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Trattamento dell'ipercolesterolemia: sicurezza ed efficacia del riso rosso fermentato

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Academic year: 2021

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(1)

A mia nonna,

persona forte, determinata e combattiva.

(2)

INDICE

Introduzione pag.4

Capitolo 1: IPERCOLESTEROLEMIE pag.7

1.1 Lipoproteine: struttura e funzione pag.7

1.2 Cenni sulle principali alterazioni lipoproteiche pag.12

1.3 Ipercolesterolemie familiari: monogeniche e poligeniche pag.14

Capitolo 2:TRATTAMENTO TERAPEUTICO CON STATINE pag.22

2.1 Cenni pag.22

2.2 Struttura pag.22

2.3 Farmacocinetica e farmacodinamica pag.23

2.4 Indicazioni terapeutiche e posologia pag.25

2.5 Reazioni avverse pag.27

2.6 Interazioni farmacologiche pag.33

Capitolo 3: TERAPIA DELL’IPERCOLESTEROLEMIA: DIETA, ESERCIZIO FISICO, STATINE E RISO ROSSO

FERMENTATO pag.35

3.1 Trattamento dietetico nell’ipercolesterolemia pag.35

3.2 Cenni sui nutraceutici pag.38

3.3 Efficacia e sicurezza del riso rosso fermentato pag.41

3.4 Coadiuvanti o alternative nutraceutiche

al riso rosso fermentato pag.47

Conclusioni pag.50

(3)

4 Introduzione

La malattia cardiovascolare (CVD) è la principale causa di morte e disabilità in tutto il mondo, principalmente a causa di cardiopatia ischemica e ictus (sia emorragico che ischemico). L’incidenza delle CVD è principalmente correlata all’ipercolesterolemia. Livelli di colesterolo anche solo moderatamente elevati e persistenti possono con maggiore probabilità indurre la comparsa di eventi clinici. Altri rilevanti fattori di rischio sono il fumo, l’ipertensione, l’obesità e il diabete. Le opportunità di trattamento con obiettivi di natura preventiva sui fattori di rischio riducono la probabilità di comparsa delle malattie cardiovascolari, o ne rallentano il decorso una volta che queste si siano rese clinicamente manifeste (1). L’ipercolesterolemia è un condizione patologica causata da elevati livelli di colesterolo, principalmente LDL, associata a bassi livelli di colesterolo HDL nel sangue. A valori più bassi della colesterolemia LDL corrisponde, costantemente, un minore rischio cardiovascolare (2). Il colesterolo è fondamentale per l’organismo,ad esempio è un componente importantissimo delle membrane di tutte le cellule dell'organismo ed è substrato necessario per la formazione di ormoni, ma un suo eccesso è sfavorevole per la salute. Le ipercolesterolemie possono originare da cattive abitudini (mancanza di attività fisica e dieta contenente un eccesso di acidi grassi saturi) o da un difetto ereditario di geni coinvolti nel metabolismo delle lipoproteine o dalla combinazione di fattori genetici con abitudini di vita. Il danno principale dell’ipercolesterolemia riguarda l’aterosclerosi, il processo per il quale il colesterolo in eccesso si deposita sulle pareti delle arterie causando la formazione di lesioni che ispessiscono e irrigidiscono le pareti stesse. L’aterosclerosi nel tempo può causare la formazione di placche vere e proprie che impediscono o interrompono il flusso sanguigno, con conseguenti problematiche a carico del sistema cardiovascolare. La terapia dell’ipercolesterolemia riguarda pertanto la riduzione dei livelli circolanti di colesterolo (3), specie del colesterolo LDL; è noto infatti che la riduzione del rischio cardiovascolare correla con la riduzione del colesterolo LDL, con l’ampiezza di tale riduzione e con il tempo in cui essa viene mantenuta (4).

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5 Figura 1. Effetto del trattamento di un’ipercolesterolemia di differente gravità sulla possibile età di comparsa di eventi clinici su base aterosclerotica

Il primo fondamentale presidio terapeutico per il trattamento dell’ipercolesterolemia è la dieta, tramite la riduzione di cibi ricchi in acidi grassi saturi, in acidi grassi trans, in colesterolo, e con l’aumento di cibi ricchi in acidi grassi mono-polinsaturi e in fibre. In associazione alla dieta è importante l’aumento dell’attività fisica, principalmente di tipo aerobico, che se praticata per almeno 150 minuti la settimana, comporta effetti favorevoli di varia natura a livello cardiovascolare (5).

In molti casi, le modifiche sello stile di vita relative all’alimentazione e all’attività fisica, anche quando adeguatamente messe in atto, non sono sufficienti ad ottenere risultati soddisfacenti. Inoltre, pur avendo importanti effetti cardioprotettivi, l’effetto sulla riduzione di LDL può essere inadeguato, rendendo necessaria una terapia farmacologica. L’approccio terapeutico farmacologico all’ipercolesterolemia, prevalente nella pratica clinica, prevede l’uso delle statine, che agiscono sia inibendo la produzione di colesterolo endogeno sia aumentando il catabolismo di LDL. Infatti, in genere, dopo un mese dall’inizio del trattamento con tali farmaci, si osserva una riduzione del 20-60% del colesterolo LDL circolante. A fronte di questa efficacia, peraltro, l’uso di statine può comportare, in molti casi, significativi effetti collaterali,

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6 particolarmente a carico del fegato e della muscolatura striata, che possono indicare l’opportunità di sospendere la terapia. A causa di ciò sono aumentate negli anni le ricerche e gli studi clinici su altri possibili approcci per il trattamento dell’ipercolesterolemia. Particolare attenzione a riguardo è stata rivolta a prodotti non di sintesi chimica che possono esplicare attività analoghe alle statine, le cosiddette “statine naturali” sostanze prevalentemente ricavate dal riso rosso fermentato, per l’attività di alcuni funghi (Monascus purpureus, o altri membri della stessa famiglia) che, fermentando il riso (Oryza sativa), producono pigmenti in genere di colore rosso e un gruppo di molecole ad attività inibitoria sulla sintesi epatica del colesterolo, denominate monacoline. Il riso rosso fermentato è oggi un nutraceutico ampiamente utilizzato per la sua azione e per la ridotta incidenza degli effetti collaterali. Tra le molecole attive sulla riduzione del colesterolo, particolare attenzione è stata rivolta alla monacolina K (6), che appare sul piano chimico e biochimico non distinguibile da una statina di sintesi come la lovastatina. Le monacoline contenute nell’estratto del riso rosso fermentato, ed in particolare la monacolina K, sono caratterizzate da una biodisponibilità maggiore rispetto a quella delle statine; alcuni studi indicano che, grazie al migliore assorbimento, l’efficacia di monacolina K nella riduzione delle LDL sarebbe superiore rispetto a quella che si osserva per dosaggi analoghi delle statine (7).

Nella tesi si discute di come il riso rosso fermentato, contenente monacolina K, pur a basse dosi, possa rappresentare una alternativa valida e sicura all’uso di statine per il trattamento dell’ipercolesterolemia. Sulla base degli studi analizzati viene descritta e discussa l’efficacia e la bassa incidenza di effetti collaterali di questo prodotto nutraceutico, ampiamente utilizzato negli ultimi anni nel mondo occidentale.

(6)

7 Capitolo 1

IPERCOLESTEROLEMIE 1.1 Lipoproteine: struttura e funzione

Le lipoproteine sono complessi macromolecolari che trasportano principalmente colesterolo, trigliceridi e vitamine liposolubili attraverso i liquidi corporei nei tessuti. Oltre alla funzione di trasporto, svolgono un ruolo essenziale nell’assorbimento del colesterolo introdotto con la dieta, degli acidi grassi a catena lunga e delle vitamine liposolubili. Le lipoproteine sono costituite da un nucleo di lipidi idrofobici (trigliceridi ed esteri del colesterolo) circondato da lipidi idrofilici (fosfolipidi e colesterolo non esterificato) e proteine, definite apolipoproteine (apo), in grado di interagire con i liquidi corporei (8), In base alla densità, al diametro, alla composizione e alla mobilità elettroforetica, le lipoproteine sono suddivise in cinque classi: chilomicroni, lipoproteine a densità molto bassa (VLDL, Very Low Density Lipoprotein), lipoproteine a densità intermedia (IDL, Intermediate Density Lipoprotein), lipoproteine a bassa densità (LDL, Low Density Lipoprotein) e lipoproteine ad alta densità (HDL, High Density Lipoprotein). La densità di una lipoproteina è determinata dal quantitativo di lipidi per particella (9).

