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IL CREDITO ALLE PMI NELL'ERA DELLA DIGITAL REVOLUTION

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

“Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari”

Tesi di Laurea

IL CREDITO ALLE PMI NELL’ERA

DELLA DIGITAL REVOLUTION

Candidato

Relatore

Andrea Lamia

Prof.ssa Giovanna Mariani

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3

INDICE

INTRODUZIONE ……… 6

CAPITOLO 1

Le PMI Italiane e le evoluzioni del sistema finanziario

1.1 Premessa ……… 8

1.2 La definizione comunitaria di piccola e media impresa ………… 9

1.3 Il profilo economico-finanziario delle PMI italiane ……….. 11

1.4 Una risposta normativa al credit crunch ……… 17

1.5 Le più recenti misure di accesso al credito …... 19

1.6 La “rivoluzione digitale” del sistema finanziario ... 24

1.7 Il FinTech: profilo definitorio e strutturazione del settore ……… 27

CAPITOLO 2

I mini-bond

Uno strumento di finanziamento alternativo al canale bancario?

2.1 Premessa ……… 32

2.2 I mini-bond ……… 34

2.2.1 Un excursus normativo ……… 35

2.2.2 Strutturazione dell’operazione e attori della filiera …. 43 2.2.3 La quotazione sul mercato Extra-MOT PRO ……….. 55

2.3 Le emissioni fino al 2017: statistiche descrittive ……….. 58

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CAPITOLO 3

Il crowdinvesting

3.1 Premessa ……… 65

3.2 Il crowdfunding ………. 68

3.3 L’equity crowdfunding: analisi degli aspetti normativi e operativi 72 3.3.1 I numeri dell’equity crowdfunding ……….. 82

3.4 Il lending-based crowdfunding: definizione e modelli di business 87 3.4.1 I numeri del fenomeno ed il caso BorsadelCredito.it ... 94

3.5 L’invoice trading: definizione e modelli di business ………. 99

3.5.1 I numeri del fenomeno ed il caso WorkInvoice ……... 100

3.6 Quali prospettive per il crowdinvesting? ………. 104

CAPITOLO 4

Il merito creditizio in Credit Data Research

4.1 Premessa ……… 106

4.2 L’azienda oggi ed il progetto Credit Passport Real Time ………. 108

4.3 Il Credit Passport e l’importanza dello scoring ………. 110

4.3.1 Analisi della componente finanziaria ……….. 112

4.3.2 Analisi della componente behavioural ……….... 116

CONCLUSIONI ……… 119

INDICE DELLE FIGURE ……….. 122

INDICE DELLE TABELLE ………... 124

BIBLIOGRAFIA ……….. 125

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6

INTRODUZIONE

Il tessuto economico italiano si contraddistingue per una elevata presenza di pic-cole e medie imprese, alle quali il gergo normativo ha attribuito l’acronimo di PMI. Dall’ultimo rapporto Cerved, datato novembre 2017, emerge infatti come in Italia siano presenti 140.362 PMI, le quali occupano 3,9 milioni di addetti e producono un giro d’affari di 871 miliardi di euro.

Nell’ultimo decennio le opportunità di accesso al credito da parte di queste realtà economiche hanno vissuto una fase di stallo. Il settore bancario – tradizionale fonte di approvvigionamento finanziario delle PMI – è stato impegnato nell’adempiere ad una serie di misure regolamentari che hanno impattato sulla tradizionale opera-tività e condotto ad una fase di restrizione del credito. Si è assistito ad un reflusso di risorse dal sistema produttivo verso le banche che nel solo periodo 2012-2014 è quantificabile in 153 miliardi di euro.

Nel contesto descritto si è assistito allo sviluppo di canali di finanziamento alter-nativi e complementari a quello bancario, la cui origine è da ricondurre a due fe-nomeni:

 gli interventi legislativi tesi a migliorare le condizioni di accesso al credito delle piccole e medie imprese;

la nascita di nuovi players all’interno dei mercati finanziari (FinTech).

L’obiettivo di questo elaborato è fornire una descrizione del profilo normativo ed operativo degli strumenti di finanziamento che originano dai predetti canali, non-ché individuare il target d’impresa cui gli stessi si rivolgono.

Per questo nel capitolo uno – dopo aver analizzato l’attuale fisionomia delle PMI italiane – verrà effettuato dapprima un focus sulle più recenti misure di accesso al credito adottate dal nostro governo, e poi un’analisi sulla attuale strutturazione del sistema finanziario, frutto della c.d. “rivoluzione digitale”.

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7 Nel capitolo due l’attenzione si sposta verso le emissioni di titoli obbligazionari pensati proprio per le PMI, meglio noti come mini-bond, relativamente ai quali verrà analizzata la cornice regolamentare e le modalità operative che conducono alla strutturazione di un’operazione di questo tipo. Il capitolo si chiude con un’ana-lisi delle statistiche relative alle emissioni sin ora realizzate e delle prospettive fu-ture per lo strumento considerato.

Nel capitolo tre verrà invece esaminato il fenomeno del crowdinvesting, un sot-toinsieme del più ampio fenomeno del crowdfunding che riguarda le nuove oppor-tunità di accesso al credito che il mercato finanziario offre alle PMI. La logica seguita per l’analisi dei relativi strumenti sarà la medesima di quella adottata per il capitolo due: equity crowdfunding, lending crowdfunding ed invoice trading ver-ranno analizzati sotto il profilo normativo ed operativo. All’interno del capitolo verranno inoltre analizzati i casi di due FinTech che offrono questi servizi (Borsa-delCredito.it e WorkInvoice).

Infine nel capitolo quattro, partendo dal presupposto che, molto spesso, le piccole e medie imprese si presentano impreparate al cospetto dei finanziatori, rischiando così di non ricevere riscontro positivo alla richiesta avanzata, oppure scontando una maggiore onerosità o peggiori condizioni contrattuali, ci concentreremo sull’analisi del Credit Passport, uno strumento pensato perché l’impresa assuma un atteggiamento proattivo che la conduca a monitorare costantemente il suo me-rito creditizio e a migliorarlo agendo sui driver dal quale esso dipende.

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CAPITOLO 1

Le PMI Italiane e le evoluzioni del sistema finanziario

SOMMARIO – 1.1 Premessa. – 1.2 La definizione comunitaria di piccola e media impresa. – 1.3 Il profilo economico-finanziario delle PMI italiane. – 1.4 Una ri-sposta normativa al credit crunch. – 1.5 Le più recenti misure di accesso al credito – 1.6 La rivoluzione digitale del sistema finanziario. 1.7 Il FinTech: profilo defi-nitorio e strutturazione del settore.

1.1 Premessa

«L’occupazione, la crescita e gli investimenti in Europa sono subordinati

all’isti-tuzione di un contesto normativo adeguato e alla promozione dell’imprenditoria-lità e della creazione di posti di lavoro. Non possiamo permetterci di soffocare l’innovazione e la competitività con normative troppo prescrittive e troppo detta-gliate, in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese (PMI). Le PMI sono la colonna portante della nostra economia e creano l’85 % dei nuovi posti di lavoro in Europa. Abbiamo il dovere di sgravarle da regolamentazioni onerose»1.

Le parole di Jean-Claude Juncker, Presidente in carica della Commissione Euro-pea, non lasciano spazio ad interpretazione ambigue: le micro, le piccole e le medie imprese sono il motore dell’economia europea. Sono essenziali per la creazione di occupazione e assicurano la stabilità sociale.

Nella parte iniziale di questo elaborato – che si pone come obiettivo quello di in-dividuare strumenti di finanziamento alternativi e/o innovativi rispetto al canale bancario – si è ritenuto essenziale effettuare una prima disamina del destinatario della regolamentazione in oggetto, vale a dire le PMI. Una volta analizzato il de-stinatario sotto il profilo giuridico e fisiologico, l’attenzione si sposterà sull’og-getto dell’indagine.

