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LA DISCIPLINA DEGLI INTERESSI PASSIVI EX ART.96 DEL TUIR

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UNIVERSITA’ DI PISA

FACOLTA’ DI ECONOMIA

Laurea specialistica del corso in Consulenza Professionale alle Aziende,

Dipartimento di Economia Aziendale “E. Giannessi”

Tesi di Laurea:

“La disciplina degli interessi passivi ex articolo 96 del

Testo Unico delle Imposte sui Redditi”

Relatore:

Dott. Nicolò Zanotti

Candidato:

Claudio Guerrieri

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INDICE

Premessa 4

1. Gli obiettivi della riforma del 2008 6

2. L’ambito soggettivo di applicazione 16

2.1 I soggetti IRES 16

2.2 Le holding e subholding industriali 16

2.3 Le Banche e gli altri soggetti finanziari e assicurativi 19

2.4 I soggetti a cui non sia applica la norma 21

3. L’ambito oggettivo di applicazione 24

3.1 Interessi attivi e proventi assimilati rilevanti da scomputare dagli interessi passivi e dagli oneri assimilati 24

3.1.1 Gli interessi attivi impliciti da crediti commerciali 24

3.1.2 Gli interessi attivi virtuali maturati su crediti verso la Pubblica Amministrazione 28

3.2 Il principio di inerenza 30

3.3 Gli interessi passivi e gli oneri assimilati rilevanti 39

3.3.1 interessi passivi da rapporti aventi causa finanziaria 42

3.3.2 gli oneri assimilati agli interessi passivi rilevanti 56

3.4 gli interessi esclusi dalla norma 65

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3.4.2 Gli interessi passivi soggetti ad altre discipline 80

3.4.3 Gli interessi passivi derivanti da rapporti privi di causa finanziaria 86

4. Le modalità applicative della norma 91

4.1 Calcolo del risultato operativo lordo (ROL) 91

4.2 Il riporto in avanti della quota di ROL eccedente 97

4.3 Il riporto in avanti degli interessi non dedotti 100

5. La disciplina speciale per i soggetti finanziari 103

5.1 L’ambito soggettivo, oggettivo e le modalità applicative del regime speciale 104

6. L’opzione per il consolidato fiscale 113

6.1 Il consolidato fiscale dei gruppi “industriali” 115

6.2 Il consolidato fiscale dei gruppi “finanziari” 127

7. Le operazioni e norme antielusive 132

8. Gli aspetti contabili e l’effetto sulla redditività aziendale 153

Conclusioni 156

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PREMESSA

Gli interessi passivi costituiscono una componente di costo importante per ogni impresa: essi rappresentano infatti la remunerazione dovuta a chi fornisce il fattore produttivo “denaro” alla stessa. Quest’ultimo poi deve essere combinato in modo ottimale con tutti gli altri fattori produttivi, acquisiti e posseduti dall’impresa per lo sviluppo della propria attività.

E’ difficile immaginare un’azienda autosufficiente dal punto di vista finanziario che possa fare a meno di acquisire da terzi il “bene” denaro. Esistono certamente casi, più unici che rari, di aziende con piena autonomia finanziaria, i cui flussi monetari derivanti dall’attività ordinaria consentono di disporre dei mezzi,

oltreché per lo svolgimento dell’attività caratteristica, anche per

l’ammodernamento degli assets e per gli investimenti necessari a mantenere stabile il livello produttivo.

Inoltre, il contesto in cui operano le imprese è caratterizzato da un elevato dinamismo in cui la concorrenza, oggi globale, si vince anche con la possibilità di disporre di adeguate disponibilità finanziarie per effettuare investimenti. Molto spesso è la necessità di difendere la propria quota di mercato a spingere le aziende ad effettuare investimenti importanti in ricerca e sviluppo, con il fine di creare anche “barriere tecnologiche” all’ingresso nel mercato di altre imprese. Come noto, il tessuto produttivo in Italia è costituito da piccole e medie imprese, in genere dominate dalla famiglia fondatrice, i cui proprietari, storicamente, sono poco propensi ad investire capitali propri nell’attività d’impresa, preferendo piuttosto ottenere in prestito il denaro occorrente.

In ogni caso, sia che l’impresa abbia necessità di ricorrere al mercato del credito per ordinarie e momentanee esigenze di liquidità, sia che l’impresa intenda difendere la propria quota di mercato innalzando “barriere tecnologiche” con

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investimenti, oppure espandersi attraverso l’acquisizione di aziende o partecipazioni, le risorse finanziarie ed il suo costo rappresentano elementi di vitale importanza per l’organizzazione ed il suo equilibrato andamento economico e finanziario.

Il legislatore fiscale ha dedicato al tema della deducibilità degli interessi passivi un’attenzione specifica negli ultimi anni a partire dalla riforma del 2003; con questa riforma ha introdotto un complesso e problematico sistema di deducibilità dipendente dal valore delle partecipazioni possedute, dai finanziamenti ricevuti dei soci e per ultimo dalla composizione del reddito (redditi imponibili e non). Dopo soli 5 anni il legislatore è nuovamente intervenuto sul tema, azzerando in pratica la precedente impostazione, per separare il trattamento degli interessi passivi in base alla soggettività IRES o IRPEF del contribuente e, sulla base dell’esperienza precedente, semplificare l’intero sistema di deducibilità. Le regole risultanti dopo la modifiche del 2008, oggi ancora in vigore salvo modifiche marginali, confermano comunque per questa partita di costo un trattamento per la deducibilità dal reddito differente rispetto ad altre spese sostenute per l’acquisto di fattori produttivi. Gli interessi passivi ed oneri assimilati sono regolati oggi dall’articolo 96 e dall’articolo 61 del TUIR, rispettivamente per i soggetti IRES e per quelli IRPEF, mentre le spese per l’acquisto di altri fattori produttivi sono disciplinate, generalmente, in base ai principi generali sulle componenti di reddito ai sensi dell’articolo 109 del TUIR. Anche se il fine dichiarato dal legislatore fiscale nel giustificare il processo di riforme talvolta è apprezzabile, come ad esempio quello di incentivare la capitalizzazione delle imprese strutturalmente sottocapitalizzate, dalle norme tributarie e, soprattutto, nei documenti di prassi viene confermata una certa diffidenza da parte dell’amministrazione finanziaria per l’utilizzo di questo fattore produttivo, diffidenza talvolta condizionata, si potrebbe ipotizzare, anche da esigenze di gettito erariale.

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CAPITOLO PRIMO

Gli obiettivi della riforma del 2008

Gli interessi passivi rappresentano per le imprese una componente di costo necessaria per il funzionamento e lo sviluppo. Mediante il pagamento di tali oneri si “acquista” la disponibilità monetaria da terzi finanziatori (generalmente istituti di credito) per la gestione dell’impresa nei casi in cui la proprietà non avesse la possibilità di immettere capitale nell’impresa oppure, semplicemente, non ritenesse conveniente l’impiego di risorse proprie nell’attività imprenditoriale. Il ricorso al capitale di terzi, da parte della proprietà, come fonte preferita rispetto all’impiego di capitale proprio genera il fenomeno diffuso in Italia della sottocapitalizzazione delle imprese.

Il peso degli interessi passivi che grava sui conti di un’impresa dipende dalla capacità dell’impresa stessa di reperire le risorse finanziarie, tra le numerose forme esistenti, al prezzo più conveniente. La selezione dell’offerta più vantaggiosa delle risorsa “denaro” avviene sempre più spesso all’interno di un mercato globale dove l’accordo di finanziamento viene concluso tra un soggetto estero erogatore (soggetto che incassa un compenso per il prestito) e soggetto domestico utilizzatore del finanziamento (soggetto che sostiene un onere per l’utilizzo del fattore produttivo denaro). Tra di essi possono esistere regimi fiscali significativamente diversi tali da poter offrire ai contraenti/contribuenti opportunità di facili arbitraggi volti ad ottenere trattamenti fiscali favorevoli non giustificati.

