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Academic year: 2021

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Editoriale

3 Cross Vol.5 N°1 (2019) - DOI: http://dx.doi.org/10.13130/cross-11821

QUESTO NUMERO

Questo primo numero del 2019 (il secondo è in programma quasi a ruota nel mese di luglio) affronta temi relativamente nuovi per la “Rivista” e al contempo sviluppa filoni più consolidati, sui quali si va costituendo intorno al nostro lavoro una intera area di interlocutori. Relativamente nuovo è senz’altro il tema di apertura, quello del rischio di infiltrazione mafiosa delle imprese. Già analizzato in altri numeri (n.4 del 2016 e n. 1 del 2017) con riferimento al Nord Italia, qui il campo di analisi si allarga al contesto europeo sulla base di un progetto di ricerca (MORE) che ha visto gli autori (Michele Riccardi, Verena Zoppei, Daniela Andreatta, Antonio Bosisio, Georgiana Musat, Benjamin Villanyi) collaborare in un consorzio internazionale sotto la guida del centro Transcrime dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Di particolare interesse per il lettore, oltre agli studi di caso, è l’analisi dei fattori di rischio che espongono maggiormente le imprese all’infiltrazione mafiosa.

Due interventi sono poi dedicati all’America Latina, benché con sguardo rivolto a temi e orizzonti molto diversi. Il primo è quello di Fabrizio Lorusso, ricercatore dell’Università di Leòn, che -con speciale riferimento allo stato del Guerrero- affronta la questione, cara a questa “Rivista” e a CROSS, dei desaparecidos messicani, della domanda di diritto e di verità che in Messico sta salendo grazie a un movimento di familiari che stenta a trovare cittadinanza nella teoria dei movimenti sociali nonostante il suo significato civile e il suo interesse scientifico. Il contributo di Lorusso si colloca in tal senso nell’impegno internazionale che CROSS sta dispiegando (saggi, seminari, lezioni, visite e viaggi, progetti di ricerca) per fare di questo tema una priorità civile, politica e anche accademica. Il secondo contributo è di Amedeo Paparoni, giovane studioso milanese del fenomeno del consumo vistoso nell’universo criminale, che mette sinteticamente a confronto le manifestazioni della celebre propensione vebleniana nella “classica” tradizione colombiana (quella dei grandi cartelli di fine Novecento) e nella variegata realtà dei narcos messicani, con cenni comparativi finali alla coreografia camorrista.

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Editoriale

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Il dibattito sul carcere si riaffaccia invece con l’intervento di Davide Galliani, docente di Diritti fondamentali presso l’Università degli Studi di Milano. Il suo contributo, dalla forma volutamente e inusualmente polemica, è dedicato all’ergastolo ostativo, questione che vede da tempo l’autore impegnato in una campagna abolizionista e soprattutto di denuncia delle condizioni oggi richieste (la collaborazione con la giustizia) per evitare questa forma estrema di sanzione. Nella parte finale Galliani si interroga significativamente sul ruolo che avvocati, studiosi e magistrati potrebbero svolgere di fronte ai problemi di principio implicati dai caratteri della massima pena prevista dall’ordinamento italiano. L’articolo esce immediatamente a ridosso della attesa sentenza Viola della Corte di Strasburgo, la quale, citando espressamente pure le osservazioni sollevate dal Dipartimento di Studi internazionali, giuridici e storico-politici dell’Università degli Studi di Milano, stabilisce il principio che il giudice debba potere valutare anche altri elementi oltre alla non-collaborazione del condannato con la giustizia.

Chiude come sempre la sezione “Storia e Memoria”, che riprende in questo numero una audizione apparentemente ordinaria della Commissione parlamentare antimafia del 1997. La persona audita è l’allora neo-procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna. Ancora a ridosso del clima delle stragi del ’92-’93, il procuratore fa una disamina delle perduranti debolezze dello Stato, segnalando i primi passi indietro che a suo avviso quest’ultimo sta compiendo sul piano legislativo, tra cui l’obbligo per il testimone di giustizia di ripetere in sede dibattimentale, nei processi di mafia, le dichiarazioni già ufficializzate in sede giudiziaria. Ma è soprattutto il tenore delle domande che gli vengono rivolte a costituire sul piano storico una notevole ragione di interesse.

Questo editoriale non può infine non ricordare la figura di Alessandro Pizzorno, grande maestro di scienze sociali che una traccia profonda ha lasciato, tra l’altro, nella vita dell’Università di Milano e di generazioni di sociologi che vi hanno insegnato e vi insegnano, spesso influenzando la loro attività di ricerca.

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