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Diritto alla salute e libertà di scelta nel fine vita

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Specialistica in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

DIRITTO ALLA SALUTE E LIBERTA’ DI SCELTA

NEL FINE VITA

Relatore:

Candidato

Chiar.mo Prof. Giuseppe CAMPANELLI

Samuele MELONI

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Indice

Principi Costituzionali

1.1 Diritto individuale alla salute o dovere dei pubblici poteri ad apprestare un

servizio sanitario adeguato ... 1

1.1.1 La giurisprudenza costituzionale: una difficile distinzione all’interno dell’articolo 32 ... 5

1.1.1.1 Il diritto alla salute quale diritto all’integrità psico-fisica ... 6

1.1.1.2 I trattamenti sanitari quale forma di tutela della salute... 9

1.1.1.3 Il diritto alla salute quale libertà di scelta della cura ... 19

1.2 Autodeterminazione dell’individuo e dignità della persona ... 26

Il Fine Vita: Riflessioni Preliminari 2.1 Diritto all’informazione e consenso al trattamento sanitario quale atto condizionante ... 31

2.1.1 Segue: Una valida informazione ... 39

2.2 La vita: fino a che punto è degna di essere vissuta? Bisogna davvero soffrire per vivere? ... 45

2.2.1 Morire o lasciarsi far morire? Un interrogativo sul fine vita e l’accanimento terapeutico... 50

2.2.2 Rifiuto delle cure ed eutanasia: la faccia della stessa medaglia ... 54

2.2.2.1 I modelli permissivi nelle scelte eutanasiche ... 55

2.2.2.2 Le varie forme di eutanasia... 60

Capitolo 3 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento 3.1 Legge 219 del 22 Dicembre 2017: “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” o “Legge Sul Fine Vita”. ... 63

3.2 Le esperienze europee sul tema del fine vita e dell’eutanasia. ... 67

3.2.1 Francia ... 67

3.2.2 Germania... 70

3.2.3 Paesi Bassi ... 72

3.2.4 Regno Unito ... 74

3.2.5 Spagna... 77

3.3 Le Disposizioni anticipate di trattamento. Una legge che rende libertà dalla malattia? ... 84

3.3.1 Contratto, testamento o comando? Una discussione essenzialmente semantica. 89 3.3.2 Requisiti e forma... 92

3.3.3 Il fiduciario ... 96

3.3.4 Una questione di coscienza medica ... 97

3.4 Limitazione della sofferenza, cure palliative e sedazione profonda continua. ... 101

Riflessioni Conclusive ... 109

Ringraziamenti ... 115

Bibliografia ... 117

(6)
(7)

P

RINCIPI

C

OSTITUZIONALI

Sommario: 1.1 Diritto individuale alla salute o dovere dei pubblici poteri ad

apprestare un servizio sanitario adeguato; 1.1.1 La giurisprudenza costituzionale: una difficile distinzione all’interno dell’articolo 32; 1.1.1.1 Il diritto alla salute quale diritto all’integrità psico-fisica; 1.1.1.2 I trattamenti sanitari quale forma di tutela della salute; 1.1.1.3 Il diritto alla salute quale libertà di scelta della cura; 1.2 Autodeterminazione dell’individuo e dignità della persona

1.1 Diritto individuale alla salute o dovere dei pubblici poteri ad apprestare un servizio sanitario adeguato

Nella nostra Costituzione un apposito articolo è dedicato alla salute. Recita infatti l’articolo 32:

«La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

Da una piana lettura del primo comma, emerge che la salute è da considerare a tutti gli effetti un diritto primario della persona1, e non

1 Il riconoscimento della salute come «diritto primario e fondamentale» Corte cost.

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invece un dovere, lasciando pertanto al singolo la piena facoltà di curarsi o non curarsi. E’ compito della Repubblica, ad ogni modo, creare le condizioni affinché le persone possano esercitare il loro diritto alla salute, predisponendo i mezzi adeguati a tal fine, nonché consentendo a tutti i cittadini l’accesso all’assistenza sanitaria generale o anche specialistica. L’espletamento di un tale compito risponde – chiarisce ancora il primo comma dell’articolo 32 – ad un «interesse della collettività».

Lo Stato, in altri termini, riconoscendo ad ogni individuo il diritto alla salute, ne diviene per ciò stesso il garante. Questa garanzia si attua mediante la difesa di quell’inalienabile bene personale – la salute appunto- contro ogni prevedibile situazione che lo possa compromettere.

