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Grande Guerre e poesia. Alcune esperienze a confronto

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LETTERATURE E FILOLOGIE

EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Grande Guerre e poesia. Alcune esperienze a confronto

CANDIDATO

RELATORE

Chiara Giannotti

Chiar.mo Prof. Hélène de Jacquelot

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Gianni Iotti

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1

Indice

Introduzione………...…p. 4

1. Alle soglie del conflitto mondiale………...p. 10

• Sentori di guerra e ruolo degli intellettuali……….…..p. 10

2. Poeti in guerra……….p. 23

• Cattolicesimo e interventismo: Charles Péguy e Paul Claudel……...p. 23

- Charles Péguy e la guerra “juste”………...p. 24

- Paul Claudel, le poète non-combattant………...p. 34

• Un dilemma etico-estetico: scrivere o combattere? Le esperienze di

Guillaume Apollinaire e Blaise Cendrars a confronto………p. 46

- Guillaume Apollinaire e Blaise Cendrars: due stranieri al fronte...p. 47

- Cendrars: la plume ou le fusil. Un tentativo di poesia dal fronte:

Shrapnells………..p. 53

- La Guerre au Luxembourg………....p. 58

- Apollinaire: faire poésie ou combattre?...p. 64

- Come si può fare poesia sulla guerra?...p. 68

- Non solo poesia………...…………..p. 74

• Paul Éluard, tra senso del dovere e pacifismo……….p. 77

-

Le Devoir d'Éluard………p. 78

-

La guerra: la grande assente del Devoir………p. 84

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2

-

Un anno dopo: l'Inquiétude………...p. 94

-

La vita in trincea: l'enfer, c'est le froid………p. 96

- La pace secondo Éluard: Poèmes pour la paix………...p. 103

3. La poesia di guerra dei reduci………...p. 107

• Il bisogno di avoir du recul per fare poesia: Jean Cocteau…………...p. 107

-

Le Cap de Bonne-Espérance. Tra guerre e amitié……… p. 108

-

La guerra di Cocteau in Géorgiques funèbres……….. p. 112

-

«Un jour peut-être ayant recul / on chantera la grande guerre»…….p. 117

-

Discours du Grand Sommeil (1916 – 1918)………. p. 119

-

Un poeta reduce………... p. 122

-

La Guerra……….p. 130

-

La mostruosità dei tedeschi: Les Eugènes de la guerre……….p. 137

• Philippe Soupault: la condanna dell'arrière………... p. 140

-

La guerra di Soupault……….. p. 141

-

Soupault e l'arrière «derrière la vitre»………...……….. p. 155

4. La poesia e il ricordo: Louis Aragon 40 anni dopo……….... p. 163

- La guerra nascosta in Feu de joie………... p. 165

- Secousse e il primo racconto del trauma………... p. 171

- Le Roman inachevé………..p. 175

- Il racconto esplicito del trauma……….... p. 186

(4)

3

Conclusione………...p. 190

Bibliografia………p. 197

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4

Introduzione

«Là où finit le langage, commence le vers poétique» Leonhard Rudolf, Aeonen des Fegefeuers1

Esiste un limite anche per il parlare poetico, una soglia oltre cui nemmeno questo può avventurarsi? In particolare, di fronte all'Orrore che va oltre ogni aspettativa e immaginazione si può comunque scrivere, far poesia o, davanti ad alcune atrocità, non si può fare altro che constatare e confessare la limitatezza, l'inadeguatezza del linguaggio umano e lasciare che sia il silenzio a parlare?

Questi interrogativi emergono e si ripresentano continuamente, formando un vero e proprio

leitmotiv, all'interno del nostro lavoro, che tuttavia non ha preso vita da qui. In effetti queste

domande sono emerse in seguito, come conseguenze spontanee del vero quesito originario alla base della nostra ricerca: come si può rappresentare la guerra in poesia.

Questo nostro interesse è nato grazie agli studi svolti nel corso della laurea Magistrale, in particolare alla frequenza di due corsi di letteratura francese contemporanea, tenuti entrambi dalla professoressa de Jacquelot. Il primo, dall'eloquente titolo “Raccontare la guerra”, analizzava alcune opere letterarie, in prosa, che l'esperienza delle due guerre mondiali avevano ispirato: da qui sorse un nostro iniziale interesse per la questione etica-letteraria, ma aggiungeremmo anche umana, posta dai due conflitti. Il secondo invece, abbandonando, ma solo apparentemente, il motivo bellico, presentava la rivoluzione dei linguaggi poetici messa in atto nei primi del Novecento, concentrandosi in particolar modo sulla figura di Guillaume Apollinaire. Durante questo corso è nato un reale interesse per la forma lirica che, nella raccolta Calligrammes. Poèmes de la paix et de la guerre del poète à la tête étoilée, riuniva anche la precedente attenzione e sensibilità per il motivo bellico. In questi due anni di lezioni sono dunque racchiuse le origini di questo lavoro: interesse per la forma lirica e per il tema della guerra.

Tuttavia poiché “Guerra e Poesia” costituiva un tema troppo vasto e generico è stato necessario attuare una limitazione temporale, scegliere su quale guerra e quale poesia concentrare i propri studi. La decisione di soffermarsi sulla Grande Guerra è stata piuttosto facile e spontanea. Non solo in quanto si ricollegava naturalmente al corso su Apollinaire ma

1In N. Beaupré, Écrire en guerre, écrire la guerre: France, Allemagne, 1914 – 1920, Paris, CNRS, 2006, p.

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anche per altre ragioni: primariamente, la ricorrenza, proprio in questo anno, del centenario della conclusione del conflitto del '14 – '18. Ci è sembrato dunque che un lavoro dedicato a ridare voce ai suoi protagonisti potesse essere un mezzo a nostra disposizione per celebrare e ricordare. Secondariamente, per quella che potremmo definire una “sensibilità storica”. Dagli studi liceali e anche nella consultazione di alcuni manuali e testi di Storia ci sembra infatti che, ad oggi, la Prima Guerra Mondiale venga troppo spesso affrontata in relazione alla Seconda, che sia cioè presentata come l'origine in cui risiede la maggior parte delle cause dello scoppio del conflitto del '39-'45. Ciò è, in effetti, vero ma crediamo che meriti un'attenzione propria per le ripercussioni che ebbe sulla sensibilità, sul modo di percepire la realtà di quegli uomini, per le innovazioni belliche e le violenze atroci commesse tanto sui soldati quanto sui civili, fatto quest’ultimo più comunemente associato alla Seconda Guerra Mondiale.

Una volta definito lo spazio temporale in cui collocare il nostro studio, si è presentata la necessità di una seconda scelta, quella dei poeti e delle opere da analizzare per costituire un adeguato corpus poetico. La volontà di affrontare uno studio di tipo comparativo è dovuta al fatto che una simile prospettiva permette una visione più ampia, una casistica maggiore così da notare meglio quali strade, quali possibilità furono intraprese per provare a rappresentare la guerra in poesia.

La creazione del corpus non è stata un'operazione facile: in Francia, a differenza ad esempio dell'Inghilterra, non esiste un vero e proprio genere di war poetry2. Questo deficit non è certo

dovuto a un'esiguità e penuria di produzione letteraria. Anzi, è noto che lo scoppio della guerra generò une «immense prise de parole3» che riguardò tanto scrittori di professione

quanto uomini comuni che, di fronte a questo episodio storico, sentirono il bisogno di impugnare per la prima volta la plume. L'oblio in cui sono stati ricacciati questi testi è da ricollegare in parte al pregiudizio contemporaneo che la produzione del '14 – '18 sia stata in gran parte di dubbia qualità e ripetitiva nei temi, manifestamente propagandistici, entusiastici; in breve, che si tratti solo di poesie di circostanza4.

Questa posizione è stata avvalorata dal fatto che, durante gli anni di guerra, numerose riviste letterarie dettero spazio e diffusione in modo acritico a molti testi dalle virtù poetiche

2Cfr. C-P. Pérez, À propos des Poëmes de guerre, «Bulletin de la Société Paul Claudel», 2014, (214), p. 23. 3S. Audoin- Rouzeau, A. Becker, 14 – 18, retrouver la guerre, Paris, Gallimard, 2000, p. 25.

4Cfr. G. D. Mole, L’Horreur de la guerre, l’extase de la guerre: la poésie française des soldats-poètes, 1914 –

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6 oggettivamente discutibili.

