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Riparazione transcatetere dell'insufficienza mitralica mediante il sistema Mitraclip ed effetti sulla ripresa delle capacità funzionali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Corso di Laurea Magistrale in

MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di laurea

“RIPARAZIONE TRANSCATETERE DELL’INSUFFICIENZA

MITRALICA MEDIANTE IL SISTEMA MITRACLIP ED

EFFETTI SULLA RIPRESA DELLE CAPACITA’

FUNZIONALI”

Relatore

Professoressa Anna Sonia Petronio

Candidato

Emilia Marraccini

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SOMMARIO 1. INTRODUZIONE 7 2. INSUFFICIENZA MITRALICA 8 2.1. Definizione ed epidemiologia 8 2.2. Anatomia e fisiologia dell’apparato valvolare mitralico 8 2.2.1. Anatomia valvolare 8 2.2.2. Fisiologia dell’apparato valvolare 14 2.3. Eziologia e patogenesi dell’insufficienza valvolare mitralica 15 2.3.1. Eziologia 16 2.3.2. Meccanismi patogenetici 17 2.4. Conseguenze dell’insufficienza mitralica 26 2.4.1. Fiosiopatologia dell’insufficienza mitralica 26 2.4.2. Clinica dell’insufficienza mitralica 30 2.5. Diagnosi e valutazione ecocardiografica della severità dell’insufficienza mitralica 31 2.5.1. Valutazione ecocardiografica dell’insufficienza mitralica 32 2.6. Terapia dell’insufficienza mitralica 39 2.6.1. Terapia medica 40 2.6.2. Terapia di resincronizzazione cardiaca 41 2.6.3. Terapia chirurgica 41 2.6.4. Terapia percutanea 42 3. SCOPO DELLO STUDIO 49 4. MATERIALI E METODI 49 4.1. Popolazione in studio: criteri di inclusione ed esclusione 49 4.2. Screening, procedura e follow-up 52 4.3. Metodi di valutazione dell’efficacia dell’intervento 52 5. ANALISI STATISTICA 59 6. RISULTATI 59 6.1. Casistica 59 6.2. Analisi dei dati procedurali ed eventi durante il ricovero 63 6.3. Risultati clinico-funzionali 65 6.4. Risultati ecocardiografici 69

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7. DISCUSSIONE 71

7.1. Analisi della ripresa delle capacità funzionali dopo l’intervento 76

8. CONCLUSIONI 79

9. RINGRAZIAMENTI 80

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Indice delle figure FIGURA 1: APPARATO VALVOLARE MITRALICO 9 FIGURA 2: VALVOLA MITRALE 11 FIGURA 3: CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE DELL’IM SECONDO CARPENTIER 16 FIGURA 4: QUADRI ECOCARDIOGRAFICI DI IM ORGANICA 17 FIGURA 5: TIPOLOGIE DI LESIONI IN CASO DI INSUFFICIENZA MITRALICA ORGANICA 19 FIGURA 6: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELL'ALTERAZIONE ASIMMETRICA DELL'APPOSIZIONE 22 FIGURA 7: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELL'ALTERAZIONE SIMMETRICA DELL'APPOSIZIONE 23 FIGURA 8: RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLE FORZE DI CHIUSURA E DI TETHERING NELL'IM FUNZIONALE ISCHEMICA 24 FIGURA 9: INSUFFICIENZA MITRALICA E VENTRICOLO SINISTRO 27 FIGURA 10: MISURAZIONE DELLA VENA CONTRACTA 35 FIGURA 11: AREA DEL JET DA RIGURGITO 36 FIGURA 12: SEVERITÀ DELL’INSUFFICIENZA MITRALICA: METODO PISA 37 FIGURA 13: FLUSSO DIASTOLICO TRANSMITRALICO 39 FIGURA 14: UN ESEMPIO DI RIDUZIONE ACUTA DEL RIGURGITO MITRALICO ALL’ECOCOLOR DOPPLER PRIMA (A SINSITRA) E DOPO (A DESTRA) LA TERAPIA RESINCONIZZANTE CARDIACA. 41 FIGURA 15: IL DISPOSITIVO MITRACLIP 44 FIGURA 16: SCHEMATICA RAPPRESENTAZIONE DELLE VARIE TAPPE DELLA PROCEDURA DI RIPARAZIONE DELLA VALVOLA MITRALICA MEDIANTE MITRACLIP. 45 FIGURA 17: FASE DI GRASPING 46 FIGURA 18: VALUTAZIONE POSIZIONAMENTO DELLA MITRACLIP MEDIANTE ECOCARDIOGRAMMA TRANSESOFAGEO E VALUTAZIONE TRIDIMENSIONALE. 46 FIGURA 19: MONITORAGGIO ECOCARDIOGRAFICO TRANS-ESOFAGO INTRAPROCEDURALE 46 FIGURA 20: CARATTERISTICHE ANATOMICHE NECESSARIE PER EFFETTUARE L’INTERVENTO DI MITRACLIP 47 FIGURA 21: LINEE B ALL’ECOTORACE 54 FIGURA 22: AREE DI VALUTAZIONE DELLE LINEE B 55

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Indice delle tabelle TABELLA 1: CLASSE FUNZIONALE NYHA 56 TABELLA 2: CARATTERISTICHE EZIOLOGICHE DELL’INSUFFICIENZA MITRALICA 59 TABELLA 3: CARATTERISTICHE CLINICHE E DEMOGRAFICHE DEL CAMPIONE ARRUOLATO 60 TABELLA 4: CARATTERISTICHE CLINICHE E DEMOGRAFICHE DEL CAMPIONE ARRUOLATO(II)61 TABELLA 5: DATI ECOCARDIOGRAFICI BASALI 62 TABELLA 6: DATI ECOCARDIOGRAFICI BASALI (II) 63 TABELLA 7: DATI PROCEDURALI 64 TABELLA 8: EVENTI DURANTE IL RICOVERO 65 TABELLA 9:EVENTI AVVERSI A 3 E 12 MESI 66 TABELLA 10: ANALISI DEI DATI CLINICI AL FOLLOW-UP 68 TABELLA 11: ANALISI DEI DATI RELATIVI AL 6MWT 69 TABELLA 12: PARAMETRI ECOCARDIOGRAFICI AL FOLLOW-UP 70

Indice dei grafici

GRAFICO 1: SOPRAVVIVENZA LIBERA DA REOSPEDALIZZAZIONI A 12 MESI 67 GRAFICO 2: SOPRAVVIVENZA TOTALE A 12 MESI 67 GRAFICO 3: ANDAMENTO DELLA VARIAZIONE DELLA CLASSE NYHA PRIMA DELL’INTERVENTO, DOPO LA PROCEDURA ED AL CONTROLLO A TRE MESI 72 GRAFICO 4: VARIAZIONE DELLA SEVERITÀ DEL RIGURGITO MITRALICO PRIMA DELL’INTERVENTO, DOPO LA PROCEDURA ED AL CONTROLLO A TRE MESI 74 GRAFICO 5: METRI PERCORSI NEI DUE TEST EFFETTUATI, PRIMA DELLA PROCEDURA ED AL FOLLOW-UP A TRE MESI 76 GRAFICO 6: VARIAZIONE DEL NUMERO DELLE LINEE B NEI DUE TEST EFFETTUATI, PRIMA DELLA PROCEDURA E AL FOLLOW-UP A TRE MESI 77 GRAFICO 7: RAPPRESENTAZIONE POLARE DELLE VARIAZIONI PERCENTUALI NEL 6MWT (ESEGUITO NEL FOLLOW UP RISPETTO A QUELLO ESEGUITO PRIMA DELLA PROCEDURA) DI: METRI PERCORSI, FREQUENZA CARDIACA (FC), SATURAZIONE DELL’EMOGLOBINA (SAT), PRESSIONE ARTERIOSA SISTOLICA (PAS) E LINEE B. 78 GRAFICO 8: STESSA RAPPRESENTAZIONE DEL GRAFICO 7 IN UN PAZIENTE CON MANCATO INCREMENTO DELLA TOLLERANZA ALLO SFORZO DOPO L’IMPIANTO DI MITRACLIP 79

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1. INTRODUZIONE

La riparazione per via percutanea dell’insufficienza mitralica mediante il sistema Mitraclip (sviluppato dall’azienda farmaceutica Abbott Vascular ed impiantato per la prima volta nel 2003) consiste nel posizionamento di un dispositivo che aumenti la superficie di coaptazione persistente tra i lembi valvolari mitralici ed un’apertura della valvola a doppio orifizio, riproducendo la tecnica chirurgica “edge-to-edge” descritta da Alfieri.