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9 Più dettagliatamente, l’analisi degli strumenti di finanziamento di cui oggi possono avvalersi le piccole e medie imprese sarà effettuata tenendo conto dei due canali dai quali originano. Verrà quindi effettuato un primo focus sugli interventi legisla-tivi che, negli anni del credit crunch, hanno favorito l’accesso al credito alle PMI2. Successivamente saranno invece analizzati i c.d. strumenti innovativi di finanzia-mento, resi disponibili dall’avanzamento della rivoluzione digitale e offerti da ope-ratori extra-bancari3.

1.2 La definizione comunitaria di piccola e media impresa

La prima definizione di PMI a livello di UE è stata introdotta il 3 aprile 1996, con la raccomandazione della Commissione 96/280/CE.

Quest’ultima non registrò il consenso di tutto il panorama politico ed economico europeo. Per questa ragione, la Commissione Europea si è attivata per fornire una definizione uniforme di PMI per evitare fonti di incoerenze causate dalla presenza di definizioni differenti a livello comunitario e nazionale. Dopo due consultazioni aperte ed un ampio dibattito tra la Commissione, gli Stati membri e le organizza-zioni di imprese, si è giunti alla definizione della raccomandazione 2003/361/CE, che ad oggi costituisce l’unico riferimento autentico per determinare le condizioni relative alla qualifica di PMI.

La più recente definizione di PMI ha contribuito a definire ed applicare misure dirette a sostenere la crescita, agevolare l’accesso al credito e promuovere l’inno-vazione. Inoltre, la definizione del 2003 è più adeguata alle varie categorie di PMI e tiene meglio conto dei vari tipi di rapporti tra le imprese. È possibile distinguere le piccole e medie imprese in 3 categorie4: autonome, associate e collegate.

2 Confronta paragrafi 1.4 e 1.5. 3 Confronta paragrafi 1.6 e 1.7. 4 L’impresa è autonoma quando:

 è totalmente indipendente, oppure;

 detiene una quota di partecipazione inferiore al 25 % del capitale o dei diritti di voto in una o più altre imprese, oppure;

 è detenuta da altre imprese nel limite del 25 %, oppure;

 è detenuta, nel limite del 50 %, da una società di capitali di rischio, un’università, un investitore internazionale oppure una piccola autorità locale.

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10 Figura 1. Le categorie di PMI

Fonte: Guida dell'utente alla definizione di PMI, Unione Europea, 2015

Dalla figura 1 emerge chiaramente come i criteri impiegati nella definizione di piccola e media impresa siano tre: il numero di dipendenti (ULA), il fatturato ed il capitale investito. Mentre il rispetto del primo criterio è indispensabile, gli altri due non vanno necessariamente rispettati in contemporanea: è sufficiente che l’impresa né soddisfi anche soltanto uno affinché essa venga qualificata come PMI.

È bene comunque tener ben presente che la “dimensione aziendale” non è l’unico parametro da tenere in considerazione quando si valuta se un’impresa è ammissi-bile alla qualifica di PMI. Si pensi al caso di una startup sorta dalla scissione di un ramo d’azienda: ancorché essa rappresenti una entità giuridica autonoma, è chiaro come il collegamento con l’impresa madre le metta a disposizione una serie di risorse che rendono più semplice il suo operare. Di conseguenza, per le entità che presentano una struttura più complessa, è necessario effettuare una valutazione ad

hoc che garantisca che solo le imprese che rientrano nello «spirito» della

racco-mandazione sulle PMI siano considerate piccole e medie imprese.

L’impresa è associata quando:

 detiene una quota compresa fra il 25 % ed il 50 % del capitale o dei diritti di voti di una o più altre imprese, oppure;

 è detenuta da altre imprese in una quota compresa fra il 25 % ed il 50 %.

L’impresa è collegata quando, in virtù di un contratto o accordo di diversa natura, costituisce un gruppo mediante il controllo diretto o indiretto della maggioranza dei diritti di voto di un’impresa.

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11 Dall’ultimo rapporto Cerved, datato novembre 2017, emerge come in Italia siano presenti 140.362 PMI, di cui 115.773 sono piccole imprese e 24.859 sono medie aziende. Le PMI occupano 3,9 milioni di addetti e producono un giro d’affari di 871 miliardi di euro. Le statistiche confermano che, nel nostro Paese così come nel resto dell’Europa, le piccole e medie imprese ricoprono un ruolo di fondamentale importanza per il tessuto socio-economico: questo spiega il perché dei numerosi interventi legislativi tesi a migliorare le condizioni di accesso al credito.

1.3 Il profilo economico-finanziario delle PMI italiane

Lo stato di salute delle piccole e medie imprese è in significativo miglioramento. Molteplici sono le performance economico-finanziarie in grado di dimostrarlo. Dal già richiamato rapporto Cerved emerge che, nel 2016, i ricavi sono aumentati del 2,3 %, il valore aggiunto è cresciuto del 4,1 %, il ROE è tornato a doppia cifra (+ 10,2 %), sono state costituite 5 mila nuove imprese, si è ridotto il numero di chiu-sure (- 7,6 %), è aumentata la tempestività nel pagamento dei fornitori.

Un dato parecchio significativo riguarda gli investimenti in beni materiali, che ten-dono a raggiungere i livelli pre-crisi, a conferma del fatto che il clima più favore-vole spinge le imprese ad implementare nuovi progetti.

Figura 2. La dinamica degli investimenti nelle PMI

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12 La figura 2 mostra che il trend positivo avviatosi a metà del 2013 risulta confer-mato anche nel 2016, che si chiude nel segno del più 7,8 %.

Anche sul fronte della struttura finanziaria si registrano notevoli miglioramenti.

Figura 3. Andamento debiti finanziari, capitale netto e leva finanziaria

Fonte: Rapporto Cerved PMI 2017

La struttura finanziaria rappresenta l’insieme delle fonti di finanziamento che per-mettono si soddisfare il fabbisogno finanziario, ossia l’ammontare di risorse di cui l’impresa necessità per svolgere regolarmente la sua attività. Le fonti di finanzia-mento sono di molteplice natura e sono sintetizzabili in:

 capitale apportato dai soci;

 autofinanziamento;

dismissione di asset non strategici;

 finanziamenti di matrice bancaria;

 strumenti del mercato dei capitali di rischio e/o di debito;

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13 Gli apporti da parte dei soci e l’autofinanziamento rappresentano le fonti di finan-ziamento maggiormente gradite dal management: nonostante risultino più onerose, esse permettono di sopperire al problema dell’asimmetria informativa5, tipico del

mercato creditizio, dotando l’impresa di risorse prontamente utilizzabili. Non è un caso che da un’indagine effettuata dal Mise6 emerge come, nel 65 % dei casi, le

PMI si sono finanziate mediante il reinvestimento in azienda degli utili realizzati nel corso della gestione. L’effetto di queste politiche si traduce, nella figura 3, in un radicale cambiamento della fisionomia finanziaria delle PMI: fra il 2007 ed il 2016 il capitale netto è cresciuto del 43,4 %, il rapporto tra debiti finanziari e ca-pitale netto si è ridotto di quasi 40 punti, passando dal 115 al 76 %.

Al fine di realizzare gli obiettivi definiti nel piano strategico, raggiungere elevati livelli di efficienza operativa e intraprendere virtuosi sentieri di crescita, l’impresa potrebbe optare per la dismissione degli asset non strategici. Si tratta di attività che non stanno producendo dei cash flow positivi o che, più semplicemente, non rien-trano più nel business core dell’azienda e che pertanto possono essere ceduti, con il fine di ottenere risorse liquide da impiegare nei progetti ritenuti meritevoli. Nel ricorrere a fonti di finanziamento esterne, il canale preferito dalle aziende ita-liane è di certo quello bancario. Vi sono una molteplicità di ragioni che possono spiegare il perché di tale fenomeno. Il credito bancario è accessibile a tutte le tipo-logie di imprese, in quanto ha costi fissi molto bassi e non richiede particolari co-noscenze e competenze finanziarie. È flessibile in termini di strumenti, scadenze, importi, condizioni e margini di rinegoziazione. Non altera gli assetti di controllo e limita la diffusione delle informazioni sulle strategie dell’azienda.