In realtà però la produzione di quei quattro lunghi anni, come vedremo, non è affatto riducibile a queste affermazioni, che non sono altro che semplificazioni di un processo molto più complesso.

Per riuscire a selezionare i poeti e i testi per il nostro lavoro abbiamo consultato alcune fonti piuttosto recenti: in particolare l'antologia La grande guerre des écrivains, d’Apollinaire à

Zweig di Compagnon5, che riunendo e riportando alcuni passaggi delle opere di molti autori

dell'epoca, supportandoli anche con una breve analisi storica e critica, ci ha permesso una prima selezione e, inoltre, la raccolta di studi curata da Vignest e Corvisier, La Grande

Guerre des écrivains: études6.

In seguito a questa prima scelta dei nomi di autori principali che furono coinvolti e

bouleversés, assieme alla loro attività poetica, ci siamo dedicati ad una attenta lettura delle

loro produzioni, delle raccolte o delle singole poesie in cui la guerra era all'origine e al centro della loro riflessione. Siamo giunti così alla scelta degli otto autori e delle loro opere che avrebbero costituito l'oggetto della nostra analisi: il poema Ève (1913) di Charles Péguy, la raccolta Poëmes de guerre (1916) di Paul Claudel, Calligrammes (1918) di Guillaume Apollinaire, le poesie Shrapnells e La Guerre au Luxembourg (1916) di Blaise Cendrars, tre raccolte di Paul Éluard, Le Devoir (1916), Le Devoir et l'Inquiétude (1917) e Poèmes pour la Paix (1918), Le Cap de Bonne Espérance (1918) e Discours du Grand Sommeil (1916 – 1918), pubblicato nel '25, di Jean Cocteau, la raccolta Aquarium (1917) di Philippe Soupault e, infine, alcune poesie di Feu de joie (1919) e due sezioni dell'opera autobiografica Le Roman inachevé (1956) di Louis Aragon. Se i testi scelti non godono tutti di notorietà, gli autori, al contrario, sono tutti molto celebri nel panorama letterario francese, se non addirittura europeo.

Il nostro corpus si caratterizza quindi per una varietà di nomi, di età, di maturità artistiche ma anche di esperienze belliche. Ognuno infatti ha vissuto la guerra del '14 – '18 da una prospettiva del tutto particolare: molti si offrirono volontari, sebbene non avessero nessun obbligo nei confronti della Francia (si pensi ad Apollinaire e Cendrars), vivendo a lungo sulla linea del fuoco e riportando ferite fisiche significative, si pensi al braccio di Cendrars, o addirittura mortali (Apollinaire). Altri svolsero il loro Dovere nel service auxiliaire (Éluard)

5A. Compagnon, La grande guerre des écrivains, d’Apollinaire à Zweig, Paris, Gallimard, 2014. 6J-N. Corvisier, R. Vignest, La Grande Guerre des écrivains: études, Paris, Classiques Garnier, 2015.

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o come soccorritori della Croce Rossa (Cocteau). Per qualcuno l'avventura al fronte ebbe durata breve, seppur con conclusioni totalmente differenti (Soupault, gravemente ammalato fu rimandato all'arrière, mentre Péguy cadde in battaglia dopo solo un mese dallo scoppio del conflitto); altri, invece, non ne ebbero mai un'esperienza diretta (Claudel).

Una simile pluralità ed eterogeneità di prospettive è essenziale per il fine che ci siamo preposti. Infatti questa ci permette di ampliare esponenzialmente l'immaginario di rappresentazioni utilizzate nelle più disparate, e disperate, situazioni che la guerra determinò, senza limitarci al tradizionale punto di vista del poilus in trincea. I nostri otto poeti hanno qui la funzione di portavoce, di rappresentanti di ogni singola sfaccettatura della realtà di quegli anni, che era molto più complessa della tanto semplicistica quanto riduttiva divisione tra civili e soldati. Al di là di questa generale ripartizione c'era tutto un mondo, brulicante e sconvolto, che qui crediamo risuoni.

Nonostante la diversità che caratterizza e contraddistingue gli otto poeti, in alcuni casi è stato possibile sviluppare dei “confronti nel confronto” tra alcuni autori, fondati sulla somiglianza di alcuni aspetti biografici, sempre collegati all'esperienza militare, o sulla condivisione di alcune posizioni e ideali.

Infine, l'ultimo elemento di differenziazione che contraddistingue il nostro corpus è quello del periodo di pubblicazione delle opere: dall'enumerazione precedente appare chiaramente come non ci si occupi soltanto della produzione letteraria compresa negli anni del conflitto, anzi. Contrariamente alla scelta di porre dei confini temporali netti riguardo il momento storico che doveva costituire l'argomento delle poesie, il periodo di composizione e pubblicazione delle opere non è stato sottoposto a limitazioni.

Il nostro lavoro assume così le forme di un vero e proprio excursus della rappresentazione della Prima Guerra mondiale nella poesia, dalle modalità con cui, nel 1913, ci si raffigurava la “guerra rigeneratrice”, la guerra “giusta”, alla poesia del ricordo che, a distanza di trent'anni, rievoca quel momento, cercando di raccontarlo liberandosi da tutti i tabù, tanto psicologici quanto letterari, che erano nati in quegli anni, passando ovviamente per le immagini e le forme scelte nel periodo della tempesta europea.

Se può non stupire l'analisi di poesie nate in seguito allo scontro, come Le Roman inachevé del 1956, non è scontata la presenza di un testo sulla guerra mondiale ante litteram, anteriore cioè di un anno allo scontro, quale è Ève, datato 1913. È anche per motivare e spiegare una simile presenza nel nostro corpus che, nel primo capitolo della nostra tesi, intitolato Alle

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soglie del conflitto mondiale, ci dedichiamo a un'analisi storico-culturale degli anni

immediatamente precedenti al 1914. In questa prima parte indaghiamo se vi furono, prima di quella data, segnali premonitori, sentori, sia in ambito politico-diplomatico sia in quello culturale, riguardo la direzione auto-distruttiva che stava intraprendendo il Vecchio Continente. È importante ricordare che fu questo il contesto in cui tutti gli autori da noi presi in esame si formarono e vissero. Questo elemento è essenziale anche per presentare le idee che animarono e condivisero tutti i poeti da noi scelti, compresi quelli che si riveleranno tutt'altro che mossi da ideali nazionalisti o sciovinisti.

Nel secondo capitolo si procede all'analisi dei testi scelti con l'obiettivo di far emergere in che modo, negli anni di fuoco, gli autori tentarono di rappresentare lo scontro, su quali aspetti si concentrarono, quali tralasciarono e, infine, se riuscirono a “fare poesia sulla guerra”.

Poeti in guerra si apre, in continuità con il capitolo precedente, con lo studio dell'opera del

1913 di Péguy. Nel dettaglio, nell'analisi di Ève abbiamo voluto adottare un'ottica particolare: quella del cristiano cattolico. L'autore infatti, che aveva avuto la rivelazione della fede nel 1905, affronta il tema della guerra, e la giustifica, dal punto di vista religioso. Poiché anche Paul Claudel si distingue per una convinta adesione al cristianesimo, abbiamo deciso di sottolineare anche nella sua raccolta la prospettiva religiosa che, d'altronde, emerge chiaramente nei Poëmes de guerre.

Successivamente si analizzano, attraverso un altro “micro-confronto”, le figure di Apollinaire e Cendrars, le cui esperienze si riveleranno tanto simili sul piano biografico quanto divergenti su quello poetico, a riprova di quanto la soggettività e la sensibilità del poeta influenzino in modo determinante il risultato del testo e di come, queste opere, siano tutt'altro che “di circostanza”. Infine, concluderemo con uno studio approfondito dell'abbondante produzione direttamente dal fronte del giovane Paul Éluard.

Il terzo capitolo, La poesia di guerra dei reduci, prende invece in esame quelle opere che, per motivi diversi, vennero scritte, se non completamente almeno in gran parte, una volta che i poeti rientrarono dal fronte. Troveremo qui i poemi di Jean Cocteau, figura dai connotati totalmente opposti a quelli di Éluard. Per lui, come vedremo, la scrittura è un atto tutt'altro che immediato e la guerra un tema che, per poter essere raccontato, ha bisogno di un distacco temporale, e dunque, aggiungiamo noi, emotivo. Se per Cocteau quindi l'arrière rappresenta una necessità per la nascita della poesia, per Soupault, l'altro autore qui studiato, questo luogo costituisce invece la causa dell'inizio della sua attività poetica. La sua opera

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nasce nelle retrovie, nel contesto urbano, proprio come risposta a questo ambiente, così lontano, sia geograficamente sia, soprattutto, mentalmente, dal fronte e dai suoi uomini. Infine, nell'ultimo capitolo, analizzeremo il percorso, tutto personale, che può compiere un evento traumatico nella poesia di un ex médecin auxiliaire della prima guerra mondiale: dagli anni del suo totale occultamento fino alla sua emersione sempre più esplicita e spontanea.