Il nostro Testo Unico delle Imposte sul Reddito (TUIR) è stato modificato in modo importante una prima volta nel corso dell’anno 2003, con decorrenza dal periodo d’imposta 2004, in cui è stata introdotta l’Imposta sul Reddito delle Società (IRES) per le società di capitali, in sostituzione dell’ Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche (IRPEG). Con la riforma del 2003 sono stati apportate modifiche al regime di deducibilità degli interessi passivi attraverso la previsione

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di tre nuovi regimi, il pro-rata reddituale, il pro-rata patrimoniale e la thin capitalization, valevoli sia per i soggetti IRES che per i soggetti IRPEF.

In sintesi, la disciplina del pro rata reddituale aveva lo scopo di rendere indeducibili gli interessi passivi, che residuavano dall’applicazione del pro rata patrimoniale e dalla thin capitalization, per la parte corrispondente al rapporto tra ammontare dei ricavi e proventi che concorrevano a formare il reddito e ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.

La disciplina invece del pro rata patrimoniale aveva lo scopo di impedire la deducibilità integrale degli interessi passivi relativi a finanziamenti contratti per l’acquisto di attività dalla cui cessione l’impresa otteneva proventi non imponibili come ad esempio le partecipazioni di cui all’articolo 87 (partecipazioni esenti) del TUIR. Gli interessi sottoposti al calcolo del pro rata patrimoniale erano quelli che residuavano dopo l’applicazione della disposizione sulla thin capitalization.

Più innovativa era la disciplina della thin capitalization, che aveva lo scopo di scoraggiare i soci a finanziare la società facendo preferire le operazioni di conferimento ad incremento del patrimonio attraverso l’indeducibilità degli interessi passivi. Gli interessi passivi in esame erano quelli derivanti dai finanziamenti effettuati o garantiti dai soci qualificati e da parti correlate, per la parte di essi eccedenti quattro volte il patrimonio netto contabile della società finanziata.

Con la thin capitalization si era introdotta nel nostro sistema fiscale una norma stabile di contrasto alla sottocapitalizzazione delle imprese attraverso la penalizzazione della deducibilità degli interessi passivi per finanziamenti ricevuti o garantiti da soci o da parti correlate. Non era tuttavia una norma che poteva dirsi pienamente efficace contro il fenomeno della sottocapitalizzazione delle imprese in quanto rimanevano fuori dall’ambito di applicazione, e soggette quindi ai soli regimi di deducibilità degli interessi passivi del pro-rata

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patrimoniale e del pro-rata reddituale, le forme di finanziamento diverse da quelle erogate o garantite dai soci qualificati e loro parti correlate. Nella stesura della bozza originaria della legge istitutiva, la thin capitalization prevedeva addirittura la sua applicazione nei confronti dei soli soci esteri con il chiaro intento di rispondere al tema degli arbitraggi fiscali nei casi in cui il carico fiscale nel paese del socio percettore degli interessi fosse stato inferiore a quello della società finanziata. La norma fu poi approvata estendendone l’applicazione ai finanziamenti corrisposti anche dai soci residenti per timore di incompatibilità con le norme comunitarie.

Con la finanziaria per l’anno 2008, articolo 1, comma 33, lettera i), della Legge n° 244 del 24 dicembre 2007, sono state apportate nuove e profonde revisioni nella disciplina relativa alla deducibilità degli interessi passivi dal reddito di impresa introdotta appena pochi anni prima con la riforma del Testo Unico delle Imposte sui Redditi cui è stato accennato in precedenza. A partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, la sopra citata Legge finanziaria per il 2008 ha sostituito le disposizioni del pro rata generale, pro rata patrimoniale e thin capitalization con una nuova normativa; in base a quest’ultima le imprese soggette ad IRES, in estrema sintesi, potranno dedurre forfettariamente dal reddito il costo riferito agli interessi passivi ed altri oneri finanziari in relazione al risultato della gestione caratteristica.

La riforma ha portato alla nuova formulazione dell’articolo 96 del TUIR per i soggetti IRES, mentre per i soggetti IRPEF e per gli altri soggetti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale è stata prevista, oltre l’abrogazione dei previgenti regimi contenuti negli articolo 62 (pro-rata patrimoniale) e 63 (thin capitalization) del TUIR, una più favorevole disciplina contenuta ora nell’articolo 61 del TUIR. Tale ultimo articolo dispone che gli interessi passivi sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito o

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che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.

A favore del superamento del controverso e criticato regime della thin capitalization si era espressa anche la relazione finale datata 27 giugno 2006 della commissione di studio sulla tassazione delle imprese istituita dall’allora Viceministro delle Finanze Vincenzo Visco e presieduta dal professor Salvatore Biasco (commissione Biasco). Nella relazione viene proposta, tra le altre, “la trasformazione della thin capitalization in un regime moderato di indeducibilità degli interessi passivi legato al rapporto debito/patrimonio, accompagnato da una reintroduzione (sollecitata nel corso di molte audizioni) della dual income tax (DIT) con alcuni correttivi” e segnalate inoltre tendenze di politica fiscale presenti nei paesi europei a una competizione fiscale sempre più centrata sull’aliquota nominale, con il conseguente rischio di avere in Italia una tassazione più elevata rispetto agli altri paesi1 e riflessi negativi sulla competitività internazionale delle imprese italiane.

Con il nuovo intervento legislativo del 2007 il legislatore ha modificato la deducibilità degli interessi passivi tenendo uniti più obiettivi. Un primo obiettivo è stato quello di semplificare il previgente sistema che, specie riguardo alla thin capitalization, era di difficile applicazione operativa da parte dei contribuenti e di difficile accertamento in fase ispettiva. La nuova deducibilità degli interessi passivi ha inteso superare dette criticità con un sistema più semplice e oggettivo legato, per i soggetti IRES, al risultato operativo lordo della gestione caratteristica e completamente indipendente dai profili dimensionali o dal possesso di partecipazioni provviste dei requisiti previsti dall’articolo 87 del TUIR (regime di participation exemption).

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E’ stato osservato2 che “l’eliminazione della thin capitalization discende logicamente dall’adozione di una norma idonea a svolgere, contemporaneamente, funzione di incentivo alla capitalizzazione e di contrasto allo sfruttamento fiscale della sottocapitalizzazione. La diretta correlazione del quantum di interessi passivi deducibile direttamente ai risultati derivanti dall’attività ordinariamente svolta per la produzione del reddito e assunti così come espressi dal conto economico civilistico, ha reso inutili sia la norma sul pro-rata patrimoniale sia quella sul pro-rata reddituale. Entrambe sono risultate superflue e inconciliabili con il nuovo meccanismo di deducibilità che non ha più l’esigenza di guardare all’esistenza di ricavi e proventi imponibili ovvero esclusi e al loro rapporto con i ricavi e proventi esenti”.