A far da contrappeso ai benefici richiamati vi sono anche una serie di aspetti ne-gativi. È risaputo infatti che il credito bancario accresce la vulnerabilità delle im-prese, che aumenta con il grado di indebitamento, specie nel caso in cui il finan-ziamento bancario costituisce l’esclusiva fonte di finanfinan-ziamento dell’impresa.

5L'asimmetria informativa è una condizione in cui un'informazione non è condivisa integralmente fra gli

individui facenti parte del processo economico: una parte degli agenti interessati, dunque, ha maggiori in-formazioni rispetto al resto dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa configurazione.

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14 L’eccessiva dipendenza dal canale bancario ha dispiegato i suoi effetti negativi negli anni della crisi finanziaria, anni in cui il razionamento del credito imposto da nuove e più stringenti regole di quantificazione dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito ha indotto le banche ad implementare una stretta creditizia senza precedenti, a danno dell’economia reale.

Figura 4. L’andamento del credito alle imprese negli anni della crisi

Fonte: elaborazioni Centro Europa Ricerche (CER) su dati BCE

La figura 4 sintetizza bene, in un confronto su scale europea che prende in consi-derazione Germania, Francia, Italia, Austria, Belgio e Olanda, gli effetti della fase di credit crunch. Si stima che tra il gennaio del 2011 ed il novembre del 2014, i flussi netti di credito affluiti alle imprese italiane sono diminuiti, complessiva-mente, dell’8,7 %. Dal gennaio 2012, il valore dei flussi netti è inoltre negativo. Ciò significa che da quella data l’ammontare dei prestiti rimborsati dalle aziende italiane alle banche ha superato i flussi di nuovi finanziamenti ricevuti. Vi è stato, in altre parole, un reflusso di risorse dal sistema produttivo alle banche. In valori assoluti, le risorse retrocesse dalle imprese al sistema bancario dall’inizio del 2012 al novembre del 2014 ammontano a 153 miliardi di euro.

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15 Va sottolineato però che nello stesso periodo il costo del credito nei confronti delle PMI si è ridotto. Tuttavia, come è possibile desumere dalla figura 5, le imprese italiane hanno beneficiato meno di tale riduzione rispetto alle imprese degli altri stati europei.

Figura 5. Il costo del credito alle PMI

Fonte: elaborazioni Centro Europa Ricerche (CER) su dati BCE

Il flusso di credito alle imprese è tornato a crescere a partire dal 2015. La capacità di accedere a nuovi finanziamenti, l’entità dei prestiti concessi e le condizioni ap-plicate dagli intermediari sono risultate, tuttavia, molto differenziate in ragione delle caratteristiche delle aziende beneficiarie. Il credito, in particolare, è cresciuto per le imprese di maggiore dimensione mentre ha proseguito a ridursi per le aziende più piccole; questo divario tra classi dimensionali si osserva anche per le imprese appartenenti allo stesso settore di attività economica o per quelle che pre-sentano condizioni di bilancio simili. Stime econometriche confermano che, a pa-rità di numerose caratteristiche di impresa (redditività, liquidità, dinamica del fat-turato, spesa per investimenti, settore di attività economica e area geografica), il credito si è ridotto soprattutto per le microimprese e per le aziende più rischiose7.

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16 La maggior fragilità finanziaria delle microimprese, dovuta in particolare al più elevato tasso di indebitamento, spiega oltre il 70% della differenza nel tasso di variazione dei prestiti con le grandi aziende e circa il 40% di quello con le imprese di piccola e media dimensione. Una parte non trascurabile di tali divari però non è spiegata dalle caratteristiche aziendali considerate nell’analisi, ciò potrebbe riflet-tere fattori di offerta connessi con una minore propensione di alcune banche a fi-nanziare imprese di piccola dimensione.

Per contrastare il predominio del finanziamento di matrice bancaria, il mercato dei servizi finanziari, da un lato, ed il governo, dall’altro, offrono alle piccole e medie imprese canali di finanziamento alternativi.

Dall’analisi del “Rapporto sulla stabilità finanziaria” compiuto da Banca d’Italia nel novembre 2017 è possibile desumere che tali canali alternativi di finanzia-mento stanno pian piano entrando nelle funzioni di scelta delle imprese.

Figura 6. Le fonti di finanziamento delle società non finanziarie

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17 Dalla figura 6 emerge, infatti, che i finanziamenti bancari stanno attraversando una fase di contrazione, mentre cresce il ricorso alle quotazioni sul mercato borsistico. Da un’analisi effettuata Confesercenti a partire da dati ufficiali Banca d’Italia emerge che a partire dal 2010 le banche hanno attuato una politica di gestione del credito che ha privilegiato le imprese di media e grande dimensione, tagliando l’erogazione alle piccole, che hanno visto svanire 31 miliardi di finanziamenti. Per le realtà in parola diviene pertanto sempre più importante pensare a misure di fi-nanziamento alternative che siano in grado di sostenere tanto le fasi iniziali dell’at-tività d’impresa quanto i percorsi di crescita di più lungo periodo.

1.4 Una risposta normativa al credit crunch

La crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti d’America fra il 2007 ed il 2008 con il fallimento della Lehman Brothers e successivamente propagatasi nel continente europeo per effetto delle interazioni sistemiche esistenti fra i circuiti finanziari ha prodotto delle conseguenze non indifferenti in termini di riduzione della capacità produttiva, incremento del numero di default societari e del livello di disoccupa-zione. Gli istituti finanziari – stretti in una morsa fra gli adempimenti regolamen-tari imposti dagli accordi di Basilea e gli alti tassi di non performing loans – hanno adoperato significative politiche di razionamento del credito, che si sono tradotte in una riduzione dell’ammontare delle linee di credito già concesse e delle nuove concessioni. Nonostante siano trascorsi più di dieci anni dallo scoppio della crisi, il sistema bancario continua a mostrarsi poco disposto a supportare in modo stabile e duraturo le piccole e medie imprese, lo sforzo del rafforzamento patrimoniale riduce la capacità di assistere finanziariamente il comparto produttivo.

Queste affermazioni trovano riscontri empirici di significativa importanza nella relazione annuale della Banca d’Italia riferita all’anno 2016, dalla quale è possibile constatare che i prestiti bancari alle imprese di minore dimensione continuano a ridursi a ritmi sostenuti (tabella 1).

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18 Tabella 1: Il credito alle imprese nel triennio 2014-2016

Fonte: Banca d’Italia, Relazione annuale, Roma, 31 maggio 2017

Per contrastare queste problematiche, già nel dicembre del 2008, il Consiglio eu-ropeo ha approvato lo Small Business Act (SBA), un atto legislativo non vincolante che contiene un insieme di linee guida per la promozione della competitività delle PMI europee ed analizza la strada da percorrere per la creazione di una nuova pro-spettiva di politiche improntate al principio del “think small first”, ovvero “pensare anzitutto in piccolo”. Per favorire le piccole e medie imprese sono stati individuati dieci principi cui l’azione politica-legislativa dell’Unione Europea deve ispirarsi al fine di favorire il loro operato:

 dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano pro-sperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale;

 far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l’insolvenza, otten-gano rapidamente una seconda possibilità;

 formulare regole conformi al principio “Pensare anzitutto in piccolo”;

 rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle PMI;

 adeguare l’intervento politico pubblico alle esigenze delle PMI: facilitare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le PMI;

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19

 agevolare l’accesso delle PMI al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali;

 aiutare le PMI a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico;

 promuovere l’aggiornamento delle competenze nelle PMI e ogni forma di

innovazione;

 permettere alle PMI di trasformare le sfide ambientali in opportunità;

 incoraggiare e sostenere le PMI perché beneficino della crescita dei mercati.

Dal canto suo, l’esecutivo italiano è intervenuto nel corso degli ultimi anni intro-ducendo con una serie di provvedimenti che, da molteplici angolazioni, hanno pro-vato a spianare la strada dell’accesso al credito alle piccole e medie imprese. Nel successivo paragrafo verranno descritte tre delle misure più significative, vale a dire la misura “beni strumentali”, i piani individuali di risparmio e il credito d’imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Il capitolo due, invece, si fo-calizza sui mini-bond, vale a dire le obbligazioni agevolate che permettono alle società non quotate di aprirsi al mercato dei capitali, riducendo la dipendenza dal credito bancario.