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8 Densità (kg/L) Diametro (nm) Mobilità elettroforetica Composizione (%) CE FC TG PL Proteine Chilomicroni <0.95 80-500 Nessuna 1-3 1 86-94 3-8 1-2 VLDL 0.96-1,006 30-80 Pre-β 12-14 6-8 55-65 12-18 8-15 IDL 1,006-1,019 25-30 Slow pre-β 20-35 7-11 25-40 15-22 12-19 LDL 1,019-1,063 19-25 Β 35-45 6-10 6-12 20-25 20-25 HDL2 1,063-1,125 8-11 Α 15-20 4-6 3-8 30-40 35-40 HDL3 1,125-1,210 6-9 Α 10-18 1-4 3-6 25-35 45-55 Lp(a) 1,055-1,085 25-30 Pre-β 30-36 8-10 3-4 20-25 30-35

Tabella 1. Caratteristiche e composizione delle lipoproteine plasmatiche CE = colesterolo esterificato; FC= colesterolo libero; PL = fosfolipidi; TG = trigliceridi

I chilomicroni si formano nell’intestino, sono secreti nel sistema linfatico e tramite il dotto toracico entrano nel circolo venoso, presenti nel plasma solo nella fase

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post-9 prandiale. Sono costituiti principalmente da trigliceridi di origine alimentare, colesterolo libero, esteri del colesterolo ed apolipoproteine (apo B48, apo A-I e apo C). I trigliceridi sono rimossi dai chilomicroni dei tessuti extraepatici grazie a reazioni di idrolisi, catalizzate dal sistema delle lipoproteinlipasi (LPL), con rilascio di glicerolo e acidi grassi, rapidamente captati dal muscolo e dal tessuto adiposo (9). L’apo C-II, che è trasferita ai chilomicroni circolanti dall’HDL, è un cofattore necessario per l’attivazione della LPL. Gli acidi grassi nel muscolo sono utilizzati a scopo energetico, mentre nel tessuto adiposo sono esterificati ed immagazzinati come trigliceridi. I lipidi di superficie e le apolipoproteine sono trasferiti alle HDL. Tali modificazioni e la perdita dei trigliceridi riducono le dimensioni delle particelle trasformandole in chilomicroni remnant. Quest’ultimi sono rapidamente captati dal fegato grazie alla presenza dell’apo E, che interagisce con i recettori delle LDL, oppure tramite il passaggio dei chilomicroni remnant tra le fenestrature delle cellule endoteliali dei capillari epatici, si legano agli eparansolfatoproteoglicani, dove il recettore LRP ne permette l’internalizzazione.

Le VLDL sono prodotte nel fegato, veicolano i trigliceridi endogeni nei tessuti periferici. La componente proteica è molto simile ai chilomicroni, si differenziano per la presenza di apo B-100 e non di apo B-48, inoltre hanno un rapporto colesterolo/trigliceridi più elevato (1 mg di colesterolo per 5 mg di trigliceridi). I trigliceridi presenti derivano principalmente dall’esterificazione degli acidi grassi a catena lunga nel fegato (10). La produzione di VLDL avviene grazie alla proteina di trasferimento microsomiale (MTP), che trasporta i lipidi verso l’apoB-100. Questo processo origina VLDL di dimensioni differenti, ad esempio le VLDL 1 ricche in trigliceridi mentre le VLDL 3 ricche in colesterolo esterificato. Una volta secrete nel plasma, le VLDL acquisiscono apo E e apo C dalle HDL, e come per i chilomicroni, i loro trigliceridi sono esposti all’azione della LPL, soprattutto nel cuore, nel muscolo e nel tessuto adiposo, con l’aumento del contenuto di colesterolo esterificato e rendendo le particelle più piccole e più dense. A causa di tale meccanismo, le componenti in eccesso presenti sulla superficie delle particelle (colesterolo libero, apo C e apo E), sono trasferite alle HDL, così le VLDL si trasformano in IDL, contenenti la stessa quantità di colesterolo e trigliceridi.

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10 Le IDL sono costituite da apo B-100, apo C ed apo E. Alcune di esse sono inglobate dal fegato tramite endocitosi, altre trasformate in LDL tramite ulteriore rimozione dei residui di trigliceridi ad opera della lipasi epatica.

Le LDL presentano un rapporto più elevato tra componente proteica e componente lipidica rispetto alle VLDL. La componente proteica è costituita principalmente da apo B-100 e in piccole tracce da apo C e apo E. Le LDL possono essere modificate dal CETP, enzima che media il trasporto dei trigliceridi e colesterolo esterificato tra le lipoproteine. Ad esempio, i trigliceridi delle VLDL vengono trasferiti alle LDL e alle HDL in cambio di esteri del colesterolo, con una riduzione della quantità di colesterolo esterificato ed un’amplificazione della quantità di trigliceridi delle LDL, risultando più sensibili all’azione della lipasi epatica e originando LDL più piccole, più dense e più aterogene rispetto a quelle normali (9). Questo meccanismo spiega il fenomeno del “beta shift” ovvero il graduale aumento delle LDL al ridursi dell’ipertrigliceridemia. Inoltre la concentrazione delle LDL nel sangue può aumentare a causa dell’incremento della secrezione delle VLDL oppure a causa della riduzione del loro catabolismo (8). Il loro catabolismo avviene tramite interazione con il recettore apo B/apo E presente negli epatociti. Qui il colesterolo viene esterificato dall’acilcolesterolo-aciltrasferasi ed accumulato nel citoplasma. L’ingresso di colesterolo tramite via recettoriale inibisce sia la sintesi di colesterolo sia quella del recettore apo B/apo E, con aumento della sintesi di colesterolo esterificato. Le LDL possono essere incorporate nelle pareti vascolari e legandosi ai proteoglicani, diventano più suscettibili ad alterazioni, come quelle causate dai processi di ossidazione. (9)

La lipoproteina(a) è costituita da una particella di LDL, la cui apo B-100 si lega tramite ponte disolfuro all’apolipoproteina(a), una proteina addizionale, e da una glicoproteina idrofila. La lipoproteina(a) ha una struttura simile al plasminogeno ma si differenzia da esso per l’incapacità di essere attivata dall’ attivatore tissutale di questo. Essa esiste in diverse isoforme che si differenziano per il peso molecolare. Nel siero i livelli di lipoproteina(a) sono influenzati da fattori genetici, essi variano da 0 ad oltre 500 mg/dL. Essa contribuisce alla formazione della placca aterosclerotiche. Il rischio di malattia coronarica è strettamente correlato ad elevati livelli di lipoproteina(a), che

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11 inibisce la trombolisi. Il principale sito di clearance della lipoproteina(a) è il fegato, ma la via di ricaptazione è sconosciuta.

Le HDL, sintetizzate dal fegato e dall’intestino, giocano un ruolo fondamentale nel trasporto inverso del colesterolo. Nell’uomo il colesterolo non può essere catabolizzato per via enzimatica, se non in minima parte, per cui esiste un rapporto centripeto che riporta il colesterolo al fegato per le destinazioni metaboliche finali. In periferia le HDL acquisiscono fosfolipidi e colesterolo libero sia dagli epatociti sia dalle altre cellule tramite l’ATP-binding cassette A1 (ABCA1), un trasportatore di membrana, localizzato sulla superficie cellulare e sulle membrane dell’apparato di Golgi, in grado di trasportare i lipidi dal complesso di Golgi alla membrana cellulare semplificando l’efflusso. L’efflusso di colesterolo ABCA1- dipendente è attivato dall’apo AI. Questo processo porta alla formazione di HDL discoidali, che non sono più in grado di captare ulteriormente colesterolo non esterificato dalle cellule periferiche. Dopo essersi legato alle HDL nascenti, il colesterolo libero viene esterificato ad opera dell’enzima plasmatico lecitina-colesterolo-aciltransferasi (LCAT), anch’esso attivato dall’apo AI. Dopo questo processo, gli esteri del colesterolo, più idrofobici, si spostano verso il core delle particelle HDL. Man mano che le HDL acquisiscono lipidi, diventano mature, assumono forma sferica ed aumenta il contenuto di apolipoproteine; inizialmente si formano le HDL3 e diventano HDL2, più grandi, meno dense e ricche di lipidi. Fondamentale nel metabolismo delle HDL è svolto dai recettori nucleari PPAR, in particolare l’attivazione del PPARα modula l’espressione di cinque geni che codificano per l’apo AI, l’apo AII, LPL, SR-B1 e ABCA1, proteine coinvolte nel trasporto inverso. Le HDL giocano un ruolo importante nel trasporto “inverso” del colesterolo, poiché sottraggono il colesterolo dai tessuti e in forma esterificata lo rilasciano in più direzioni: ai remnant dei chilomicroni e quindi al fegato; alle VLDL e quindi, tramite alle IDL, o al fegato o alle LDL che ne derivano; al fegato tramite il catabolismo delle HDL. Il trasporto inverso è un processo importante che avviene principalmente nel fegato e nell’intestino. Esso è dipendente dalla sintesi di apo AI e AII, particolari apoproteine. La produzione dall’apoproteina AI è maggiore nelle donne che negli uomini ed è incrementata dalla somministrazione di estrogeni, per cui le donne in età fertile hanno livelli più elevati di HDL nel plasma. Il catabolismo delle HDL avviene tramite due meccanismi principali: le HDL2 interagiscono con il recettore epatico scavenger

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12 receptor B1 (SR-B1) che estrae selettivamente esteri del colesterolo e le converte in HDL3; le HDL tramite l’azione della CETP si arricchiscono in trigliceridi e diventano suscettibili all’attività lipolitica della HL, trasformandosi in HDL3. Le HDL contenenti anche apo E possono essere internalizzate a livello epatico via recettore apo B/ apo E. Infine, le HDL piccole possono essere escrete a livello renale (8).