Anche Assonime con la circolare n° 46 del 20093 aveva evidenziato le principali

criticità delle precedenti disposizioni legislative. In particolare secondo l’associazione il pro-rata reddituale non risultava incisivo in quanto limitava la deducibilità degli interessi solo in presenza di ricavi e proventi che non concorressero a formare il reddito d’esercizio. Il pro-rata patrimoniale interessava solo i possessori di partecipazioni con i requisiti dell’articolo 87 del TUIR (participation exemption) e cessava comunque la sua efficacia con l’attivazione della tassazione consolidata nazionale o mondiale. Infine riguardo la thin capitalization, oltreché ad applicarsi ai soli soggetti con volume d’affari superiore alle soglie previste per l’applicazione degli studi di settore, aveva evidenziato problemi applicativi ed interpretativi di particolare rilevanza come ad esempio il fatto che la norma si estendesse anche ai finanziamenti garantiti dai soci, fatto quest’ultimo diffuso nei rapporti di finanziamento tra banca e impresa in Italia, al punto da penalizzare in maniera illogica operazioni strumentali alla normale attività d’impresa.

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M. Zeppilli, “inquadramento sistematico della disciplina degli interessi passivi”, in Corriere Tributario n° 21/2009, pag. 1672.

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Il secondo importante obiettivo che la nuova disciplina ha perseguito, confermato anche dalla relazione illustrativa del provvedimento4, è quello del contrasto al fenomeno delle sottocapitalizzazione delle imprese. Come in precedenza accennato, anche la norma della thin capitalization aveva come scopo tale risultato, ma la nuova formulazione dell’articolo 96 del TUIR, dopo la riforma del 2007, ha completato la sua efficacia includendo tutti i tipi di finanziamenti e non solo quelli erogati o garantiti dai soci. In sostanza con la nuova disposizione si rende sostenibile fino ad un certo livello forfettario stabilito dalla norma, oltre il quale l’erogazione di interessi passivi a terzi prestatori si rende indeducibile, il ricorso al capitale di debito.

Come noto infatti il ricorso a capitale di debito genera oneri deducibili dal reddito d’impresa mentre il capitale di rischio, al contrario, non consente la deduzione di alcun componente negativo. In Italia il fenomeno della sottocapitalizzazione delle imprese è molto diffuso e ha generato nel tempo un tessuto economico caratterizzato da imprese di dimensione piccole e medie dove il socio, in genere, non investire il proprio capitale nell’impresa, ma preferisce impieghi meno rischiosi e più vantaggiosi grazie anche alle numerose opportunità offerte dai mercati finanziari.

Il legislatore, con l’introduzione del limite forfettario e generale di deducibilità degli interessi passivi, ha inteso colpire la propensione dei soci a lasciare che l’impresa partecipata sia prevalentemente finanziata con capitale di debito. Tale intervento non ha voluto rendere definitiva, come lo era nella versione precedente, l’indeducibilità annua degli interessi passivi oltre soglia (così come sarà illustrato più avanti), ma ha introdotto un’indeducibilità temporanea tale da consentire alle imprese di adattare la propria struttura finanziaria nel tempo e legarla ai risultati di gestione.

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Tra l’altro la commissione Biasco5 aveva suggerito l’introduzione di strumenti premianti (ad esempio una nuova DIT) al fine di incentivare la capitalizzazione delle imprese. Il legislatore è stato però, come accennato, di diverso indirizzo impostando la riforma sulla penalizzazione dell’eccessivo indebitamento attraverso la limitazione alla deducibilità degli interessi passivi, in una sorta di “incentivo” alla capitalizzazione attraverso il disincentivo all’indebitamento. Occorre però ricordare che nel 2011 il legislatore ha introdotto una nuova deduzione dal reddito d’impresa denominata aiuto alla crescita economica (ACE) con la quale si è voluto premiare anche l’incremento del patrimonio netto attraverso il riconoscimento di oneri figurativi che sono stabiliti in termini percentuali periodicamente dal Ministero dell’Economia. Con tale ultima norma di favore il legislatore ha inteso utilizzare così anche lo strumento dell’incentivo alla capitalizzazione delle imprese, tra l’altro applicabile sia ai soggetti IRES sia ai soggetti IRPEF in contabilità ordinaria.

Un ulteriore obiettivo conseguito dalla nuova normativa riguarda la ricerca dell’armonizzazione con i regimi presenti negli altri stati esteri. Infatti gli interessi passivi rappresentano un componente che può prestarsi ad arbitraggi volti ad ottenere trattamenti fiscali vantaggiosi non giustificati. Significativo è il fenomeno dell’arbitraggio tra interessi di finanziamento di un socio e dividendi, fenomeno che sottende la trasformazione di un dividendo non deducibile dal reddito della società partecipata in remunerazione deducibile per l’impresa nel caso di un finanziamento da parte del socio.

Il fenomeno descritto assume particolare significato quanto il socio finanziatore, residente in un paese a bassa tassazione (o comunque una tassazione meno elevata di quelle presente nel paese del soggetto finanziato), finanzia una società residente in uno stato con alta fiscalità dove gli interessi del finanziamento corrisposti al socio sono utilizzati per abbattere il reddito. Introducendo un limite

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forfettario alla deducibilità degli interessi passivi non si è posto specifico e concreto rimedio al problema, che richiederebbe un intervento legislativo comunitario di armonizzazione fiscale tra i vari paesi, ma si è solo previsto un limite di tolleranza entro cui l’arbitraggio è “consentito”, così da allinearsi anche ad altri paesi Europei, come ad esempio la Germania, dove tale meccanismo era già presente.

Non si deve inoltre dimenticare che la riforma ha perseguito anche esigenze di cassa in quanto con essa si è allargata la base imponibile delle imprese soggette ad IRES in modo tale da finanziare l’abbattimento dell’aliquota di tassazione del reddito passata, in quel periodo, dal 33% al 27,5%. La riduzione si è resa necessaria per non compromettere la competitività delle imprese e, in particolare, per incentivare gli investimenti produttivi stranieri in Italia.

E’ stato però osservato6 che la riforma rischia di mancare l’obiettivo in quanto potrebbe penalizzare l’impresa fortemente patrimonializzata ma con bassa redditività del capitale e non penalizzare le imprese invece sottocapitalizzate con finanziamenti infruttiferi od a basso tasso di interesse.

Esiste poi il rischio di colpire imprese che, per vincere la concorrenza sui mercati internazionali oppure che necessitato di ingenti investimenti in nuove tecnologie, si indebitano per rinnovare il suo apparato produttivo ed essere più competitive con ritorni, in termini di redditività, nel tempo.

Inoltre possono sollevarsi delle perplessità riguardo l’efficacia della riforma in periodi di crisi economica caratterizzati da contrazione dei ricavi ma bisogno di capitali per far fronte ai necessari investimenti atti a fronteggiare e superare proprio il periodo di stagnazione economica. Durante tali periodi è facile assistere al decremento del ROL, per effetto della diminuzione dei volumi di

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D.Stevanato, “La norma sull’indeducibilità degli interessi passivi e la sua interpretazione in chiave antielusiva”, in Dialoghi Tributari n° 1/2008, pag. 18. Sulla stessa linea anche R.Marcello, “Gli effetti dell’indeducibilità degli interessi passivi sulla redditività aziendale”, in Corriere Tributario n° 6/2009, pagina 444.

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vendite, e contemporaneo incremento degli interessi e oneri finanziari per effetto del credit crunch. Nella crisi economica le risorse proprie si prosciugano velocemente, il ricorso al debito è più difficile e costoso, l’aumento di capitale è ostacolato da minori disponibilità in capo agli azionisti rendendo così la normativa fiscale prociclica7.