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CAPITOLO 1.

ALLE SOGLIE DEL CONFLITTO MONDIALE

Nessun evento può essere realmente compreso se non si prende in considerazione anche il contesto storico-sociale in cui nasce. A questa analisi si deve poi affiancare un'indagine delle cause, uno studio delle premesse che portarono a quel fatto e che, in gran parte, sono da ricercare negli anni che lo precedono: è sempre nel passato che si pongono le basi per il futuro. Nel nostro caso questo tipo di attività ci sembra doppiamente necessaria: non solo perché i testi poetici di cui ci occuperemo sono da ricondurre, per essere compresi in toto, al contesto in cui furono creati ma perché trovano prima la loro ispirazione e poi il loro argomento in un evento storico estremamente tragico e significativo, la Grande Guerra. È dunque evidente l'importanza rivestita dalla Storia in queste composizioni.

Cominceremo da un'analisi degli anni immediatamente precedenti allo scoppio del conflitto, da un punto di vista sia politico sia culturale. D'altronde, sebbene un'approfondita analisi delle cause e motivazioni storiche dello scoppio dello scontro mondiale non sia nel nostro interesse, un'introduzione al periodo è d'obbligo. L'indagine della cosiddetta Belle Époque si concentrerà su una questione, a nostro parere, importante: ci chiediamo, in primis, se e quando iniziarono ad esserci dei segnali dell'inasprimento dei rapporti tra i vari Stati e quanto l'opinione pubblica ne ebbe la percezione. In breve se, sul piano politico, ci furono sentori di guerra già prima del 1914.

SENTORI DI GUERRA E RUOLO DEGLI INTELLETTUALI

La storiografia7 più recente si è molto adoperata per dimostrare come le varie dichiarazioni

di guerra, nei diversi Paesi, colsero di sorpresa i cittadini e di come gli stessi uomini politici credettero, fino all'ultimo, di poter risolvere la situazione senza il dispiegamento delle armi. Un esempio di questa ingenuità, per usare un eufemismo, si può trovare nella vicenda che interessò l'intellettuale e diplomatico Paul Claudel in quei mesi: nei giorni dell'attentato all'arciduca, a solo un mese dunque dalla dichiarazione di guerra, questi si trovava ancora ad Amburgo, per svolgere il suo ruolo8.

Questi fatti sembrano confermare la posizione degli storici, dimostrando come gli eventi

7Cfr. J-J. Becker, Entrate in guerra in S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker (a cura di), La prima Guerra mondiale

(Vol. 1), ediz. it. a cura di A. Gibelli, Torino, Einaudi, 2007, p. 141.

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precipitarono drammaticamente e si compromisero irrimediabilmente in poco più di un mese. In realtà, sebbene i passaggi decisivi au déclenchement de la guerre siano effettivamente circoscrivibili a questo breve lasso temporale, alcuni episodi anteriori, seppur non determinanti sull'immediato, prepararono il terreno, incrinando sempre più i rapporti tra le Nazioni.

In primo luogo, è necessario ridimensionare il mito della “pace dei 100 anni” e della floridezza e spensieratezza degli anni dell'avant-guerre, indicati appunto come la Belle

époque. Dopo il Congresso di Vienna del 1814 la pace, percepita come una «conquista9», in

verità, era stata tutt'altro che «universale10»: è sufficiente infatti osservare quel periodo con

una prospettiva eurocentrica per rendersi conto che in una parte dei Paesi del Vecchio Continente tutto si respirava tranne che un'aria di pace. Infatti, all'interno del quadro europeo gli anni successivi all'accordo del 1814 sono segnati sul suolo continentale da una serie di conflitti, seppur dalla rapida risoluzione e piuttosto circoscritti (si pensi alla guerra di Crimea o all'importante guerra franco-prussiana)11. La pace era dunque tutt'altro che definitivamente

realizzata e consolidata. Inoltre, tra questi scontri ve ne sono alcuni che, secondo Cosson, servirono da terreno di prova per tattiche e armamenti che sarebbero poi stati attuati in scala maggiore durante il conflitto mondiale. Più precisamente il critico sostiene che questi scontri segnalano la preparazione da parte degli eserciti a uno scontro sul suolo europeo12: in realtà,

dunque, più che un periodo di armonia quello che in Europa si stava vivendo era una sorta di “prova generale” della Grande Guerra.

Ma più che sul campo di battaglia, negli anni precedenti all'attentato a Sarajevo contro Francesco Ferdinando, i veri scontri avvenivano sul piano diplomatico. Un esempio importante e significativo fu la crisi di Tangeri del 1905 che vide opporsi ancora una volta Francia e Germania, seppur in un nuovo ambito geografico, cioè quello degli imperi coloniali. Questo evento, una vera e propria intromissione della Germania nella politica estera

dell'Hexagone, allarmò un acuto intellettuale e scrittore francese, Charles Péguy, che, già a

questa data, mise in guardia sulla minaccia che la Nazione guglielmina costituiva per la

9E. Traverso, Auspici, sintomi, presagi. Gli intellettuali europei e la catastrofe imminente in S. Audoin-Rouzeau,

J-J. Becker (a cura di), La prima Guerra mondiale (Vol. 1), cit., p. 6.

10M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra. 1914 – 1918, Scandicci, La nuova Italia, 2000, p. 3. 11E. Traverso, Auspici, sintomi, presagi. Gli intellettuali europei e la catastrofe imminente, cit., p. 6.

12Cfr. O. Cosson, Esperienze di guerra all'inizio del xx secolo:la guerra anglo-boera, la guerra in Manciuria,

le guerre dei Balcani in S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker (a cura di), La prima Guerra mondiale (Vol. 1), cit., p. 77.

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Francia13. Il suo avvertimento però rimase inascoltato.

Ad ogni modo, tutti questi fatti, e molti altri che per ragioni di spazio non abbiamo citato, non sembrarono, almeno sul momento, rimettere in discussione quegli equilibri e quei rapporti generali tra i Paesi che erano stati stabiliti un secolo prima. Ma in realtà una delle principali cause scatenanti del conflitto fu proprio questa incapacità di risolvere definitivamente alcune questioni, il persistere di «tensioni nazionali irrisolte14». A partire

dagli anni '10 si assiste a «un durcissement diplomatique15»: adesso la guerra diviene una

minaccia sempre più imminente16.

L'ultimo e particolarmente eloquente segnale riguardo la piega che gli eventi stavano prendendo fu, nel 1913, la politica intrapresa dalla Francia in ambito militare. A questa data infatti si prolungò di un anno il servizio nell'esercito (già obbligatorio): si passò da due a tre anni17. Ma non fu questa l'unica iniziativa: venne infatti anche abbassata l'età della leva, da

21 anni a 20, e si mantenne in servizio la classe 191118. Simili manovre, in realtà, non erano

altro che l'apice di una particolare attenzione per gli eserciti che da anni caratterizzava tutti gli stati europei: questi, infatti, sin dalla fine dell'Ottocento «continuarono a spendere per le loro forze di terra e di mare somme ingenti, motivate con la necessità di tener testa alla crescita delle forze degli altri stati.19». Questi avvenimenti e strategie, oltre a ribadire ancora

una volta la precarietà della pace di quel secolo (non per niente Isnenghi parla di una «pace armata20») accrescevano le tensioni e le insicurezze dei vari Paesi.

Ci sembra che tutti i fatti fin qui analizzati costituiscano segnali chiari riguardo la direzione presa dall'Europa e, infatti, furono colti anche dai contemporanei. Difatti, sebbene lo scoppio del conflitto non era affatto atteso e fu vissuto come un fulmine a ciel sereno, la guerra diventava sempre più un tema centrale nei dibattiti politici, anche se probabilmente veniva ancora percepita come un'ipotesi più teorica che concreta, non realmente possibile. Tuttavia è un dato di fatto che di “guerre” si parlava da tempo e non solo all'interno dei palazzi del potere o dei vari partiti: nel 1913, a un anno quindi dallo scoppio del conflitto mondiale,

13Cfr. C. Prochasson, A. Rasmussen, Au nom de la patrie. Les intellectuels et la première guerre mondiale

(1910 – 1919), Paris, Éditions la découverte, 1996, p. 16.