1.2 Cenni sulle principali alterazioni lipoproteiche

Le dislipidemie costituiscono un gruppo di alterazioni del metabolismo lipidico che si manifesta con un aumento o una riduzione della concentrazione delle lipoproteine plasmatiche e/o una loro alterazione qualitativa (9). Le alterazioni delle lipoproteine sono valutate determinando il contenuto di lipidi nel siero dopo un periodo di digiuno di 10 ore. Il rischio di patologia cardiaca aumenta proporzionalmente alla concentrazione di lipoproteine ateratogene ed è inversamente proporzionale ai livelli di HDL. Esso può essere modificato da altri fattori di rischio (8). E’ importante mettere in evidenza che la valutazione quantitativa dei lipidi plasmatici di base non consente di individuare accuratamente una forma specifica di dislipidemia, perchè non descrive quale frazione lipoproteica sia aumentata o alterata e perchè lo stesso quadro biochimico o fenotipico può manifestarsi in condizioni cliniche differenti. Inoltre vi è una difficoltà oggettiva di definire il range di normalità della lipidemia. Differenti studi clinici suggeriscono che livelli di colesterolo LDL di 60 mg/dL possono essere ottimali per pazienti con malattia coronarica. Oltre alla riduzione dei livelli di LDL, è importante ridurre anche i livelli di VLDL e di IDL. Il calcolo del colesterolo non-HDL permette di stabilire tutti i livelli di tutte le lipoproteine a dalle VLDL alle IDL.

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13 Colesterolo LDL Valori (mg/dL) Colesterolo totale Valori (mg/dL) Colesterolo HDL Valori (mg/dL)

Ottimale < 100 Desiderabile ≤ 200 Basso ≤ 40

Quasi ottimale 100-129 Bordeline 200-239 Alto ≥ 60

Bordeline 130-159 Alto ≥240

Alto 160-189

Molto alto ≥ 190

Tabella 2. Valori di riferimento del colesterolo plasmatico

La prima classificazione delle dislipidemie fu proposta da Friedrickson nel 1967 e successivamente utilizzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Essa distingue sei tipologie di dislipidemie in base all’aumento selettivo di alcune classi lipoproteiche:

1. iperlipoproteinemia di tipo I (ipertrigliceridemia), caratterizzata da un aumento di chilomicroni e di trigliceridi di origine alimentare;

2. iperlipoproteinemia di tipo IIa, caratterizzata da un aumento delle LDL;

3. iperlipoproteinemia di tipo IIb, caratterizzata da un aumento delle LDL e delle VLDL contenenti trigliceridi;

4. iperlipoproteinemia di tipo III, caratterizzata da un aumento sia del colesterolo sia dei trigliceridi;

5. iperlipoproteinemia di tipo IV, caratterizzata da un aumento delle VLDL e quindi dei trigliceridi endogeni;

6. iperlipoproteinemia di tipo V, caratterizzata da un aumento dei trigliceridi esogeni ed endogeni;

Questa classificazione ha dei limiti, poichè considera le dislipidemie come quadri sindromici e non come malattie, prescinde dalle acquisizioni fisiopatologiche e non differenzia le forme familiari dalle acquisite. Attualmente le classificazioni delle iperlipoproteinemie sono su base genotipica. Le dislipidemie sono classificate in primitive e secondarie. Le primitive hanno origine da alterazioni metaboliche ereditarie

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14 che coinvolgono uno o più geni attivi nel metabolismo delle lipoproteine, ma anche sensibili ad influenze di tipo alimentari. Le recenti identificazioni di numerose mutazioni genetiche hanno contribuito alla comprensione dei meccanismi di trasporto dei lipidi e delle interazioni che si verificano con i fattori genetici e ambientali. Dieta, esercizio fisico e stress possono modulare l’espressione del genotipo. Le iperlipoproteinemie primitive si suddividono in: ipercolesterolemie familiari monogeniche, ipercolesterolemie familiari poligeniche, iperlipidemia familiare combinata, ipertrigliceridemie e iperchilomicronemie, iperalfalipoproteine familiari, deficit di HDL. Le iperlipoproteinemie secondarie sono causate dalla presenza di un’altra patologia primitiva o dall’assunzione di farmaci o altre sostanze esogene che alterano il metabolismo lipidico. Ad esempio le ipercolesterolemie secondarie sono forme che si manifestano come conseguenza di un’altra patologia, ma come le primitive possono essere dannose. Le principali cause sono: ipotiroidismo, nefrosi iniziale, iperlipidemia in risoluzione, disordini del complesso immunoglobuline-lipoproteine, anoressia nervosa, colestasi, ipopituitarismo, eccesso di glucocorticoidi. (9)

1.3 Ipercolesterolemie familiari: monogeniche e poligeniche

L’ipercolesterolemia familiare (FH,Familial Hypercholesterolemia) è una malattia genetica autosomica dominante provocata dalla mutazione del gene che codifica per il recettore delle LDL (LDL-R), localizzato sul cromosoma 19p13.2, che impedisce o altera il legame con la lipoproteina LDL o con frazioni lipoproteiche contenenti apo B100 e apo E. L’LDL-R è una glicoproteina transmembrana presente sulla superficie della maggior parte delle cellule e responsabile della rimozione dal plasma di circa i due terzi delle LDL circolanti, che per il 70% avviene a livello epatico. Le alterazioni del gene LDL-R possono essere:

 di tipo puntiforme (mutazioni nonsense o missense);

 piccole delezioni o inserzioni (con o senza perdita della sequenza di lettura);  riarrangiamenti che comportano perdita o duplicazione di intere sequenze del

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15 Le forme omozigote sono state utilizzate per lo studio della funzionalità del gene. Attualmente sono state scoperte circa 1000 differenti mutazioni del gene LDL-R e grazie ad esse sono stati definiti 5 fenotipi differenti, in base alla fase del meccanismo di funzionamento del recettore compromessa:

 classe 1: fenotipo allele nullo;  classe 2: fenotipo trasporto difettivo;  classe 3: fenotipo legame difettivo;

 classe 4: fenotipo internalizzazione difettiva;  classe 5: fenotipo riciclo difettivo.

Gli elevati livelli di LDL-C nella FH sono dovuti ad un aumento della produzione di LDL a partire delle IDL e da una ridotta rimozione delle LDL dal sangue. La FH è la malattia monogenica ad alto rischio cardiovascolare più diffusa nella popolazione. La frequenza della forma omozigote in Italia è di circa 1 caso per milione e di 1 su 500 per la forma eterozigote. Nei soggetti omozigoti l’attività recettoriale varia dallo 0 al 30%, con un aumento dell’emivita plasmatica delle LDL fino a 6 giorni. I livelli di colesterolo totale sono generalmente > 500 mg/dL. Nella forma eterozigote, le cellule esprimono un’attività recettoriale ridotta del 50% e l’emivita delle LDL aumentata da circa 2,5 giorni a 4 giorni. Essa è caratterizzata da livelli plasmatici di LDL-C da 200 a 400 mg/dL e da livelli di trigliceridi normali. Clinicamente la presenza della malattia è comprovata da:

 livelli di colesterolo-LDL superiori al 95° percentile della distribuzione della popolazione (195 mg/dL);

 trasmissione verticale dell’ipercolesterolemia nella famiglia;  presenza di xantomatosi tendinea;

 bambini prepuberi con grave ipercolesterolemia nella famiglia.