Vi è da aggiungere però che in periodi di crisi economica, come il periodo attuale caratterizzato da una stagnazione economica internazionale, il problema si dovrebbe ridimensionare se il mercato dei capitali funzionasse correttamente e se, in base alle condizioni macro-economiche, agissero conseguentemente e tempestivamente le istituzioni preposta al controllo e regolazione dei mercati finanziari attraverso le leve a loro disposizione, andando ad incidere sulle condizioni del mercato dei tassi di interesse. Infatti, in questo contesto e nel caso si attivassero i funzionamenti del mercato sopra brevemente accennati, il peso degli oneri finanziari dovrebbe decrescere sia per mancanza di domanda del credito (funzionamento del mercato), sia per l’intervento espansivo della base monetaria (a cura delle istituzioni preposte alla regolazione), così come si è verificato di recente negli Stati Uniti e recentissimamente nell’Unione Europea. Per le imprese si tratterebbe allora di rinegoziare le eventuali condizioni non più attuali per i finanziamenti già stipulati.

Altri commentatori8 hanno aspramente commentato la riforma in quanto produce

solo un reddito artificiale, costruito da parte di un legislatore che, per arginare i casi possibili di abusi, opera attraverso disposizioni di restringimento generalizzato, senza tenere conto dell’effettività dell’arricchimento sottoposto a prelievo.

7

Roberto Moro Visconti, “Rol e (in)deducibilità degli interessi passivi: un’imposizione prociclicamente recessiva”, Strumenti Finanziari e Fiscalità n° 10 del gennaio 2013, pag. 45.

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M.Beghin, “crisi economica, capitalizzazione delle imprese e interessi passivi”, Corriere Tributario n° 13/2009.

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Da ultimo è da evidenziare il fatto che il limite forfettario di deducibilità degli interessi passivi, valevole indifferentemente per tutti i settori produttivi, potrebbe essere non rappresentativo delle necessità di accesso ai finanziamenti tipiche di ogni settore. D'altronde l’introduzione di plafond di deducibilità distinti per settore di attività dell’impresa avrebbe portato con se la difficoltà di individuazione di tali settori e, molto più complicata, individuazione della percentuale forfettaria caratterizzante l’ambito di applicazione, con conseguente possibilità di comportamenti opportunistici da parte dei soggetti passivi finalizzati a far rientrare l’impresa tra le attività maggiormente agevolate.

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CAPITOLO SECONDO L’ambito soggettivo di applicazione 2.1 I soggetti IRES

L’articolo 96 si colloca tra le norme del Titolo II del TUIR che disciplinano l’imposta sul reddito delle società, applicabile ai soggetti passivi IRES di cui all’articolo 73 del TUIR. Si tratta dei contribuenti indicati al comma 1 lettera a), quali società per azioni e in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e di mutua assicurazione, società consortili e società europee residenti nel territorio dello stato, lettera b), gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché trust, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali residenti nel territorio dello stato, lettera d), società ed enti di ogni tipo, compreso i trust, con o senza personalità giuridica non residenti relativamente alle attività commerciali esercitate nel territorio dello stato mediate stabili organizzazioni. Tra gli enti diversi dalle società di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 73, il comma 2 dello stesso articolo specifica che sono comprese le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario e autonomo.

Rispetto alla precedente disciplina dell’abrogata thin capitalization, la nuova regolamentazione ha ampliato la base dei soggetti coinvolti eliminando il riferimento ai contribuenti il cui volume d’affari era superiore alle soglie previste per l’applicazione degli studi di settore.

2.2 le holding e subholding industriali

Le holding industriali sono definite nell’ambito dell’articolo 96 comma 5 come le società (incluse nella definizione dell’articolo 73 del TUIR) che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in altre società

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esercenti attività diversa da quella creditizia o finanziaria. Il legislatore ha assoggettato questo tipo di imprese al regime ordinario per la deducibilità degli interessi previsto dai commi da 1 a 4 dell’articolo 96 del TUIR, prevedendone quindi l’esclusione espressa dal regime speciale dettato per le banche e gli altri soggetti finanziari disposto dal comma 5-bis dell’articolo 96 del TUIR. Di conseguenza le società che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in altre società esercenti attività creditizia o finanziaria, saranno soggette al regime speciale e di favore previsto per le banche e gli altri soggetti finanziari di cui si tratterà più avanti nel paragrafo dedicato. Le ragioni di questa diversificazione hanno esclusivamente finalità antielusiva e mirano ad evitare che nel gruppo industriale l’indebitamento ed i conseguenti interessi passivi e oneri finanziari possano essere concentrati su soggetti esclusi dalla disciplina ordinaria (la società che detiene le partecipazioni), con conseguente applicazione della più favorevole norme previste per le holding creditizie e bancarie (deduzione forfettaria degli interessi e oneri assimilati quasi totale, visto che raggiunge il 96% degli stessi) mediante lo sfruttamento della procedura del consolidato fiscale da parte del gruppo.

Con un primo intervento l’Agenzia delle Entrate tramite la circolare n° 19/E del 20099 aveva fornito alcuni chiarimenti in merito ai requisiti per individuare le holding industriali. Riprendendo la risoluzione n° 91/E del 2 aprile 200910 da essa stessa emanata, l’Agenzia aveva chiarito, non senza contraddizioni riguardo la metodologia per individuare le attività prevalenti nelle holding “miste”, che l’esercizio di assunzione di partecipazioni in società industriali si poteva considerare prevalente qualora il valore contabile delle partecipazioni in società esercenti attività industriali risultante dal bilancio di esercizio fosse stata

9

Circolare disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate all’indirizzo www.agenziaentrate.gov.it, sezione circolari.

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Risoluzione disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate all’indirizzo

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eccedente il 50% del totale dell’attivo patrimoniale. La soluzione fornita dalla circolare sopra citata lasciava comunque dubbi interpretativi per quelle holding con oggetto principale la gestione di partecipazioni in società e che, proprio in funzione della gestione di tali assets, svolgevano più attività strumentali dalle quali derivano ulteriori elementi dell’attivo diversi dalle partecipazioni nelle società del gruppo. In sostanza se gli elementi dell’attivo strettamente correlati alla gestione delle partecipazioni fossero stati superiori all’elemento dell’attivo riferito alle partecipazioni, dal dato letterale della circolare n°19/E, si poteva essere portati a non riconoscere la qualifica di holding industriale con rilevanti effetti anche in altri ambiti applicativi tributari, in particolare in ambito IRAP. All’incertezza, alimentata anche dalla mancanza nelle norme di criteri per la verifica della prevalenza dell’attività di assunzione di partecipazioni in società diverse da quelle creditizie o finanziarie, è stato cercato di porre rimedio con un nuovo intervento di prassi dell’Agenzia delle Entrate. Con la circolare n° 37/E del 22 luglio 200911, allineandosi alle indicazioni impartite dalla Banca d’Italia per le holding bancarie e finanziarie12, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “l’esercizio esclusivo o prevalente dell’attività di assunzione di partecipazioni in società non bancarie o finanziarie, deve essere verificato tenendo conto non solo del valore di bilancio delle partecipazioni in società industriali, ma anche del valore contabile degli altri elementi patrimoniali della holding relativi a rapporti intercorrenti con le medesime società (quali ad esempio i crediti derivanti da finanziamenti)” direttamente ed indirettamente partecipate, nonché tenendo conto delle poste patrimoniali relative a rapporti intercorrenti tra le società partecipate facenti parte del consolidato fiscale diverse dalle holding o dalle sub-holding13.

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Circolare disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate all’indirizzo

www.agenziaentrate.gov.it, sezione circolari.

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Ciò in quanto l’attività di assunzione di partecipazioni prevista dalla norma non si esaurisce con l’acquisizione delle partecipazione ma comprende anche l’attività di gestione delle stesse.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n° 37/E del 2009 citata ha precisato inoltre che i criteri per l’individuazione delle holding industriali valgono sia per le holding di vertice che per quelle di livello inferiore ossia le così dette sub-holding. In sostanza l’Agenzia delle Entrate in caso di catene partecipative ha negato l’attribuzione automatica della qualifica di holding finanziaria alla società holding o di livello superiore; ha invece confermato il criterio secondo il quale la connotazione “industriale” o “finanziaria” di una holding va verificata in ragione del tipo di attività svolta dalle società che sono al termine della catena.