Se nel testo costituzionale si riconosce all’individuo il diritto e la libertà di curarsi, ciò non di meno l’ordinamento non può rimanere inerte, quando la minaccia alla salute individuale rischia di trasformarsi in una minaccia alla salute collettiva.

Infatti, nel comma successivo dell’articolo 32 il Costituente si preoccupa di tutelare la salute della collettività come bene pubblico,

1990, Cass. SS.UU., sent. 21 marzo 1973, sent. 6 giugno 1981, n. 3675, della prima sezione civ.

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riservando al legislatore la facoltà di imporre gli opportuni trattamenti sanitari al soggetto affetto da patologie che possano rappresentare una fonte di contaminazione. In tale caso i trattamenti sanitari imposti dalla legge non possono comunque «violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

In sede di interpretazione giurisprudenziale – ad opera sia della Corte costituzionale e sia della Cassazione – l’articolo 32 ha avuto rilievo sotto due profili: in una dimensione sociale ed oggettiva, ma anche in una dimensione individuale e soggettiva. Questa seconda dimensione – la dimensione individuale - si è articolata a sua volta in situazioni soggettive differenti a seconda della natura e del tipo di protezione assicurata dall’ordinamento. Le interpretazioni così fornite dalle due Corti sul tema della salute, e segnatamente dalla Corte costituzionale, hanno in svariate occasioni legato strettamente nella loro attività interpretativa il primo al secondo comma dell’articolo 32.

Fatto sta che l’impianto normativo dell’articolo 32 ha dato origine all’istituzione del S.S.N2 che, nello spirito della sua istituzione e delle

2 S.S.N acronimo di Servizio sanitario nazionale, istituito dalla legge n.833 del 1978,

fornisce l'assistenza sanitaria a tutti i cittadini senza distinzioni di genere, residenza, età, reddito e lavoro e si basa sui seguenti principi fondamentali: a) responsabilità pubblica della tutela della salute; b)universalità ed equità di accesso ai servizi sanitari; c)globalità di copertura in base alle necessità assistenziali di ciascuno, secondo quanto previsto dai Livelli essenziali di assistenza; d)

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modifiche legislative che si sono succedute nel corso degli anni, si è proposto di assicurare prestazioni sanitarie a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione. Nello spirito dell’art. 3 della Costituzione, le prestazioni sanitarie dovrebbero essere uniformi e del medesimo livello qualitativo su tutto il territorio nazionale.

Di certo, da una prima lettura dell’art. 32, sembrerebbe che la Repubblica debba assicurare in modo indiscriminato e illimitato il diritto alla salute. Una tale affermazione risulta peraltro smentita, rinvenendosi delle limitazioni, o meglio, delle restrizioni non soltanto all’interno della stessa Carta costituzionale, ma anche nelle specifiche normative di settore rivolte a disciplinare il SSN. Ciò pone delle criticità – già peraltro intraviste in sede di assemblea costituente3 - tali

finanziamento pubblico attraverso la fiscalità generale; e)"portabilità" dei diritti in tutto il territorio nazionale e reciprocità di assistenza con le altre regioni.

3 Già infatti in sede di assemblea costituente, anche se in maniera non spiccatamente

emergente, il problema di assicurare cure in modalità indiscriminata e illimitata era già emerso. Di certo in quello specifico momento doveva tenersi conto del particolare contesto economico e sociale, di un Paese che usciva dal periodo bellico e che si lasciava alle spalle un regime totalitario. Basta analizzare in modo approfondito il discorso dell’on. Nitti, il quale metteva in evidenza l’impossibilità di poter sostenere un diritto alla salute in assenza di opportune coperture finanziarie. “Nitti. [...] L'articolo 26 fissa gli obblighi della Repubblica. Si parla sempre di Repubblica, mai dello Stato. Si vuole affermare che la Repubblica esiste. Non avremo bisogno di questa affermazione ripetuta e continua, se veramente ci crediamo. La Repubblica dunque «tutela la salute, promuove l'igiene e garantisce cure gratuite agli indigenti». Dunque, la Repubblica, fin da ora, assume come obblighi di tutelare la sanità, promuovere l'igiene e garantire cure gratuite agli indigenti. Voglio ben ripeterlo perché non credo ai miei occhi. Voi sapete quale è la situazione dell'Italia, voi sapete che cosa sono gli ospedali, quale è la situazione di almeno i nove decimi dell'Italia, in cui manca e per parecchi anni mancherà un

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da indebolire, alla fin fine, l’effettiva tutela della salute, così come concepita dall’art. 32.

