posto in essere. Nonostante la categoria del negozio indiretto non abbia, come si è visto, un effettivo fondamento (e di conseguenza le riflessioni in merito al rapporto esistente fra questo e altri istituti sia priva di significato), in dottrina troviamo svariati orientamenti relativi alle interrelazioni esistenti fra negozio indiretto e negozio fiduciario. Questi sono sinteticamente

riconducibili a tre filoni:27 il primo ritiene che negozio indiretto e

negozio fiduciario siano due categorie distinte che non

necessariamente interferiscono fra loro;28il secondo identifica i negozi

fiduciari coi negozi indiretti in quanto i primi esaurirebbero la

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          corte di cassazione individuò, indipendentemente da quando si realizza il trasferimento, nell’accertamento causale lo strumento per valutare la validità del contratto: solo ove la causa fosse stata esclusivamente di garanzia questo sarebbe stato dichiarato nullo per violazione dell’art. 2744 c.c. di conseguenza spetta al giudice del merito, valutare in

concreto quale sia lo scopo perseguito dalle parti. Tale questione era particolarmente dubbia con riferimento al contratto di sale e lease back, sul punto è stata dirimente la sentenza n. 1625/15 della Corte di Cassazione: il contratto in questione in astratto è valido poichè persegue uno scopo di tipo economico finanziario, tuttavia è possibile che in concreto le parti lo pieghino al perseguimento di uno scopo esclusivo di garanzia. In tal caso, il contratto sarà nullo solo se al suo interno non saranno ravvisabili meccanismi, come il patto

Marciano, che tendano all’equivalenza in sede solutoria fra credito garantito e valore della garanzia legittimamente trattenuta dal creditore. Se ne deduce la validità nel nostro

ordinamento dei negozi caevendi causa, anche in presenza di trasferimenti della proprietà, purché nessun approfittamento sia imputabile al creditore. Lo stesso d.lgs. n. 170/2004 (emanato in attuazione della direttiva 2002/47/CE) che, innovando il sistema, ammette espressamente alienazioni a scopo di garanzia di attività finanziarie, pur escludendo l’applicazione dell’art. 2744, impone comunque un meccanismo di riequilibrio della posizione delle parti. Di conseguenza comprendiamo che il divieto del patto commissorio rimane fermo nel nostro ordinamento; dinanzi alla minore rigidità del sistema avverso le alienazioni a scopo di garazia semmai è rinvenibile il ritorno del patto Marciano. (G. D’amico, Alienazioni a scopo di garanzia, in I contratti per l’impresa, Mulino, Bologna, 2013.)

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categoria dei secondi 29 (la nostra ipotesi non avrebbe di conseguenza nessun significato); l’ultimo ritiene che i negozi fiduciari rientrano

nella categoria dei negozi indiretti30. Quest’ultimo orientamento è

condiviso anche da Trimarchi31 che qualifica il nesso fra negozio

indiretto e negozio fiduciario come un rapporto di genere a specie. Questa tesi è condivisibile con una precisazione. Se è vero che il negozio fiduciario ha in comune con quello indiretto la divergenza dello scopo perseguito dalle parti rispetto al mezzo tecnico utilizzato, tuttavia, ciò che caratterizza, e diversifica, il negozio fiduciario è l’eccedenza del mezzo utilizzato rispetto allo scopo che si vuole perseguire, che potrebbe essere raggiunto anche in diversi e meno

onerosi modi.32

                                                                                                               

29 Regelsberger, Zwei Beiträge zur Lehre von der Cession in M. De Paolo, ult. op.

cit.

30 Ascarelli, ult. op. cit., pag 18 ss

31 V. M. Trimarchi, Negozio giuridico, 1977, paragafo 18, “Il negozio fiduciario

si presenta come qualcosa di diverso dal negozio indiretto, ovvero come figura capace di esaurire quella del negozio indiretto o di rappresentare una species del più vasto genus.”