La diagnosi è probabile, in assenza di valutazione biochimica dei familiari, se, oltre ad elevati livelli di colesterolo LDL, nei familiari di primo grado è accertata una

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16 cardiopatia ischemica precoce1. L’espressione fenotipica varia in base ai livelli di colesterolo LDL, alla presenza di xantomatosi tendinea ed all’età di insorgenza clinica della cardiopatia ischemica. Formulare una corretta diagnosi clinica non è semplice. Gruppi di esperti hanno stilato differenti metodi diagnostici per la FH, in base ai vari gradi di probabilità. Tra i più importanti vi sono:

 US MedPed Program (Make early diagnosys, Prevent early death) basato sul dato biochimico e con una specificità del 98%;

 SImon Broome Register Group, basato sui livelli di colesterolo LDL in base all’età del paziente, sulle manifestazioni cliniche di malattia, l’anamnesi familiare e la diagnostica molecolare;

 Dutch Lipid Network, che attribuisce un punteggio da 1 a 8 per ogni parametro clinico rilevante e in base ai punteggi distingue 3 tipi di diagnosi: certa (> 8), probabile (tra 6 e 8) e possibile (tra 3 e 5) (9)

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17 Età

(anni)

Valore limite del colesterolo totale (mg/dL)

Parentela Popolazione

generale

I grado II grado III grado

< 20 221 228 240 271

20-29 240 252 259 290

30-39 271 279 290 341

> 39 290 302 310 360

Tabella 3. CRITERI US MEDPED PROGRAM

Criterio Descrizione

A CT > 290 mg/dL negli adulti o > 259 mg/dL in soggetti < 16 anni o LDL-C > 190 mg/dL negli adulti o > 155 mg/dL in soggetti < 16 anni

B Xantomi tendinei nel probando o parenti di I grado

C Analisi molecolare della mutazione del gene LDL-R o apo B

D Storia familiare di infarto del miocardio < 50 anni in parente di II grado e < 60 anni in parente di I grado

E Storia familiare di livelli di CT > 290 mg/dL in parenti di I o II grado Diagnosi Definita se sono contemporaneamente presenti i criteri A + B o A + C

Probabile se sono contemporaneamente presenti i criteri A + D o A + E Tabella 4. CRITERI SIMON BROOME FH REGISTER

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Criterio Punti

Parente di I grado con infarto < 55 anni nei maschi e 60 anni nelle femmine o con affezioni vascolari o con valori di LDL-C sopra il 95° percentile

1

Parente di I grado con xantomi tendinei o arco corneale o con valori di LDL-C sopra il 95° percentile in soggetti < 18 anni

2

Probando con malattia coronarica prematura (< 55 anni nei maschi; < 60 anni nelle femmine)

2

Probando con vascolopatia cerebrale o periferica prematura (< 55 anni nei maschi; < 60 anni nelle femmine)

1

Probando con xantomi tendinei 6

Probando con arco corneale prima dei 45 anni 4

Livelli di LDL-C > 325 mg/dL 8

Livelli di LDL-C 5

Livelli di LDL-C 3

Livelli di LDL-C 1

Accertamento molecolare di mutazione funzionale del gene LDL-R 8 Diagnosi:

 definita se somma punti > 8  probabile se somma punti tra 6 e 8  possibile se somma punti tra 3 e 5

Tabella 5. CRITERI DUTCH CLINIC NETWORK

Nella maggior parte dei casi la FH in omozigosi si manifesta nell’infanzia con xantomatosi cutanee su mani, polsi, gomiti, ginocchia, talloni o natiche. Tra le complicanze della FH la più complessa è l’aterosclerosi accelerata, che può causare inabilità o morte sin dall’infanzia. L’aterosclerosi generalmente si sviluppa per prima nella radice dell’aorta, causando stenosi valvolare o sopravalvolare aortica ed estendendosi in modo tipico all’ostio coronarico, che diviene stenotico. Solitamente nei bambini la FH si sviluppa prima della pubertà. I sintomi possono essere atipici e la morte improvvisa. In assenza di trattamento la morte si presenta entro la prima o seconda decade di vita. I pazienti affetti da FH in eterozigosi presentano

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19 ipercolesterolemia sin dalla nascita e il riconoscimento della malattia viene effettuato tramite un esame di routine, dopo lo sviluppo della xantomatosi tendinea (nelle mani, nei gomiti, nelle ginocchia) o della malattia coronarica aterosclerotica sintomatica. I pazienti maschi non trattati presentano il 50% circa di probabilità di avere un infarto del miocardio prima dei 60 anni. Nelle donne la patologia coronarica è più frequente nelle donne affette da FH rispetto alla popolazione femminile in generale (8).

L’apoB-100 difettiva familiare (FDB, Familial Defective apoB-100) è un’alterazione genetica a trasmissione autosomica dominante, clinicamente simile all’ipercolesterolemia familiare in eterozigosi. La malattia è causata da mutazioni a carico del gene che codifica per l’apoproteina B-100, localizzato sul cromosoma 2p24. La mutazione più frequente è dovuta alla sostituzione dell’amminoacido glutamina con l’asparigina nella posizione 3.500. Tali mutazioni determinano un’anomalia di conformazione che riduce l’affinità di legame delle LDL con il loro recettore e aumenta la loro emivita nel circolo. La FDB è caratterizzata da livelli plasmatici di LDL inferiori rispetto alla FH, livelli di trigliceridi nella norma, xantomi tendinei e da aterosclerosi in età precoce. La malattia si manifesta con un’incidenza pari a 1 persona su 500-700 nella popolazione caucasica. La prevalenza della cardiopatia ischemica in età precoce è lievemente inferiore a quella della FH (9).

L’ipercolesterolemia autosomica dominante di tipo 3 (ADH3, Autosomal Dominant Hypercholesterolemia) è una rara patologia a trasmissione autosomica dominante causata da mutazioni del gene PCSK9 localizzato sul cromosoma 1p32. Il gene PCSK9 (Protein Convertasi Subtilisin/Kexine type 9) codifica per la NARC-1 (Neural Apoptosis Regulated Convertasi 1), comunemente chiamata PCSK9, è una proteasi-serinica che si lega al recettore delle LDL, provocando la proteolisi. Quando PCSK9 si lega al recettore, il complesso è internalizzato e il recettore è trasportato nei lisosomi. Alcune mutazioni del gene PCSK9 in eterozigosi che causano una sovraespressione della proteina codificata, sono associate a una riduzione di circa il 35% dei recettori per le LDL sulla superficie cellulare e ad un aumento di circa 3 volte della secrezione epatica di apoB-100 (10).

L’ipercolesterolemia autosomica recessiva (ARH) è una patologia rara legata a mutazioni del gene localizzato sul cromosoma 1p35 che codifica per l’ARH, una

(19)

20 proteina contenente un dominio denominato PTB (Phosphotyrosine Binding Domain), implicata nell’endocitosi delle LDL mediata dal recettore epatico delle LDL. L’ARH è necessaria per il trasferimento intracellulare delle LDL legate al recettore e per stabilizzare il legame LDL-recettore. Il dominio PTB è fondamentale affinchè la proteina si possa legare a una specifica coda intracitoplasmatica del recettore delle LDL. La funzionalità del recettore delle LDL è nella norma o ridotta nei fibroblasti in coltura, mentre nel fegato e nei linfociti è assente. Le caratteristiche cliniche dei pazienti omozigoti o doppi eterozigoti per mutazioni del gene ARH sono affini con quelle dei pazienti omozigoti FH, ma con ridotta gravità. La sintomatologia è caratterizzata da ipercolesterolemia, xantomi tendinei e malattia coronarica precoce. Gli eterozigoti sono caratterizzati da livelli di colesterolo nella norma o lievemente aumentati. La patologia è maggiormente diffusa in Sardegna e in alcuni paesi del bacino del Mediterraneo. In Sardegna la frequenza degli omozigoti e dei doppi eterozigoti è di 1:38.000 individui, mentre negli eterozigoti è di 1:120 (9).

La β-sitosterolemia è una rara malattia autosomica recessiva causata da mutazioni dei geni sterlina 1 e sterlina 2, localizzati sul cromosoma 2p21, appartenenti ai trasportatori transmembrana ATP-binding cassette (ABCG5,ABCG8). Questi geni sono espressi negli enterociti e negli epatociti. Le proteine si eterodimerizzano, formando un complesso funzionale in grado di trasportare steroli vegetali (sitosterolo, campesterolo, stigmasterolo, avenosterolo e stanoli 5α-saturi) e steroli animali (principalmente colesterolo) nel lume intestinale e nella bile. Negli individui sani meno del 5% degli steroli vegetali è assorbito nel lume intestinale e trasportato al fegato. Gli individui affetti da sitosterolemia nella forma omozigote presentano un iperassorbimento degli steroli, compreso il colesterolo, e un difetto dell’ escrezione di steroli tramite la bile. L’incorporazione degli steroli vegetali a livello delle membrane cellulari comporta la deformazione degli eritrociti e la formazione di megatrombociti. Gli eterozigoti non manifestano la malattia. La patologia si manifesta nell’infanzia con xantomatosi cutanea e tendinea, aterosclerosi precoce, cardiopatia ischemica prematura, emolisi, artralgie e artriti (8).