1.1.1 La giurisprudenza costituzionale: una difficile distinzione

all’interno dell’articolo 32

Molto spesso nella giurisprudenza chiamata a pronunciarsi in merito all’ambito di applicazione dell’articolo 32 della Costituzione, è dato rilevare l’assenza di un riferimento puntuale a ciascuna delle due

po' di tutto. E noi assumiamo proprio adesso, improvvisamente, l'impegno di assicurare tutte queste cose che non potremo, per parecchi anni, assicurare? Ora, credete che sia buona procedura promettere in nome della Repubblica ciò che non si può mantenere? E perché farne materia di Costituzione? Quando il popolo domani ci domanderà: dal momento che la Repubblica garantisce queste cose, e come e in qual forma le può garantire? Io non vi voglio annoiare con molte cifre; lo farò la prossima volta quando parleremo della situazione finanziaria. Io vi dirò allora quale è la situazione economica e finanziaria. Troppe cose si sono dissimulate e troppe si continuano ancora a dissimulare; parlerò delle cose che potremo fare e anche di quelle che non potremo fare e che si promettono senza serietà. Noi dovremo, infine, se Dio vuole, discutere con linguaggio di realtà quale sia la situazione economico-finanziaria. Dobbiamo dire quali obblighi possiamo assumere e quali no e dovremo dire a quante cose dovremo rinunziare. Lasciate, dunque, che il nome della Repubblica non sia compromesso in questi equivoci, perché le togliamo anche quel prestigio di serietà che le è indispensabile. Non promettere nulla non potendo mantenere, ma sopra tutto sapendo da prima di non poter mantenere: questa dovrebbe essere prima regola di onestà. Quando voi avete promesso nella costituzione solennemente di dare al popolo ciò che non potete tra sei mesi, tra un anno, fra parecchi anni, e vi troverete senza aver dato niente e senza poter promettere più niente perché non vi crederanno, quale prestigio avrà la Repubblica? Vi prego dunque di non continuare a imitare lo stile fascista e di non esagerare e non promettere. Il fascismo mai è stato una consuetudine nella vita così forte come ora; non è l'ondata delle ridicole e inesistenti forze armate fasciste che ci minaccia, è la vita fascista che noi assorbiamo ogni giorno nelle nostre abitudini. Mai forse come ora il fascismo sovrasta tutta la vita nazionale. (Approvazioni).”, in F. CALZARETTI (a cura di) in La nascita della Costituzione Le discussioni in Assemblea Costituente a commento degli articoli della Costituzione,

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disposizioni di cui si compone il comma 1, nonché al primo comma come diverso e ben distinto dal secondo comma, sì che al diritto alla salute, che sembrerebbe riferibile alla sola prima parte del comma 1, vengono a sovrapporsi fattispecie d’intervento statale nel campo della salute.

Di certo, le svariate pronunce che nel corso degli anni si sono succedute hanno preso in esame il diritto alla salute in vario modo, ed in particolare: il diritto alla salute quale diritto all’integrità psico-fisica, e inoltre i trattamenti sanitari quale forma di tutela della salute e da ultimo il diritto alla salute quale libertà di scelta della cura o di non

curarsi.

1.1.1.1 Il diritto alla salute quale diritto all’integrità psico-fisica

Il diritto all’integrità psico-fisica, congiunto alle relative forme di tutela, rappresenta il contenuto essenziale del diritto alla salute4. In

quanto diritto soggettivo assoluto, la pretesa di accedere alle tutele

4 In una prima fondamentale accezione, la salute da garantire ai sensi dell’articolo

32 Cost. è l’integrità della persona, da intendersi non nella mera dimensione corporea, per cui la salute si limiterebbe all’assenza di malattie o di lesioni nel fisico, ma nella assai più complessa dimensione del benessere che deriva dall’equilibrio tra soma e psiche [Corte cost. 161/1985; 215/1987; 167/1999; 282/2002. Cfr. C 2007/21748: la salute non va più intesa «come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza».

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disponibili può essere direttamente azionata erga omnes5, e cioè non solo nei confronti sia dei pubblici poteri, bensì anche nei rapporti con gli altri soggetti privati.