14P. Viola, Il Novecento, Torino, Einaudi, 2000, p. 3.

15S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker, La France, la nation, la guerre: 1850 – 1920, Paris, Sedes, 1995, p. 239. 16Cfr. M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra. 1914 – 1918, cit., p. 45.

17Cfr. É. Tersen, Panorama de la France en 1914, «Europe», 1964, (421 – 422), p. 18. 18Cfr. Ibid.

19M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra. 1914 – 1918, cit., p. 44. 20Ibid.

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mentre si rinforzavano le fila dell'esercito, apparirono in Francia numerosi testi letterari che riflettevano su questa possibilità e mettevano in guardia dal pericolo tedesco21.

Questa informazione introduce la seconda domanda che vogliamo qui porci e affrontare: negli anni d'avant-guerre, la cultura francese, e più in generale europea, presenta segnali della crisi e del contrasto verso cui gli Stati si stavano dirigendo?

Un simile quesito ci sorge non solo in seguito alla scoperta della tendenza che assume la produzione letteraria nel 1913 ma, soprattutto, dall'osservazione del comportamento delle masse francesi il 1° agosto 1914.

Infatti, caratteristica che non può non sorprendere del '14-'18 è l'omogenea e quasi totale adesione che la chiamata alle armi della Francia riportò, tanto tra i vari schieramenti politici quanto tra le diverse classi sociali della popolazione civile. La guerra permise la riunificazione tra fazioni fino ad allora in opposizione, si pensi ai dreyfusards e agli

antidreyfusards22 . In particolare stupisce l'impegno della sinistra francese a favore dello

scontro. Le ragioni della mobilitazione di quello schieramento politico, secondo Viola, sono da ricondurre al fatto che «immediatamente ci si ricordò delle guerre rivoluzionarie, della libertà, uguaglianza e fraternità minacciate dai tedeschi, di Valmy e delle altre vittorie della Rivoluzione francese23». Questa presa di posizione della sinistra francese, in realtà, non fu

affatto un'eccezione all'interno del panorama europeo: socialisti e internazionalisti di molti Paesi finirono per appoggiare la politica del proprio governo24. Ciò perché si credeva nel

potere “generatore” della guerra: per mezzo di questa sarebbe stato possibile creare la pace. In Francia, ad ogni modo, questa adesione plurale alla guerra, seppur sorretta da ideali e speranze anche diverse, condusse alla formazione della tanto celebre Union Sacrée. Tuttavia è chiaro che, di fronte alla durata e alle forme che lo scontro assunse nei mesi successivi, che poi saranno anni, la sola «trêve des partis25» non sarebbe stata sufficiente: era necessario e

fondamentale avere anche «un ampio sostegno popolare26». Questo appoggio ci fu e, seppur

con alti e bassi, durante i quattro anni del conflitto, non venne mai seriamente messo in discussione. Un simile consenso è spiegabile e comprensibile soltanto se si tiene conto delle convinzioni che sostenevano gli uomini dell'epoca e les enjeux che, per loro, aveva questa

21Cfr. S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker, La France, la nation, la guerre: 1850 – 1920, cit., p. 240. 22Cfr. M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra. 1914 – 1918, cit., p. 20.

23P. Viola, Il Novecento, cit., p. 11. 24Cfr. Ibid., p. 10.

25S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker, La France, la nation, la guerre: 1850 – 1920, cit., p. 271. 26P. Viola, Il Novecento, cit., p. 10.

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guerra. L'idea centrale era quella della nazione e della sua difesa, coûte que coûte.

Ad oggi, per la maggior parte degli occidentali del XXI secolo, senso della Nazione e patria non sono più valori per cui si sarebbe disposti ad accettare la morte di milioni di uomini: una simile strage e carneficina per questi principi, vere e proprie costruzioni culturali, risulterebbe inaccettabile. È innegabile che un simile rifiuto sia dovuto, almeno in parte, al fatto che siamo i figli e nipoti delle conseguenze disastrose che il senso della Nazione e la patria, o piuttosto le loro degenerazioni, come il nazionalismo, ebbero sull'Europa e i suoi abitanti.

Nel 1914 questo tipo di sensibilità era totalmente assente e, al contrario, la Nazione, la Patria costituivano, in gran parte dei paesi del Vecchio continente, valori reputati da tutti essenziali, fondativi, al pari di una religione. Un simile sentimento, diffuso e condiviso in modo così capillare, non poteva certo essere frutto del caso né, tanto meno, il risultato della propaganda e di quell'opera di bourrage de crânes, tanto denunciata e spesso additata, erroneamente, come unica responsabile di questa adesione. Becker infatti ha nettamente ridimensionato l'azione e l'effettiva influenza di questo tipo di proselitismo sui francesi. La studiosa sostiene che «ce que l'on appelle la “propagande” fut un processus horizontal autant que vertical, et même, dans une certaine mesure, une grande poussée venue d'en bas27», ne sottolinea il

carattere «multiforme, décentralisée, […] incontrôlable, en tout cas plus souvent spontanée qu'organisée ou imposée28». Conclude poi asserendo che «Si le consensus des sociétés en

guerre fut si efficace, et finalement si durable malgré les souffrances, c'est parce que à la racine il fut porté avant tout par une mobilisation largement spontanée29».

In effetti, secondo noi, la fermezza e la solidità dimostrata dai citoyens e dai soldats francesi, durante questi lungi e difficili anni, sono la prova che le idee e le posizioni che li sostenevano non nacquero nell'estate del '14 ma erano radicate già da tempo nelle loro menti, negli schemi culturali di loro e delle altre popolazioni europee: in breve, si può affermare che «L'attitude globale de la population a été largement […] le résultat de convictions profondément enracinées30».

A tale constatazione non può che seguire l'ennesimo interrogativo: quando ma, soprattutto, come si riuscì a compiere un'opera così profonda di diffusione di questi ideali? E ancora, che

27S. Audoin-Rouzeau, A. Becker, 14 – 18, retrouver la guerre, cit., p. 131. 28Ibid.

29Ibid.

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ruolo ricoprirono gli intellectuels francesi in questo processo che nel 1914 si sarebbe rivelato essenziale?

Cominciamo la nostra riflessione dall'analisi della nascita e diffusione del sentimento della Nazione, concetto capitale per la Grande Guerra. Questo affonda le proprie radici nell'Ottocento, quando numerosi Stati si mobilitarono su più fronti per diffonderlo31 . In

Francia la Nazione fu «il programma del XIX secolo32» e l'idea principale che si voleva

divulgare era quella de la Nazione «sopra ogni cosa33».

Alla costruzione e propagazione di questo vero e proprio culto della patria parteciparono diverse istituzioni ma, sicuramente, la scuola e gli instituteurs ebbero un ruolo preminente nella “conversione” dei cittadini più giovani, delle nuove generazioni che, in seguito, si sarebbero sacrificati per questa. Ferro conferma così la nostra idea: «while the intensity of the chauvinistic explosion of 1914 may have made it seem like a break with the past, its origins can be traced in part to the widespread teaching of history […] by instructors who preached a synthesis of socialist and nationalist values to their students in school around the country34». In effetti, resa pubblica, obbligatoria e laica nel 1882 dalle lois Jules Ferry, la

Scuola poteva ora raggiungere tutti i francesi, senza distinzione di classe. Così adesso «la nazione si inculca con il libro, con l'immagine35 ». In questa nuova scuola, liberata dalla

religione, lo slancio della fede viene sostituito da quello della patria36. Se l'École cercava un

sostituto, una nuova fede, ciò che avvenne a partire dal XIX secolo fu una vera e propria commistione tra sacro e profano, tra devozione per Dio e per la Patria che, durante il conflitto mondiale, raggiungerà il suo apice. Osserva Becker che «au cours du XIX siècle, les nations s'étaient sacralisées autant que les religions s'étaient nationalisées37». Alla sacralizzazione

delle varie nazioni consegue inevitabilmente che queste, alla stregua della Vera fede, debbano essere difese, a costo anche della propria vita. Il mito della pro patria mori, della morte in battaglia come vero e proprio sacrificio o martirio, presente in tutti e quattro gli

31Cfr. P. Cabanel, Sentimenti nazionali e terre irridente in S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker (a cura di), La prima

Guerra mondiale (Vol. 1), cit., p. 24.