Il deficit di 7α-idrossilasi è legato ad una mutazione del gene CYP7A1 che codifica per la colesterolo-7α-idrossilasi, catalizzatore della prima reazione del catabolismo del

(20)

21 colesterolo nella formazione degli acidi biliari. La patologia si manifesta negli omozigoti. A causa della ridotta produzione di acidi biliari,il colesterolo si accumula a livello epatico, con conseguente down regulation dei recettori delle LDL e successiva ipercolesterolemia (9).

L’ipercolesterolemia poligenica è caratterizzata da livelli elevati di LDL, ma moderati rispetto alle forme monogeniche, e di apo B, mentre i valori di trigliceridi e HDL sono nella norma. Il rischio cardiovascolare è aumentato. Nelle famiglie dei soggetti affetti dalla forma poligenica non più di un quinto dei parenti di primo grado manifesta la stessa condizione. La patologia si sviluppa generalmente verso i 30 anni. L’eziopatogenesi è multifattoriale:

 ridotta clearance delle LDL plasmatiche;  aumentata sintesi epatica delle VLDL;  combinazione dei precedenti fattori.

Questi difetti si traducono in un’incapacità a mantenere un assetto lipidico normale in casi di stress alimentari, come un eccessivo apporto calorico associato ad un eccesso di grassi saturi e di colesterolo. (8)

L’iperlipoproteinemia familiare combinata (FCH, Familial Combined Hyperlipidemia) è caratterizzata da elevati livelli di LDL, di VLDL o di entrambe. Essa è trasmessa in modo semidominante ed è associata ad un’aumentata incidenza di aterosclerosi prematura. L’anomalia lipoproteica è costituita da VLDL e/o LDL di piccole dimensioni e di densità aumentata. Il difetto metabolico consiste nell’aumento della sintesi epatica di VLDL-apo B, con la prevalente riduzione dell’azione della LPL o del catabolismo postprandiale delle VLDL che conferirebbe la differente espressività fenotipica. Le alterazioni delle lipoproteine si sviluppano dopo i 30 anni. Il diabete di tipo 2, l’obesità e l’ipertensione arteriosa sono fattori di rischio. Le manifestazioni cliniche prevedono eventi cardiovascolari, raramente xantomi. La verifica della presenza di dislipidemia mista e l’anamnesi familiare di iperlipidemia e/o malattia cardiovascolare precoce sono i principali criteri di diagnosi. (10)

(21)

22 Capitolo 2

TRATTAMENTO TERAPEUTICO CON STATINE 2.1 Cenni

Le statine furono scoperte nel 1971 da Kuroda ed Endo. Le indagini su oltre 6000 ceppi batterici portarono alla scoperta della mevastatina, un inibitore competitivo dell’enzima idrossi-metil-glutaril-CoA-reduttasi, quest’ultimo essenziale nella prima reazione della biosintesi del colesterolo, in quanto converte l’HMGCoA in mevalonato. Tra i derivati, la mevinolina, conosciuta con il nome di lovastatina, presenta un effetto comparabile al composto d’origine, ma con maggiore tollerabilità e ridotte reazioni avverse. Le statine sono distinte in tre classi:

 di prima generazione (lovastatina, simvastatina e pravastatina), ottenute per fermentazione;

 di seconda generazione (fluvastatina), ovvero il racemo di un prodotto di sintesi;  di terza generazione (atorvastatina, rosuvastatina e cerivastatina), prodotti di

sintesi.

Ad oggi le statine commercializzate in Italia sono cinque: simvastatina, fluvastatina, atorvastatina, pravastatina e rosuvastatina. La cerivastatina è stata ritirata dal commercio di tutto il mondo a causa delle reazioni avverse riscontrate, principalmente, in seguito all’associazione con gemfibrozil, farmaco ipolipidemizzante della classe dei fibrati (11). Le statine, oltre all’effetto ipolipidemizzante, sono in grado di ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione vascolare, ed aumentano la stabilità delle lesioni aterosclerotiche. Esse sono somministrate come primo approccio terapeutico in quei soggetti affetti da sindromi coronariche acute, anche in assenza di elevati livelli lipidici plasmatici (10).

2.2 Struttura

La lovastatina e la simvastatina sono dei profarmaci inattivi sotto forma di lattoni, che vengono attivati a β-idrossiderivati tramite reazioni di idrolisi nel tratto gastrointestinale, mentre la pravastatina presenta un anello lattonico aperto.

(22)

23 L’atorvastatina, la rosuvastatina e la fluvastatina hanno strutture simili, contengono fluoro e sono attivi come tali (10).

2.3 Farmacocinetica e farmacodinamica

Questa classe di farmaci somministrata per via os ha un assorbimento che varia da circa il 40% al 75%. Il differente assorbimento è dovuto alla ridotta biodisponibilità del farmaco e alle possibili interazioni a livello del CYP450 che può indurre un aumento dei livelli di farmaco nel sangue. Un’eccezione è rappresentata dalla fluvastatina che è assorbita quasi completamente, in quanto probabilmente ha un sistema di eliminazione meno efficiente a livello dell’isoforma del CYP450 (2C9 e 3A4) (11). Tutti gli inibitori della HMG-CoA reduttasi subiscono un elevato effetto del primo passaggio a livello epatico. La maggior parte della dose di farmaco è assorbita ed eliminata tramite due vie: principalmente con la bile, mentre circa il 5-20% con le urine. L’emivita plasmatica delle statine varia da 1 a 3 ore, ad eccezione dell’atorvastatina (14 ore) e della rosuvastatina (19 ore) (10).

Statina Derivato Solubilità Forma Metabolismo Clearance

Atorvastatina Pirrolo Lipofila Acido CYP3A4 Epatica Lovastatina Naftalene Lipofila Lattone CYP3A4 Epatica Pravastatina Naftalene Idrofila Acido NO-CYP450 Epatica e

renale Fluvastatina Indolo Lipofila Acido CYP2C9 Epatica Simvastatina Naftalene Lipofila Lattone CYP3A4 Epatica Rosuvastatina Pirimidina Idrofila Acido CYP2C9/8 Epatica e

renale

Tabella 1. Caratteristiche delle statine

Il meccanismo d’azione è legato all’inibizione competitiva dell’enzima HMG-CoA reduttasi, ovvero il principale regolatore della biosintesi degli steroli. Le statine

(23)

24 inibendo l’azione di tale enzima, diminuiscono la disponibilità dell’acido mevalonico, precursore del colesterolo, e possono ridurre anche la disponibilità del farnesolo e del genariolo, anch’essi precursori del colesterolo, coinvolti nel modulare la proliferazione cellulare da cui potrebbe derivare la formazione della placca aterosclerotica (11). L’esaurimento del colesterolo intracellulare provoca l’aumento del numero di recettori specifici per le LDL sulla superficie della cellula, che sono in grado di legare ed internalizzare le LDL circolanti. Tale azione comporta una riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo sia per riduzione della sintesi endogena sia per aumento del catabolismo delle LDL. I recettori delle LDL sono glicoproteine, strutturalmente suddivisi in cinque porzioni: l’estremità N-terminale; la porzione contenente il sito di legame con la LDL; la porzione omologa al precursore del fattore di crescita delle cellule dell’epidermide (EGF), costituita da alcune catene oligosaccaridi che (N-legate); la porzione ricca di catene saccaridi che O-legate; la porzione trans membrana; la porzione citoplasmatica con l’estremità C-terminale. I recettori non sono distribuiti in modo uniforme sulla superficie della membrana cellulare ma raccolti nelle “fossette rivestite” (coated pits), invaginazioni di membrana, tappezzate dalla clatrina, una proteina fibrosa polimerizzata a forma di canestro. I recettori sono in grado di riconoscere la apo B-100, contenuta nelle LDL, e legandosi ad essa formano il complesso LDL-recettore. Tale complesso è avvolto dalla clatrina ed internalizzato nella cellula in forma di vescicola rivestita. All’interno della cellula, il complesso LDL-recettore si libera del rivestimento di clastina, grazie alla depolarizzazione attuata da un enzima. Tale processo permette la dissociazione del complesso e i recettori ritornano sulla superficie delle fossette per ripetere l’operazione con le successive LDL. Nel corso della sua vita, che è di circa 20 ore, un recettore effettua la sua funzione ogni 10-20 minuti, per un totale di centinaia di cicli. Ciò che rimane delle vescicole entra nei lisosomi ed è idrolizzato da potenti idrolasi lisosomiali (12). Generalmente entro quattro settimane dall’inizio del trattamento con tali farmaci, si osserva:

 una riduzione del 20-60% del colesterolo LDL;  una riduzione del 10-30% dei trigliceridi plasmatici;  un lieve incremento del colesterolo HDL.