Ne discende che la tutela della saluta rinviene il suo nucleo essenziale nella pretesa che ogni soggetto, portatore di legittimo interesse, può esigere nei confronti di chiunque di astenersi da eventuali comportamenti che possano mettere a repentaglio l’integrità e la salute psichica dell’individuo. Questa interpretazione sembra del resto perfettamente in linea con la concezione integrale della persona umana, dettata dall’articolo 2 della Costituzione.

L’attività interpretativa della Cassazione in merito all’articolo 32 ha portato a individuare la fattispecie del ‘danno biologico’6 che «va

riferito all’integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa, nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva e ad ogni altro ambito e modo in

5 Corte cost. 88/1979; 212/1983; 167/1986; 184/1986; 559/1987; 307/1990;

455/1990; 202/1991; 356/1991; 218/1994; 118/1996; 399/1996. Corte Cass. 796/1973; 999/1973; 3164/1975; 1463/1979; 5172/1979; 3675/1981; 9389/2000.

6 Corte cost. 559/1987; 561/1987; 87/1991; 356/1991; 485/1991; 202/1991; 37/1994.

In letteratura, DOGLIOTTI, in G. it., 1994, 161ss. Corte Cass, 233/1981; 2258/1981;

3675/1981; 2396/1983; 2422/1984; 6134/1984; 6135/1984; 1130/1985; 3112/1985; 33671988; 2150/1989; 645/1990; 2761/1990; 7101/1990; 1328/1991; 8325/1992; 357/1993; 2009/1993; 11710/1998; 10405/1998; 1307/2000; 15859/2000.

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cui il soggetto svolge la sua personalità, e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana»7 , La Cassazione ha poi affermato

che la tutela della salute deve essere estesa anche alla pretesa dell’individuo ad usufruire in ambito lavorativo di condizioni di vita ed ambiente che non mettano a rischio questo suo bene essenziale8 .

A partire dal presupposto del valore della persona umana, e dunque della salute della persona, la stessa Cassazione, seguita ben presto dalla Corte costituzionale, ha affermato che dalle lesioni alla salute intesa come «diritto primario» della persona umana «scaturisce il diritto al risarcimento dei danni», ivi compreso il danno biologico. Attraverso l’evoluzione della giurisprudenza successiva, infatti, si è giunti a sentenze che hanno dichiarato l’illegittimità di normative in cui la tutela risarcitoria appariva negata o limitata, sentenze che muovono proprio dell’assunto che i danni alla salute psicofisica di un individuo sono danni che compromettono le capacità di porre in essere quelle «attività realizzatrici della persona umana».9

7 Corte Cass. Sent. 356/1991 e 485/1991 8 Corte Cass. Sent 218/1994

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1.1.1.2 I trattamenti sanitari quale forma di tutela della salute

Mentre il comma 1 dell’articolo 32, stabilendo che “La Repubblica

tutela la salute”, sembra porre la salute in una prospettiva di doverosità,

viceversa, al comma 2, il quale recita: «Nessuno può essere obbligato

a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», la salute diventa oggetto della facoltà di scegliere, rimessa

all’individuo, se curarsi o non curarsi, eccetto la previsione di una riserva di legge per quanto riguarda i trattamenti sanitari obbligatori.

Quanto appena detto suggerisce di riflettere sulla forma con cui il diritto di essere curato può, e deve, essere esercitato per mezzo dei trattamenti sanitari, i quali possono essere distinti in trattamenti sanitari facoltativi (comma 1) o trattamenti sanitari obbligatori (comma 2), ossia quelli imposti dalla legge.

I trattamenti sanitari facoltativi che lo Stato, attraverso il SSN, mette a disposizione dell’individuo a fini di cura, costituiscono quel nucleo

irrinunciabile del diritto alla salute10 a cui l’individuo attinge per potersi curare. Anche se il diritto alla salute non è illimitato, dovendosi anche qui operare un bilanciamento con altri interessi

10 «nucleo irrinunciabile del diritto alla salute, protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l'attuazione di quel diritto» Corte Cost. (Sentenze n. 432 del 2005, n. 233 del 2003, n. 252 del 2001, n. 509 del 2000. n. 309 del 1999, n. 267 del 1998)

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costituzionalmente protetti, nonché dovendosi tener conto, anche riguardo alla salute, delle risorse organizzative e finanziarie disponibili al momento, esso è ciò nonostante un diritto di libertà11. Questa

oggettiva limitazione posta al diritto alla salute è comunque comune a tutti i diritti a prestazioni dovute ai cittadini dai pubblici poteri.