32 M. De Paolo, ult. op. cit., “Nel negozio fiduciario questa divergenza assume un

aspetto più specifico e particolare che consente di qualificarlo più precisamente in termini di eccedenza del mezzo adoperato rispetto allo scopo perseguito: per semplificare, attraverso il negozio fiduciario di tipo romanistico le parti intendono realizzare uno scopo di custodia (fiducia cum amico) o di garanzia (fiducia cum creditore) attraverso uno strumento tecnico (trasferimento della proprietà) che eccede i suddetti scopi che potrebbero essere realizzati attraverso un contratto ad effetti meramente obbligatori (ad esempio mandato) ovvero attraverso la costituzione di un diritto reale di garanzia (ad esempio pegno o ipoteca). Nel negozio indiretto invece questa eccedenza non si ravvede ed anzi a volte si verifica il fenomeno opposto (come nell'esempio fatto sopra del mandato irrevocabile in luogo della cessione di credito), cioè che la divergenza suesposta

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Un’altra figura accostata al negozio indiretto è il contratto in frode

alla legge. Parte della dottrina,33 sente il bisogno di sottolineare la

differenza che vi è fra questo e il negozio indiretto. Non possiamo ritenerci altrettanto interessati. Il motivo è che non si vede, neppure lontanamente, come possa nascere un equivoco sulla distanza che separa l’una dall’altra figura. L’attenzione della dottrina al tema, dimostra nuovamente quanto sia oscuro il tema delle donazioni indirette. Abbiamo già affermato che l’applicazione del negozio indiretto ad un negozio mezzo comporta comunque l’applicazione della disciplina prevista per quel negozio, cosí come comporta il raggiungimento della causa tipizzata per quel mezzo; inoltre, la configurazione del fatto, atto o negozio impiegato, in termini di donazione indiretta comporta l’applicazione a garanzia dei terzi di una disciplina ulteriore: la disciplina del contratto di donazione nei limiti dell’art. 809 c.c.. Non possiamo parlare allora di contratto in frode alla legge.

L’aspetto interessante è, piuttosto, da una parte l’attenzione della dottrina al tema, che denota la non completa padronanza dell’istituto della donazione indiretta, dall’altra parte la percezione, vedremo se fondata o meno, di illiceità del fenomeno. In effetti, si tratta di un

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          traslativo mediante il ricorso ad un negozio ad effetti meramente obbligatori.

Inoltre, il raggiungimento dello scopo ulteriore qui non viene affidato ad un'obbligazione diretta a ridurre l'effetto tipico del negozio, ma è una conseguenza dello stesso effetto tipico del negozio, o di più negozi collegati nel caso di procedimento indiretto. A differenza che nel negozio fiduciario, quindi, il diverso scopo risulta realizzabile in forza del solo contratto utilizzato (o della combinazione dei contratti utilizzati), senza necessità di un separato patto che lo pieghi alla funzione voluta dalle parti”

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istituto, il negozio indiretto, che corre sul crinale dell’ordinamento, a cavallo fra liceità e illiceità. Non solo. Da quanto si è detto, non possiamo fare a meno di notare come questo fenomeno, per quanto diverso dalle figure affini considerate, sia riconducibile nel novero di quegli strumenti che, come abbiamo anticipato, rappresentano espressione del principio di autonomia privata. Attraverso tali strumenti, i privati costruiscono liberamente il contenuto contrattuale per il perseguimento di un loro interesse. Nel negozio indiretto, nello specifico, il perseguimento dell’interesse avviene attraverso l’uso distorto di un negozio mezzo tipizzato che, a differenza di quanto

sostiene una parte della giurisprudenza,34 non è contrastato dalla

finalità ulteriore perseguita dalle parti. Se di contrasto si vuole parlare, questo può essere rinvenuto nello scopo per il perseguimento del quale le parti stipulavano quel negozio ieri, e lo scopo per il quale

lo stipulano oggi.35 “Così ad esempio i Romani dapprima vendevano i

figli trans Tiberim per cederli come schiavi, poi impararono a svolgere la cerimonia per emanciparli. Il sistema giuridico si sviluppa

adibendo vecchie strutture a nuove funzioni”.36

1.4. Il mancato richiamo della forma solenne all’art. 809 c.c. L’art. 809/1 c.c. recita: “Le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti all’art 769 c.c., sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulle riduzioni delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari”. L’articolo in                                                                                                                

34 Cass., 25-2-1999, n. 1671, in R. Sacco “Contratto indiretto”, pag. 2, 2011, in

Digesto, Leggi d’Italia

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questione è sostanzialmente l’unica disposizione che il legislatore ha previsto per il fenomeno delle donazioni indirette. Si tratta, oltretutto, di una previsione che interviene solamente ex post, ossia a individuazione intervenuta, e non aiuta quindi nella difficile opera di configurazione delle ipotesi di liberalità atipiche. Ad ogni modo, il ruolo di questa disposizione è essenziale sotto un duplice profilo. Da una parte attribuisce un risvolto pratico alla nostra opera di configurazione: consente cioè, a configurazione attuata, di applicare alle varie ipotesi di donazione indiretta la disciplina del contratto di donazione nei limiti sanciti dalla disposizione in esame. D’altra parte, ammettendo l’esistenza di ipotesi atipiche di liberalità, ci permette un raffronto fra queste e l’unica liberalità tipica esistente nel nostro ordinamento, il contratto di donazione. Ciò che più attira la nostra attenzione, suscitando un confronto, è il mancato richiamo della forma solenne prescritta invece per l’art. 769 c.c.