(24)

25 La rosuvastatina sembra essere la più efficace nel ridurre i livelli di colesterolo LDL, in quanto si osserva una riduzione media del 50% al dosaggio di 10 mg/die. I risultati ottenuti da trial clinici hanno dimostrato una significativa riduzione di nuovi eventi coronarici e cerebrovascolari aterotrombotici dopo aver iniziato il trattamento con le statine. Tale azione è legata a meccanismi differenti dalla riduzione dei livelli plasmatici delle lipoproteine, ad esempio il miglioramento della funzione endoteliale, il controllo della risposta infiammatoria, la stabilizzazione della placca, l’effetto antitrombotico (11). Le statine sono in grado di diminuire l’accessibilità di gruppi isoprenilici derivanti dalla via della HMG-CoA reduttasi per la prenilazione delle proteine, conseguentemente si ha una ridotta prenilazione delle proteine Rho e Rab. La Rho prenilata attiva la Rho chinasi, enzima coinvolto nella mediazione di diversi meccanismi molecolari della biologia vascolare. La riduzione dei nuovi eventi coronarici si verifica più rapidamente rispetto ai cambiamenti morfologici delle placche ateromatose. La stabilizzazione della placca avviene attraverso una diminuzione del deposito dei lipidi, una riduzione dell’infiltrazione dei macrofagi e l’aumento del collagene nell’intima e nella media. La riduzione della prenilazione di Rab comporta una riduzione dell’accumulo della proteina β-amiloide (Aβ) nelle cellule nervose, probabilmente attenuando le manifestazioni anatomopatologiche dell’Alzheimer (10).

2.4 Indicazioni terapeutiche e posologia

Gli inibitori dell’HMG-CoA reduttasi sono efficaci nel ridurre i livelli di LDL, da soli o in associazione alle resine leganti gli acidi biliari, alla niacina o all’ezetimibe. Le statine sono farmaci d’elezione nelle ipercolesterolemie familiari eterozigoti da carenza del recettore per le LDL, ma anche nelle altre forme. In presenza di iperlipidemia mista, le statine sono somministrate nel caso sia predominante l’ipercolesterolemia. In caso di monosomministrazione gli inibitori della reduttasi dovrebbero essere somministrati di sera, in quanto la sintesi di colesterolo avviene prevalentemente durante le ore notturne, ad eccezione delle statine a lunga emivita, quali l’atorvastatina e la rosuvastatina, dove tale cautela non è necessaria. Se l’assunzione del farmaco avviene con i pasti, si osserva un’aumentata capacità di assorbimento, ad eccezione della pravastatina. Le dosi giornaliere di lovastatina variano da 10 a 80 mg/die. Anche la pravastatina è potente

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26 come la lovastatina e la dose massima giornaliera raccomandata è di 80 mg/die. La simvastatina è due volte più potente e la dose giornaliera varia da 5 a 80 mg/die. La fluvastatina è due volte meno potente della lovastatina, la sua dose giornaliera raccomandata varia da 10 a 80 mg/die. L’atorvastatina è somministrata a dosi di 10-80 mg/die, mentre la rosuvastatina, è somministrata a dosi di 5-40 mg/die. La simvastatina è somministrata in dosi giornaliere di 5-80 mg/die. A seguito dell’aumento del rischio di miopatia alla dose di 80 mg/die, è stato ridotto il suo dosaggio a 40 mg/die. In gravidanza e durante l’allattamento è sconsigliato l’utilizzo di tali farmaci. Inoltre non dovrebbero essere somministrati ai bambini, tranne in presenza di ipercolesterolemia familiare omozigote o di iperlipidemia familiare combinata (10).

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27 2.5 Reazioni avverse

Group Year Definition

National Lipid Association

2014 Adverse effects relating to quality of life, leading to decisions to decrease or stop the use of an otherwise beneficial drug.

International Lipid Pane

2015 An inability to tolerate a dose of statin required to reduce a person’s cardiovascular risk sufficiently from their baseline risk and could result from different statin related side effects, including; muscle symptoms, headache, sleep disorders, dyspepsia, nausea, rash, alopecia, erectile dysfunction, gynecomastia, and arthritis.

European Atherosclerosis Societ

2015 The assessment of the probability of SAMS being due to a statin take into account the nature of the muscle symptoms, the elevation in CK levels and their temporal association with statin initiation, discontinuation, and re-challenge. Canadian

Consensus Working Group

2016 A clinical syndrome characterized by significant symptoms and biomarker abnormalities that is documented by challenge/de-challenge/re-challenge using at least 2 statins (including atorvastatin and rosuvastatin) that is not due to drugdrug interactions or untreated risk factors for intolerance.

Tabella 2. Definizioni di intolleranza alle statine

I principali effetti avversi causati dall’assunzione delle statine sono a carico del fegato e della funzione muscolare. A livello epatico, in alcuni pazienti trattati con statine sono presenti elevati livelli di transaminasi sieriche, con valori fino a tre volte superiori rispetto quelli normali. Tali aumenti possono essere anche intermittenti e non sono associati ad altri segni di tossicità epatica. In questi pazienti la somministrazione non deve essere sospesa in assenza di sintomi, ma è necessario valutare la funzionalità epatica e controllare periodicamente che i livelli di transaminasi si mantengano stabili. Nei pazienti che presentano una preesistente epatopatia o sono stati affetti da alcolismo, l’aumento delle transaminasi può essere superiore a tre volte i valori normali. Tale

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28 condizione anticipa una epatotossicità più grave. Le manifestazioni cliniche di tali pazienti sono: malessere generale, anoressia e riduzione improvvisa delle LDL. In questa condizione la somministrazione degli inibitori dell’HMG-CoA reduttasi dovrebbe essere sospesa immediatamente. Anche nei soggetti asintomatici in cui i livelli di transaminasi siano perennemente tre volte maggiori rispetto al limite superiore dei valori normali, è necessaria la sospensione. Le statine dovrebbero essere somministrate a dosaggio ridotto in quei pazienti con malattie del parenchima epatico, negli asiatici e nei soggetti anziani. Non devono essere assunte in caso di soggetti affetti da grave epatopatia. Gli enzimi epatici dovrebbero essere determinati prima dell’inizio del trattamento, dopo 1-2 mesi e successivamente, se i valori sono stabili, ogni 6-12 mesi. Le transaminasi devono essere monitorate assiduamente in quei pazienti che assumono altri farmaci che possono interagire con le statine, causando effetti avversi. Non di minore importanza è l’eccessivo consumo di alcool, in quanto tende ad acutizzare gli effetti tossici degli inibitori dell’HMG-CoA reduttasi a livello epatico. Durante la terapia con le statine i livelli di glucosio a digiuno nel sangue tendono ad aumentare di 5-7 mg/dL (10).In uno studio retrospettivo di coorte su adulti sani statunitensi, l’uso di statine è associato all’aumento dell’incidenza del diabete, con aumento del peso corporeo. I pazienti, non affetti da patologia cardiovascolare preesistente, sono stati valutati dal 1 ottobre 2003 al 1 marzo 2012. Essi sono stati suddivisi in due gruppi: 3982 utilizzatori di statine e 21988 non utilizzatori. Gli utilizzatori di statine hanno mostrato maggior probabilità di sviluppare diabete (odds ratio [OR] 1,87, intervallo di confidenza del 95% [95% CI] 1,67-2,01), diabete con complicanze (OR 2,50, IC 95% 1,88-3,32) e sovrappeso / obesità (OR 1,14, IC 95% 1,04-1,25) (13). Tra gli effetti avversi più diffusi nei soggetti che assumono statine vi sono sintomi muscolari (SAMS), soprattutto negli arti inferiori. Tali sintomi si manifestano entro 1 mese dall’inizio del trattamento o a causa dell’aumento della dose. Essi comprendono:

 la mialgia, con o senza lieve aumento dell’attività della creatinchinasi (CK) plasmatica (<5 x ULN), solitamente associati ad intensa attività fisica;

 miopatia severa (CK tra 10-100 ULN);

 rabdomiolisi, con elevate concentrazioni di creatinchinasi (>100 ULN), con mioglobinuria e alterazione renale;

(28)

29  miopatia necrotizzante auoimmune, (CK 10-100 x ULN) con anticorpi

antiHMG-CoA reduttasi (14).