Lo stesso articolo 32, in quella che è la disposizione protezionistica in esso contenuta, riafferma il diritto di assicurare cure gratuite anche a quei cittadini in condizioni economiche disagiate, che lo stesso articolo definisce come indigenti. In particolare, la gratuità delle prestazioni, secondo la Corte costituzionale, è da riconoscersi anche ai cittadini che si trovino fuori dal territorio nazionale12, e persino, quale massima

espressione di tale principio, l’accesso gratuito alle prestazioni anche senza la corresponsione della quota di compartecipazione da parte dei soggetti titolari di pensione di vecchiaia inferiori ad un determinato livello reddituale13.

11 «è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall'attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento» Corte Cost. Sentenze n. 304 del 1994, n. 218 del 1994, n. 247 del 1992. n. 455 del 1990. Nonché sentenza n. 432 del 2005

12 Corte Cost. sent 309 del 1999 13 Corte Cost. sent. 184 del 1993

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Se fino ad ora abbiamo analizzato solo il versante dei trattamenti sanitari facoltativi, si deve aggiungere che nell’articolo 32 della Costituzione, al comma 2, è disposto che «Nessuno può essere

obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

Qui il Costituente si è preoccupato di salvaguardare quelle situazioni in cui lo stato di salute dell’individuo configura la possibilità di ledere la salute altrui «in osservanza del principio generale che vede il diritto

di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri». In tal caso, infatti, infatti, si può richiedere che la persona sia soggetta a trattamenti

sanitari obbligatori14.

Di certo nel comma 2, e sempre con riferimento all’obbligatorietà del trattamento sanitario, il Costituente introduce una forma di garanzia, in particolare per quanto riguarda i trattamenti sanitari imposti dalla legge: questi non possono essere tali da violare il rispetto della persona umana. Pertanto, sulla scorta dei due commi di cui si compone l’articolo 32, – la giurisprudenza ha ben differenziato, sul terreno della legittimità,

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tra i trattamenti sanitari che devono ritenersi obbligatori e quelli che invece non lo sono15.

L’articolo 32 comma 2 della Costituzione, nell’enunciare l’obbligatorietà dei trattamenti sanitari limitatamente a quelli stabiliti per legge16, non può essere inteso se non richiamando la giurisprudenza

15 I TSO vanno distinti dai trattamenti coattivi, che sono quelli imposti con la forza

(come ad esempio i ricoveri imposti ai malati di mente o i prelievi ematici): questi, implicano una degradazione della personalità o una invasione nella sfera personale, sono sottoposti alle più rigorose garanzie dell’art. 13 Cost., laddove per le misure restrittive della libertà personale si stabilisce la duplice garanzia della riserva assoluta di legge e della riserva di provvedimento giurisdizionale. Si tratta, però, di svolgere un’indagine caso per caso: come dimostra bene la giurisprudenza, cfr. Corte Cost. sent. n. 30/1962 (sui rilievi segnaletici previsti dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza, distinti a seconda che importino ispezioni personali – come prelievi di sangue, o complesse indagini di ordine psicologico o psichiatrico o accertamenti su parti del corpo non esposte alla vista altrui – o che restino esteriori alla persona, come i rilievi fotografici o antropometrici); sent. 64/1986 (sui prelievi ematici su persona non consenziente); e soprattutto 238/1996, nella quale chiaramente si afferma che il prelievo ematico su persona non consenziente comporta una restrizione della libertà personale, «in quanto non solo interessa la sfera della libertà personale, ma la travalica perché, seppur in minima misura, invade la sfera corporale della persona - pur senza di norma comprometterne, di per sé, l’integrità fisica o la salute (anche psichica), né la sua dignità, in quanto pratica medica di ordinaria amministrazione (cfr. sentenza n. 194 del 1996) - e di quella sfera sottrae, per fini di acquisizione probatoria nel processo penale, una parte che è, sì, pressoché insignificante, ma non certo nulla».