1.5 Le più recenti misure di accesso al credito

La Nuova Sabatini

Istituita con il Decreto del Fare8 ed attivata a partire dall’aprile del 2014, la misura

“beni strumentali” permette alle piccole e medie imprese di sostenere investimenti finalizzati all’acquisto oppure all’acquisizione in leasing di macchinari, attrezzat-ture, impianti, beni strumentali ad uso produttivo, componenti hardware, software e tecnologie digitali. I beni oggetto dell’investimento devono godere di autonomia funzionale e devono essere correlati con l’attività produttiva svolta dall’impresa.

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20 La Sabatini ha registrato un notevole successo, tant’è che la naturale scadenza pre-vista per il 31 dicembre 2016 è stata prorogata di ben due anni, ed il plafond ini-zialmente stanziato presso la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) è stato raddoppiato, passando da 2,5 a 5 miliardi di euro9. Con la pubblicazione del Decreto Intermini-steriale del 25 gennaio 2016 si è conferita inoltre la possibilità agli intermediari finanziari di concedere finanziamenti utilizzando la propria provvista, anziché quella di CDP.

Gli istituti di credito che aderiscono alle Convenzioni MISE-ABI-CDP o le società di leasing che sono in possesso della garanzia rilasciata da una banca aderente alle convenzioni, possono utilizzare il plafond per concedere finanziamenti di importo compreso fra 20.000 e 2 milioni di euro. Il finanziamento, che può essere assistito fino all’80 % dal “Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese”, deve essere di durata non superiore a 5 anni ed interamente utilizzato per coprire gli investi-menti ammissibili.

Per accedere alle agevolazione l’impresa deve risultare, alla data di presentazione della domanda, regolarmente iscritta presso il Registro delle imprese e non sotto-posta in liquidazione volontaria o procedura concorsuale.

Il contributo riconosciuto dal Ministero dello sviluppo economico è determinato in misura pari al valore degli interessi calcolati, in via convenzionale, su un finan-ziamento della durata di cinque anni e di importo uguale all’investimento, ad un tasso d’interesse annuo pari al 2,75% per gli investimenti ordinari e al 3,575% per gli investimenti rientranti nel pacchetto “Industria 4.0”10.

Per tale contributo sono stati stanziati 385,8 milioni di euro per gli anni 2014-2021.

Tabella 2. Finanziamenti e contributi per dimensione d’impresa

Fonte: Report “Beni Strumentali, Nuova Sabatini”, MISE, Marzo 2018

9 L. 23 dicembre 2014, n. 190.

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21 Le PMI hanno sfruttato bene l’opportunità messa a disposizione dal Ministero dello Sviluppo Economico: nel periodo aprile 2014 – marzo 2018, ben 46.381 aziende hanno proposto investimenti per un controvalore di 11 miliardi di euro, con un investimento medio che si aggira sui € 240.000. Il 75 % delle domande proviene dal Nord, il 14% dal Centro e il 10% dal Sud. La regione più attiva è la Lombardia seguita da Veneto, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana.

Le fasi che permettono di ottenere il finanziamento possono essere così scandite:

 L’azienda presenta presso l’intermediario la documentazione;

 L’intermediario, verificata la regolarità formale e la completezza della do-cumentazione ricevuta dalla PMI, trasmette al Ministero richiesta di preno-tazione delle risorse relative al contributo;

 Ottenuta la conferma da parte del Ministero, l’intermediario ha facoltà di concedere il finanziamento mediante l’utilizzo della provvista costituita presso Cassa depositi e prestiti S.p.A. oppure mediante diversa provvista;

 Una volta ottenuto il finanziamento l’impresa, tramite una apposita piatta-forma, richiede al MISE l’erogazione del contributo.

I PIR

I piani individuali di risparmio (PIR), introdotti con la legge di Bilancio del 201711, rappresentano una forma di investimento a medio termine capace di veicolare i risparmi delle persone fisiche verso le imprese italiane, ed in particolare verso le PMI. Con questo intervento normativo il governo ha messo in atto una consistente agevolazione fiscale del risparmio a lungo termine che punta a:

 offrire maggiori opportunità di rendimento alle famiglie;

 favorire lo sviluppo dei mercati finanziari nazionali;

 aumentare le opportunità delle imprese di ottenere risorse finanziarie per investimenti di lungo termine.

11 L. 11 dicembre 2016, n. 232.

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22 L’obiettivo è quello di indirizzare il risparmio delle famiglie, spesso non investito, verso investimenti di natura produttiva, e di farlo in modo stabile e duraturo, faci-litando lo sviluppo del sistema economico nazionale. Per conciliare tale obiettivo di politica economica con la necessità di tutelare il profilo rischio-rendimento della clientela retail si è dato spazio alla creazione di un “contenitore fiscale” capace di accogliere la totalità degli strumenti finanziari esistenti sul mercato. Condizione necessaria perché ciò avvenga è che l’insieme degli strumenti venga mantenuto per un certo arco temporale e assemblato seguendo dei vincoli predeterminati. L’introduzione dei PIR è figlia della consapevolezza da parte del nostro esecutivo in ordine al fatto che il sistema imprenditoriale italiano ha capacità di innovare, penetrare nuovi e mercati senonché esportare.

Parallelamente, però, le piccole e medie imprese italiane si scontrano, special-mente negli ultimi anni, con il problema della liquidità, risorsa ormai rara.

Secondo la stima di Intermonte SIM, l’industria dei PIR ha un bacino di potenziali risorse di 60 miliardi entro il 2021, di cui almeno 11,5 potrebbero confluire sulle

mid-small cap quotate. Le previsioni governative stimano inoltre un incremento

del PIL compreso fra lo 0,1 e lo 0,2 % annuo. Numeri così positivi sono in parte spiegati dallo speciale trattamento fiscale riconosciuto a questo strumento di inve-stimento. Infatti, i redditi generati dagli investimenti eseguiti mediante i PIR sono esenti da tassazione e non soggetti da imposta di successione, a condizione che12:

 l’investimento rispetti i vincoli di composizione del portafoglio;

 il periodo di detenzione dell’investimento non sia inferiore a cinque anni;

 venga rispettato il limite dell’investimento annuale di 30.000 euro e com-plessivo di 150.000 euro;

 l’investitore sia una persona fisica fiscalmente residente in Italia13.

12 Cfr. Art. 1, c. 100, L. 11 dicembre 2016, n. 232. 13 Cfr. Art. 1, c. 112, L. 11 dicembre 2016, n. 232.

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23 I PIR possono essere costituiti mediante un rapporto di custodia o amministra-zione, un contratto di gestione di portafogli oppure un contratto di assicurazione sulla vita. Relativamente al vincolo di composizione del portafoglio, è necessario che almeno il 70 % delle somme investite nei piani individuali di risparmio abbiano ad oggetto strumenti finanziari di tipo equity o debt di imprese italiane oppure estere ma con stabile organizzazione in Italia. Il rimanente 30 % può essere inve-stito in qualunque strumento finanziario, compresi depositi e conto correnti14. Per evitare che le risorse finanziarie confluiscano su canali diversi, viene richiesto che almeno il 21 % venga investito in imprese non presenti nell’indice borsistico FTSE Mib Italia15. L’obiettivo, chiaramente, è quello di intermediare la maggior parte delle risorse possibili verso le piccole e medie imprese.

Dalla mappa trimestrale realizzata da Assogestioni16 è emerso che i PIR hanno chiuso il 2017 a doppia cifra, con una raccolta di 10,9 miliardi (ovvero l’11% della raccolta netta del settore nel corso dei dodici mesi): la figura 7 ripartisce la raccolta complessiva fra i vari fondi attivi sul mercato italiano.

Figura 7. Mappa trimestrale del risparmio gestito

Fonte: Assogestioni (dati in milioni di euro)

14 Cfr. Art. 1, c. 112, L. 11 dicembre 2016, n. 232.

15 Il FTSE MIB è il più significativo indice azionario di Borsa italiana. È il paniere che racchiude, di norma,

le azioni delle 40 società italiane quotate sull'MTA con maggiore capitalizzazione, flottante e liquidità.