Alcuni fattori predisponenti a patologie rare e gravi come la miosite e la rabdomiolisi, sono la patologia renale, il diabete mellito di tipo 2, ipotiroidismo, carenza di vitamina D, l’interazione farmaco-farmaco ed anormalità elettrolitica, mentre tali fattori non sono presenti nei soggetti affetti da mialgia. Da tali osservazioni si deduce la presenza di una suscettibilità, forse genetica, nei pazienti con mialgia che provoca una risposta patofisiologia alle statine. In uno studio effettuato negli Stati Uniti, sono stati confrontati i profili di espressione genica nelle biopsie muscolari scheletriche di pazienti in cui si è manifestata la mialgia associata all’assunzione di statine (casi), con quei pazienti tolleranti le statine (controlli). Inoltre tra casi e controlli vi sono geni espressi in modo differente (DEG). Sottoponendo i DEG alle analisi IPA (Ingenuity Pathways) e DAVID (Database for Annotation, Visualization and Integrated Discovery), sono state identificate le vie metaboliche alterate. Le principali alterazioni sono:

 lo stress cellulare, l’apoptosi, la senescenza cellulare e la riparazione del DNA (TP53, BARD1, Mre11 e RAD51);

 l’attivazione della risposta immunitaria pro infiammatoria (CXCL12, CST5, POU2F1);

 il catabolismo proteico, biosintesi del colesterolo, la prenilazione proteica e l’attivazione di RAS-GTPase (FDFT1, LSS, TP53, UBD, ATF2, H-ras).

Inoltre sono stati identificati differenti polimorfismi a singolo nucleotide ad esempio dei geni SLCO1B1, SLCO2B1 e RYR2, in pazienti in cui si verificano mialgia e miosite associata all’assunzione di statine. Il polimorfismo a singolo nucleotide rs4149056 del gene SLCO1B1 che codifica per il trasportatore di captazione epatica OAT1B1 è presente nei pazienti con mialgia causata dal trattamento con statine. Il polimorfismo rs12422149 del gene SLCO2B1 è legato all’assorbimento di statine e alla promozione della tossicità delle statine nelle cellule di mioblasto del muscolo scheletrico umano in vitro. Inoltre, causa una maggiore clearance della simvastatina nei casi. Il polimorfismo rs1128503 del gene ABCB1 che codifica per la glicoproteina p-MRD1, responsabile del riassorbimento intestinale di statine e dell’efflusso dal muscolo di statine, è identificato nei soggetti con mialgia dopo trattamento con statine. La

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30 variante rs2819742 del recettore della rianidina (RYR) è legata alla miotossicità delle statine nei soggetti affetti da mialgia causata da statine (15). I pazienti trattati con statine hanno un' elevata produzione di proteine prenilate che possono causare apoptosi nei muscoli scheletrici (16). La funzionalità mitocondriale è compromessa, in quanto conseguentemente alla ridotta produzione di colesterolo, è presente una ridotta produzione dei suoi precursori, tra cui il CoQ10. Il Coq10 è un cofattore essenziale della catena di trasporto degli elettroni ed importante antiossidante nei mitocondri e nelle membrane lipidiche. L’esaurimento del CoQ10 nei mitocondri dei miociti può alterare la respirazione cellulare e di conseguenza causare tossicità muscolare. Di conseguenza la carenza di CoQ10 indotta da statine è coinvolta nella patogenesi della miopatia. La supplementazione con CoQ10 può aumentare i livelli circolanti di CoQ10 ma i dati sull'effetto dell'integrazione di CoQ10 su i sintomi miopatici sono ancora incoerenti (15). Studi recenti hanno dimostrato l’assenza di beneficio dell’integrazione con CoQ10, ma sono necessari ulteriori studi per confermare tale ipotesi. In uno studio effettuato dall’Università di Hartford e dall’ Università del Connecticut, hanno osservato l'effetto dell'integrazione del coenzima Q10 (CoQ10) sul dolore muscolare, la forza muscolare e la prestazione aerobica in pazienti con mialgia causata da statine. La mialgia delle statine è stata confermata in 120 pazienti con precedenti sintomi di mialgia delle statine utilizzando uno studio crossover in doppio cieco randomizzato di 8 settimane di simvastatina 20 mg/die placebo. Solamente 41 soggetti hanno riferito dolore muscolare con simvastatina ma non con placebo e sono stati randomizzati a simvastatina 20 mg/die combinati con CoQ10 (600 mg/die Ubichinolo) o placebo per 8 settimane. Dolore muscolare (Brief Pain Inventory [BPI]), tempo per l'inizio del dolore, forza muscolare delle braccia e delle gambe e massimo assorbimento di ossigeno (VO2max) sono stati misurati prima e dopo ogni trattamento. Al termine del trattamento i livelli di CoQ10 aumentato da 1,3 ± 0,4 a 5,2 ± 2,3 mcg/mL con simvastatina e CoQ10 , ma non è stato rilevato nessun aumento con l’assunzione di simvastatina e placebo (da 1,3 ± 0,3 a 0,8 ± 0,2) (p <0,05). L’intensità del dolore BPI è aumentato con la terapia con simvastatina (p <0,01), indipendentemente dall'integrazione con CoQ10 (p = 0,53 e 0,56). Nessun cambiamento è stato rilevato nella forza muscolare o nel VO2max con simvastatina con o senza CoQ10 (tutti p> 0,10). Marginalmente più soggetti hanno riferito dolore con CoQ10 (14 su 20 vs 7 su

(30)

31 18; p = 0,05). Inoltre il manifestarsi del dolore avviene simultaneamente nei due gruppi (CoQ10 3,0 ± 2,0 settimane vs placebo 2,4 ± 2,1 settimane) (p = 0,55). Tali risultati dimostrano che l' integrazione con CoQ10 non riduce il dolore muscolare nei pazienti con mialgia dovuta a statine (17). Gli effetti tossici delle statine sulle strutture cellulari e subcellulari sono legati al sovraccarico del calcio. Tale sovraccarico porta all’aumento della fosforilazione ossidativa, con riduzione dei livelli di ATP, alla perdita del potenziale della membrana mitocondriale, alla formazione del poro di transizione di permeabilità mitocondriale 2 , alla diminuzione della biogenesi e della densità mitocondriale, all’apoptosi e alla morte cellulare. Inoltre questi effetti possono scatenare un elevato rilascio di calcio, tramite il recettore della rianodina (RYR), dal reticolo sarcoplasmatico o nel poro di transizione di permeabilità mitocondriale nel citoplasma, con attivazione delle caspasi, con conseguente apoptosi (14). All’inizio della terapia con statine, in tutti i pazienti dovrebbero essere misurate le concentrazioni di CK. Se vi è la comparsa di dolori muscolari, flaccidità o debolezza muscolare, la CK dovrebbe essere misurata immediatamente e il farmaco sospeso se l’attività risulta superiore rispetto ai valori di normali. La miopatia regredisce rapidamente con l’interruzione della terapia. Raramente vi è la comparsa di sindromi di ipersensibilità, ad esempio alterazioni simili al lupus eritematoso e alla neuropatia periferica. La terapia con inibitori dell’HMG-CoA reduttasi dovrebbe essere interrotta temporaneamente in presenza di malattie gravi, traumi o interventi chirurgici maggiori per ridurre al minimo il rischio di tossicità per il fegato e i muscoli (10).

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32 Figura 1. Potenziali meccanismi per lo sviluppo della tossicità delle statine

Esistono differenti pareri sugli effetti delle statine sulla funzionalità renale. Una lieve, transitoria proteinuria è talvolta osservata a causa di terapia con statine a dosi elevate, ma ciò non è associato a compromissione renale. Si pensa che questi effetti tossici siano correlati all’ inibizione dell’ HMG-CoA reduttasi. Le cellule del tubulo prossimale sono responsabili del riassorbimento delle proteine, un processo che coinvolge alcune proteine legate al GTP. L’inibizione dell’ HMG-CoA reduttasi da parte delle statine causano la riduzione degli isoprenoidi pirofosfati, che sono fondamentali per la prenilazione e la normale funzione delle proteine legate al GTP. Studi in vitro hanno dimostrato che le statine inibiscono l'assorbimento dell'albumina tramite l'endocitosi mediata dal recettore in modo dose-dipendente senza effetti sulla tossicità cellulare. Gli effetti sull'assorbimento erano associati al grado d’inibizione dell'HMG-CoA reduttasi e legata alla riduzione dei metaboliti del mevalonato, diversi dal colesterolo. Uno studio di coorte sulla popolazione italiana ha messo in evidenza che le statine più potenti erano in grado di provocare con maggior probabilità il ricovero in ospedale per lesioni renali

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33 acute a 6 mesi dall’inizio della terapia rispetto a statine a bassa potenza, anche se non c'erano prove sul rischio di causare malattia renale cronica. Diverse meta-analisi, tuttavia, hanno rivelato nessun cambiamento nel rischio di insufficienza renale acuta o di aumento di eventi avversi gravi a livello renale con terapia con statine. La terapia con statine non ha aumentato il rischio di eventi di insufficienza renale negli adulti non sottoposti a dialisi, ma è stata evidenziata la riduzione in modo modesto della proteinuria e la diminuzione della velocità di filtrazione glomerulare. Altri eventi avversi mediati dalle statine includono cataratta, effetti gastrointestinali, effetti sulla salute urogenitale, ginecomastia ed effetti riproduttivi (14). Nel giugno 2011 la FDA ha pubblicato un comunicato sulla sicurezza della simvastatina, raccomandando di ridurre l’uso della dose massima giornaliera del farmaco. Tale dose deve essere somministrata solo nei pazienti che hanno già assunto il farmaco in tali quantitativi per 12 mesi, senza lesioni a livello muscolare, e non deve essere somministrata a nuovi pazienti. Inoltre la FDA ha richiesto la modifica dell’etichetta per inserire nuove controindicazioni e i limiti di dose della simvastatina quando è somministrata in concomitanza con altri farmaci. Nei pazienti il rischio di sviluppare miopatia è maggiore nel primo anno di terapia ed è spesso associato ad una predisposizione genetica per la miopatia legata alla

simvastatina. La rabdomiolisi è rara

(

18

).