16 Tra i contributi più significativi relativi alle condizioni che legittimano la

previsione legislativa di un trattamento sanitario obbligatorio, senza pretesa di esaustività, si segnalano i seguenti: L. CARLASSARE, L’art. 32 della Costituzione e il suo significato, in R. ALESSI (a cura di), L’amministrazione sanitaria, Vicenza, 1967, pp. 103 ss.; D. VINCENZI AMATO, Art. 32, 2° comma, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Rapporti etico-sociali, Bologna Roma, 1976, pp. 167 ss.; S.P. PANUNZIO, Trattamenti sanitari obbligatori e Costituzione (a proposito della disciplina delle vaccinazioni), in Diritto e società, 1979, pp. 875 ss.; M. LUCIANI, Il diritto costituzionale alla salute, in Diritto e società, 1980, pp. 769 ss.; R. D’ALESSIO, I limiti costituzionali dei trattamenti «sanitari» (a proposito dei Testimoni di Geova), in Diritto e società, 1981, pp. 529 ss.; V. CRISAFULLI, In tema di emotrasfusioni obbligatorie, in Diritto e società, 1982, pp. 557 ss.; F. MODUGNO, Trattamenti sanitari «non obbligatori» e Costituzione (a proposito del rifiuto delle trasfusioni di sangue), in Diritto e

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della Corte costituzionale, enunciata nella sent. n. 307/199017 in tema

di vaccinazioni obbligatorie. La Corte, in quel caso, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma di legge che imponeva l’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomelitica per i bambini entro il primo anno di età, mentre non prevedeva un indennizzo per le eventuali conseguenze negative che potevano determinarsi a seguito di tale vaccinazione. La Corte in tale occasione ha precisato, sul concetto obbligatorietà del trattamento: «Nessuno può essere obbligato a un

determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a

società, 1982, pp. 303 ss.; D. VINCENZI AMATO, Tutela della salute e libertà individuale, in Giurisprudenza costituzionale, 1982, pp. 2462 ss.; B. PEZZINI, Il diritto alla salute: profili costituzionali, in Diritto e società, 1983, pp. 21 ss.; B. CARAVITA, La disciplina costituzionale della salute, in Diritto e società, 1984, pp. 21 ss.; D. MORANA, La salute nella Costituzione italiana. Profili sistematici, Milano, 2002, pp. 172 ss. Per una sintetica ricostruzione della posizione della dottrina in materia di trattamenti sanitari obbligatori, cfr. B. CARAVITA, Art. 32, in V. CRISAFULLI, L. PALADIN (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, pp. 215 ss.; L. MEZZETTI, A. ZAMA, Trattamenti sanitari obbligatori, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XV, Torino, 1999, pp. 337 ss.; E. CAVASINO, Trattamenti sanitari obbligatori, in S. CASSESE (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, VI, Milano, 2006, pp. 5961 ss.; A. SIMONCINI, E. LONGO, Art. 32, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2006, pp. 666 ss.

17 Tale legge come enunciato dalla corte «La vaccinazione antipoliomielitica per bambini entro il primo anno di vita, come regolata dalla norma denunciata, che ne fa obbligo ai genitori, ai tutori o agli affidatari, comminando agli obbligati l'ammenda per il caso di inosservanza, costituisce uno di quei trattamenti sanitari obbligatori cui fa riferimento l'art. 32 della Costituzione» pertanto rientranti nel perimetro di trattamenti obbligatori proprio per la imposizione della norma.

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migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.»18. Aggiungeva inoltre la Corte che «un trattamento

sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili. Con riferimento, invece, all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il

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sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri»19. Proprio da tali affermazioni emerge come il bene salute quanto alla sua tutela, in particolare con riferimento ai trattamenti imposti, trova un limite nel fatto che tali trattamento sono subordinati a riserva di legge e devono rispettare la dignità della persona umana. «Un

corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute - e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell'imposizione del trattamento sanitario - implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l'essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio…...»20. In tale

contesto la Corte giunge all’affermazione del danno sofferto in virtù dell’evento negativo a cui può condurre il trattamento sanitario imposto, attuandone una interpretazione espansiva: « . . . . parimenti

deve ritenersi per il danno da malattia trasmessa per contagio dalla persona sottoposta al trattamento sanitario obbligatorio o comunque a

19 Sent Corte Cost. n. 307/1990 20 Sent Corte Cost. n. 307/1990

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questo ricollegabile, riportato dalle persone che abbiano prestato assistenza personale diretta alla prima in ragione della sua non autosufficienza fisica (persone anche esse coinvolte nel trattamento obbligatorio che, sotto il profilo obbiettivo, va considerato unitariamente in tutte le sue fasi e in tutte le sue conseguenze immediate)» 21.