2.3 Le Banche, gli altri soggetti finanziari e assicurativi

Il comma 5 dell’articolo 96 del TUIR stabilisce che sono esclusi dall’ambito di applicazione dei primi 4 commi dello stesso articolo i seguenti soggetti: 1) le banche 2) gli altri soggetti finanziari indicati nell’art. 1 del D. Lgs 27 gennaio 1992 n° 87 e cioè le società di gestione, le società finanziarie capogruppo dei gruppi bancari iscritti nell’albo, le società di intermediazione mobiliare disciplinate dalla legge 2 gennaio 1991 n° 1, i soggetti operanti nel settore finanziario di cui al titolo V del TUB (articolo 106), le società esercenti altre attività finanziarie indicate nell’articolo 59, comma 1, lettera b), sempre del TUB 3) le imprese di assicurazione 4) le società capogruppo di gruppi bancari e assicurativi.

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Il riferimento al gruppo fiscale anziché civilistico desta perplessità in quanto, al cambiare del

perimetro di consolidamento fiscale, potrebbe cambiare la natura del soggetto (finanziaria o industriali). In tal senso B.Izzo e E. Macario, “La rettifica per gli interessi passivi ed il ruolo delle holding nel

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Tali soggetti sono attratti nel regime speciale previsto dal comma 5-bis dell’articolo 96 del TUIR che prevede l’applicazione di una percentuale forfettaria di deducibilità agli interessi passivi anziché le regole orinarie di determinazione del limite di deducibilità previsto dai primi 4 commi dello stesso articolo.

Alla sua introduzione l’articolo 96 non conteneva la disposizione prevista nel comma 5-bis ma solo l’esclusione dall’applicazione della norma contenuta nel comma 5 per i soggetti sopra indicati. Pertanto banche, soggetti finanziari, assicurazioni potevano dedurre gli interessi finanziari senza nessun limite, in conseguenza del ruolo rilevante che il costo della raccolta fondi riveste per l’attività ordinaria di tali soggetti. Con l’articolo 82, comma 1, del D.L. 25 giugno 2008 n° 112, convertito con modifiche dalla Legge 6 agosto 2008 n° 133, è stato introdotto, probabilmente per esigenze di gettito erariale, il comma 5-bis nell’articolo 96 del TUIR che, come detto, ha previsto un limite percentuale di deducibilità degli interessi passivi, facendo quindi rientrare tali soggetti nell’ambito applicativo della norma, pur se con un regime particolare.

Le holding bancarie, finanziarie o assicurative, società cioè che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazione in società esercenti attività creditizia o finanziaria, così come stabilisce il comma 5 dell’articolo 96 del TUIR, sono soggette alla disciplina speciale prevista nel comma 5-bis dell’articolo 96 riguardante le banche ed altri soggetti finanziari. Per la qualificazione di una holding bancaria o finanzia, sono validi gli stessi criteri descritti per l’individuazione delle holding industriali ossia, come riportato nella circolare n° 37/E del 2009 dell’Agenzia delle Entrate14, occorre verificare la prevalenza del valore contabile delle partecipazioni e degli altri elementi patrimoniali connessi in società esercenti attività creditizia o finanziaria sul totale dell’attivo. Sono esclusi dall’obbligo di verificare la prevalenza invece i soggetti

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richiamati espressamente nel comma 5 dell’articolo 96, ossia i soggetti operanti nel settore finanziario di cui al titolo V del TUB (articolo 106) in considerazione della natura strettamente finanziaria stabilita per legge.

Con la circolare n° 37/E del 2009 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito infine che le holding finanziarie, pur iscritte nella sezione di cui all’articolo 113 (holding di partecipazione) del TUB, devono verificare l’esclusività o la prevalenza dell’attività di assunzione di partecipazione in società finanziarie, ovvero di tipo non finanziario, secondo il criterio sopra descritto per determinare se assoggettare i propri interessi passivi al regime ordinario dei primi 4 commi dell’articolo 96 del TUIR, oppure al regime speciale del comma 5-bis sempre dello stesso articolo. Dovrebbe poi aver sciolto ogni dubbio residuo la cancellazione dell’elenco di cui all’art.113 del TUB ad opera del D.Lgs n° 141 del 13 agosto 2010, con conseguente conferma che l’unico criterio per stabilire se una holding è assoggettabile al regime ordinario, oppure forfettario dell’articolo 96 del TUIR, rimane l’esclusività o la prevalenza dell’attività di assunzione di partecipazioni secondo i criteri precedentemente indicati e la tipologia delle stesse.

2.4 I soggetti a cui non sia applica la norma

Sempre nel comma 5 dell’articolo 96 del TUIR, viene disposta l’esclusione dall’ambito di applicazione della disciplina in argomento per i seguenti soggetti: 1) le società consortili costituite per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori ai sensi dell’articolo 96 del D.P.R 21 dicembre 1999 n° 554 (abrogato e confluito nel D.P.R. n° 207 del 2010) recante il regolamento di attuazione della legge 109 del 1994 (abrogata e confluita nel Codice dei Contratti di cui al D.Lgs 163 del 2006), 2) le società di progetto costituite ai sensi dell’articolo 156 (project financing) del Codice dei Contratti Pubblici di cui al Decreto Legislativo 12 aprile 2006 n° 163, 3) le società costituite per il realizzo e l’esercizio di

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interporti di cui alla legge 4 agosto 1990 n° 240 e successive modificazioni. Per i soggetti indicati, esclusi dall’applicazione della normativa, si apre conseguente la possibilità di dedurre integralmente gli interessi passivi se inerenti l’attività d’impresa.

L’articolo 88 del D.L. n° 1 del 24 gennaio 2012 ha eliminato infine la previgente esclusione relativa “… alle società il cui capitale è sottoscritto prevalentemente da enti pubblici, che costruiscono o gestiscono impianti per la fornitura di acqua, energia e teleriscaldamento, nonché impianti per lo smaltimento e la depurazione”. Tale esclusione era stata segnalata dall’Autority del Mercato al Ministero dell’Economia e dello Sviluppo Economico come discriminatoria rispetto alle società private operanti nel medesimi settori indicati nella norma e tale da compromettere la capacità competitiva del mercato, a causa del maggior carico fiscale in capo alle società private rispetto a quelle con prevalente capitale pubblico. Per tali soggetti sono quindi applicabili oggi le norme ordinarie di deducibilità degli interessi passivi ed oneri assimilati previsti nell’articolo 96 del TUIR.

L’Agenzia delle Entrate ha affermato inoltre nella circolare n° 19/E del 200915 che l’elenco dei soggetti esclusi ha carattere tassativo non suscettibile di interpretazione analogica. Ne consegue che i soggetti i quali, pur svolgendo attività assimilabili a quelle esercitate da soggetti esclusi compresi nell’elenco, non risultando in esso indicati, ricadono nella disciplina limitativa della deducibilità di cui ai commi da 1 a 4 dell’articolo 96 del TUIR. Nel caso di un soggetto che svolga sia attività contenute nell’elenco dei soggetti esclusi, sia altre attività incluse nell’ambito di applicazione della norma, ai fini dell’esclusione dall’applicazione dell’articolo 96 del TUIR, è necessario che le attività previste nell’elenco degli esclusi sia prevalente. La prevalenza deve essere accertata facendo riferimento al volume dei ricavi conseguiti; se quindi il volume dei

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ricavi delle attività indicate nel comma 5, secondo periodo, dell’articolo 96 è superiore a quello relativo alle attività a cui invece risulta applicabile il regime ordinario di deducibilità degli interessi passivi ed oneri assimilati, sarà possibile l’esclusione del soggetto dall’ambito di applicazione della normativa. In caso contrario il soggetto sarà tenuto all’applicazione della normativa16.