32Ibid.

33P. Cabanel, Nazionalismi all’inizio del XX secolo in in S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker (a cura di), La prima

Guerra mondiale (Vol. 1), cit., p. 38.

34M. Ferro, Cultural life in France, 1914 – 1918 in A. Roshwald, R. Stites (a cura di), European culture in the

Great war: the arts, entertainment, and propaganda, 1914 – 1918, Cambridge, Cambridge University Press, 1999, p. 297.

35P. Cabanel, Sentimenti nazionali e terre irridente, cit., p. 26.

36Cfr. S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker, La France, la nation, la guerre: 1850 – 1920, cit., p. 168.

37A. Becker, La guerre et la foi. De la mort à la mémoire, 1914 – années 1930, Paris, Armand Colin, 2015, p.

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anni del combattimento, risale quindi al secolo precedente e trova giustificazione nella natura sacra della Nazione.

È bene specificare che questo processo di consapevolezza delle masse, di nascita del senso di appartenenza a un luogo ben definito, sia geograficamente sia culturalmente, almeno alle sue origini, era totalmente privo di qualunque ideale bellicista. Non a caso, si parla di «patriotisme défensif38 »: la guerra, e morte, per la patria era accettata solo come atto

difensivo non invasivo. Questo era un principio comune e condiviso da tutti i nazionalismi del tempo, anche dalla Germania che, può sembrare paradossale, sostenne di aver cominciato una guerra non di attacco ma di difesa39.

Ad ogni modo, questa opera di costruzione delle Nazioni riuscì a punto tale che è possibile definire la Prima Guerra mondiale come la «battaglia delle nazioni40». Sebbene, di fatto, a

scontrarsi erano Stati dalle «strutture e cultur[e] simili41 », coloro che vi presero parte

vedevano nell'altro quanto di più antitetico. Soprattutto le popolazioni di Francia e Germania si credevano attori di una vera e propria opposizione manichea, la cui risoluzione avrebbe determinato le sorti della civiltà. Dalla prospettiva francese, che è quella di nostro interesse, a contrapporsi erano la civiltà e la barbarie, la Culture française contro la Kultur tedesca42.

A questo scontro culturale, da cui dipendeva la fine o meno della Civiltà, si accompagnava la rappresentazione demonizzata del nemico, anche questa determinante ai fini dell'approvazione da parte del popolo francese alla partecipazione al conflitto. L'immagine negativa e degenerata del “tedesco” si diffonde nei primi mesi della guerra, a seguito dei racconti riguardanti le violenze che questi commettevano nei confronti della popolazione civile43. Questa rappresentazione trova terreno fertile non solo perché l'astio dei francesi nei

confronti del popolo di Guglielmo II risaliva, anch'esso, a tempi ben precedenti, ma perché, anni prima, si erano già diffuse, soprattutto attraverso testi letterari, raffigurazioni tutt'altro che positive di quel popolo. Causa scatenante di questa prima e originaria rappresentazione

dell'Allemand in chiave degenerata fu la défaite del 1870. Ancora una volta dunque, la fonte

dell'immaginario che nutrì il conflitto si ritrova nel secolo precedente. Ma l'episodio della

38A. Becker, La guerre et la foi. De la mort à la mémoire, 1914 – années 1930, cit., p. 13. 39Cfr. S. Audoin-Rouzeau, A. Becker, 14-18, retrouver la guerre, cit., p. 128.

40P. Cabanel, Sentimenti nazionali e terre irridente, cit., p. 30.

41M. Isnenghi, G. Rochat, La Grande Guerra. 1914 – 1918, cit., p. 28.

42Cfr. C. Prochasson, A. Rasmussen, Au nom de la patrie. Les intellectuels et la première guerre mondiale

(1910 – 1919), cit., p. 9.

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guerra franco-prussiana ebbe anche altre, e più importanti, ripercussioni sulla sensibilità dei francesi. Infatti, la conclusione di quello scontro fece sorgere tra la popolazione sconfitta un silenzioso senso di ingiustizia oltre che un segreto e inconfessabile desiderio di Revanche che, seppur inespresso, rimase sempre vivo e latente negli animi. Sebbene Joly dimostri come le posizioni revansciste più ufficiali non siano state affatto determinanti, data la scarsità di adepti44, nello scoppio del conflitto, è ugualmente provato come la défaite non fu mai

realmente accettata e superata completamente. Ne è esempio l'atteggiamento, quantomeno equivoco, che i politici della Francia ebbero sempre a tal proposito, esplicitato dall'affermazione nel 1914 di Ribot: «Non vogliamo la guerra […] ma quel che non vogliamo è dimenticare il 187045». Siamo di fronte a un'«evidente contraddizione che i contemporanei

non vogliono vedere o non vogliono confessare. Rifiutare risolutamente la guerra senza accettare decisamente la pace46». Questa precarietà e fragilità nei rapporti tra i due Paesi era

percepita anche dalle rispettive popolazioni che, per 44 anni, vissero «con il sentimento implicito e vago che tra i due Paesi sussistesse un contenzioso non regolato e che fosse per lo meno possibile, se non probabile, che si sarebbe arrivati un giorno a una spiegazione diretta e definitiva47».

Anche per la rappresentazione dell'Ennemi del 1914 dunque, argomento da cui eravamo partiti, bastò attingere nuovamente a quell'immaginario letterario nato per rappresentare il soldato tedesco, responsabile della débâcle del secolo precedente e che, evidentemente, era stato tutt'altro che dimenticato48 . Ma nel 1914 a queste raffigurazioni, basate di fatto

sull'immaginazione dei vari autori e dettate dalla volontà di demonizzare il nemico, si affiancarono presto argomentazioni di fondamento scientifico, finalizzate a confermarle e avvalorarle come “vere”. Attraverso l'intervento diretto della scienza, l'opposizione tra le due culture diviene quella tra due “razze” distinte: gli scienziati si adoperano per dimostrare la differenza biologica tra francesi e tedeschi e, ovviamente, la superiorità dei primi nei confronti dei secondi49. Simili teorie si richiamavano a quelle nate dal darwinismo sociale

che si era diffuso alla fine dell'Ottocento, in seguito al «pessimismo culturale50 » che

44Cfr. B. Joly, Il ricordo del 1870 et e la « revanche » in S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker (a cura di), La prima

Guerra mondiale (Vol. 1), cit., p. 98.

45Cfr.Ibid., p. 99. 46Ibid.

47Ibid. p. 103.

48Cfr. S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker, La France, la nation, la guerre: 1850 – 1920, cit., p. 145. 49Cfr. S. Audoin-Rouzeau, A. Becker, 14-18, retrouver la guerre, cit., p. 177.

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contraddistinse quella fase storica ma che, all'epoca, non sfociava naturalmente in intenzioni belliche51.

Anche la scienza, oltre alla letteratura, si fa strumento di diffusione di idee tese a dimostrare la bontà dello scontro, attraverso le più disparate argomentazioni: «les observations d'un grand nombre de scientifiques s[ont] orientées, organisées en une machine intellectuelle contre l'ennemi52». Questa presa di posizione riguardò gli ambiti di tutte le discipline: non

c'era settore, e non c'era uomo, che non fosse influenzato e messo al servizio della causa bellica.

Un intervento così importante e, di fatto, politicamente schierato da parte degli intellectuels, sia francesi sia tedeschi, non può non stupire: la scienza, il cui fine dovrebbe essere solo la verità, si mette al servizio della propria Nazione e «Loin de sa neutralité supposée, la part de la science dans la guerre fut au contraire dès 1914 surchargée de sens53».

Siamo ben lontani da quel «vieil idéal libéral que le dreyfusisme avait porté au-devant de la scène et dont il avait contribué à faire la base éthique du savant : servir la vérité en toute conscience54».