2.6 Interazioni farmacologiche

Poiché le statine sono farmaci per terapie croniche, frequentemente in soggetti politrattati, la possibilità di esposizione a cosomministrazioni è elevata. Alcune delle statine disponibili in commercio come la lovastatina, la simvastatina e l’atorvastatina sono trasformate attraverso la via del citocromo CYP3A4, mentre il catabolismo della rosuvastatina e della fluvastatina è mediato dal citocromo CYP2C9. La pravastatina è metabolizzata tramite altre vie metaboliche, compresa la solfatazione. Gli inibitori della reduttasi dipendenti dal metabolismo del citocromo 3A4 tendono ad accumularsi nel plasma se sono somministrati contemporaneamente a farmaci che inibiscono o competono per il citocromo 3A4. Tali farmaci includono macrolidi, ciclosporina, ketoconazolo ed analoghi, alcuni inibitori delle proteasi per la terapia dell’HIV, tacrolimus, nefazodone, fibrati, paroxetina, venlafaxina ed altri. Anche l’utilizzo in

(33)

34 contemporanea degli inibitori della reduttasi con amiodarone o verapamil può aumentare il rischio di miopatia. Invece, farmaci come fenitoina, griseofulvina, barbiturici, rifampicina e tiazolidinedioni amplificano l’espressione del citocromo CYP3A4 e possono diminuire le concentrazione plasmatiche della lovastatina, la simvastatina e l’atorvastatina. I farmaci che competono per il citocromo CYP2C9 come ketoconazolo ed analoghi, metronidazolo, sulfinpirazone, amiodarone e cimetidina possono incrementare le concentrazioni plasmatiche degli inibitori della reduttasi dipendenti dal metabolismo di tale citocromo. La pravastatina e la rosuvastatina sembrano avere un basso rischio di interazione con verapamil, ketoconazolo ed altri antimicotici analoghi, macrolidi e ciclosporina. Per mantenere un basso rischio di interazione, il dosaggio dovrebbe essere mantenuto basso ma è necessario monitorare frequentemente il paziente. Le concentrazioni plasmatiche di lovastatina, simvastatina e atorvastatina possono essere elevate nei pazienti che abbiano ingerito più di 1 L di succo di pompelmo al giorno. Tutti gli inibitori dell’HMG-CoA reduttasi vanno incontro a glicosilazione, causando in tal modo interazione con il gemfibrozil. Nei soggetti che assumono associazioni di farmaci potenzialmente in grado di causare interazioni si dovrebbe periodicamente misurare la CK (10).

(34)

35 Capitolo 3

TERAPIA DELL’IPERCOLESTEROLEMIA: DIETA, ESERCIZIO FISICO, STATINE E RISO ROSSO FERMENTATO

3.1 Trattamento dietetico nell’ipercolesterolemia

Le concentrazioni sieriche del colesterolo sono influenzate dall’intake alimentare e dal tipo di grassi alimentari assunti, infatti gli acidi grassi saturi sono i principali responsabili dell’ ipercolesterolemia. I livelli di LDL aumentano nel sangue in risposta alla quantità di colesterolo e acidi grassi saturi assunti, e se introdotti in quantità elevate, aumentano il rischio cardiovascolare. La terapia nutrizionale nei soggetti con ipercolesterolemia prevede:

 Limitare il consumo di acidi grassi saturi

Gli acidi grassi saturi sono il principale fattore di rischio dietetico nell’ipercolesterolemia. Per questo motivo gli acidi grassi saturi introdotti con la dieta non dovrebbero apportare più del 10% delle calorie totali, limitando il consumo di alimenti che ne sono ricchi: prodotti a base di latte intero (burro, formaggi), carni grasse (salame, selvaggina, carni con grasso), oli tropicali (olio di cocco, olio di palmisti, ecc.). I principali acidi grassi saturi assunti con la dieta sono: acido laurico (12:0), acido miristico (14:0), acido palmitico (16:0) e stearico (18:0). L'acido laurico è l'acido grasso saturo che è in grado di aumentare maggiormente il colesterolo LDL. Tuttavia, è in grado di aumentare anche il colesterolo HDL, riducendo il colesterolo totale. In soggetti con alti livelli di colesterolo LDL, e/o con MCV, l’apporto medio con la dieta di acidi grassi saturi dovrebbe essere inferiore al 7% (19).

 Ridurre al minimo il consumo di acidi grassi trans

E’ stato dimostrato che gli acidi grassi trans aumentano i livelli di colesterolo LDL e riducono quelli del colesterolo HDL. Le indicazioni nutrizionali indicano la necessità di ridurre il più possibile le fonti di acidi grassi trans (< 5g/die), che sono rappresentate principalmente dagli acidi grassi idrogenati (alcune margarine usate come ingredienti di dolci, ecc.) (20).

(35)

36  Limitare il consumo di alimenti ricchi di colesterolo

Il colesterolo esogeno aumenta i livelli di colesterolemia anche se meno

significativamente rispetto agli acidi grassi saturi. La maggior parte degli alimenti ricchi in colesterolo presentano un elevato contenuto di acidi grassi saturi. Ad esempio, per ogni 100 g di carne bovina (non tagliata) contengono 99 mg di colesterolo, ha 29,4 g di SFA; formaggio naturale, 107 mg di colesterolo e 19 g di SFA e il pollo (carne e pelle) contiene 101 mg di colesterolo e ha 3,8 g di SFA. Tra gli alimenti ricchi in colesterolo le eccezioni sono uova e gamberetti. I gamberetti contengono 124 mg di colesterolo e 0g di SFA e un uovo di grandi dimensioni (50 g) contiene 186 mg di colesterolo e 1,56g di SFA. Il consumo giornaliero di colesterolo dovrebbe essere inferiore ai 300 mg. Nei soggetti con alti livelli di colesterolo LDL, con il diabete e/o con MCV il consumo medio giornaliero di colesterolo dovrebbe essere inferiore ai 200mg (21).

 Includere nella dieta alimenti ricchi di acidi grassi mono e polinsaturi

Per ridurre la quota di acidi grassi saturi presenti nella dieta è consigliabile consumare cibi ricchi in acidi grassi mono e polinsaturi. I primi sono rappresentati dall’acido oleico e presentano un solo doppio legame tra le molecole di carbonio. Essi si trovano principalmente nell’olio extravergine di oliva. I secondi hanno più di due doppi legami. Essi si suddividono in ω-3 (acido alfa linolenico), presenti nel pesce azzurro, nei semi di lino, nella frutta secca, e ω-6 (acido linoleico), presenti nella frutta secca. Sono “grassi essenziali”, non prodotti dal nostro organismo, quindi devono essere introdotti con la dieta. In differenti studi è emerso il ruolo benefico degli acidi grassipolinsaturi della serie ω-3,in particolare l’EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico), che esplicano un’azione cardioprotettiva. Per l’effetto benefico osservato nei confronti della malattia cardiovascolare, così come in altre patologie di tipo infiammatorio o autoimmune, si consiglia il consumo settimanale da due a tre porzioni di pesce(tra cui pesce azzurro, merluzzo, salmone) (22).

 Aumentare l’apporto di fibra solubile

L’assunzione di fibra solubile è importante in quanto tramite la formazione di un gel a livello intestinale si rallenta lo svuotamento gastrico e si riduce l’assorbimento del colesterolo e degli acidi biliari. Inoltre dalla fermentazione della fibra solubile si

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37 ottengono gli acidi grassi a catena corta, che sono in grado di inibire la sintesi epatica di colesterolo.

Tabella 1. Effetto degli interventi nutrizionali finalizzati al controllo della colesterolemia LDL

Il trattamento dietetico deve essere inteso come rieducazione del soggetto verso un’alimentazione che lo porti ad avere un peso corporeo salutare ed a mantenerlo nel tempo (21). Analoga importanza in senso preventivo e protettivo ha lo stile di vita attivo, in particolare la regolare attività fisica, specie di tipo aerobico che, se praticata per almeno 150 minuti la settimana, produce effetti favorevoli di varia natura a livello cardiovascolare, ad esempio il miglioramento della funzione endoteliale vascolare, la

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