Secondo la Società Europea di Cardiologia (ESC), la tecnica più efficace nel trattamento dell’insufficienza mitralica rimane la riparazione chirurgica preferita anche alla sostituzione valvolare, in quanto si ha una maggiore riduzione della mortalità perioperatoria e della morbidità a lungo termine, un maggior incremento della sopravvivenza ed un più duraturo mantenimento della funzione ventricolare post-operatoria. In alcuni pazienti con insufficienza mitralica severa, a causa delle scarse condizioni cliniche, l’opzione chirurgica però non è percorribile o considerata ad alto rischio, per cui alle altre possibilità terapeutiche (terapia medica e resincronizzante cardiaca) si può associare la riparazione percutanea tramite il sistema Mitraclip.

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2. INSUFFICIENZA MITRALICA 2.1. Definizione ed epidemiologia

Con il termine insufficienza mitralica si vuole indicare una patologia caratterizzata da incontinenza della valvola semilunare posta tra atrio e ventricolo sinistro, che permette il passaggio anterogrado di sangue tra le due camere durante la fase diastolica del ciclo cardiaco. A causa di un’alterazione della normale coaptazione sistolica dei lembi valvolari, si viene a generare un flusso sistolico retrogrado dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro1.

Di tutte le valvulopatie, l’insufficienza mitralica rappresenta la seconda più frequente in Europa per necessità d’intervento chirurgico2. L’incidenza di tale patologia è in aumento nei paesi

occidentali per l’incremento delle forme degenerative e funzionali, nonostante la riduzione delle forme reumatiche (che prevalgono invece ancora nei paesi in via di sviluppo)1.

La prevalenza dell’insufficienza mitralica di grado moderato-severo sembra aumentare considerevolmente con l’età, coinvolgendo più del 10% della popolazione con più di 75 anni, soprattutto di sesso maschile3. Inoltre è spesso associata ad altre

patologie cardiache come scompenso cardiaco cronico (50%) ed infarto del miocardio (20-25%)4, invalidandone la prognosi5 e

raddoppiandone la mortalità4, a causa delle numorose

complicanze, come aritmie, endocardite e morte cardiaca improvvisa3.

2.2. Anatomia e fisiologia dell’apparato valvolare mitralico 2.2.1. Anatomia valvolare

L’apparato valvolare mitralico costituisce un’unità funzionale tridimensionale complessa, fondamentale per mantenere unidirezionale la funzione di pompa cardiaca6. Risulta costituita

da elementi distinti ma integrati tra loro così da aprire la valvola durante la diastole e chiuderla durante la sistole ventricolare all’interno di un sistema ad alta pression7: l’anulus mitralico, i

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lembi valvolari, le corde tendinee, e la parete del ventricolo sinistro con i muscoli papillari6. L’alterazione di una qualsiasi di

queste componenti interferisce con la normale funzione valvolare8, potendo generare un’insufficienza, ma anche una

stenosi o entrambe7. Inoltre l’integrità della valvola mitralica è

essenziale per il mantenimento della normale geometria, dimensione e funzione del ventricolo sinistro a causa delle interazioni tra valvola e ventricolo8.

Lo studio dell’anatomia della valvola mitrale è condotto attraverso tecniche ecocardiografiche transotoraciche e transesofagee sia in due dimensioni (2D) che in tre dimensioni (3D).

Figura 1: Apparato valvolare mitralico

Anulus mitralico

Rappresenta la zona di giunzione che separa atrio sinistro e ventricolo sinistro e che permette l’inserzione della valvola mitrale7. Si tratta di una struttura tissutale non rigida, sottile, non

conduttrice, incompleta anteriormente8. Ha una forma ovale a

sella9 capace di modificarsi durante le varie fasi del ciclo cardiaco7,

con picchi posti anteriormente e posteriormente, rivolti verso l’atrio, e le valli poste medialmente e lateralmente, a livello delle commissure10, rivolte invece verso il ventricolo. E’ innervato e

vascolarizzato garantendo così la perfusione delle basi dei foglietti valvolari su di esso insieriti9.

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L’anulus mitralico viene suddiviso in una porzione anteriore ed una posteriore: l’anteriore è in continuità con l’anulus aortico, attaccato al trigono fibroso ed è generalmente più sviluppata della porzione posteriore11. Quest’ultima è in rapporto con il tessuto

muscolare del ventricolo sinistro, esternamente, e si continua con la porzione basale del lembo posteriore della valvola mitrale, internamente8.

Durante il ciclo cardiaco, l’anulus subisce dei cambiamenti conformazionali dovuti a forze estrinseche a partenza dalla muscolatura atriale e ventricolare attraverso due tipi di movimenti: contrazione sfinterica e traslazione. Il primo determina una riduzione dell’area anulare fino al 25%15 durante la

mesosistole, probabilmente grazie alla sistole atriale sinistra (affermazione supportata dal fatto che si è notata la mancanza di tale movimento in caso di fibrillazione atriale in cui è assente per l’appunto la sistole atriale sinistra12). Il secondo movimento

invece è di traslazione lungo l’asse maggiore del ventricolo sinistro ed è conseguenza della torsione della base del ventricolo, coincidendo con la fase di riempimento atriale sinistro. In questo modo si riduce lo stress a carico dei foglietti valvolari ed è mantenuta la coaptazione9.

Nei soggetti sani, il diametro commissurale è maggiore di quello anteroposteriore7 (il rapporto è di circa 0,7513), il quale viene

comparato con la lunghezza del lembo anteriore (LA) misurato in diastole: se il rapporto anulus/LA è >3 o se il diametro anteriore è >35 mm di può parlare di dilatazione dell’anulus14. Inoltre

l’anulus ha un’area media di circa 10 cmq9,15, che può aumentare

significativamente nei pazienti con ventricolo sinistro dilatato6.

Lembi valvolari

La valvola mitrale è costituita da due lembi valvolari, ciascuno di circa 1 mm di spessore: uno anteriore e l’altro posteriore, la cui base si inserisce sull’anulus fibromuscolare, mentre i bordi e il corpo sono connessi all’apparato sottovalvolare (muscoli papillari e parete del ventricolo attraverso le corde tendinee). Il lembo anteriore è più largo (4-7 vs 2-3 cmq), più lungo (18-24 vs 11-14 mm) e generalmente più spesso del lembo posteriore9, il quale ha però una base di inserzione sull’anulus più

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Figura 2: Valvola mitrale

(A: rappresentazione schematica; B: visione ecocardiografica 3D; C: visione anatomica)

Il lembo posteriore o murale, ha una forma quadrangolare e si inserisce sui due terzi posteriori della circonferenza dell’anulus. Presenta due indentature (clefts) che lo dividono in tre segmenti (scallops) lungo il margine libero11, che rendono il lembo più

flessibile, permettendo una migliore adesione alla linea di chiusura della valvola8. Tali indentature si estendono dal margine

libero del lembo per quasi tutta la sua lunghezza, senza però raggiungere l’anulus. Quando questo succede, si sviluppa un rigurgito mitralico7. I segmenti formatosi sono chiamati P1, P2 e

P3. P1 si trova nella parte anterolaterale del lembo, vicino alla commissura anteriore e all’auricola. P2 è posto medialmente ed è generalmente più sviluppato, mentre P3 è il segmento più interno, più mediale, posto in prossimità della commissura posteriore e dell’anulus tricuspidale11.

Il lembo anteriore (o settale o aortico), ha una forma trapezoidale, a cupola e separa il tratto di afflusso dal tratto di efflusso del ventricolo sinistro16. E’ posto in continuità con la cuspide non

coronarica della valvola aortica e con il triangolo fibroso intervalvolare e il margine libero non presenta indentature. Ciò nonostante, il lembo anteriore viene arbitrariamente diviso in tre porzioni (A1, A2, A3) corrispondenti a quelle adiacenti del lembo posteriore7.

Dall’anulus al margine libero di ciascun lembo si identificano tre zone (in base all’aspetto che assumono se transilluminati8): basale,

chiara e rugosa. La zona basale rappresenta il punto di connessione dei lembi all’anulus; la zona chiara, più sottile, è quella più centrale, mentre la zona rugosa, più spessa, si trova a livello del margine libero. Quest’ultima rappresenta la zona di inserzione delle corde tendinee, ma anche la regione di coaptazione e di apposizione. Durante la sistole, i lembi si

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sovrappongono a livello della zona rugosa nella regione di coaptazione di circa 1 cm di altezza, in modo da creare una riserva di coaptazione in caso di dilatazione dell’anulus o di tethering delle corde tendinee. Inoltre, sempre durante la sistole, i lembi valvolari fluttuano verso l’atrio, in modo da ridurre ulteriormente lo stress sugli stessi, insieme ai movimenti dell’anulus8,16.