I trattamenti sanitari obbligatori e il diritto alla salute come liberta trovano un punto di intersezione22 nella disciplina prevista dall’art 32,

dove si garantisce sia la tutela degli interessi individuali che quelli collettivi dei consociati23. La Corte, infatti, ribadendo quanto già

21 Sent Corte Cost. n. 307/1990

22 “In proposito la Corte ha più volte affermato che la salute è un bene primario, costituzionalmente protetto, il quale assurge a diritto fondamentale della persona, che impone piena ed esaustiva tutela (sentenze n. 307 e 455 del 1990), tale da operare sia in ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato (sentenze n. 202 del 1991, n. 559 del 1987 e n. 184 del 1986).” Sent Corte Cost. 218/1994 23 Nella sent n. 258/1994 vengono riassunte le condizioni di legittimità dei

trattamenti sanitari obbligatori: “a) se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (cfr. sentenza 1990 n. 307); b) se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili (ivi); c) se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio - ivi compresa la malattia contratta per contagio causato da vaccinazione profilattica - sia prevista comunque la corresponsione di una ‘equa indennità’ in favore del danneggiato (cfr. sentenza 307 cit. e v. ora legge n. 210/1992). E ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria, la quale trova applicazione tutte le volte che le concrete forme di attuazione della legge impositiva del trattamento o di esecuzione materiale di esso non siano

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espresso nella sua precedente giurisprudenza, ha affermato che «il

dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri». In tale circostanza, essendo il diritto alla salute un interesse sia

individuale che collettivo, il fatto di sottoporre a trattamenti sanitari obbligatori il singolo individuo si riflette necessariamente anche ai fini della tutela della salute collettiva. E tuttavia, l’attività posta in essere al fine di evitare il propagarsi di situazioni epidemiologiche deve avvenire nel massimo rispetto della persona interessata, senza che il trattamento sanitario risulti in violazione della legge24.

accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura (sulla base dei titoli soggettivi di imputazione e con gli effetti risarcitori pieni previsti dall’art. 2043 c.c.: sentenza n. 307/1990 cit.)”.

24 “La tutela della salute non si esaurisce tuttavia in queste situazioni attive di pretesa. Essa implica e comprende il dovere dell'individuo di non ledere nè porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo. L'interesse comune alla salute collettiva e l'esigenza della preventiva protezione dei terzi consentono in questo caso, e talvolta rendono obbligatori, accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se

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Il trattamento sanitario obbligatorio, a detta della Corte, sarà conforme all’articolo 32 quando «sia diretto non solo a migliorare o a

preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo

chi è chiamato a svolgere determinate attività, nelle quali sussiste un serio rischio di contagio, sia affetto da una malattia trasmissibile in occasione ed in ragione dell'esercizio delle attività stesse. Salvaguardata in ogni caso la dignità della persona, che comprende anche il diritto alla riservatezza sul proprio stato di salute ed al mantenimento della vita lavorativa e di relazione compatibile con tale stato, l'art. 32 della Costituzione prevede un contemperamento del coesistente diritto alla salute di ciascun individuo; implica inoltre il bilanciamento di tale diritto con il dovere di tutelare il diritto dei terzi che vengono in necessario contatto con la persona per attività che comportino un serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio. In tal caso le attività che, in ragione dello stato di salute di chi le svolge, rischiano di mettere in pericolo la salute dei terzi, possono essere espletate solo da chi si sottoponga agli accertamenti necessari per escludere la presenza di quelle malattie infettive o contagiose, che siano tali da porre in pericolo la salute dei destinatari delle attività stesse. Non si tratta quindi di controlli sanitari indiscriminati, di massa o per categorie di soggetti, ma di accertamenti circoscritti sia nella determinazione di coloro che vi possono essere tenuti, costituendo un onere per poter svolgere una determinata attività, sia nel contenuto degli esami. Questi devono essere funzionalmente collegati alla verifica dell'idoneità all'espletamento di quelle specifiche attività e riservati a chi ad esse è, o intende essere, addetto. Gli accertamenti che, comprendendo prelievi ed analisi, costituiscono "trattamenti sanitari" nel senso indicato dall'art. 32 della Costituzione, possono essere legittimamente richiesti solo in necessitata correlazione con l'esigenza di tutelare la salute dei terzi (o della collettività generale). Essi si giustificano, quindi, nell'ambito delle misure indispensabili per assicurare questa tutela e trovano un limite non valicabile nel rispetto della dignità della persona che vi può essere sottoposta. In quest'ambito il rispetto della persona esige l'efficace protezione della riservatezza, necessaria anche per contrastare il rischio di emarginazione nella vita lavorativa e di relazione.” Crf. Corte Cost. sent 218 del 1994

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che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale»25.