Quanto emerso fin qui ci permette di avanzare alcune conclusioni. Primariamente, è possibile ora, a nostro avviso, utilizzare la locuzione di “guerra totale” con molta più cognizione. Ci sembra infatti che, da quanto detto, appaia chiaramente come tutte le forze della Patria furono messe a disposizione e totalmente monopolizzate dalla sua causa. Inoltre, gran parte delle idee e dell'immaginario qui analizzato, come la fede e sacralità della patria, il dovere di difenderla, l'inferiorità e il pericolo, tanto per la cultura quanto per la “razza” francese, che costituiva quella tedesca, sono tutte rappresentazioni che formano la cosiddetta culture de guerre del '14 - '18. Possiamo definire questa come «un corpus de représentations du conflit cristallisé en un véritable système donnant à la guerre sa signification profonde55 ». Abbiamo però potuto dimostrare come gran parte di questo

«corpus» fosse già presente, ben prima, nella cultura e immaginazione della popolazione, come fosse «sous-jacent56» e, soprattutto, come le sue origini risalissero, in gran parte, al

51Cfr. E. Traverso, Auspici, sintomi, presagi. Gli intellettuali europei e la catastrofe imminente, cit., p. 8. 52Cfr. S. Audoin-Rouzeau, A. Becker, 14-18, retrouver la guerre, cit., p. 170.

53C. Prochasson, A. Rasmussen, Au nom de la patrie. Les intellectuels et la première guerre mondiale (1910 –

1919), cit., p. 204.

54Ibid., p. 142.

55S. Audoin-Rouzeau, A. Becker, 14-18, retrouver la guerre, cit., p. 122.

56C. Prochasson, A. Rasmussen, Au nom de la patrie. Les intellectuels et la première guerre mondiale (1910 –

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secolo precedente e fossero nate senza alcuno scopo di condurre a un conflitto. Sembrerebbe dunque che quelle raffigurazioni che si rivelarono essenziali per l'adesione e accettazione dello scontro e del suo orrore siano state il frutto, casuale e disinteressato, di un percorso culturale intrapreso dall'Europa e che si rivelò determinante solo successivamente. Potremmo quindi concludere che les intellectuels nei decenni precedenti al conflitto prepararono, seppur involontariamente e inconsapevolmente, le masse all'accettazione del sacrificio e solo dal primo agosto del '14 «Les intellectuels eurent le dangereux pouvoir de promouvoir et d'orchestrer cette perversion de la guerre totale57».

Questo può essere accettato come vero ma solo in parte: la propensione alla guerra non si formò soltanto per vie casuali e traverse. Di guerra infatti si parlava e discuteva già da tempo: «The wartime spirit had already manifested itself before 191458». Nota Prochasson che «Les

années dix, rompant avec la ligne optimiste et progressiste qui avait présidé à la culture fin de siècle […] avaient déjà inventé la guerre et l'avait importée dans la culture française aussi bien comme manière de paradigme que comme type de civilté59» mentre Isnenghi evidenzia

come «Tutta la Belle Époque […] è punteggiata da fervidi saluti alla guerra che torna60». Di

nuovo, si tratta di osservazioni che possono essere estese all'intero continente europeo. Pensiamo, ad esempio, ai movimenti avanguardisti di tutte le correnti artistiche. Traverso propone un'interessante dimostrazione, che riportiamo di seguito, di come nei campi dell'arte e della musica si manifestassero già, ben prima del 1914, tensioni sovversive violente, volte a distruggere e rifondare la realtà presente:

Ma fu l'avanguardia nel suo insieme […] a esprimere i sintomi, durante il decennio precedente, di una profonda cesura storica nella percezione e nella rappresentazione del mondo. Il cubismo di Braque e Picasso scomponeva le forme nella pittura come Arnold Schönberg, Alban Berg e Anton Webern rompevano le armonie tradizionali gettando le basi della musica atonale e dodecafonica. Per questo lo storico Modris Eksteins indica nella prima rappresentazione del Sacre du printemps di Stravinsky […], nel maggio 1913, l'avvio di una nuova epoca – i critici ribattezzarono la pièce “il massacro della primavera” - che rimetteva radicalmente in discussione la visione tradizionale del mondo: l'eruzione di un primitivismo feroce e selvaggio che rinnegava le

57S. Audoin-Rouzeau, A. Becker, 14-18, retrouver la guerre, cit., p. 164. 58M. Ferro, Cultural life in France, 1914 – 1918, cit., p. 296.

59C. Prochasson, A. Rasmussen, Au nom de la patrie. Les intellectuels et la première guerre mondiale (1910 –

1919), cit., p. 8.

60M. Isnenghi, Il mito della Grande Guerra in P. Rigo, La lirica fragile. L’esperienza della poesia nella Grande

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forme della civiltà, di un vitalismo che si distaccava dal razionalismo […].61

Il movimento d'avanguardia che più di tutti inneggiò esplicitamente alla necessità di una guerra, e che ne parlava come “rigeneratrice” o addirittura in termini di una «guerra festa62»,

fu il futurismo italiano, il cui fondatore, Marinetti, si esprimeva così, già nel 1909: «Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, […], le belle idee per cui si muore63».

Nonostante questo esplicito e ostentato bellicismo, le correnti artistico-culturali dell'epoca si caratterizzavano in realtà per uno spirito transnazionale, un'apertura e uno scambio di respiro europeo. Ad esempio nel 1910 numerosi artisti francesi esposero le proprie opere a Berlino. Questo episodio è da segnalare in quanto fu il primo ritorno dei pittori francesi in territorio tedesco dopo il 187164. Gli stessi futuristi italiani pubblicarono il loro manifesto su Le Figaro.

Il desiderio di rifondare la realtà, la spinta violenta all'azione e distruzione delle convenzioni, tratti distintivi della nuova generazione che si affacciava in quegli anni sul mondo, non era dunque rivolta contro altri Stati in generale ma, al contrario, si indirizzava contro la generazione precedente.

Siamo di fronte alla messa in atto di quel normale scontro, di quella rivalità e concorrenza, quasi edipica, che da sempre contraddistingue il rapporto tra i padri e i figli65. In effetti questa

tensione, che ebbe una dimensione europea, può essere considerata come una risposta dei giovani del XX secolo alla décadence degli anni precedenti, una reazione al Romanticismo che aveva corrotto gli animi e il pensiero, devirilizzando gli uomini del tempo66. La risposta

a questa fase di crisi e decadenza venne trovata nell'esaltazione dell'energia e del vitalismo67.

Se focalizziamo la nostra attenzione sulla Francia vedremo che la nuova figura di intellettuale che appare tra i giovani non è altro che una reazione alla generazione precedente, rappresentata dai dreyfusards. La causa scatenante di questa opposizione si trova nel totale

61E. Traverso, Auspici, sintomi, presagi. Gli intellettuali europei e la catastrofe imminente, cit., pp. 13,14. 62P. Rigo, La lirica fragile. L’esperienza della poesia nella Grande Guerra. Alcuni motivi ricorrenti, cit., p. 89. 63F. T. Marinetti, Manifesto del futurismo < http://www.classicitaliani.it >.

64Cfr. Cfr. B. Joly, Il ricordo del 1870 e la « revanche », cit., p. 97.

65Cfr. M. Isnenghi, Il mito della Grande Guerra in P. Rigo, La lirica fragile. L'esperienza della poesia nella

Grande Guerra. Alcuni motivi ricorrenti, cit., p. 88.

66Cfr. Prochasson, A. Rasmussen, Au nom de la patrie. Les intellectuels et la première guerre mondiale (1910

-1919), cit., p. 29. È però interessante segnalare che proprio le varie rappresentazioni che queste correnti davano della guerra (« guerra rigeneratrice », guerra come « intima occasione di riscatto ») affondavano le loro radici proprio in alcuni ideali del Romanticismo Cfr. P. Rigo, La lirica fragile. L'esperienza della poesia nella Grande Guerra. Alcuni motivi ricorrenti, cit.

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fallimento che questi conseguirono una volta giunti al potere. Il disincanto e la delusione nel constatare tale insuccesso innescò la replica dei più giovani. Così ora si rifiuta il dibattito intellettuale, lo sterile confronto orale, e si esalta l'azione concreta, che diviene un aspetto centrale per il nuovo rappresentante dell'intelligentsia. Gli anni '10 inaugurano una nuova epoca: «l'ère du muscle68». Adesso «l'action intellectuelle et l'engagement physique69» si

uniscono, formando un binomio indissolubile e incarnando i nuovi principi basilari dell'intellettuale che vuole la nuova generazione, che trova un perfetto connubio nella violenza delle affermazioni e dei discorsi di questi nuovi “anti-intellettuali”70. Quest'uomo

ora è calato tra il popolo, ha abbandonato ses tours d'ivoire, in cui si erano rinchiusi i

dreyfusards, per divenire il «gardien fervent des valeurs de la civilisation toujours menacées

par les acides de la décadence ou de la barbarie.71».