Entrambi i lembi, le cui superfici a contatto con il sangue sono rivestite da endotelio, sono costituiti da tra strati cellulari, definiti, in senso cranio-caudale, come strato atriale, spongioso e ventricolare o fibroso. Il primo è costituito da tessuto connettivo sottoendoteliale ricco in elastina in modo da garantire lo stiramento dei lembi durante la sistole e il ritorno elastico durante la diastole. Lo strato spongioso invece è ricco in glicosaminoglicani, proteine idrofiliche in grado di assorbire acqua così da agire come un cuscinetto per resistere allo stress della coaptazione dei foglietti. Infine, lo strato fibroso è connesso direttamente all’anulus ed è sottoposto alle elevate pressioni presenti nel ventricolo sinistro, oltre che rappresentare il sito di inserzione delle corde tendinee. Risulta costituito prevalentemente da fibre collagene allineate in modo da trasmettere e diffondere le forze di chiusura del ventricolo e delle corde all’anulus17.

Corde tendinee

Si tratta di strutture a forma di ventaglio, costituite da tessuto collagene fibroso ed elastina, che originano dai muscoli papillari, si dividono in numerosi rami e si inseriscono sui margini liberi e sulla superficie ventricolare di entrambi i lembi valvolari. Emergendo direttamente dai muscoli papillari, le corde tendinee contribuiscono a creare la continuità anatomica ventricolo-valvolare. Il muscolo papillare postero-mediale dà corde per le porzioni mediali della valvola (commissura postero-mediale, A3, P3 e metà di A2 e P2), mentre quello antero-mediale fornisce corde per le porzioni laterali (commissura antero-laterale, A1, P1 e metà di A2 e P2).

Sono presenti in numero elevato nel cuore umano, più di 100, originate da circa 25 tronchi principali8.

Vengono suddivise in tre gruppi in base al loro sito di inserzione. Le corde tendinee primarie o marginali sono sottili e si inseriscono sul margine libero di entrambi i lembi. Hanno una

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capacità di estensione moderata in quanto costituite da collagene fibrillare ad alta densità. Prevengono così il prolasso e l’eversione (flail) dei lembi, mantenendone l’apposizione, allineando la zona di coaptazione e facilitando la chiusura della valvola.

Le corde tendinee secondarie o intermedie si inseriscono sulla superficie ventricolare dei lembi, in particolare nella zona rugosa. Sono più spesse rispetto alle primarie e costituite da collagene maggiormente compattato, risultando pertanto più estensibili e fondamentali per ridurre la pressione sull’apparato valvolare e per impedire l’eccessiva fluttuazione dei lembi. Se ne possono individuare alcune più spesse e più larghe chiamate corde principali (strut or principal chords), che sono sottoposte a continue tensioni, probabilmente per mantenere le dimensioni, la geometria e la funzione del ventricolo sinistro.

Le corde tendinee terziarie o basali si inseriscono solo sul lembo posteriore, nella zona basale, originando direttamente dalla parete ventricolare. La loro funzione rimane ancora sconosciuta6,8,11,16.

La rottura (che avviene generalmente nei punti d’inserzione in quanto più sottili16), lo sviluppo di calcificazioni, la fusione o la

ridondanza delle corde portano alla formazione di insufficienza valvolare11.

Muscoli papillari

I muscoli papillari sono due strutture muscolari originanti generalmente dal terzo medio del ventricolo sinistro: l’anterolaterale (composto da un corpo o testa e vascolarizzato dall’arteria circonflessa e dalla discendente anteriore) ed il posteromediale (costituito invece da due corpi perfusi entrambi dalla sola arteria circonflessa, pertanto maggiormente suscettibile di ischemia16).

Sono posizionati in modo da non interferire con il flusso ematico durante le varie fasi del ciclo cardiaco: durante la diastole non aggettano all’interno della camera ventricolare permettendone il riempimento, mentre durante la sistole la loro contrazione è coordinata con quella di tutto il ventricolo sinistro così da creare, con il setto interventricolare, il tratto di efflusso11. In tal modo

essi prevengono il prolasso dei lembi valvolari nell’atrio sinistro mantenendoli sempre in tensione16.

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2.2.2. Fisiologia dell’apparato valvolare

La complessità dell’anatomia dell’apparato valvolare mitralico consente l’adempimento della sua funzione, ovvero garantire il flusso anterogrado di sangue dall’atrio al ventricolo sinistro durante la fase diastolica del ciclo cardiaco, impedendo poi il reflusso durante la fase sistolica con la chiusura dei lembi valvolari. Ciò spiega il motivo per cui l’alterazione delle normali interazioni anatomiche conduce ad una disfunzione della valvola stessa6.

La chiusura della valvola mitralica (fondamentale dunque per evitare il flusso retrogrado durante la sistole) è un processo dinamico in cui agiscono simultaneamente due forze contrapposte, una di trazione ed una di chiusura, sui lembi valvolari, determinandone la loro posizione durante tutta la sistole. La prima forza è determinata dai muscoli papillari e dalle corde tendinee e previene la caduta dei lembi valvolari mitralici in atrio sinistro durante la sistole, mentre la seconda, determinata dalla contrazione del ventricolo sinistro (che inoltre spinge l’anulus verso l’apice cardiaco aumentando la tensione), comporta l’instaurarsi di un gradiente di pressione tra le camere ventricolare e atriale18.

Durante il ciclo cardiaco, l’anulus stesso va incontro a dei cambiamenti conformazionali, riducendo la propria area attraverso la dorsiflessione della sua porzione fibrosa anteriore e la contrazione sfinterica della porzione muscolare posteriore. Trattandosi di una struttura non contrattile, i cambiamenti a carico dell’anulus dipendono dalle strutture circostanti, tra le quali la regione di continuità mitroaortica che viene spostata posteriormente a causa dell’espansione della radice aortica e dell’orifizio aortico durante la fase precoce della sistole, prima dell’eiezione19. L’interazione così stretta tra i movimenti delle due

valvole, genera la supposizione che si tratti in realtà di una singola struttura capce di agire in modo sincrono20.

La contrazione sfinterica dell’anulus posteriore, cominciata durante la telediastole, è causata dall’accorciamento delle fibre atriali che circondano l’anulus ed è poi mantenuta ed aumentata dalla contrazione ventricolare (sistole ventricolare). Pertanto durante la fase mesosistolica l’area dell’anulus raggiunge il suo nadir18. Ciò altera non solo le dimensioni dell’anulus, ma anche la

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sua forma, permettendo l’avvicinamento dei lembi valvolari anteriore e posteriore, fino alla coaptazione completa (di circa 1 cm di lunghezza), senza compromettere la geometria dei lembi alla loro inserzione sull’anulus come poteva risultare dalla riduzione del perimetro dello stesso21.

Durante la fase diastolica il ventricolo si rilascia. Nel momento in cui la pressione all’interno di quest’ultimo si riduce al di sotto di quella dell’atrio sinistro, la valvola mitrale si apre, graazie all’espansione dell’anulus posteriore che aumenta il diametro trasverso ed anteroposteriore e grazie allo spostamento dell’area intertrigonale verso l’orifizio aortico20. Ciò consente il flusso

anterogrado di sangue dall’atrio verso il ventricolo. Durante tale fase il lembo valvolare anteriore si sposta verso il setto interventricolare, la sua porzione centrale ha un’escursione maggiore rispetto alle zone più periferiche, ancorate alle corde tendinee principali che si mantengono in tensione. L’apparato valvolare mitralico acquisisce così una forma ad imbuto che facilita il flusso in ingresso22.

2.3. Eziologia e patogenesi dell’insufficienza valvolare mitralica

Al fine di prevenire lo sviluppo di un’insufficienza, sono necessarie la completa chiusura (coaptazione) e la corretta apposizione (sovrapposizione simmetrica di almeno 4-5 mm) di entrambi i lembi valvolari7. Le cause ed i meccanismi patogenetici

che possono portare all’alterazione di tali fattori sono molteplici ed è utile distinguerli tra loro, in quanto sono importanti predittori della possibilità e del tipo di riparazione della valvola, ma anche della mortalità e della prognosi futura del paziente con e senza il trattamento23.