16Assogestioni è l'associazione italiana dei gestori del risparmio e rappresenta la maggior parte delle società

di gestione del risparmio italiane e straniere operanti nel nostro Paese, oltre a banche e imprese di assicu-razione attive nella gestione individuale e collettiva del risparmio.

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24 È chiaro che, perché i fondi vengano di fatto intermediati verso le PMI è necessario che quest’ultime assumano un atteggiamento proattivo, che le conduca ad inter-facciarsi con i mercati finanziari. All’analisi della strutturazione dell’operazione e del meccanismo di quotazione su tali mercati è dedicato il capitolo due, che in particolar modo si focalizza sui mini-bond.

1.6 La “rivoluzione digitale” del sistema finanziario

Parallelamente alle opportunità offerte dai mercati finanziari, le piccole e medie imprese che manifestano esigenze di finanziamento possono guardare positiva-mente alle opportunità offerte dal FinTech, una branca dell’economia in forte espansione che sta producendo enormi cambiamenti nell’offerta di credito intro-ducendo soluzioni alternative a quelle tradizionali che tendono a modificare il modo in cui le istituzioni e gli agenti economici intermediano il denaro.

La “rivoluzione digitale” ha di fatto modificato il modo in cui le persone interagi-scono, producendo impatti significativi in tutti i settori produttivi, ivi incluso quello finanziario. Da quando gli utenti hanno acquisito maggiore dimestichezza, confidenza e sicurezza nell’uso quotidiano dei supporti digitali, grazie ai servizi offerti dalle GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon), hanno anche iniziato ad attendersi una migliore customer experience nella relazione con le istituzioni fi-nanziarie, avanzando pretese in grado di abbattere distanze fisiche e burocratiche17.

All’evoluzione delle abitudini del cliente si aggiunge quella del contesto di mer-cato: nel corso degli ultimi due decenni i sistemi bancari delle economie sviluppate hanno registrato profondi cambiamenti indotti, tra i vari fattori, dall’aumento della concorrenza e dal processo di innovazione tecnologica e finanziaria. Questi muta-menti hanno interessato innanzitutto gli intermediari di maggiore dimensione, at-tivi sui mercati internazionali, ma hanno coinvolto anche banche di media e piccola dimensione, caratterizzate da un ambito operativo geograficamente limitato.

17 The Fintech Revolution, a Wave of Startups is changing finance – for the Better, The Economist, maggio

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25 Se fino a qualche anno fa numerosi vincoli normativi combinati ad onerose infra-strutture fisiche complicavano la possibilità che nuovi players entrassero in gioco all’interno del mondo finanziario, oggi l’introduzione di interventi normativi quali la Mifid II, l’IDD, la GDPR e la PSD2 e lo sviluppo di potenti infrastrutture digi-tali, hanno fatto sì che nuovi attori economici (le FinTech) entrassero in gioco nel mondo dei servizi finanziari. Le implicazioni per il settore sono numerose, e sono confermate dai numeri che seguono18:

 l’88 % delle imprese dell’industria finanziaria dei servizi finanziari tradi-zionali teme che parte del business possa finire in mano alle nuove imprese tecnologiche;

 l’82 % delle istituzioni finanziarie tradizionali si attende di incrementare le partnership con le FinTech.

Il FinTech Adoption Index 2017 di Ernest & Young conferma che i servizi FinTech hanno raggiunto un tasso di adozione medio tra la popolazione digitalmente attiva pari al 33 %19. Il risultato dell’indagine è compatibile con le previsioni della curva

di Roger20, secondo la quale le innovazioni finanziarie hanno raggiunto lo stato di “early majority”, che ufficializza l’inizio della fase di consolidamento e adozione

mainstream. Il sistema finanziario sarò pertanto destinatario di significative

tra-sformazioni, che impatteranno in modo più o meno intenso su tutti i settori. Il pro-cesso ha già iniziato ad incidere, peraltro in misura profonda, in settori quali quello dei prestiti al consumo e quello dei mutui, che sono ormai invasi dall’emergere di piattaforme digitali che permettono agli individui di prestare e ricevere denaro, disintermediando di fatto gli istituti di credito. Tali piattaforme rappresentano dei canali di finanziamento alternativi alle tradizionali linee bancarie; sfruttano cono-scenze e analisi quantitative di una vasta mole di dati che consentono – oltre ad una più affidabile analisi del rischio – una forte riduzione dei costi operativi.

18 Global FinTech Report, Pwc, 2017.

19 The rapid emergence of FinTech, Ernest & Young, 2017.

20 La curva di adozione dell'innovazione di Roger è un modello che classifica coloro che adottano le

inno-vazioni in varie categorie in base all'idea che alcuni individui siano inevitabilmente più aperti all'innova-zione di altri.

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26 Ponendoci dal punto di vista degli intermediari bancari, è chiaro che tutto ciò si tradurrà in una riduzione dei ricavi, che confluiranno invece verso l’emisfero dei nuovi players: la figura 8 fornisce una stima delle perdite attese in Europa, UK, USA e Cina, nei vari segmenti in cui la rivoluzione digitale ha iniziato a produrre i suoi effetti.

Figura 8. “Revenues at risk” a causa della Digital Revolution

Fonte: Global Banking Review, McKinsey 2017

Le perdite attese sono ancor più significative se ci focalizziamo sulle c.d. economie emergenti, vale a dire Cina, Brasile, India, Messico, Nigeria, Pakistan ed Etiopia. Da un report elaborato dal McKinsey Global Insitute21 emerge come la diffusione dell’offerta di prodotti e servizi finanziari in formato digitale potrebbe portare, en-tro il 2025, ad un aumento del PIL per questi paesi del 6 %, per un conen-trovalore di 3,7 miliardi di dollari. Il potenziale di crescita, ovviamente, è correlato alla situa-zione iniziale del Paese considerato: per le economie a più basso reddito si prevede un potenziale di crescita nell’ordine del 10-12 % del PIL, mentre per quelle più sviluppate come Cina e Brasile si stimano tassi di crescita nell’ordine del 4-5 %.

21 Digital finance for all: powering inclusive growth in emerging economies, McKinsey Global Insitute,

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27 Secondo lo stesso report, l’ascesa dei servizi FinTech nei paesi emergenti potrebbe giocare un ruolo particolarmente importante soprattutto in termini di accesso al credito tanto per gli individui che per le imprese. Per quanto riguarda quest’ultime, attualmente nei paesi emergenti sarebbero almeno 200 milioni le micro, piccole e medie imprese senza accesso al credito o in condizioni di accesso insufficiente per poter crescere economicamente. Non solo, anche nel caso in cui questo fosse pos-sibile, le garanzie richieste ed i costi legati con i canali tradizionali sono partico-larmente elevati a fronte di un portafoglio limitato di prodotti a disposizione. È stato inoltre stimato che un accesso più agevole ai servizi finanziari permetterà di aprire un conto corrente a 1,6 miliardi di persone, per più della metà (880 mi-lioni) donne e la gran parte appartenenti alla classe media, fornendo un’importante opportunità all’imprenditorialità oggi inespressa. L’innovazione potrebbe infatti sbloccare 2100 miliardi di dollari di nuovi crediti a individui e piccole imprese, con un evidente funzione di volano per l’intera economia.

1.7 Il FinTech: profilo definitorio e strutturazione del settore

È difficile fornire una data precisa dell’inizio della rivoluzione digitale, così come è difficile fornire una precisa definizione del termine FinTech. Dal punto di vista temporale, un punto fermo è rappresentato dalla nascita della prima community

Fintech dedicata allo sviluppo tecnologico nel settore finanziario: nasce a Londra,

nel 2009, la Swift Innotribe. Non casualmente, il momento coincide con la crisi del settore bancario tradizionale, iniziata negli Stati Uniti nel 2008 e ben presto este-sasi in Europa. Da quel momento le banche sono state interessate ad intervenire su una molteplicità di fronti:

 risolvere il problema di una consistente mole di crediti in sofferenza e di investimenti rivelatisi poco redditivi;

 affrontare significativi processi di concentrazione;

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28 Partendo da questo contesto, l’industria del FinTech si è sviluppata sfruttando spazi di mercato lasciati scoperti tanto dall’industria finanziaria tradizionale – im-pegnata nei fronti sopraelencati – quanto dalla normativa in vigore, che anzi ha favorito la nascita di nuovi attori economici. Relativamente all’aspetto definitorio, non essendo ancora presente una definizione univoca, il modo migliore per defi-nire le realtà che apportano innovazioni nel settore finanziario è quello di guardare alla vision degli stessi operatori del settore22.