Non rientrano infine nell’ambito di applicazione dell’articolo 96 i soggetti IRPEF in quanto la loro disciplina di riferimento per la deducibilità degli interessi passivi è contenuta ora nell’articolo 61, compreso nel Titolo I, che regola il reddito delle persone fisiche, capo VI “redditi d’impresa” del TUIR. Restano fuori dall’applicazione della norma anche i soggetti indicati dall’articolo 73, comma 1, lettera c), del TUIR ossia gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché trust, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali residenti nel territorio dello stato. Come confermato anche dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n° 19/E del 200917, in base al disposto dell’articolo 144, comma 1, del TUIR a cui rimanda l’articolo 75, che regola la determinazione della base imponibile, tali soggetti determinano il loro reddito complessivo in base alla disposizioni del titolo I, capo VI del TUIR (regole per la determinazione del reddito delle persone fisiche).

16

Risoluzione Agenzia delle Entrate n° 200/E del 3 agosto 2009, disponibile nel sito internet

www.agenziaentrate.gov.it sezione risoluzioni.

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CAPITOLO TERZO

L’ambito oggettivo di applicazione

3.1 Interessi attivi e proventi assimilati rilevanti da scomputare dagli interessi passivi e dagli oneri assimilati.

Il comma 1 dell’articolo 96 dispone un primo plafond di deducibilità degli interessi passivi in ciascun periodo d’imposta “..fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati”. Il contribuente preliminarmente può, in fase di determinazione del carico fiscale, dedurre integralmente la quota di interessi passivi corrispondente all’ammontare degli interessi attivi presente nel proprio conto economico. L’articolo 96 del TUIR al comma 3 specifica quali sono gli interessi attivi rilevanti da prendere in considerazione per determinare il primo livello di deducibilità degli interessi passivi: si tratta degli interessi attivi e proventi assimilati derivanti da rapporti con causa finanziaria rilevati in conto economico.

Con un proposito favorevole al contribuente, il legislatore ha poi previsto, sempre al comma 3 dell’articolo 96 del TUIR, che a costituire questo primo plafond di deducibilità integrale degli interessi passivi e oneri assimilati concorrono anche 1) gli interessi attivi impliciti derivanti da crediti di natura commerciale 2) gli interessi attivi virtuali sui crediti dei soggetti operanti con la pubblica amministrazione; entrambe le tipologie hanno invece natura di tipo commerciale e non finanziaria.

3.1.1 Gli interessi attivi impliciti da crediti commerciali

Gli interessi impliciti sono quelli compresi nel complessivo prezzo contrattuale della fornitura o del servizio, senza quindi menzione specifica, in presenza di dilazioni di pagamento che eccedono i normali usi commerciale. Come sopra accennato gli interessi attivi impliciti derivanti da crediti di natura commerciale

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sono una delle tre componenti (le altre sono interessi attivi da rapporti con causa finanziaria e gli interessi virtuali verso la pubblica amministrazione) che contribuiscono alla determinazione del primo plafond di deducibilità integrale degli interessi passivi e oneri assimilati. Con il riconoscimento di questa componente il legislatore ha voluto agevolare, o comunque non penalizzare, il contribuente nei suoi rapporti commerciali. E’ possibile infatti riscontrare nei rapporti commerciali frequenti e ingenti dilazioni di pagamento; tali dilazioni, in mercati altamente concorrenziali e globali come quelli attuali, diventano uno degli elementi indispensabili per vincere la concorrenza e, più importante, per fidelizzare il cliente all’interno di rapporti stabili.

Per individuare gli interessi impliciti occorre, secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate n° 19/E del 200918, fare riferimento a quanto stabilito nei principi contabili nazionali e internazionali. In particolare il principio contabile OIC 15 dal titolo “crediti” stabilisce che se i termini di pagamento sono lunghi e vanno oltre i limiti fisiologici, è necessario, nel caso l’interesse non sia esplicitato rispetto al prezzo di trasferimento del bene o servizio, ritenere implicito nel ricavo di vendita un corrispettivo (interesse) per il periodo di indisponibilità della somma di denaro e che tale quota di interesse deve essere scorporata, per la redazione del bilancio d’esercizio, dal prezzo di cessione se rilevante. Sempre il principio contabile OIC 15 stabilisce che gli interessi impliciti devono essere scorporati per i crediti con scadenza superiore a 12 mesi per i quali non è stato previsto nessun interesse o con un tasso irragionevolmente troppo basso (il principio contabile internazionale non menziona i 12 mesi ma fa riferimento alle dilazioni che rientrano o meno del normale periodo d’uso).

Pertanto, al ricorrere delle condizioni previste nei principi contabili, il contribuente deve scorporare dal prezzo di cessione gli interessi attivi mediante l’attualizzazione del credito; conseguentemente l’impresa deve rendere esplicita

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26

nel prospetto di bilancio tale componente. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate con circolare n° 19/E del 2009 citata ha osservato che è possibile ritenere che la

previsione normativa dell’articolo 96 del TUIR sia applicabile

indipendentemente dalla circostanza che le imprese abbiano o meno correttamente esplicitato, secondo i principi contabili, gli interessi attivi nella redazione delle scritture contabili. In più, la componente relativa all’interesse attivo implicito viene presa in considerazione anche se tale componente, per i soggetti che adottano i principi contabili nazionali, non avrebbe autonoma rilevanza fiscale per quanto stabilito dall’articolo 109 comma 2 del TUIR (i ricavi sono determinati in base ai prezzi pattuiti dalle parti secondo il contratto). Per i soggetti IAS/IFRS adopter invece, per il principio di derivazione del reddito dal conto economico stabilito dall’articolo 83 del TUIR in base ai criteri di qualificazione, imputazione temporale, classificazione in bilancio secondo detti principi, la componente di interessi impliciti esposta in conto economico assume già direttamente natura finanziaria.

La norma si riferisce espressamente all’interesse “implicito” e ciò aveva sollevato alcune perplessità riguardo il trattamento, in questo ambito, da attribuire all’interesse attivo esplicito, ossia l’interesse pattuito espressamente in un contratto di trasferimento di beni o servizi per dilazione di pagamento su crediti commerciali. In prima battuta potrebbe dirsi che tali interessi sono naturalmente parte integrante del plafond di deducibilità degli interessi passivi previsto dal comma 1 dell’articolo 96 del TUIR in quanto scaturiscono da un rapporto avente causa finanziaria.19 L’Agenzia delle Entrate con la circolare n° 19/E del 200920 ha confermato la tesi sopra riportata chiarendo che tutti gli interessi attivi derivanti da dilazione di pagamento di crediti di natura

19

Tesi circolare Assonime n° 46 del 2009 punto 4.6, pagina 54. Circolare disponibile sul sito internet

www.assonime.it .

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commerciali, siano essi impliciti che espliciti, sono rilevanti per l’applicazione delle norma.

Sono assimilati inoltre, secondo quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate21, agli interessi attivi gli sconti attivi di cassa o pronta cassa ottenuti a fronte del pagamento anticipato di fatture ai fornitori. Tali componenti infatti sono rilevati in contabilità separatamente e indicati nel prospetto di conto economico nella voce di bilancio C16 proventi finanziari.