Si individuano pertanto tre tipi di classificazione: secondo l’eziologia, secondo il meccanismo patogenteico e secondo il movimento dei lembi valvolari (classificazione di Carpentier). Quest’ultima analizza per l’appunto il movimento dei lembi valvolari in relazione al piano anulare, per mezzo dell’ecografia

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normale movimento dei lembi e insufficienza dovuta o alla perforazione degli stessi per endocardite o per trauma oppure alla dilatazione dell’anulus come risultato di patologia ventricolare;

tipo 2, con movimento eccessivo dei lembi accompagnata da

dislocazione del margine libero di uno o entrambi i lembi oltre il piano anulare come risultato di prolasso per malattia degenerativa; tipo 3, con movimento ridotto dei lembi, ulteriormente distinto in 3a (ridotto movimento del lembo sia durante la diastole che durante la sistole causato da un accorciamento delle corde e/o da un ispessimento dei lembi come nella malattia reumatica) e 3b (il movimento del lembo è ridotto solo durante la sistole, più tipico delle forme funzionali)24.

Figura 3: classificazione funzionale dell’IM secondo Carpentier

2.3.1. Eziologia

Le cause di insufficienza mitralica vengono generalmente distinte in ischemiche (secondarie alle conseguenze della malattia coronarica e non alla fortuita associazione delle due) e non ischemiche (degerative, reumatiche, da endocardite, da cardiomiopatie, da farmaci, da malattie infiammatorie, da traumi, congenite).

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Le più frequenti sono quelle degenerative (il 60% circa) per malattia di Barlow, degenerazione fibroelastica, sindrome di Marfan, sindrome di Ehler’s-Danlos, calcificazioni dell’anulus. Poi abbiamo le forme ischemiche (20%), endocarditiche (2-5%), reumatiche (2-5%) e cause miscellanee (cardiomiopatie, malattie infiammatorie, da farmaci, traumatiche, congenite)1. La forma

ischemica probabilmente rappresenta una larga porzione di patologia mitralica non richiedente l’intervento chirurgico25.

2.3.2. Meccanismi patogenetici

Si riconoscono fondamentalmente due tipi di meccanismi patogenetici dell’insufficienza mitralica, due entità completamente distinte per quanto riguarda la fisiopatologia, la prognosi, la diagnosi e il trattamento. Si parla pertanto di insufficienza mitralica organica o funzionale26.

Insufficienza mitralica primaria o organica

L’insufficienza mitralica organica o primaria è caratterizzata dalla presenza di lesioni proprie di uno o più componenti dell’apparato valvolare2. Tali lesioni possono essere dovute a patologia

degenerativa (20-70%), malattia reumatica (3-40%) ed endocardite (10-12%)27.

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La forma degenerativa generalmente è associata a prolasso della valvola mitrale, più raramente a calcificazioni anulari. Con il termine prolasso si indica un movimento anomalo dei lembi valvolari durante la sistole ventricolare, per cui sporgono per più di 2 mm nell’atrio sinistro al di sopra delle corna anteriori e posteriori dell’anulus1,6.

Si tratta di un gruppo di patologie in cui alterazioni tissutali (degenerazione mixomatosa) causano l’allungamento o la rottura delle corde tendinee, ma anche ispessimento e stiramento dei lembi valvolari per distruzione del core di collagene, generando pertanto il prolasso di uno o di entrambi i lembi, spesso associato a dilatazione anulare. Da una parte ritroviamo la degenerazione fibroelastica, caratterizzata da tessuto insufficiente in una valvola di normali dimensioni: le corde tendinee risultano fragili e sottili, i lembi valvolari assottigliati, quasi trasparenti, por poi ispessirsi e distendersi nel tempo per la degenerazione mixomatosa. Generalmente l’insufficienza è causata dall’allungamento focale delle corde tendinee con o senza rottura delle stesse, generando prolasso frequentemente a carico di P2. Dall’altre parta dello spettro di patologie degenerative della valvola mitrale si trova invece la malattia di Barlow, con degenerazione mixomatosa di numerosi segmenti dei lembi valvolari e coinvolgimento delle strutture sottovalvolari. Si può notare un eccesso di tessuto a carico dei lembi che pertanto risultano ispessiti, così come le corde tendinee, irregolari e allungate, fino ad una possibile rottura. La severità del rigurgito dipende dal numero di segmenti prolassanti.

Tra queste due forme agli estremi dello spettro, esistono quadri intermedi, considerati forme fruste della malattia di Barlow, con aree di tessuto in eccesso in valvole di diminuite dimensioni28,7.

La forma reumatica è un’anomalia acquisita che determina generalmente stenosi valvolare associata o meno a insufficienza. E’ determinata da alterazioni post-infiammatorie che peggiorano nel tempo: fusione dei lembi ispessiti e rigidi soprattuto a livello delle commissure, accorciamento e fibrosi delle corde tendinee (soprattutto di quelle che si inseriscono sul lembo posteriore) che originano da muscoli papillari fibrotici, calcificazioni dell’apparato valvolare e sottovalvolare. Questo provoca un restringimento dei lembi con riduzione della loro motilità in sistole e diastole e

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pertanto formazione del rigurgito (permettendoci anche di distinguerla dalla forma funzionale in cui generalmente la riduzione della motilità dei lembi è presente solo durante la fase sistolica)7.

Le forme associate ad endocardite possono essere causate dalla perforazione dei lembi o dalla rottura delle corde tendinee9.

Le diverse lesioni determinate dalle patologie responsabili dell’insufficienza mitralica organica possono essere visualizzate all’eco e sono descritte come valvola billowing, valvola floppy, prolasso valvolare e flail dei lembi.

Figura 5: Tipologie di lesioni in caso di insufficienza mitralica organica

Si parla di valvola billowing quando una parte del corpo della mitrale protrude in atrio sinsitro, ma la coaptazione è ancora mantenuta oltre il piano anulare, mentre la valvola floppy è caratterizzata da un’ anomalia morfologica della valvola con lembi spessi più di 5 mm per la presenza di tessuto ridondante. Come già detto invece, per prolasso si intende uno spostamento della linea di coaptazione, posta dietro il piano anulare associata più frequentemente alla malattia di Barlow. Tale alterazione è visibile all’ecografia transtoracica in 2D solo in proiezione parasternale o apicale asse lungo, in quanto nella apicale quattro camere si possono avere diagnosi falsamente positive per la forma a sella dell’anulus. Il flail dei lembi invece rappresenta una condizione più grave associata a rigurgito valvolare di grado severo, in cui il margine libero di un lembo è completamente ribaltato in atrio

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sinistro, generalmente conseguenza di rottura di corda (forma degenerativa o da endordite infettiva) e colpisce prevalentemente il lembo posteriore (in più del 70% dei casi)11.

Tabella 1: Cause e meccanismi patogenetici di insufficienza mitralica (Modificata da: Enriquez-Sarano M, Akins CW, Vahanian A. Mitral regurgitation. Lancet. 2009; 373(9672): 1382-94.)

Insufficienza mitralica secondaria o funzionale

L’insufficienza mitralica funzionale è dovuta all’alterazione della funzione di una valvola morfologicamente normale per le anomalie della struttura e della funzione del ventricolo sinistro secondarie a patologia ischemica o a cardiomiopatia dilatativa29.

Pertanto se ne distingue una forma ischemica ed una non ischemica.

L’insufficienza mitralica ischemica rappresenta una conseguenza della malattia coronarica, potendosi sviluppare sia in fase acuta che in fase cronica. Nel primo caso si tratta di una vera e propria complicanza della patologia infartuale ed è associata ad infarto e rottura dei muscoli papillari, portando ad un sovraccarico di volume in atrio sinistro e shock cardiogeno. La forma cronica invece rappresenta la vera e propria insufficienza mitralica funzionale, i cui criteri diagnostici sono: sviluppo del rigurgito almeno 16 giorni dopo l’infarto del miocardio con anomalie della cinesi di uno o più segmenti parietali del ventricolo sinistro visualizzabili all’ecografia; patologia delle coronarie deputate alla vascolarizzane delle pareti coinvolte; lembi valvolari e corde tendinee strutturalmente normali (fondamentale per escludere le forme organiche di insufficienza associate a patologia coronarica)30.

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La frequenza di tale patologia è estremamente variabile in base alle tecniche diagnostiche usate (più comune negi studi ecocardiografici), ai trattamenti (più comune nei pazienti non rivascolarizzati), alla tempistica della diagnosi (frequenza minore in coloro in cui il trattamento è stato ottimizzato) e all’estensione dell’infarto. Una diagnosi corretta è tuttavia fondamentale in quanto tale patologia altera notevolmente la prognosi dei pazienti con infarto del miocardio31.