Secondo Pietro Sella, amministratore delegato di Banca Sella, “La tecnologia

Fin-Tech consente, potenzialmente, l’allocazione più efficace delle risorse, costi più bassi, tempi rapidi, servizi nuovi e migliori, l’aumento dell’inclusione finanziaria, nuove fonti di finanziamento e di investimento e alla fine, supporto allo sviluppo economico del Paese. L’assunto è che il FinTech va favorito in quanto porta a dei miglioramenti ma senza dimenticare le minacce. Anche se vedo più rischio nel non procedere che nel procedere facendo dei piccoli errori controllati”.

Secondo Mattia Ciprian, presidente di ModeFinance23, “Il mondo FinTech si

col-loca in parallelo al mondo bancario ed è necessario dotarlo di tutti gli strumenti che il mondo bancario possiede per evitare che muoia alla nascita e crei effi-cienza”.

Secondo Paolo Galvani, presidente di MoneyFarm24: “Per dare una breve

descri-zione del FinTech il modo migliore è quello di inseguire i soldi. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’enorme massa di investimenti in nuove iniziative, soprat-tutto in quelle che ripensano il settore finanziario. Per questo possiamo dire che sul FinTech non esiste una definizione precisa ma più che altro semplificazioni. Perché di fatto, quello che sta avvenendo, è un cambiamento di modelli nel rap-porto tra domanda e offerta di servizi finanziari. Da un lato ci sono persone che

22 Gli interventi sono tratti dal “Libro Bianco su Fintech e pagamenti digitali”, StartMagazine, febbraio

2018.

23Modefinance è una agenzia di rating fintech, dal luglio 2015 registrata ed autorizzata ad operare come

Agenzia di Rating dall’ESMA, l’Autorità Europea degli Strumenti Finanziari e dei Mercati.

24 Moneyfarm è una società di consulenza finanziaria indipendente nata nel marzo del 2011. Oggi

rappre-senta una delle più grandi società europee online per la gestione patrimoniale, autorizzata e regolata dalla Financial Conduct Authority e vigilata in Italia da Consob.

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cercano soluzioni dirette, semplici e a basso costo, accessibili in ogni momento. Dall’altro, c’è la tecnologia che ha permesso a un gran numero di persone di por-tare nuove iniziative in un settore chiuso che aveva bisogno di economie di scala. Si sono affacciati in sostanza un grosso numero di attori in un settore chiuso. E questo è stato un elemento fondamentale con una domanda che cercava accesso diretto, veloce, immediato e trasparente e un’offerta che in questo modo si è am-pliata tantissimo”.

Seguendo l’impostazione di CeTIF25, è possibile inquadrare la maggior parte dei

modelli di business ad oggi individuabili sul mercato FinTech nelle seguenti ma-cro-categorie26:

Payments & Blockchain

Il settore fa riferimento a tutti i servizi relativi all’innovazione nei paga-menti, fra imprese o privati, per renderli più efficienti, più veloci, più sicuri e meno costosi. Rientrano in questa categoria tutti i servizi di mobile

pay-ment, virtual POS, carte di credito. Fra i nomi di players più conosciuti a

livello internazionale troviamo Alipay e Paypal. All’interno dello stesso segmento rientrano le FinTech attive nell’ambito del marketplace.

Il modello di business dell’online marketplace prevede che la piattaforma gestisca le transazioni ed eventualmente altri servizi accessori (come la con-segna), mentre i prodotti e servizi fondamentali vengono forniti da terze parti. Normalmente, questo consente di proporre ai clienti una selezione di prodotti più vasta ad un costo più contenuto rispetto agli store online dedi-cati a fasce di prodotti specifici. I marketplace godono ormai di una fama globale, con Amazon ed eBay che insieme hanno gestito complessivamente circa 200 miliardi di dollari di beni scambiati e il gigante cinese Alibaba che da solo ne ha gestiti quasi 500 miliardi.

25 Il Centro di Ricerca in Tecnologie, Innovazione e Servizi Finanziari (CeTIF) dal 1990 realizza studi e

promuove ricerche sulle dinamiche di cambiamento strategico e organizzativo nei settori finanziario, ban-cario e assicurativo.

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Iot & Connected Device

L’Internet of Things è in una fase di fortissima espansione, tanto che alcuni parlano di una vera e propria “terza rivoluzione industriale”. Questa paven-tata rivoluzione solitamente viene associata a scenari di grandi sconvolgi-menti per le industrie della vendita al dettaglio, della produzione, del tra-sporto e dell’energia, mentre i servizi finanziari non sempre vengono con-siderati. Tuttavia, dal momento che il valore sottostante le tecnologie IoT è il trasferimento dei dati, e il settore finanziario si basa fortemente sulla rac-colta e sull’analisi dei dati, è impensabile immaginare che l’IoT non intac-chi anche questo settore. Le istituzioni finanziarie hanno investito e stanno investendo a livello mondiale una quantità crescente di risorse per svilup-pare sia la loro infrastruttura interna sia la le modalità con cui i clienti si interfacciano con la tecnologia, e a tal proposito, l’industria dei servizi fi-nanziari è una delle prime dieci per investimenti in sensori per potenziali innovazioni27.

Personal Finance, Trading e Credito

Nel segmento personal finance, negli ultimi anni stanno emergendo stru-menti in grado di aumentare l'autonomia del cliente nello svolgimento di ogni servizio, diminuendo l’interazione umana e dunque tagliando radical-mente i costi (Credit-Karma28).

Nell’ambito trading, le fintech stanno manifestando tutta la loro portata di-rompente, tramite gli ormai noti robo-advisor. Sotto questo nome ricadono diverse tipologie di piattaforme online che, sulla base di algoritmi come

Management Portfolio Theory, offrono ai risparmiatori soluzioni di

investi-mento più o meno personalizzate secondo le loro personali esigenze, che possono essere acquistate direttamente online.

27 Profitable Connections: The Money to be Made by Banks in the Internet of Things, TATA Consultancy

Services, 2016.

28 Credit Karma è una piattaforma di credito e di gestione finanziaria gratuita, fondata nel 2006. Fra le sue

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31 Il robo-advisor è dunque una sorta di consulente finanziario virtuale che offre servizi di consulenza finanziaria a un costo estremamente competitivo grazie alla sua totale (o quasi) automazione, puntando sulla semplicità e sulla qualità della customer experience.

Quanto al credito, si tratta di un ambito estremamente vivace dell’ecosi-stema FinTech. Il successo è guidato dalla possibilità di utilizzare le nuove tecnologie per migliorare l'esperienza del cliente, soddisfacendo le sue mu-tate esigenze e intercettando, grazie a semplicità, immediatezza e bassi costi operativi anche le esigenze di clientela tradizionalmente più lontane da que-sti servizi, come i millennials. Nell’ambito del credito ricadono i servizi relativi al crowdinvesting, sotto-categoria del crowdfunding che sfrutta spazi virtuali (le piattaforme online) al fine di permettere l’incontro fra chi intende investire le proprie risorse e chi, al contrario, necessità di risorse finanziarie. Il crowdinvesting sta mantenendo livelli di crescita altissimi a livello mondiale, tanto che nel 2015 è arrivato a toccare quota 25 miliardi di dollari di fundraising complessivo, crescendo di oltre il 100% rispetto all’anno precedente29.

Rimanendo nell’ambito del credito, ed il particolar modo in quello della valutazione del merito creditizio, di rilievo è anche la valorizzazione, nel processo decisionale della concessione dei finanziamenti, di dati destruttu-rati e più granulari, tramite software di elaborazione evoluti, che consentono alle istituzioni finanziarie di attuare un processo di valutazione più rapido ed accurato del rischio di credito.