Ci accingiamo quindi a trattare brevemente il tema della forma del contratto, e di conseguenza necessariamente anche quello della causa, alla luce della diversa disciplina prevista per le liberalità atipiche e il contratto di donazione, nel tentativo di individuare la ratio alla base di questa divergenza.

La scelta di questa prospettiva è funzionale alla determinazione dei confini all’interno dei quali i privati possono muoversi per raggiungere un fine liberale in modo indiretto. Abbiamo infatti premesso che la nostra non vuole essere una semplice e passiva opera di elencazione delle ipotesi di donazione indiretta. Si tratterebbe, abbiamo detto, di un intento fallimentare: i sentieri percorribili per raggiungere un fine liberale, non transitando per la via ordinaria ormai ampiamente conosciuta, sono tanti quanti la fantasia dei privati riesce a immaginare. Più utile è invece fornire gli strumenti necessari

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per questa navigazione. Uno di questi è nascosto nel mancato richiamo della forma solenne per le donazioni indirette.

1.5. La ratio della forma solenne. Un discorso sulla causa e la forma del contratto non può prescindere dal richiamare l’art. 1325 c.c.: i requisiti del contratto sono l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto e la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge a pena di nullità. Da questa disposizione segue che la regola generale è che la forma

non è elemento essenziale del contratto.37 Solo in alcuni casi

eccezionali previsti dalla legge diventa essenziale: perché? E prima

ancora: cosa è la forma? Un autore38 ricorda che la forma è un

linguaggio, un mezzo attraverso il quale si manifesta la volontà di un soggetto. In alcuni casi, la volontà di un soggetto viene veicolata dall’ordinamento che le prescrive una forma. Fino al XIX secolo era in uso il principio della “parola data”. D’altronde, il sistema economico fino ad allora esistente nel nostro territorio era basato su scambi commerciali che avvenivano all’interno di piccole comunità; lo sviluppo determinato dalla rivoluzione industriale ampliò notevolmente i confini del commercio e anche le pratiche giuridiche ne furono influenzate: l’impersonalità degli scambi aveva bisogno di                                                                                                                

37 N. Irti “Idola Libertatis”, pag. 15, 1985, Giuffrè,: nel nostro ordinamento

esistono due contratti, quelli a struttura debole, senza forma, e quelli a struttura forte, con la forma come ulteriore requisito. Di qui secondo l’autore segue che nel nostro ordinamento manca una norma sulla libertà della forma ma esiste solo una norma che ammette contratti deboli, non c’è quindi nessun rapporto di regola eccezione e, di conseguenza, le regole che prevedono la forma come requisito non sono eccezionali ma suscettibili di applicazione analogica. Tuttavia la tesi di Irti è rimasta isolata e la dottrina ha di nuovo affermato il principio della libertà delle forme: la norma che ammette fattispecie deboli esclude la applicazione della forme a quelle forti, quindi esiste un rapporto di regola eccezione.

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garanzie ulteriori. Di conseguenza si guardò alla forma come “ancella di libertà”: questa imprimeva la volontà delle parti, la accertava e pubblicizzava. Il previgente principio della libertà delle forme rimase laddove l’estensione del formalismo apparve irragionevole.

La questione che sorge a questo punto è individuare il leitmotiv che unisce le ipotesi alle quali si applica la forma e quelle nei confronti delle quali risulta irragionevole l’estensione del formalismo. Cerchiamo di risolvere questa questione partendo da ciò che a noi interessa: la forma solenne nel contratto di donazione.

Spesso nei libri di testo si legge che l’atto pubblico prescritto per la stipulazione del contratto di donazione è imposto a tutela del donante, per farlo soffermare, riflettere sul depauperamento al quale potrebbe andare incontro. Questa idea paternalista del legislatore che si cura dei propri cittadini, tutelando il “buon donante”, per quanto allettante, non può tuttavia essere condivisa. La motivazione è semplice: esistono nel nostro ordinamento moltissimi altri strumenti per il tramite dei quali un soggetto si può impoverire, pensiamo anche solamente alle donazioni indirette. Perché allora in queste il legislatore non ha prescritto la forma solenne? Perché tutelare solo colui che realizza la liberalità attraverso il meccanismo di cui all’art. 769 c.c.?