Ciò detto, l’insufficienza mitralica ischemica non può essere definita come patologia dell’apparato valvolare e subvalvolare, bensì come patologia del ventricolo sinistro in quanto sono le alterazioni che la patologia ischemica determina a questo livello a generare il rigurgito29.

Storicamente si pensava che il meccanismo dell’insufficenza fosse da attribuire al danno sviluppatosi a carico dei muscoli papillari, considerato che questi ultimi, con la loro contrazione in un ventricolo normale, contribuiscono a mantenere la distanza tra i costituenti dell’apparato valvolare32. Altri suggerivano che le

alterazioni dell’anulus mitralico potessero esserne responsabili a causa della perdita di coaptazione. In realtà studi successivi hanno dimostrato come l’ischemia dei muscoli papillari o la dilatazione dell’anulus da sole non siano in grado di determinare un’insufficienza significativa, ma che sia necessaria anche la presenza di un danno a carico della parete miocardica sottostante33, 34.

Da ciò è derivato pertanto che l’insufficienza mitralica inschemica si sviluppi a partire da un’insieme di meccanismi diversi35,

importanti non solo nello sviluppo del rigurgito, ma anche nel modulare il grado di insufficienza: rimodellamento regionale e globale del ventricolo sinistro, alterazione dell’equilibrio tra le forze di chiusura e di trazione, alterazione anulare, dissincronia meccanica30.

• Rimodellamento regionale e globale del ventricolo sinistro: in seguito ad un infarto del miocardio ed al conseguente processo di cicatrizzazione, si sviluppano delle alterazioni della parete ventricolare con dilatazione, distorsione geometrica e perdita della normale funzione contratttile. Queste devono essere tutte presenti per poter generare

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un’insufficienza mitralica significativa, come è stato dimostrato da alcuni studi36, 37 (questi hanno anche stabilito

come l’unico fattore predittivo indipendente di insufficienza mitralica sia la lunghezza del tethering, ma non la frazione di eiezione, e che il grado del rigurgito sia correlato alla sfericità del ventricolo). Quanto descritto altera a sua volta la relazione del ventricolo con l’apparato valvolare mitralico generando un’incompleta chiusura dei lembi valvolari. In seguito, il volume telediastolico e lo stress di parete del ventricolo sinistro aumentano con l’aumentare del precarico causando un ulteriore peggioramento della funzione ventricolare, con maggiore dislocazione dei muscoli papillari e tenting dei lembi valvolari (formazione di un angolo tra il piano angolare e i lembi dislocati)30.

Il rimodellamento cardiaco può essere descritto in base a due possibili modelli: asimmetrico e simmetrico. Il primo è un rimodellamento regionale, che conduce generalmente al dislocamento postero-laterale e apicale del muscolo papillare posteriore, il quale fornisce corde tendinee per entrambi i lembi. Pertanto le conseguenze saranno: spostamento del lembo posteriore ancora più posteriormente, deformazione del lembo anteriore (forma a mazza da hokey) per trazione delle corde secondarie, dislocazione del punto di coaptazione posteriormente e sviluppo di un jet da rigurgito eccentrico.

Figura 6: Rappresentazione schematica dell'alterazione asimmetrica dell'apposizione

Il rimodellamento simmetrico invece è causato dalla dilatazione del ventricolo in toto, associato a dilatazione anulare e ad aumento della sfericità. Il punto di coaptazione

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risulta traslato apicalmente, con la formazione di un ampia area di tenting, sono coinvolti entrambi i lembi, producendo un jet centrale. Questo pattern è frequentemente associato ad un ampio infarto anteriore o ad infarti multipli29.

Figura 7: Rappresentazione schematica dell'alterazione simmetrica dell'apposizione

• Alterazione dell’equilibrio tra forze di chiusura e di trazione: in seguito ad un infarto del miocardio, si ha un’alterazione delle forze che governano il movimento della valvola. Pertanto si riducono le forze di chiusura come conseguenza della disfunzione ventricolare ed aumentano quelle di trazione (tethering forces) con il dislocamento dei muscoli papillari secondario al rimodellamento cardiaco. In tal modo, il normale equilibrio si rompe a favore delle forze di trazione, con spostamento del punto di coaptazione dei lembi, contribuendo a generare l’insufficienza30. Importanti

sembrano essere anche il grado e la direzione dello spostamento ed il dislocamento postero-laterale e apicale conferisce maggior tensione sui lembi valvolari35. La

trazione genera una fissurazione a livello della valvola mitralica sia a causa della mancata coaptazione per la diminuita motilità dei lembi, sia a causa delle alterazioni della geometria del lembo posteriore38. Questo alterato

equilibrio tra le due forze genera una tipica alterazione fasica dell’area dell’orifizio rigurgitante (nota come “loitering pattern”), che risulta massima in proto- e tele-sistole, quando la pressione ventricolare è minore e le forze di tethering sono meno antagonizzate, mentre è minima in

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mesosistole, quando il picco pressorio del ventricolo sinistro è massimo39.

• Alterazione dell’anulus, che accompagna spesso il rimodellamento globale29, agisce come fattore modulante

perché può aumentare in modo significativo il grado di insufficienza in presenza di tethering dei lembi valvolari34.

L’anulus risulta alterato nella sua geometria (forma e dimensioni) e nel movimento (contrazione sfinterica): perde la forma a sella di cavallo, si appiattisce, si dilata uniformemente e simmetricamente, maggiormente negli infarti anteriori piuttosto che negli inferiori30, 40. Si riduce

pertanto l’area valvolare e il movimento anulare per alterazione della contrazione sfinterica30.

Figura 8: Rappresentazione schematica delle forze di chiusura e di tethering nell'IM funzionale ischemica35. PM: muscolo papillare; MV: valvola mitrale.

• Dissincronia meccanica del ventricolo sinistro: rappresenta un meccanismo aggiuntivo nel determinare il grado del rigurgito41 e non un fattore eziologico determinante, in

quanto è il risultato dell’ischemia regionale e/o delle lesioni cicatriziali conseguenti, senza essere però un indice dell’evoluzione del rimodellamento globale del ventricolo sinistro, come succede nei pazienti con cardiomiopatia

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dilatativa30. Ha tuttavia la sua importanza in quanto

l’insufficienza mitralica emodinamicamente significativa è almeno due volte più frequente in pazienti con una durata del QRS maggiore di 130 msec, rispetto a coloro con una normale durata del QRS42.

La dissincronia può contribuire comunque all’insufficienza con diversi meccanismi. In primo luogo, l’attivazione non coordinata del ventricolo nei segmenti da cui originano i muscoli papillari altera la geometria dei lembi valvolari aumentando il tethering43. Inoltre la contrazione non

coordinata della muscolatura alla base del ventricolo sinistro altera la contrazione sfinterica della parte posteriore dell’anulus mitralico42. A questo si aggiunge il

fatto che tra atrio e ventricolo sinistro si crea un gradiente pressorio positivo a causa di un alterato timing di contrazione atrioventricolare che può portare alla formazione di un rigurgito mitralico diastolico44. Infine, la

dissincronia riduce l’efficacia della contrazione del ventricolo sinistro e di conseguenza le forze di chiusura che agiscono sulla valvola, generando un’alterazione nella coaptazione dei lembi45. L’importanza comunque della

dissincronia è sottolineata dal fatto che uno degli effetti benefici della terapia di resincronizzazione cardiaca (CRT) sia la riduzione quasi immediata dell’insufficienza funzionale grazie al miglioramento del timing di attivazione meccanica dei siti di inserzione dei muscoli papillari ed un miglioramento tardivo legato al rimodellamento inverso del ventricolo sinistro43.

L’insufficienza mitralica funzionale non ischemica è secondaria a cardiomiopatia dilatativa11, ma i meccanismi patogenetici alla base

sono simili a quelli della forma inschemica35. Notevole importanza

assume la disfunzione sistolica che coinvolge tutto il miocardio causata dalla dilatazione e dal rimodellamento del ventricolo, con un dislocamento dei muscoli papillari. Si viene pertanto a formare un jet da rigurgito centrale dovuto alla perdita della coaptazione46

a causa del tethering di entrambi i lembi valvolari. Altri meccanismi importanti sono la dilatazione anulare, la dissincronia cardiaca e la riduzione delle forze di chiusura.