Approfondiremo gli strumenti del crowdinvesting nel capitolo tre, ed un in-novativo modo di calcolare il merito creditizio delle imprese, nel corso del capitolo quattro.

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CAPITOLO 2

I mini-bond

Uno strumento di finanziamento alternativo al canale bancario?

SOMMARIO – 2.1 Premessa – 2.2 I mini-bond. – 2.2.1 Un excursus normativo. – 2.2.2 Strutturazione dell’operazione e attori della filiera. – 2.2.3 La quotazione dei mini-bond sul mercato Extra-MOT PRO. – 2.3 Le emissioni fino al 2017: sta-tistiche descrittive. – 2.4 Le prospettive future.

2.1 Premessa

Per sostenere processi di crescita ed innovazione le imprese devono essere in grado di reperire una adeguata quantità di risorse finanziarie. La quantità di risorse repe-rite, tuttavia, non è l’unico parametro di rilievo: perché le risorse siano adeguate alla finalità che si intende perseguire è necessario che le caratteristiche del finan-ziamento siano in linea con quelle dell’investimento che si vuole realizzare. È per-tanto fondamentale che la forma tecnica adottata ed il soggetto erogatore siano in perfetta sintonia con la durata ed il profilo di rischio dell’investimento. Non di rado, poi, nella scelta della modalità di finanziamento più adeguata, il management tende a valutare quali sono gli impatti sulla governance dell’impresa, propendendo per quelle modalità di finanziamento che permettono di mantenere pieno potere nella gestione dell’impresa.

Come già sottolineato nel corso del precedente capitolo, le piccole e medie imprese italiane hanno tradizionalmente basato la raccolta di risorse finanziare su due prin-cipali canali: l’autofinanziamento e il credito bancario. Entrambi i canali di finan-ziamento hanno subito un drastico ridimensionamento nel corso degli ultimi anni per effetto della lunga crisi economia e finanziaria. La contrazione dei volumi di vendita e dei margini di profitto ha ridotto le capacità di autofinanziamento. Il ri-spetto di nuove e più stringenti regole di Vigilanza prudenziale, imposte dai

regu-lator europei, ha limitato l’operato del sistema bancario, rendendolo incapace di

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33 Peraltro, vi sono delle buone ragioni che lasciano pensare che la difficoltà delle PMI di accesso al credito bancario è destinata a durare nel tempo: il nuovo quadro regolamentare cui sono sottoposte le banche impone il rispetto di regole di alloca-zione del credito che penalizzano le piccole realtà imprenditoriali, poiché gli im-pieghi verso il settore in oggetto sono considerati a rischio elevato30.

La crisi prolungata del nostro sistema bancario ha ulteriormente rafforzato l’im-portanza dei mercati dei capitali che, dopo anni di disinteresse, hanno guadagnato un ruolo di riguardo anche nella definizione delle politiche economiche dei più recenti governi. Negli ultimi anni si sono succeduti diversi provvedimenti norma-tivi con lo scopo di rendere maggiormente convenienti gli apporti di capitale di rischio (ACE31) e di consentire la raccolta di capitale di debito con strumenti

alter-nativi al credito bancario. In questo capitolo l’analisi si concentrerà su quella che risulta essere la più importante opportunità offerta dai mercati finanziari alle pic-cole e medie imprese, vale a dire la raccolta di capitali tramite il ricorso ad uno strumento di debito, il mini-bond.

La letteratura tende spesso ad etichettare questo strumento di finanziamento come alternativo al credito bancario. In realtà questo appellativo appare fuorviante per almeno due ragioni. Come ogni altro strumento di finanziamento diverso da un’erogazione bancaria, esso non mira a “sostituire” il ruolo degli intermediari bancari nel finanziamento delle imprese; al contrario, è in grado di rafforzare la capacità di accesso al credito bancario e, pertanto, va considerato come strumento complementare piuttosto che alternativo al canale bancario. Inoltre, i mini-bond presentano delle caratteristiche parecchio eterogenee rispetto al credito bancario:

30 L'IFRS 9 prevede che dal 2018 le banche di tutta Europa aumentino gli accantonamenti sui crediti in

bonis, perché in caso di significativo deterioramento del merito creditizio del debitore dovranno accanto-nare non più l'importo pari alla perdita attesa nei successivi 12 mesi, bensì di quella di tutta la vita residua del credito.

31 Agevolazione prevista a favore delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità

limitata, delle società cooperative e di mutua assicurazione, delle società europee e delle società cooperative europee residenti in Italia. Per questi enti, ai fini della determinazione del reddito complessivo netto dichia-rato, è ammesso in deduzione un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale pro-prio. Il beneficio è finalizzato a ridurre l’imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio, nonché a ridurre lo squilibrio del trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito e imprese che si finanziano con capitale proprio. L’agevolazione si applica anche al reddito d’impresa di persone fisiche, società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria.

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34 l’accesso ai mercati finanziari produce degli impatti non indifferenti sulla

gover-nance d’impresa, prescrivendo una maggiore dose di trasparenza e comunicazione

delle strategie aziendali e compromettendo la flessibilità e la rapidità delle deci-sioni. Prima di ricorrere a questo strumento di finanziamento è pertanto necessario che l’imprenditore ripensi le strategie di sviluppo e i modelli di governance della propria impresa.

2.2 I mini-bond

I mini-bond rappresentato uno strumento di finanziamento di natura intermedia fra i corporate bond dei grandi emittenti e i finanziamenti di matrice bancaria. Sono rivolti alle PMI che intendono diversificare le fonti di finanziamento interfaccian-dosi con i mercati finanziarsi e raccogliendo risorse finanziarie da destinare a piani di sviluppo, operazioni di finanza straordinaria o di rifinanziamento aziendale. Nello specifico, si tratta di titoli obbligazionari (di qualsiasi scadenza) o di cam-biali finanziarie (con scadenza fino a 36 mesi) emessi dalle imprese sul mercato mobiliare e sottoscritti da investitori professionali, ai quali è offerta una remune-razione attraverso il pagamento di cedole.

Utilizzare questo strumento permette alle piccole e medie imprese di migliorare la loro struttura finanziaria, riducendo al contempo la strutturale esposizione nei con-fronti delle realtà bancarie. La diffusione dell’utilizzo di questo strumento po-trebbe attrarre verso il mercato finanziario un gran numero di imprese di medie e piccole dimensioni, finora escluse da esso perché scoraggiate da alti costi di emis-sione, stringenti vincoli normativi e ridotta capacità di relazione con gli investitori. Pur essendo un primo step di ingresso nei mercati finanziari, l’emissione di mini-bond necessità comunque di una crescita culturale e di una evoluzione organizza-tiva, e l’eventuale quotazione del titolo obbligazionario può risultare spesso pro-pedeutica all’ingresso nel settore del private equity e a future operazioni di IPO32.

32 Un’offerta pubblica iniziale o IPO è un'offerta al pubblico dei titoli di una società che intende quotarsi

per la prima volta su un mercato regolamentato. È generalmente promossa da un'impresa il cui capitale è posseduto da un ristretto gruppo di azionisti, che decide di aprirsi ad un pubblico di investitori più ampio contestualmente alla quotazione in Borsa.

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35 Lo scambio di questi strumenti avviene su un segmento professionale di mercato, l’ExtraMOT PRO, attivato in data 11 febbraio 2013.

La convenienza economica dello strumento dipende da una pluralità di fattori:

 i mini-bond evitano l’esborso di ingenti uscite finanziarie relative alla resti-tuzione delle quote di capitale nel periodo in cui gli investimenti non hanno ancora generato cash flow, dal momento che il rimborso del capitale avverrà soltanto alla scadenza del titolo;

 permettono di rimodulare le scadenze tra l’attivo patrimoniale e la durata media del passivo, garantendo maggiore coerenza tra la liquidità degli in-vestimenti ed il grado di esigibilità delle fonti di finanziamento;

 contribuiscono a stabilizzare il credito, evitando il rischio di richieste di rientro o chiusura delle linee di fido bancario aperte;

migliorano lo standing creditizio e la reputation aziendale

A fronte di questi vantaggi si presentano anche delle criticità:

necessità di maggiore disclosure informativa, maggiore trasparenza sui bi-lanci e sui progetti da realizzare;

 per emissioni importo contenuto, i costi dell’operazione (emissione, collo-camento, tassi di interesse, costo finanziario del tempo) rischiano di supe-rare quelli scontabili ricorrendo ai finanziamenti bancari;

 i metodi di valutazione finanziaria utilizzati per la valutazione del progetto devono essere adeguati al taglio dell’emissione.