L’Agenzia delle Entrate con la circolare n° 38/E del 201022 ha stabilito che anche i prestiti concessi ai dipendenti rientrano dell’ambito di applicazione dell’articolo 96 se scaturiscono da una messa a disposizione di una provvista di denaro per la quale sussiste l’obbligo di restituzione e quando è prevista una specifica remunerazione.

Non ci sono invece posizioni ufficiali riguardo gli interessi su crediti fiscali richiesti a rimborso che maturano, a tassi e condizioni stabilite da apposite norme, verso l’erario. E’ possibile ritenere che la scelta di optare per il rimborso del credito anziché utilizzarlo in compensazione (verticale o orizzontatale), rientri nell’ambito delle scelta finanziarie dell’impresa e che pertanto gli interessi attivi da esso derivanti possano rientrare tra quelli rilevanti ai fini del conteggio dell’articolo 96 del TUIR23.

Per i soggetti che adottano i principi contabili internazionali invece lo scorporo degli interessi dai crediti può effettuarsi anche per quelli con scadenze inferiori ai 12 mesi se la dilazioni non rientrano nella normale prassi commerciale. Pertanto i

21

Map (modulo di aggiornamento professionale) del 28 maggio 2009.

22

Circolare disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate all’indirizzo

www.agenziaentrate.gov.it, sezione circolari.

23

Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili studio luglio 2010, “oneri finanziari per bilancio 2009 e successivi, procedura per la determinazione dell’ammontare deducibile”, pagina 26. Documento disponibile sul sito internet www.commercialisti.it (Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili).

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28

soggetti IAS/IFRS adopter sono maggiormente agevolati in quanto, ad una maggiore quota di interessi attivi scorporabili dai crediti commerciali, corrisponde un maggior abbattimento della quota di interessi passivi che diventano, per pari importo degli attivi, interamente deducibili.

3.1.2 Gli interessi attivi virtuali maturati su crediti verso la Pubblica Amministrazione

Consapevole della grave problematica dei crediti delle aziende verso la pubblica amministrazione, al comma 3 ultima parte dell’articolo 96 il legislatore ha previsto altresì la deducibilità degli interessi passivi fino a concorrenza di quelli attivi “virtuali” maturati in conseguenza del ritardo nel pagamento dei corrispettivi da parte della pubblica amministrazione e calcolati al tasso ufficiale di riferimento aumentato di un punto percentuale. Il legislatore ha inteso aggiungere al plafond che costituisce la base per la prima integrale deducibilità degli interessi passivi, la componente di interessi attivi calcolata sui crediti vantati verso la pubblica amministrazione, indipendentemente se richiesti alla stessa o meno (e quindi se rilevati nel conto economico o meno).

L’Agenzia delle Entrate con la circolare n° 19/E del 200924 ha precisato che, trattandosi di interessi attivi virtuali collegati al “ritardato pagamento dei corrispettivi”, ritiene che il calcolo deve essere fatto con decorrenza dal giorno successivo a quello previsto per il pagamento fino alla data di incasso del corrispettivo.

Sempre con la medesima circolare, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta opportunamente per dare definizione, rispetto alla norma in questione, di pubblica amministrazione. L’Agenzia ha stabilito che occorre fare riferimento a quando disposto dall’articolo 1, comma 2, del Decreto Legislativo 30 marzo

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29

2001 n° 165, nel quale ambito di applicazione rientrano: lo stato, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi e associazioni; le aziende e amministrazioni dello stato ad ordinamento autonomo; gli istituti e scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e universitarie; le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni; gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali; le amministrazioni, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale; l’ARAN (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) e le agenzie di cui al Decreto Legislativo 30 luglio 1999 n° 300 (Autority); le amministrazioni della Camera dei Deputati, del Senato, della Corte Costituzionale, della Presidenza della Repubblica e gli organi legislativi delle regioni a statuto speciale.

L’Assonime con circolare n° 46 del 200925 ha segnalato il caso della cessione pro soluto, prima della scadenza, di crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione. Il caso è di importante attualità, sia per il ritardo nei pagamenti in cui incorre sistematicamente la pubblica amministrazione, sia per la possibilità offerta alle imprese dalle nuove procedure di certificazione del credito da parte del debitore PA in vista della cessione dello stesso ad istituti di credito per lo smobilizzo dell’asset. Assonime suggerisce, ai fini dell’applicazione dell’articolo 96, di computare gli interessi attivi virtuali sui crediti ceduti pro soluto in modo tale che l’impresa creditrice possa equiparare la propria situazione a quella che avrebbe avuto se non avesse ceduto il credito verso la pubblica amministrazione (ovviamente gli interessi che andranno a maturare nei confronti della PA dopo l’atto di cessione saranno di competenza del cessionario del credito).

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30

3.2 Il principio di inerenza

Prima di procedere con la trattazione degli interessi passivi e oneri assimilati, occorre offrire alcune riflessioni sul principio di inerenza. Il concetto di inerenza si trova definito espressamente nei principi contabili che costituiscono le regole per la formazione del bilancio aziendale. Lo stesso principio è però anche un importante requisito nella determinazione del reddito d’impresa, teso a stabilire un collegamento tra il costo e l’attività di impresa produttiva di reddito tassato e finalizzato ad escludere dalla determinazione dell’imponibile fiscale le spese che non hanno nessuna giustificazione con l’attività aziendale.

Pertanto il principio in esame, insieme ad altri come ad esempio il principio della competenza economica, garantisce che il contribuente possa dedurre dal proprio reddito solamente i costi che hanno contribuito al conseguimento dei ricavi caratterizzanti l’impresa. Malgrado la sua importanza il concetto di inerenza non trova espressa definizione del TUIR.

E’ certamente indirettamente accolto all’interno del sistema fiscale dal momento in cui le norme che regolano la formazione del bilancio d’esercizio assumono rilievo in base all’articolo 83 del TUIR (l’articolo stabilisce la derivazione del reddito di esercizio e del carico fiscale dal risultato di bilancio come punto di partenza). In più un richiamo del principio di inerenza è contenuto nel comma 5 dell’articolo 109 del TUIR (norme generali sui componenti del reddito d’impresa) che dispone "Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi".

Per quanto riguarda gli interessi passivi, nel TUIR è possibile trovare l’espresso richiamo agli oneri inerenti nell’articolo 61 che disciplina la materia per i soggetti IRPEF ed enti non commerciali. Lo stesso richiamo non è presente

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nell’articolo 96 del TUIR per i soggetti IRES; per quest’ultimi, nemmeno le norme generali dell’articolo 109 coma 5 del TUIR sopra citato includono la voce “interessi passivi” tra quelle che devono obbligatoriamente riferirsi ad attività da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito.

Per i soggetti IRES il mancato richiamo del principio di inerenza riguardo gli interessi passivi potrebbe derivare dal fatto che lo stesso non sarebbe necessario, dato che il nuovo meccanismo di determinazione della deducibilità si basa su un parametro di bilancio (ROL) e una percentuale forfettaria da applicare allo stesso per determinarne la deducibilità. In sostanza il meccanismo brevemente descritto appare indirettamente idoneo a garantire anche l’inerenza del costo.