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2.4. Conseguenze dell’insufficienza mitralica

2.4.1. Fiosiopatologia dell’insufficienza mitralica

La presenza di un difetto della valvola e/o dell’apparato subvalvolare determina, come già detto, un flusso sistolico retrogado di sangue dal ventricolo all’atrio sinistro (anche se almeno il 50% viene eiettato nell’atrio prima dell’apertura della valvola aortica), grazie ad una riduzione della resistenza allo svuotamento del ventricolo generato dalla patologia stessa47.

Il volume di sangue rigurgitato dipende principalmente da due fattori. Il primo è l’area dell’orifizio rigurgitante, il cui valore è influenzato dalla capacità contrattile, dalle dimensioni e dalla geometria del ventricolo sinistro47. Alcuni studi, condotti su

pazienti con scompenso cardiaco ed insufficienza mitralica, hanno dimostrato come il trattamento a base di vasodilatatori, diuretici, inotropi positivi, ma anche la rivascolarizzazione in pazienti con insufficienza mitralica ischemica riducano il rigurgito grazie all’effetto anti-rimodellamento sul ventricolo, attraverso la riduzione della pressione di riempimento e delle resistenze vascolari30, 48, 49. Il secondo fattore invece è il gradiente pressorio

che si viene a creare tra le due camere47, sul quale però nessuno

dei farmaci elencati precedentemente ha effetto49.

Tale alterazione della normale fisiologia cardiaca avrà delle consguenze sulle camere e strutture sia a monte (atrio sinistro, circolo polmonare e sezioni cardiache destre) che a valle della valvola mitrale, ovvero il ventricolo sinistro.

Ventricolo sinistro

Alla formazione dell’insufficienza mitralica acuta, il ventricolo sinistro cerca di compensare in parte aumentando il precarico e in parte riducendo il postcarico. Nel rispetto della legge di Frank-Starling, questo determina una riduzione del volume telesistolico ed un aumento del volume telediastolico, generando un aumento nella gittata sistolica totale. Più del 50% di quest’ultima però

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viene rigurgitata in atrio sinistro per cui in realtà la gittata sistolica anterograda sarà ridotta47.

Con il tempo, l’insufficienza mitralica tenderà a cronicizzare e si potranno individuare due fasi consecutive, ovvero la fase cronica di compenso seguita poi da quella cronica di scompenso. Nella prima si assiste ad un’ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro, con aumento del volume telediastolico. Questo permette al ventricolo di eiettare il volume totale, aumentato nel tentativo di compensare quello rigurgitato, mantenendo la gittata sistolica nella norma o addirittura superiore e riducendo il volume telesistolico47, 50. Tale compenso si mantiene anche per anni, ma il

continuo sovraccarico emodinamico, in alcuni pazienti, può portare allo scompenso, probabilmente per una riduzione della funzione muscolare del ventricolo sinistro50. L’incapacità

contrattile del ventricolo determina un aumento del volume telesistolico, del precarico e del postcarico, per la riduzione della frazione di eiezione e della gittata cardiaca47.

Figura 9: Insufficienza mitralica e ventricolo sinistro: tre fasi di disfunzione; modificato da Carabello BA. Progress in mitral and aortic regurgitation. Curr Probl Cardiol 2003;28:553

Atrio sinistro

L’atrio sinistro si troverà ad accogliere durante la sistole ventricolare (e quindi durante la diastole atriale) un volume di

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sangue maggiore del normale, proveniente sia dal circolo polmonare sia dal ventricolo sinistro, che poi dovrà essere eiettato, nella fase successiva del ciclo cardiaco, nel ventricolo sinistro. Fintantochè il ventricolo riesce a compensare, l’atrio è in grado di dilatarsi al fine di contenere il sovraccarico pressorio e volumetrico. Nel momento in cui il ventricolo non riesce più a mantenere il compenso, la pressione all’interno dell’atrio aumenta a causa dell’aumentato volume telesistolico.

Le alterazioni che si sviluppano nell’atrio sinistro dipendono fortemente dalla sua compliance (insieme a quella del circolo polmonare), che rappresenta un parametro importante per comprendere l’emodinamica e la clinica dei pazienti con insufficienza mitralica severa. Si individuano pertanto tre possibili quadri: compliance normale o ridotta, compliance moderatamente aumentata, compliance marcatamente aumentata.

I pazienti che presentano una compliance normale o ridotta presentano un modesto ingrandimento atriale, ma un notevole incremento della pressione atriale sinistra media (soprattutto dell’onda v). Questo quadro è caratteristico dell’insufficienza mitralica acuta, secondaria a rottura di corda tendinea, infarto di un muscolo papillare, perforazione traumatica o post-endocarditica di un lembo. Il sintomo prevalente è la congestione polmonare, senza alterazioni del ritmo cardiaco. La parete atriale sinistra si ipertrofizza, mantenendo il quadro per alcune settimane o pochi mesi. E’ in grado di contrarsi energicamente facilitando il riempimento ventricolare sinistro. Poichè l’atrio ispessito è meno distensibile del normale, si ha un ulteriore aumento dell’altezza del’onda v. Nei 6-12 mesi successivi si assiste ad un ispessimento delle pareti delle vene polmonari ed a modificazioni proliferative delle arterie polmonari con notevole aumento delle resistenze vascolari polmonari e della pressione arteriosa polmonare.

I paziente con compliance moderatamente aumentata rappresentano la maggioranza, con un’insufficienza cronica, severa e vari gradi di dilatazione dell’atrio, associato ad un significativo aumento della pressione al suo interno. Questi, in combinazione con l’età, determinano la probabilità che si sviluppi fibrillazione atriale.

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Coloro invece con compliance marcatamente aumentata sono pazienti con insufficienza mitralica severa, cronica, con notevole dilatazione dell’atrio. La pressione atriale sinistra risulta normale o solo lievemente aumentata a riposo a causa delle modificazioni strutturali dell’atrio (la parete contiene solo un piccolo residuo muscolare circondato da tessuto fibroso). Lo stesso succede per la pressione arteriosa polmonare e le resistenza vascolari polmonari. Tali alterazioni sono associate generalmente a fibrillazione atriale e riduzione della portata cardiaca47.

Circolo polmonare

Non essendo presente una divisione anatomica tra circolo polmonare e atrio sinistro, le alterazioni pressorie che avvengono a livello di quest’ultimo si riflettono sul circolo polmonare. Di conseguenza, l’aumento della pressione nell’atrio sinistro, l’aumento delle resistenze polmonari e la possibile perdita della vasodilatazione endotelio-dipendente a carico del letto arterioso polmonare (per la proliferazione intimale e l’ipertrofia della tonaca media di arterie, arteriole e vene polmonari come risposta agli alterati equilibri pressori) generano a loro volta un aumento delle pressioni a livello polmonare. Si può sviluppare pertanto ipertensione polmonare, soprattutto nei pazienti con scompenso cardiaco a funzione ventricolare ridotta, ma anche in pazienti con funzione ventricolare conservata. Importanti per tale condizione, in quanto fattori predittivi indipendenti, sono il grado di insufficienza mitralica e il grado di disfunzione diastolica del ventricolo sinistro, mentre vengono scartati i parametri di controllo della funzione sistolica, come la frazione di eiezione eil volume telesistolico ventricolare 51, 52.

Lo sviluppo di ipertensione polmonare nel corso di insufficienza mitralica rappresenta un fattore prognostico negativo, in quanto è associata con una maggiore mortalità e maggiore incidenza di episodi di scompenso cardiaco52.

Sezioni cardiache destre

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Pertanto nelle forme di insufficienza mitralica in cui si è generata ipertensione polmonare, questa si riflette sul ventricolo destro, la cui funzione si ridurrà in modo inversamente proporzionale all’aumento delle pressioni polmonari.

Per poter gestire l’aumento del carico di lavoro, il ventricolo destro si ipertrofizza e conseguentemente si avrà un calo delle capacità contrattili. Tali alterazioni possono determinare una riduzione del flusso coronarico al miocardio del ventricolo destro, potendo di conseguenza determinare ischemia, sia acuta che cronica.

Al persistere del sovraccarico pressorio, il ventricolo destro si dilata, generando la disfunzione. Le conseguenze di tale dilatazione sono dilatazione dell’anulus con conseguente insufficienza tricuspidale, incremento della pressione telediastolica ventricolare destra, con ulteriore riduzione del flusso arterioso coronarico alle sezioni destre e spostamento del setto interventricolare verso il ventricolo sinistro alterandone la fase diastolica53.