Figura emblematica, esemplare e perfettamente riassuntiva, sotto diversi aspetti, di quanto detto finora è, a nostro avviso, Charles Péguy. Nato immediatamente dopo la débâcle del 1871, e dunque quando il sentimento di Revanche era particolarmente acuto, da un padre che perse la vita proprio in quella guerra, allo scoppio dell'Affaire Dreyfus si schierò nettamente in difesa del capitano ebreo, tanto che Schmitt lo descrive come «the passionate “Dreyfusard”72 ». Negli anni però si avvicinò ai valori totalmente opposti a questo

movimento, alimentando le fila di «ce courant de déploration post-dreyfusienne73 » e, in

particolare, divenendo una delle principali voci di quel patriottismo religioso di cui abbiamo parlato. Ma Péguy è un esempio interessante anche di quegli intellectuels che, già prima del 1914, si adoperavano, più o meno consapevolmente, per far sì che si diffondessero i valori e gli ideali che avrebbero costituito la culture de guerre. In Ève, poema che pubblicò nel 1913 e che analizzeremo nel capitolo successivo, vi sono alcune strofe dedicate alla guerra in cui si esalta il patriottismo difensivo e si innalza a sacrificio e martirio la morte sul campo di battaglia. Egli infine fu esempio di quell'«engagement physique […] des intellectuels devenus soldats74» e di quel sacrificio ultimo che lui stesso, un anno prima, aveva celebrato

68C. Prochasson, A. Rasmussen, Au nom de la patrie. Les intellectuels et la première guerre mondiale (1910 -

1919), cit., p. 36.

69Ibid., p. 33. 70Ibid. 71Ibid., p. 9.

72H. Schmit, Charles Péguy: the man and the legend 1873-1953, «Chicago Review», 1956, (7), p. 29. 73C. Prochasson, A. Rasmussen, Au nom de la patrie. Les intellectuels et la première guerre mondiale (1910 -

1919), cit., p. 14.

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e che si può riassumere nel motto pro patria mori, dato che, dopo essersi arruolato volontariamente cadde in battaglia il 5 settembre 1914. Con le sue parole prima e il suo eroico esempio dopo, divenne il perfetto rappresentante dell'ideologia della Francia di quegli anni.

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CAPITOLO 2.

POETI IN GUERRA

Alle soglie dello scoppio del conflitto mondiale, l'unico elemento che sembrava unire la società francese, «la valeur commune75 » e condivisa, era un forte e sincero sentimento

patriottico. Questo senso della nazione, che era significativamente cresciuto dopo la défaite del 1871 e che purtroppo alcuni schieramenti politici stavano estremizzando in nazionalismo, può spiegare per quale ragione «lorsque la mobilisation générale fut décrétée […] la guerre fut acceptée par la presque totalité de la population76 »: come vedremo si trattò di un

movimento generale, che coinvolse giovani e adulti, francesi ma anche uomini dalla nazionalità diversa ma residenti in Francia. Tuttavia è importante sottolineare la presenza dell'avverbio presque, che esplicita come, sebbene la maggioranza avesse accettato di partecipare, simile posizione non sia estendibile alla totalità dei cittadini, fatto che d'altronde ci sembra piuttosto lapalissiano. La guerra infatti pone l'uomo di fronte a una serie di questioni politiche ma non solo. Ai poeti, agli scrittori, per esempio, si presentano anche problemi artistico-letterari: il conflitto, come vedremo, mette in discussione gli artisti, il loro ruolo e la loro produzione.

Ma le questioni, forse, di più difficile risoluzione e, al contempo, più laceranti sono di tipo etico, spirituale, relative al rapporto dell'uomo religioso con la propria coscienza e la divinità. Ci interessa qui riflettere su quei francesi che nel 1914 erano sì patriottici ma anche di fede cristiano-cattolica: del resto difficilmente crediamo, con la nostra sensibilità di uomini del XXI secolo, che questa parte di popolazione avrebbe potuto accettare, almeno in un primo momento, la partecipazione ad una guerra.

CATTOLICESIMO E INTERVENTISMO: CHARLES PÉGUY E PAUL CLAUDEL Come può un cattolico giustificare dinnanzi a Dio la violenza e l'uccisione di altri esseri umani, suoi fratelli? Certamente, la situazione in cui si trovava un laico, diremmo in generale europeo, nell'agosto del '14 era tutt'altro che facile. Tuttavia, se ci aspettiamo di leggere che questa parte di popolazione nel momento della mobilitazione prese le distanze dalla politica estera dell'Hexagone resteremo sorpresi di fronte alla realtà dei fatti, nel constatare e

75S. Audoin-Rouzeau, J-J. Becker, La France, la Nation, la guerre: 1850-1920, cit., p. 264. 76Ibid., p. 267.

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apprendere cioè che non fu affatto così, che la partecipazione allo scontro non generò alcun turbamento nelle coscienze degli uomini di fede ma che anzi «chez les catholiques français, la guerre est un moment fort de réveil religieux77». Religione e patriottismo non sono dunque

valori e sentimenti che si oppongono ma anzi «pendant le conflit, ferveur patriotique et ferveur religieuse se mêlent78».

Per comprendere questo fenomeno che, a cento anni di distanza, appare di difficile giustificazione, se non addirittura contraddittorio, ci affidiamo direttamente alle parole di due uomini che vissero in quell'epoca, che furono coinvolti, in quanto francesi e in quanto convinti cattolici, nell'ingresso in guerra, che entrambi appoggiarono con determinazione. Più precisamente abbiamo scelto di soffermarci su alcuni lavori in versi di due intellettuali e poeti che ricoprirono un ruolo importante nella società e nella politica della Francia di quel tempo: l'Ève di Charles Péguy e la raccolta poetica Poëmes de guerre di Paul Claudel.

Charles Péguy e la guerra “juste”

All'interno di Ève79 , summa del pensiero filosofico e teologico del suo autore, troviamo

alcune quartine dedicate al tema della guerra. Prima di dedicarci alla riflessione su questi versi è essenziale specificare la data di pubblicazione dell'opera: 1913. Le strofe qui prese in analisi sono interessanti e significative, a nostro avviso, per almeno due ragioni: in primis, perché, sebbene al reale scoppio del conflitto mancasse ancora un anno, dimostrano come la guerra fosse già oggetto di discussioni e riflessioni e poi perché ci offrono la posizione, il punto di vista di un cattolico alle soglie del conflitto mondiale.

Da questo autore, di cui è nota la lunga ricerca e parabola spirituale, il cui apice è la conversione al cattolicesimo, ci aspetteremmo di leggere certamente una condanna ferma e risoluta della violenza in qualunque forma essa si manifesti. Può pertanto stupire sapere che queste strofe, di cui a breve tratteremo, furono ampiamente utilizzate durante la prima Guerra mondiale non dalla propaganda pacifista, bensì da quella interventista. In particolare, una quartina su tutte divenne molto celebre in Francia in quegli anni:

– Heureux ceux qui sont morts pour la terre charnelle, Mais pourvu que ce fût dans une juste guerre.

77S. Audoin-Rouzeau, A. Becker, 14-18 retrouver la guerre, cit., p. 138. 78Ibid.

79Ogni citazione tratta da Ève, d'ora in poi abbreviato È., si riferisce all'edizione C. Péguy, Œuvres poétiques

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Heureux ceux qui sont morts pour quatre coins de terre. Heureux ceux qui sont morts d'une mort solennelle.

(È, 743)

È ovvio che la presa in considerazione di una sola quartina, totalmente decontestualizzata dall'opera da cui è tratta, che si compone di 1911 strofe, non può che essere parziale e soggetta a strumentalizzazioni, come infatti avvenne. Deve quindi essere soppesata con tutte le attenzioni del caso. Certo è che, se ci soffermiamo unicamente su questi quattro versi, la posizione che traspare dalle parole dell'autore risulta essere innegabilmente filobellica: coloro che muoiono «pour quatre coins de terre», non solo sono definiti «heureux», ma sarebbero morti di «une mort solennelle», da veri e propri eroi. Comprendiamo certo i motivi che spinsero i sostenitori del conflitto del '14 -'18 a far risuonare nelle orecchie dei francesi questi versi, tuttavia poiché noi vogliamo evitare il più possibile un'analisi del testo che possa apparire riduttiva e superficiale, riteniamo che il metodo migliore per scongiurare un simile rischio sia quello di analizzare tutte le strofe relative alla guerra, tenendo sempre presente l'opera nella sua totalità.