Un autore ha dunque elaborato a tale proposito39 una diversa teoria.

La previsione della forma come elemento essenziale nel contratto di donazione sarebbe funzionale (non alla tutela del donante ex ante, bensí) ex post. Attraverso l’atto pubblico il donante individuerebbe quel negozio come contratto di donazione e garantirebbe l’applicazione delle disposizioni a tutela del donante come la revoca per ingratitudine o per sopravvenienza dei figli. Anche questa tesi                                                                                                                

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però non convince pienamente: queste stesse disposizioni che l’autore richiama come esempio di garanzie che il legislatore dispone ex post nei confronti del donante, sono, a ben vedere, i medesimi articoli richiamati dall’art. 809 c.c. per le donazioni indirette. Ma per queste ultime il legislatore non impone la forma. Lo stesso Palazzo, a questo punto, si pone la questione del se abbia ancora senso la forma nel contratto di donazione. Egli ricorda altri ordinamenti a mo’ di esempio della superfluità della forma: la cause sufficiente francese, la consideration inglese e l’esecuzione della promessa di donazione nel

BGB. Lo stesso Gorla40 afferma che si assiste alla riduzione del

requisito formale della donazione. Nel diritto inglese questo risultato è opera dell’equity: ad esempio, la costituzione del trust prescinde sia dalla consideration che dalla forma. Ma è soprattutto in Francia, paese di civil law, che si coglie questa tendenza: da tempo qui si ritiene valida la donazione dissimulata, con osservanza del solo requisito formale previsto per il contratto simulato, non per quello di

donazione.41 In Italia, al contrario, se il negozio dissimulato è il

                                                                                                               

40 Gorla, Il contratto: problemi fondamentali trattati col metodo comparativo e

casistico, Giuffré, Milano, 1955, pag. 519.

41  In tal senso si deve necessariamente ricordare la legge 728/06 “reforme des successions et

des libéralité” con la quale il legislatore francese ha inteso riformare la disciplina

successoria alla luce degli intervenuti cambiamenti socio-economici. È interessante notare come la riforma riconduca donazioni e successioni al comune denominatore della liberalità. Infatti, e senza fare accenno allo spirito di liberalità, l’art 893 prevede "Il ne peut etre fait de libéralité que par donation entre vifs ou par testament". Se, quindi, in passato le donazioni venivano considerate alla stregua di strumenti potenzialmente dannosi per la disciplina delle successioni, soprattutto con riguardo alla quota degli eredi legittimari, con la riforma del 2006 donazioni e successioni diventano due forme diverse di manifestazione del medesimo intento. La novità più rilevante, trascurando la comunque importante abolizione della riserva a favore degli ascendenti, è la rinunziabilità anticipata all’azione di riduzione a vantaggio di soggetti determinati: si tratta evidentemente di una breccia nel divieto, tutt’oggi esistente, dei patti commissori (non a caso la rinunzia deve essere ricevuta addirittura da due notai). Analogo risultato, si raggiunge anche attraverso la donation partage e la donazione

transgenerazionale: con la prima, che è stata estesa ad un novero più ampio di soggetti, si consente sostanzialmente la trasmissione in vita del patrimonio agli eredi legittimari col loro consenso, mentre la seconda permette all’erede di devolvere l’eredità direttamente ai nipoti,

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contratto di donazione la giurisprudenza ne richiede la forma,

alternativamente per il contratto simulato o per la

controdichiarazione. Neppure è richiesta in Francia la forma per l’emissione e la girata, senza causa (onerosa), di titoli di credito. Gli interpreti Italiani diversamente, includono con decisione questa fattispecie nell’area della donazione diretta, con successiva

imposizione del requisito formale.42

Delle riflessioni sulla forma contrattuale sono state elaborate anche in paesi di Common Law: in proposito ricordiamo il saggio “Consideration and form” di Lon L. Fuller. L’autore descrive tre funzioni della forma: la “evidentiary function”, la “cautionary function” e infine la “channeling function”. La prima indica la funzione della causa come prova, in caso di controversia, dell’esistenza dell’intervenuto accordo. La seconda sottolinea la funzione deterrente della forma “against inconsiderate action”. La terza funzione, nonostante buona parte della dottrina non la menzioni, “furnishes a simple of enforceability.” La forma sta al diritto, riprendendo un esempio di R. Jhering, come il conio sta alla moneta: il conio ha rilevato le parti dall’onere di testare la qualità della moneta, come la forma rileva il giudice dall’obbligo di accertare se una transazione legale era intesa, oppure no, e in caso di risposta affermativa, quale tipo. La forma, in questo senso, offre il canale