2.4.2. Clinica dell’insufficienza mitralica

Il paziente con insufficienza mitralica può mantenersi completamente asintomatico per molto tempo durante la fase di compenso, ma in alcuni casi anche nella fase di scompenso50. La

natura e la severità dei sintomi nei pazienti con insufficienza mitralica cronica dipendono dalla severità dell’insufficienza, dalla rapidità della progressione della patologia, dai valori pressori a livello di atrio sinistro, vene e arterie polmonari, da episodi di tachiaritmie atriali (in particolare la fibrillazione atriale) e dalla possibile concomitante presenza di patologie valvolari, miocardiche o coronariche47.

Il sintomo più importante è dato dalla dispnea, indicativo di congestione polmonare, seguita da astenia cronica e affaticamento, entrambi dovuti alla riduzione della gittata cardiaca. In alcuni casi, si possono anche avere i segni dello scompenso cardiaco destro con epatomegalia, ascite ed edemi, soprattutto in pazienti con valori elevati di pressione polmonare47.

L’insufficienza mitralica sintomatica (soprattutto con la dispnea, valutata secondo la classificazione NYHA) rappresenta un fattore

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prognostico negativo, insieme all’età, alla presenza di insufficienza renale, fibrillazione atriale e ipertensione polmonare, alla severità del rigurgito mitralico (valutato in base alla misura dell’area effettiva dell’orifizio regurgitante o EROA), alla dilatazione dell’atrio sinistro, all’aumento del diametro telesistolico e alla riduzione della frazione d’eiezione2, 54.

E’ stato dimostrato come i pazienti con insufficienza mitralica cronica abbiano un rischio tre volte superiore alla popolazione generale di scompenso cardiaco ed uno doppio di morte a cinque anni54. Inoltre questi pazienti hanno un rischio maggiore di

eventi cardiaci ed i predittori di tali eventi sono la fibrillazione atriale, l’ingrandimento atriale sinistro con diametro di almeno 40-50 mm, il flail di un lembo con ampio EROA, ridotto consumo di ossigeno di picco durante esercizio e possibilità di insorgenza di disfunzione ventricolare destra1.

2.5. Diagnosi e valutazione ecocardiografica della severità dell’insufficienza mitralica

Ai fini della diagnosi di insufficienza mitralica è di fondamentale importanza il sospetto clinico generato dall’anamnesi e dall’esame obiettivo. Il paziente potrà riferire difficoltà respiratoria più o meno marcata, che dovrà essere classificata secondo i criteri NYHA (che vanno da un grado I, in cui nonostante una cardiopatia sottostante non si ha difficoltà respiratoria se non per sforzi intensi, ad un grado IV caratterizzata da dispnea a riposo e incapacità a svolgere qualsiasi attività) oppure senso di stanchezza cronica, per la quale dovrà essere necessario escludere altre possibili cause, quali anemia, neoplasie, etc. All’esame obiettivo si può notare un polso arterioso caratterizzato da una rapida salita alla palpazione, mentre all’auscultazione potrà essere presente un soffio olosistolico nella maggior parte dei casi (può essere anche telesistolico come in caso di prolasso o protosistolico) dolce, meglio udibile sul focolaio di auscultazione mitralico e sul centrum cordis, alle volte irradiato al cavo ascellare sinistro. Il soffio rimane in rapporto sia con il primo che con il secondo tono che può addirittura essere coperto dal soffio

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e ventricolo sinistro dopo la chiusura della valvola aortica. I toni cardiaci sono di normale intensità, ma nel caso di ipertensione polmonare, il secondo tono sarà sdoppiato e di intensità maggiore del primo. In alcuni casi potrà essere presente un terzo tono, indicativo di scompenso cardiaco47.

L’esame diagnostico più importante è l’ecocardiografia, che permette non solo di verificare la presenza del rigurgito e di definire il danno all’apparato valvolare mitralico, ma permette anche di quantificare l’insufficienza, in modo da dare una stima della severità della patologia e definire la prognosi2.

All’ecocardiografia si possono affiancare altri test diagnostici: l’ecografia sotto sforzo mediante esercizio fisico (in modo da valutare con l’esercizio fisico, laddove possibile, i cambiamenti di alcuni parametri ecografici come le pressioni polmonari, il volume regurgitante e l’area del difetto valvolare, cambiamenti correlati ad un maggior rischio di eventi avversi di natura cardiovascolare, tra cui morte, ospedalizzazione per scompenso cardiaco, infarto miocardico ed angina instabile55); la risonanza magnetica cardiaca

(in caso di ecografia di scarsa qualità permette di valutare la severità delle lesioni valvolari e di determinare i volumi ventricolari e la funzone sistolica); la valutazione di alcuni biomarkers come il BNP e il nt-proBNP (indicativi dello stato funzionale e della prognosi dei pazienti) e la coronarografia, per valutare la presenza di malattia coronarica nel momento in cui si programma un’intervento chirurgico2.

2.5.1. Valutazione ecocardiografica dell’insufficienza mitralica

L’ecocardiografia, sia essa transtoracica o transesofagea in 2D o in 3D, rappresenta uno strumento cardine per poter diagnosticare l’insufficienza mitralica e valutarne la severità e le alterazioni anatomiche, indirizzandoci anche nella scelta del possibile trattamento. Inoltre l’ecocardiografia ci permette di analizzare nello stesso esame anche la funzione ventricolare sinistra, le pressioni polmonari e le alterazioni pressorie e volumetriche dell’atrio sinistro, in modo da comprendere la prognosi del paziente e le possibili complicanze.

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Tali valutazioni possono essere fatte usando sia metodi qualitativi che ci forniscono le informazioni sulla presenza del rigurgito e sulle alterazioni anatomiche, ma anche metodi quantitativi che invece possono misurare attraverso alcune variabili (l’area effettiva dell’orifizio rigurgitante o EROA, il volume rigurgitante o RVol, il gradiente pressorio tra atrio e ventricolo sinistro, la frazione di eiezione) la severità dell’insufficienza56.

Tabella 2: Definizione ecocardiografica dell’insufficienza mitralica severa (modificata da Vahanian et al., Guidelines for the menagement of vascular hearth disease)

Metodi qualitativi

• Ecocardiografia in due dimensioni: permette lo studio anatomico della valvola mitrale e delle camere sinistre del cuore, valutando l’impatto esercitatovi dal sovraccarico volumetrico dovuto al rigurgito. Inoltre può fornirci una stima dell’eziologia e del meccanismo dell’insufficienza mitralica (dilatazione dell’anulus, tethering simmetrico o asimmetrico, prolasso, flail o degenerazione dei lembi, vegetazioni)56.

• Ecocolor Doppler: è il sistema più usato per valutare la presenza e la severità dell’insufficienza mitralica, ma anche il meno accurato 57 . Si basa sul presupposto che

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Di conseguenza un jet da rigurgito largo che si estende profondamente nell’atrio sinistro indica un’insufficienza maggiore di un jet stretto posto subito sotto ai lembi valvolari11. Bisogna però tenere in considerazione che

l’estensione del jet dipende da molti fattori e può pertanto essere sotto o sovrastimato. La presenza di un jet eccentrico per esempio, spostato verso la parete atriale, può portare a sottostimare il rigurgito (effetto Coanda: parte dell’energia cinetica del jet viene ceduta alla parete verso cui è diretto), mentre un jet centrale può essere sovrastimato56. Per questi motivi, la valutazione

colordoppler può essere usata in fase iniziale per mostrare la presenza dell’insufficienza, ma non può essere l’unico parametro su cui affidarsi nella scelta della terapia57. Detto

ciò, si parla di insufficienza mitralica lieve quando il jet è visibile in atrio sinistro solo in prossimità del piano valvolare, moderata quando il jet è visibile fino a metà dell’atrio sinistro e severa quando invece si propaga in ogni direzione riempiendo tutto l’atrio.

Con il doppler continuo si può valutare la densità del jet, proporzionale al numero di globuli rossi rigurgitati. Pertanto un segnale più intenso è indice di un maggior numero di globuli rossi nel jet (insufficienza mitralica severa), mentre un jet più debole indicherà il contrario56.

Metodi quantitativi: utilizzando tutti gli strumenti di analisi dell’ecocardiografia come color doppler, doppler pulsato e continuo, si possono calcolare alcune variabili connesse direttamente (vena contracta, area del rigurgito, area di convergenza del flusso) e indirettamente (frazione di rigurgito, flusso venoso polmonare, flusso diastolico trnsmitrale) al rigurgito.