2.2.1 Un excursus normativo

Fino alla metà del 2012 – a causa di numerosi vincoli normativi che li rendevano onerosi alle piccole e medie imprese e non convenienti agli investitori – l’emis-sione di questi strumenti finanziari è stata confinata alle società quotate. Per porre rimedio a questi limiti i governi Letta, Monti e Renzi sono intervenuti con una serie di interventi legislativi che ne hanno facilitato lo sviluppo.

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36 I provvedimenti normativi cui si fa riferimento sono, in cascata, il Decreto Svi-luppo33, il Decreto Sviluppo bis34; il Decreto Destinazione Italia35 ed il Decreto

Crescita e Competitività36.

Si tratta di una serie di interventi che hanno riformato la disciplina civilistica delle obbligazioni di medio-lungo periodo, presente agli Artt. 2410-2422 del Codice Ci-vile, rimuovendo i limiti quantitativi relativi alla loro emissione ed introducendo una serie di vantaggi fiscali utili a promuovere un nuovo canale di finanziamento: si ritiene pertanto opportuno effettuare un breve excursus della disciplina previ-gente, confrontandola con la nuova col fine di evidenziare le migliori condizioni di cui possono godere le piccole e medie imprese che provano a raccogliere capi-tale mediante questo strumento di natura obbligazionaria.

In precedenza, l’Art. 2412 del C.c., in tema di società per azioni, prevedeva che:

Comma 1: “La società può emettere obbligazioni al portatore o nominative

per somma complessivamente non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio approvato. I sindaci attestano il rispetto del suddetto limite.”;

Comma 2: “Il limite di cui al primo comma può essere superato se le

obbli-gazioni emesse in eccedenza sono destinate alla sottoscrizione da parte di investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione delle obbligazioni, chi le trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acqui-renti che non siano investitori professionali.”;

Comma 3: “Non è soggetta al limite di cui al primo comma, e non rientra

nel calcolo al fine del medesimo, l'emissione di obbligazioni garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli immobili medesimi.”;

33 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. 34 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, modificato dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221. 35 D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, modificato dalla L. 21 febbraio 2014, n. 9. 36 D.L. 24 giugno 2014, n. 91, modificato dalla L. 11 agosto 2014, n. 116.

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37

Comma 4: “Al computo del limite di cui al primo comma concorrono gli

importi relativi a garanzie comunque prestate dalla società per obbliga-zioni emesse da altre società, anche estere.”;

Comma 5: “Il primo e il secondo comma non si applicano all'emissione di

obbligazioni effettuata da società con azioni quotate in mercati regolamen-tati, limitatamente alle obbligazioni destinate ad essere quotate negli stessi o in altri mercati regolamentati.”.

Quanto alle società a responsabilità limitata, invece, l’Art. 2483 del C.c. stabiliva:

Comma 1: “Se l'atto costitutivo lo prevede, la società può emettere titoli di

debito. In tal caso l'atto costitutivo attribuisce la relativa competenza ai soci o agli amministratori determinando gli eventuali limiti, le modalità e le maggioranze necessarie per la decisione.”;

Comma 2: “I titoli emessi ai sensi del precedente comma possono essere

sottoscritti soltanto da investitori professionali soggetti a vigilanza pruden-ziale a norma delle leggi speciali. In caso di successiva circolazione dei titoli di debito, chi li trasferisce risponde della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali ovvero soci della società medesima.”.

Tabella 3: Regime di deducibilità degli interessi passivi

Fonte: Elaborazione propria

EMITTENTI

Banche, società per azioni quotate, ed enti pubblici trasformati in società per azioni potevano dedurre gli interessi in base al regime di deducibilità ordinaria (Art. 96 del TUIR)

Per tutti gli altri emittenti, gli interessi passivi corrisposti a fronte delle obbli-gazioni emesse erano sottoposti al più stringente regime di parziale indeduci-bilità (Art. 3, c. 115, L. 549/95)

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38 Tabella 4: Regime di tassazione degli interessi attivi

Fonte: Elaborazione propria

Relativamente all’aspetto fiscale, le limitazioni interessavano tanto le società emit-tenti quanto i soggetti che investivano in titoli obbligazionari. Le tabelle 2 e 3 sin-tetizzano il diverso trattamento fiscale riservato ai vari attori della filiera.

La precedente normativa civilistica e fiscale forniva, dunque, uno spaccato che poneva37:

 da una parte i grandi emittenti, vale a dire banche e imprese quotate, i cui titoli obbligazionari generavano interessi che, dal lato passivo, non incorre-vano in particolari limiti di deducibilità e, dal lato attivo, non subiincorre-vano la penalizzazione della ritenuta;

 dall’altra parte tutte le altre imprese, piccole, medie, grandi, grandissime ma comunque non quotate (e non banche), i cui titoli obbligazionari gene-ravano interessi che incorrevano in limiti di deducibilità e subivano la pe-nalizzazione della ritenuta.

37 Mercanti G., Regime fiscale dei minibond. Ritenute, imposte sostitutive e deducibilità, Relazione al

con-vegno “Il finanziamento all’impresa tramite l’emissione di Minibond”, Verona, gennaio 2015.

INVESTITORI

Banche, società per azioni quotate, ed enti pubblici trasformati in società per azioni sottoponevano gli interessi attivi percepiti dalle obbligazioni sulle quali avevano investito al regime di imposizione sostitutiva previsto dal D. Lgs. 239/96.

Per tutti gli altri investitori, gli interessi attivi percepiti a fronte delle obbliga-zioni sulle quali avevano investito erano sottoposti alla ordinaria ritenuta con obbligo di rivalsa disciplinata dall’Art. 26, c. 1 del DPR 660/7.

(39)

39 Inoltre, sul piano fiscale, il ricorso allo strumento obbligazionario era ostacolato dal fatto che i finanziamenti bancari a medio-lungo termine erano sottoposti ad un regime di deducibilità degli interessi passivi parecchio favorevole, al contrario di quanto era previsto dalla L. 549/95.

I decreti “Sviluppo”

Con l’introduzione di questi due interventi legislativi il governo ha puntato, a be-neficio delle piccole e medie imprese, a:

 aumentare il grado di concorrenza del settore finanziario;

 ridurre la dipendenza verso il settore bancario e incrementare il volume di capitali intermediati sui mercati finanziari;

 ribilanciare la struttura finanziaria delle imprese e ridurre il costo di reperi-mento del denaro.

L’Art. 32 del Decreto Sviluppo ha subordinato l’emissione dei titoli di debito da parte di società non quotate al ricorrere dei seguenti requisiti:

 l'emissione dei titoli deve essere assistita da uno sponsor che fornisca il pro-prio supporto all'emissione ed al collocamento dei titoli. Il ruolo di sponsor può essere assunto da una banca, impresa di investimento, SGR, società di gestione armonizzata, SICAV e intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'Art. 107 del Testo Unico Bancario;

 l'ultimo bilancio dell'impresa emittente deve essere assoggettato a revisione contabile da parte di un revisore legale o di una società di revisione legale, iscritti nel Registro dei revisori legali e delle società di revisione;

 i titoli dovranno essere collocati esclusivamente presso investitori qualifi-cati38 che non siano, direttamente o indirettamente, neanche per tramite di

38 Gli investitori qualificati sono definiti dall'articolo 100 del D. Lgs. 58/1998 (TUB). L'Art. 34-ter del

Regolamento Emittenti della Consob ai fini dell'individuazione degli investitori qualificati rinvia alla defi-nizione di "cliente professionale" di cui all'Art. 26, comma 1, lett. d), del Regolamento Intermediari della Consob; quest'ultima disposizione, a sua volta, richiama i requisiti stabiliti, per i clienti professionali privati,

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