In altri termini il parametro che più caratterizza l’impresa, ossia il reddito operativo lordo (ROL), è una grandezza capace di comprendere il concetto di inerenza (ma anche congruità) e assorbire quindi, senza necessità di preventiva analisi sulla funzionalità del costo rispetto ai ricavi prodotti, gli interessi passivi della gestione. Indizio in tal senso è rappresentato dal fatto che gli interessi passivi, con il nuovo meccanismo, non risentono, ai fini del calcolo del limite di deducibilità, del fatto che siano presenti o meno ricavi e proventi non imponibili, come invece era previsto nella precedente norma che trattava il pro-rata reddituale.26

Occorre osservare però che l’Agenzia delle Entrate con la circolare n° 19 /E del 200927 ha precisato che, in base ai principi contabili, un costo che non attenga all’attività d’impresa ma alla sfera personale dei soci o amministratori non può essere dedotto solo perché è stato imputato al conto economico civilistico. In questi casi quindi l’amministrazione finanziaria, come del resto la stessa ha in più occasioni ribadito, ha il potere di contestare al contribuente l’assenza di inerenza

26

M.Zeppilli, “Inquadramento sistematico della disciplina degli interessi passivi”, Corriere Triburio n° 21/2009, pag. 1672.

27

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32

del costo in questione. Inoltre, sempre nella circolare citata, l’Agenzia delle Entrate ha affermato nel paragrafo 2.1 che i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione dell’articolo 96 del TUIR possono dedurre integralmente gli interessi passivi “sempreché inerenti all’attività d’impresa”.

In tema di interessi passivi poi occorre osservare che gli stessi non sono mai di per sé inerenti o meno all’attività dell’impresa, ma verificare se il finanziamento che essi remunerano è finalizzato ad un impiego inerente l’attività dell’impresa.28

Anche Assonime con la circolare n° 18 del 201229 ha affermato che il problema

dell’inerenza “non attiene al finanziamento e ai relativi oneri in quanto tali, quanto piuttosto all’impiego del denaro che ne consegue. Ed è del tutto improbabile, e forse arbitrario, stabilire una corrispondenza univoca tra le fondi di finanziamento e i relativi impieghi, stante la natura fungibile del denaro. Così, ad esempio, se l’impresa contrae un debito per integrare le risorse finanziarie già in suo possesso, e poi provvede sia ad acquistare merci, sia a finanziare gratuitamente un socio, non può stabilirsi con certezza quali denari siano stati impiegati per l’una e per l’altra attività, cioè quali denari siano di provenienza propria o quali derivino dal finanziamento produttivo di interessi passivi. Si dovrebbe ipotizzare, probabilmente, un meccanismo più complesso che porti alla individuazione di un tasso di indebitamento medio, per poi stabilire quanta parte del costo di indebitamento possa essere dedotta e quanta no, in funzione degli impieghi complessivi del denaro nel corso dell’esercizio. Ma è proprio su questo punto che mancano regole chiare ed univoche”

Tuttavia al riguardo la giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi sulla questione dei finanziamenti contratti per distribuire la riserva da sovrapprezzo ai soci30 o

28

D. Stevanato, “inerenza “forfettaria” per gli interessi passivi”, Corriere Tributario n° 21/2010; E. Della Valle, “ma è proprio vero che gli interessi passivi si deducono a prescindere dall’inerenza?”, GT rivista giur.trib. n° 9/2010.

29

Dal sito internet www.assonime.it.

30

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33

per distribuire dividendi al socio finanziatore31, ha affermato che gli interessi su tale tipo di finanziamento sono indeducibili (per l’ultima casistica, con la sentenza n° 22564 del 2012, la Corte di Cassazione ha confermato l’indeducibilità stabilita nella sentenza della Commissione Regionale, ma per motivi “di rito” connessi al caso particolare e non per la disapprovazione del comportamento del contribuente)32.

La Corte di Cassazione ha affermato nella sentenza n° 1465 del 2009 che il principio che l’inerenza degli interessi va correlata all’intera attività d’impresa esercitata “e non cercando correlazioni fra la spesa per interessi passivi e singoli o gruppi di operazioni attive”33. In altre occasioni la Corte di Cassazione, senza mai però giungere ad un univoco orientamento costante, si è occupata del principio di inerenza e ha ritenuto non inerenti i costi sostenuti dall'imprenditore che per il loro ammontare apparivano assolutamente eccessivi o sproporzionati rispetto alla logica economica, così da indurre il sospetto di violazioni fiscali (cosiddetta inerenza quantitativa).34

31

Commissione Tributaria Regionale Toscana sentenza n° 73 del 25 ottobre 2005.

32

R.Lupi, “interessi passivi su debiti contratti per pagare dividendi: il principio è salvo”, Dialoghi Tributari n° 4/2013.

33

Edizioni Bollettino Tributario, Bollettino tributario,2009, 6, pag. 485. Massima sentenza Corte di Cassazione n° 1465 del 21 gennaio 2009: “Ai fini della determinazione del reddito d’impresa, resta precluso tanto all’imprenditore quanto all’amministrazione finanziaria dimostrare che gli interessi passivi afferiscono a finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, dovendo invece essere correlati all’intera attività dell’impresa esercitata. Gli interessi passivi, infatti, sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificatamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo.”

34

Le sentenze più recenti della Corte di Cassazione: sentenza n° 4554 del 25 febbraio 2010 di cui si riporta la massima pubblicata in CED, Cassazione, 2010 “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n° 597 del 1973 e del D.P.R. n°598 del 1973, che nel D.P.R. n° 917 del 1986, incombe al contribuente. Inoltre, poiché nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti in bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto

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34

Meritano di essere citate le sentenze della Corte di Cassazione sezione tributaria n° 2440 del 3 febbraio 2010, n° 12246 del 19 maggio 2010, n° 24892 del 6

novembre 2013 e n° 21467 del 10 ottobre 201435, come conferma di un

orientamento consolidato, nelle quali è stata affermata l’inapplicabilità del principio di inerenza per gli interessi passivi dei soggetti IRES36.

Per chiarire l’orientamento espresso in queste sentenze, citerò la sentenza della Corte di Cassazione n° 2440 del 3 febbraio 201037; la Corte è stata chiamata a decidere in merito alla deducibilità degli interessi passivi da parte di una società a responsabilità limitata, in particolare sulla necessaria sussistenza del requisito dell’inerenza degli stessi rispetto all’attività d’impresa. L’Agenzia delle Entrate, soccombente nei primi due gradi di giudizio, supportava la tesi secondo cui l’articolo 109 comma 5 del TUIR non doveva essere interpretato nel senso di consentire, in deroga la principio dell’inerenza, la deducibilità di qualsiasi interesse passivo. Secondo l’ufficio dell’Agenzia infatti tale disposizione andava interpretata quale esclusione degli interessi passivi dall’assoggettamento al pro rata previsto dall’articolo 109 comma 5 del TUIR in caso di conseguimento da

dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei coti, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi.” Inoltre Sentenza Corte di Cassazione n° 5374 del 4 aprile 2012, P.Parisi e P.Mazza, “il principio di inerenza applicato agli interessi passivi”, Reddito d’Impresa n° 8/2014, pag.21.

35

Per quest’ultima sentenza R.Boboro, “Quale Giudizio di inerenza per gli interessi passivi?”, Corriere Tributario n° 46/2014 pag. 3583: “Gli interessi passivi sono sempre deducibili anche se nei limiti della disciplina specificatamente dettata da T.U.I.R., senza che sia necessario alcun giudizio di inerenza. Resta precluso, tanto all’imprenditore, quanto all’Amministrazione Finanziaria, dimostrare che gli interessi passivi afferiscono a finanziamenti contratti per la produzione di specifici ricavi, dovendo invece essere correlati all’intera attività dell’impresa esercitata. Gli interessi passivi sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificatamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo”.

36

Cfr. nota 32 pag. 33, in diverse di queste sentenze è richiamato il principio espresso nella sentenza delle Corte di Cassazione n° 1465 del 21 gennaio 2009.

37

R. Artina, “La deducibilità degli interessi passivi alla luce del principio di inerenza”, Bilancio e Reddito d’Impresa n° 1/2011, pag. 36.

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