• Vena contracta (VC): è così definita l’area del jet nell’esatto momento in cui abbandona l’orifizio rigurgitante, di cui pertanto si potrà fare una stima. Rappresenta la zona di massima trasformazione dell’energia pressoria del flusso rigurgitante in energia cinetica ed è caratterizzata da un flusso laminare con maggiore velocità. L‘impiego della VC

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come parametro per la valutazione dell’IM è basato sull’assunto che la sua profondità è correlata con l’area di rigurgito e che l’area rigurgitante sia quasi circolare (è così nelle forme organiche, nelle forme funzionali invece è più ovalare). La si può misurare perpendicolarmente alla linea di coaptazione intercommissurale dei lembi in scansione parasternale asse lungo o apicale asse lungo, fornendo la dimensione antero-posteriore dell’effettivo rigurgito. Può essere effettuata anche nei jet a distribuzione eccentrica, senza alterare la stima di valutazione e se sono presenti jet multipli, la larghezza della VC non è sommabile. Una VC inferiore a 3 mm è indicativa di IM lieve, valori compresi tra 3 mm e 7 mm di IM moderata, mentre valori superiori a 7 mm di IM severa11.

Figura 10: Misurazione della vena contracta

• Area del rigurgito, calcolata mediante il color Doppler, permette, in associazione al rapporto tra l’area del rigurgito e l’area dell’atrio sinistro, di stimare la severità dell’insufficienza mitralica. E’ necessario però considerare che l’area del jet rappresenta una misura di velocità di flusso e non è equivalente pertanto al volume del rigurgito. Inoltre, le dimensioni dell’area di turbolenza sono solo parzialmente influenzate dal volume rigurgitante, ma dipendono anche dal gradiente transmitrale in sistole, dall’eccentricità del jet e da aspetti tecnici della metodica56.

L’insufficienza pertanto sarà classificata come lieve se l’area del rigurgito è inferiore a 4 cmq e il rapporto tra le due aree indicate inferiore al 20%; moderata se l’area risulterà

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severa se l’area sarà maggiore di 8 cmq e il rapporto maggiore del 40%.

Figura 11: Area del jet da rigurgito

• Area di convergenza del flusso: utilizza il metodo PISA (proximal isovelocity surface area) che si focalizza sulla convergenza di flusso prossimale all’orifizio rigurgitante, per calcolare il volume rigurgitante o RVol e l’effettiva area di rigurgito o ERO. Si tratta del parametro più importante per identificare l’origine e per stimare dell’entità dell’IM, quando possibile con visualizzazione nella finestra apicale quattro camere. La formazione dell’area di convergenza è determinata dalla progressiva accelerazione del flusso rigurgitante in corrispondenza della lesione valvolare: auesto è un campo laminare di linee di flusso convergenti associato a una famiglia di superfici di isovelocità concentriche ed emisferiche con area decrescente e incremento della velocità. Basandosi sul principio di continuità, il flusso è costante su tutte le superfici di isovelocità e corrisponde al flusso dell’orifizio rigurgitante. Le superfici di isovelocità sono identificabili con la comparsa di una omogenea inversione della codificazione a colori della velocità o linea di aliasing del flusso diretto verso l’orificio rigurgitante. Assumendo come emisferica la superficie di isovelocità è possibile calcolare l’indice PISA mediante il prodotto del raggio dell’emisfera e della velocità massima impiegata per il campionamento della direzione del flusso (o velocità di aliasing). Da qui poi si può calcolare: l’ERO (rapporto tra indice PISA e velocità di rigurgito del jet: l’IM sarà lieve se avremo valori inferiori a

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0.20 cm2, moderata se saranno compresi tra 0.20-0.29 cm2 e

severa se invece saranno maggiori di 0.4 cm2), il RVol

(prodotto di ERO e dell’integrale di velocità del jet da rigurgito: se è inferiore a 30ml sarà una IM lieve, se è maggiore di 60ml allora sarà severa, mentre valori intermedi indicano una IM moderata) e la frazione di rigurgito (rapprorto tra RVol e la gittata sistolica normalmente misurata: se è inferiore al 30% saraà IM lieve, se è maggiore di 60% sarà severa). Ricordiamo che a seconda dell’eziologia, sia essa organica o funzionale i valori limite per definire l’insufficienza saranno diversi: in caso di insufficienzamitralica severa primaria ERO sarà maggiore di 0.4 cm2 e RVol maggiore di 60ml, in caso di

insufficienza severa secondaria o funzionale invece ERO sarà maggiore di 0.2 cm2 e RVol maggiore di 30ml.

I limiti di questa metodica sono la perdita della conformazione emisferica che sottostima l’insufficienza (jets eccentrici, multipli, orifici complessi), contenimento dell’area di convergenza da parte di strutture aggettanti che ne ostacolano il libero sviluppo spaziale (prolasso mitralico), la possibile difficoltà nell’individuare l’orifizio, la valutazione dell’area massima dell’orifizio di rigurgito in un reflusso di sangue in movimento durante tutta la sistole. Pertanto il metodo PISA non può essere considerato un parametro quantitativo assoluto ed indipendente per la valutazione della IM58.

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• Frazione di rigurgito: questa misurazione si basa sul concetto dell’uguaglianza, nei soggetti sani, del volume sistolico che transita attraverso l’orifizio valvolare mitralico e aortico. Nei pazienti con insufficienza mitralica invece, il volume di sangue transmitralico sarà maggiore di quello transaortico e la differenza è data proprio dal volume del rigurgito (lo si può calcolare anche per jet multipli ed eccentrici). Una volta ottenuto il volume rigurgitante, si può anche calcolare la frazione rigurgitante (rapporto tra RVol e il flusso transmitralico) e ERO (rapporto tra RVol e l’integrale velocità-tempo calcolato sul jet rigurgitante a livello del piano valvolare)56. I limiti di questa tecnica però

sono i possibili errori nel calcolo di volumi e diametri ventricolari, l’assenza di standardizzazione per Body Mass Index, l’impossibilità di studio in caso di insufficienza aortica o fibrillazione atriale e le difficoltà in presenza di calcificazioni dell’anulus.

• Flusso venoso polmonare: attraverso il doppler pulsato si misura la velocità del sangue in specifici punti anatomici. In tal modo si puossono determinare i pattern di flusso nelle vene polmonari, che correlano con la gravità dell’insufficienza mitralica, e le conseguenze emodinamiche della stessa. Normalmente, il flusso è diretto verso le vene polmonari sia in sistole che in diastole, tranne che durante la contrazione atriale, in cui il sangue torna per un breve momento verso l’atrio. Per cui all’analisi con il doppler pulsato si noteranno due picchi di velocità positivi (onde S e D) ed un’onda negativa. L’inversione della direzione del flusso durante la sistole (onda S negativa) è indicativo di insufficienza mitralica severa, anche se si possono avere falsi positivi in pazienti con alta pressione atriale sinistra e jet eccentrico.

• Flusso diastolico transmitralico: aumenta all’aumentare della severità dell’insufficienza, pertanto viene calcolato con il doppler pulsato al fine di escludere la severità dell’insufficienza mitralica.

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Tale misura viene fatta in proiezione apicale quattro camere, all’apice del lembo valvolare in apertura, in paziente in ritmo sinusale e si individuano due onde positive: l’onda E indicativa del riempimento rapido proto diastolico, normalmente di dimensioni maggiori, e l’onda A, indicativa invece della contrazione atriale telediastolica. La presenza di un’onda A dominante esclude generalmente la presenza di insufficienza mitralica, mentre tanto maggiore è l’onda E tanto più grave sarà l’insufficienza. Si calcola pertanto il rapporto tra le due onde (E/A): se è inferiore a uno, è indicativo di insufficienza mitralica non emodinamicamente significativa, mentre se il rapporto è maggiore di due, l’insufficienza mitralica è definita severa.

Figura 13: Flusso diastolico transmitralico

2.6. Terapia dell’insufficienza mitralica

La terapia dell’insufficienza mitralica, sia essa asintomatica o sintomatica, si estrinseca su quattro livelli: la terapia medica, la terapia resincronizzante cardiaca, la terapia chirurgica e la terapia percutanea. Queste possono essere combinate in modo variabile, ma lo scopo della terapia è diverso a seconda del tipo di insufficienza. Nelle forme organiche, la terapia medica e resincronizzante hanno scarse indicazioni, mentre la chirurgia può essere curativa. Nelle forme funzionali è difficile che i trattamenti siano curativi, persino quelli chirurgici, ma lo scopo sia della terapia medica che chirurgica è quello di migliorare la sintomatologia riferibile allo scompenso cardiaco, riducendo il remodelling e quindi la progressione di malattia. Nel caso di

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