La quartina sopra citata occupa una posizione quasi centrale nell'architettura del poema (è infatti la strofa numero 743) ma è abbastanza ovvio che, all'interno di questa «épopée chrétienne de l'Humanité80», il tema della guerra non appare certo in modo così improvviso.

Infatti, già nella prima parte del poème, in cui si riflette sulla miseria umana81, alcuni versi

accennano, in modo generale, all'odio e ai conflitti. Leggiamo ad esempio:

Vous regardez sombrer cette double clémence, La clémence d'amour et de fraternité.

Vous regardez monter cette double démence, La démence de haine et d'inhumanité (È., 309)

Innanzitutto, specifichiamo che per tutta l'opera è Gesù che parla, rivolgendosi a Eva. Ciò detto, vediamo come nei versi appena riportati Egli, riferendosi al momento storico contemporaneo a Péguy, elenca i valori («La clémence d'amour et de fraternité») che vede con preoccupazione sparire a causa della venuta in auge di due sentimenti («haine» e «inhumanité») che, senza alcun giro di parole, vengono etichettate come una «double

80B. Guyon, Péguy, Paris, Hatier, 1960, p. 243.

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démence». L'opposizione esistente tra le virtù di un tempo e le depravazioni del presente è rimarcata anche dalla somiglianza sonora dei termini «clémence» e «démence»82. Da una

simile presa di posizione, totalmente in linea con i principi cristiani, non è difficile immaginare quale sia l'attitudine verso la guerra. Ma Gesù continua a parlare, in parte esplicitandola:

Vous en avez tant mis dans le secret des tombes, […]

De ces enfants tombés comme des hécatombes. Offerts à quelque dieu qui n'est pas le vrai Dieu, Frappés sur quelque autel qui n'est pas holocauste, Perdus dans la bataille ou dans quelque avant-poste, Tombés dans quelque lieu qui n'est pas le vrai Lieu.

(È., 543-544)

Viene qui dichiarata la vacuità, l'insensatezza e l'inutilità agli occhi del Divino del sacrificio che gli uomini fanno della propria vita. Convinti di immolarsi per una qualche causa ritenuta santa e di guadagnare così la grazia dell'Eterno, scopriamo che il Dio cui credevamo di donarci, così come i luoghi in cui compievamo questi “sacrifici”, sono tutt'altro che sacri. Man mano che ci si avvicina alla strofa 743, i riferimenti alla guerra aumentano: non solo Gesù si rivolge a Eva utilizzando l'epiteto «mère des soldats» (È, 732) ma, poco dopo, dichiara:

Vous nous voyez debout parmi les nations.

Nous battrons-nous toujours pour la terre charnelle. Ne déposerons-nous sur la table éternelle

Que des cœurs pleins de guerre et de séditions. Vous nous voyez marcher parmi les nations.

Nous battrons-nous toujours pour quatre coins de terre. Ne mettrons-nous jamais sur la table de guerre

Que des cœurs pleins de morgue et de rébellions.

(È, 741-742)

L'immagine della guerra, mai nominata, che emerge da queste due strofe sembra negativa ma, parallelamente, questa sembra essere una condizione da cui l'uomo non può uscire, una costante di tutti i successori della prima donna venuta al mondo: Eva, la prima peccatrice,

82Questo gioco di echi che si instaura tra i due termini è frutto del ritmo binario che caratterizza l’intero poema

(28)

27

ha generato uomini-soldati, quindi peccatori, “condannati” a un futuro di scontri, come sottolinea l'uso del tempo futuro e l'avverbio temporale («Nous battrons-nous toujours»). Ma se non sono affatto cristiane le gesta compiute dagli uomini, la stessa cosa è valida per i loro fini. Infatti, la causa di queste battaglie perenni e incessanti è la terra: è per «la terre

charnelle», per «quatre coins de terre» che Nous, gli essere umani, ci batteremo toujours.

Questi versi non fanno altro dunque che confermare quanto il Figlio di Dio aveva già dichiarato precedentemente: Dio è totalmente escluso da queste battaglie che gli uomini conducono e sempre condurranno. L'estromissione di Dio dalle finalità delle azioni umane, più specificatamente delle lotte, è sottolineata anche da un punto di vista lessicale: terre,

charnelle sono antonimi di cielo e spirituale. Il divino non sembra essere minimamente preso

in considerazione, neanche sul piano lessicale.

In realtà, sebbene dalla punteggiatura non sia segnalato, siamo di fronte a una serie di domande, come si può comprendere dalla struttura sintattica dei versi, che «[le] Fils de l'homme […] a posées au nom de ses frères humains.83». Scrive Barbier a questo proposito:

«Des profondeurs de l’abîme du désespoir, un cri angoissé jaillit soudain. La souffrance de l'homme serait-elle vaine? La fidélité aux amours de la terre ne serait-elle qu'un leurre ou un péché?84».

Da queste domande angosciate e, in generale, da questi passaggi presi in esame emerge una condanna della guerra, e complessivamente della violenza, senza mezzi termini, dai toni duri e decisi, che culmina con queste domande che rispecchiano l'angoscia dell'uomo per la propria sorte.

Quindi, come sottolinea anche Bernard Guyon, da questi versi che non vengono mai né citati né ricordati emerge che per Dio, ma anche per Péguy, «la guerre est un mal, - qu'elle est même le suprême péché puisque total négation de l'Amour85». Ecco la conseguenza, grave,

di estrapolare solo la strofa 743: «On déforme ainsi scandaleusement la pensée du poète d'Ève86». Infatti in questo punto del poema siamo totalmente in linea con il pensiero e la

morale cristiana ma, continuando a leggere, scopriamo che la strofa che segue, ovvero la risposta di Dio alle domande poste da Gesù, altro non è che la tanto dibattuta quartina che, per facilitare il nostro discorso, trascriviamo nuovamente:

83J. Barbier, L' Ève de Charles Péguy, Paris, Éditions de l'école, 1963, p. 108. 84Ibid, p. 107.

85B. Guyon, Péguy, cit., p. 249. 86Ibid.

(29)

28

– Heureux ceux qui sont morts pour la terre charnelle, Mais pourvu que ce fût dans une juste guerre.

Heureux ceux qui sont morts pour quatre coins de terre. Heureux ceux qui sont morts d'une mort solennelle.

(È., 743)

Cerchiamo di analizzare questa strofa alla luce di quanto emerso finora. Notiamo innanzitutto che ritornano qui «la terre charnelle» e i «quatre coins de terre» che avevamo trovato nelle due strofe precedenti: tuttavia ora, gli uomini che si battono «pour la terre charnelle» e «pour quatre coins de terre» e che per essa perdono la vita, come avevamo visto, sono definiti senza remore «heureux» e saranno morti di «une mort solennelle», come quella che spetta ai santi e agli eroi.

Ogni tipo di condanna quindi sparisce per lasciare spazio a quella che sembrerebbe una vera e propria esaltazione della morte au champ d'honneur, in totale contraddizione con quanto era stato affermato finora.

Ma questa quartina, tanto celebre quanto, più o meno volontariamente, mal interpretata, non voleva essere, nelle intenzioni di Péguy, un'aprioristica e fanatica esaltazione della guerra in generale e in quanto tale. Come sottolinea infatti anche Guyon, « cet hymne n'est pas une exaltation de la guerre. […] D'autre part, une condition formelle est inscrite dès le seconde vers: “ mais pourvu que ce fût dans une juste guerre”87». In effetti Péguy, subito dopo aver

celebrato la fortuna dei caduti sul campo di battaglia, pone la congiunzione mais con valore limitativo. Ciò significa che tra tutti gli uomini che sono morti e che continueranno a morire in guerra, così numerosi nella storia dell'umanità, non tutti indiscriminatamente godranno di questo bonheur: solo quelli che hanno perso la vita «dans une juste guerre». È questa la

conditio sine qua non per beneficiare di questa felicità e gloria ad aeternum.

Questa limitazione permette all'autore di non cadere in contraddizione tra quanto sostenuto precedentemente e quanto appena affermato, tra la guerra e la fede cristiana. Alcune considerazioni sono necessarie. In primo luogo, ci soffermiamo sull'aggettivo juste e sul significato che questo può assumere accanto al sostantivo guerre. Tra i suoi sensi troviamo «qui se comporte selon justice88». Ciò significa che alcune guerre possono essere condotte

per un'ideale di giustizia ma anche che, lapalissianamente, se esistono guerre giuste, ne

87B. Guyon, Péguy, cit., p. 250. 88< http://www.cnrtl.fr/ >.

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