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          comprende, il legislatore ha inteso riequilibrare la perdita di funzionalità del diritto

successorio attraverso un’espansione dell’autonomia privata, pur senza rimuovere completamente il divieto di patti successori o la riserva. (Andrea Fusaro, L'espansione

dell'autonomia privata in ambito successorio nei recenti interventi legislativi francesi ed italiani, testo della comunicazione presentata al XVIII Colloquio biennale AIDC

"Patrimonio, per- sona e nuove tecniche di governo del diritto - Incentivi, premi, sanzioni alternative", svoltosi a Ferrara dal 10 al 12 maggio 2007. Sessione di diritto di famiglia coordinata da M. D. Pan- forti "Un nuovo diritto di famiglia tra tutele e rimedi")

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mediante il quale le parti possono efficacemente (da un punto di vista giuridico) esprimere la propria intenzione. Un ultimo esempio portato dall’autore al fine di una più chiara comprensione di questa ultima funzione è il linguaggio: per poter esprimere a terzi i nostri pensieri dobbiamo adottare un registro linguistico comunemente accettato, e cosí per concludere una transazione legale dobbiamo, con o senza l’ausilio di un avvocato, impiegare gli atti che l’ordinamento ci mette a disposizione, il linguaggio del diritto.

1.6. Segue. Cause forti e deboli. Proseguendo nella ricerca della ratio che sta alla base della estensione della forma e del mancato richiamo della forma solenne, abbiamo analizzato il pensiero di un autore che a

proposito della causa del contratto43 muove dalla critica della

funzione economico-sociale della causa: innanzitutto chiamare la causa “funzione” è errato perché anche un negozio come la procura o il testamento ha certamente una funzione, ma è altrettanto sicuro che al di fuori dei contratti la causa non abbia nulla da fare. Inoltre non si può dire che la causa è ontologicamente insita in ogni atto e che al contempo è elemento essenziale del contratto.

Anche parlare di “economica” è pletorico; infine col termine “sociale” il legislatore alludeva forse ad una causa che era tale alla stregua di valutazioni sociali correnti ma è stato interpretato come “che persegue un superiore interesse della società”. Il legislatore, tuttavia, ha già interdetto quei contratti contrari all’ordine pubblico e al buon costume; per mezzo di questi divieti ha individuato quali contratti sono compatibili con il nostro ordinamento e nessuno è                                                                                                                

43 U. Breccia, La causa, In trattato di diritto private, diretto da Mario Bessone, a

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riuscito ad immaginare un contratto conforme all’ordine pubblico e al buon costume ma nullo perché la causa manca dell’approvazione dell’ordinamento. Innegabilmente la causa deve essere socialmente apprezzata ma la società, organizzatasi in Stato, ha già formalizzato le sue opinioni sulle valutazioni delle funzioni e ha manifestato il suo volere nelle leggi.

Contro la teoria della funzione economico-sociale, una tesi individua la causa nello scopo pratico che le parti intendono raggiungere, gli interessi condivisi dalle parti regolati però contrattualmente. Il raggiungimento di questo scopo necessita di sacrifici: come si giustificano questi sforzi e soprattutto la coercibilità della promessa? È stato Gino Gorla in Italia a compiere per primo questa indagine. La giustificazione è stata trovata volta a volta nella controprestazione, nel vantaggio economico, nella consegna (limitatamente ai contratti reali). E nel contratto di donazione? L’autore che stavamo

commentando44 percepisce quasi una sensazione di disagio dello Stato

verso il “dono”.

La causa del contratto di donazione è debole, è l’animus donandi, e l’ordinamento vuole sincerarsi della “bontà d’animo” del donante: per questo impone la forma. D’altro canto la coercibilità ha un costo sociale che deve essere giustificato alla luce della serietà dell’accordo e della meritevolezza degli interessi in gioco. Ecco allora che interviene la forma a sostenere un accordo che sembra fondarsi su una causa soggettiva, cioè sui motivi, quasi fosse un capriccio di una parte che vuole arricchire un’altra. L’ordinamento è diffidente verso questi spostamenti patrimoniali basati su motivi soggettivi, ma il privato ha una chance: può sincerare l’ordinamento delle sue elevate e meritevoli intenzioni adottando la forma solenne. Si comprende allora                                                                                                                

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