Sulla scorta di tali principi, il tema è stato esteso anche a quei trattamenti che non sono obbligatori, o perlomeno a quelle circostanze che in epoca lontana erano alla base di trattamenti obbligatori e che per l’intervenuto mutamento normativo sono adesso divenute raccomandate26.

Pertanto, il tema del trattamento sanitario obbligatorio o imposto per legge, come ha avuto modo di affermare la giurisprudenza della Corte, non può essere considerato disgiuntamente dal trattamento sanitario facoltativo o raccomandato, in modo da assicurare uno stretto collegamento, quasi una fusione, tra la volontà dei pubblici poteri e il consenso individuale intorno a un determinato trattamento sanitario. 1.1.1.3 Il diritto alla salute quale libertà di scelta della cura

Con la locuzione ‘prestazioni sanitarie’ si suole indicare l’universalità dei servizi che lo Stato attraverso il SSN mette a disposizione dell’individuo al fine di potersi curare. Questa messa in disponibilità comprende la scelta del medico, la scelta della struttura sanitaria e il luogo ove curarsi (qui non possiamo trascurare il fatto che

25 Corte Cost. Sent 258/1994 26 Corte Cost. Dec 107/2012

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questo può avvenire sia all’interno dello stesso Stato ma presso altri Stati).

L’assistenza sanitaria è posta a carico dell’erario ed è dunque finanziata con risorse pubbliche. Queste, essendo limitate per loro stessa natura, devono essere correttamente distribuite ed utilizzate. Si rende pertanto necessaria una prudente modulazione della spesa pubblica destinata alla sanità.

Le direttive che disciplinano l’erogazione delle prestazioni sanitarie sono impartite dal legislatore utilizzando gli ampi margini di discrezionalità politica di cui esso dispone, e dovrebbero essere la risultante di una scelta razionale.

Un ruolo fondamentale, al riguardo del diritto alla salute come libertà di scegliere le modalità di cura, è giocato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale nel momento in cui provvede a dettare i criteri relativi al bilanciamento degli interessi.

Così, la Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi con la sentenza n. 236/2012 in tema di libertà di scelta del luogo di cura, ha affermato che una tale libertà deve intendersi priva del carattere assoluto «dovendo essere contemperato con altri interessi costituzionalmente

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risorse finanziarie disponibili»27. La Corte aggiunge che «non è vietato

al legislatore regionale sacrificare la libertà di scelta del paziente, a condizione che il sacrificio risulti necessitato dall’esigenza di preservare altri beni di rango costituzionale, quale ad esempio un’efficiente ed efficace organizzazione del sistema sanitario». Nel

caso di specie, la Corte dichiarava la illegittimità costituzionale della disciplina della Regione Puglia, la quale obbligava le ASL a stipulare accordi contrattuali solo con operatori locali per specifiche prestazioni domiciliari. La Corte ha disatteso tale limitazione, giustificata dalla Regione sulla base dell’asserito risparmio economico, pervenendo ad una opposta conclusione. Pur riconoscendo la Corte che di regola le prestazioni fornite da un operatore extraregionale si presentano più costose che non quelle di un operatore locale, tuttavia il livello qualitativo delle prestazioni fornite dall’operatore extra regionale ben può essere superiore rispetto all’operatore locale. Vincolando la scelta ad operatori locali si rischia pertanto di attuare una compressione del diritto alla salute, penalizzando il beneficiario della prestazione sanitaria28.

27 Cfr Corte Cost. Sent 236/2012; ex multis, sentenze n. 248 del 2011, n. 94 del 2009,

n. 200 del 2005

28“…. Omissis …. Occorre, infatti, considerare che la limitazione introdotta dalla legislazione della Regione Puglia, impedendo la stipulazione di accordi con strutture extraregionali, non ottiene necessariamente un risparmio di spesa; anzi,

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potrebbe tradursi persino in una diseconomia, nel caso in cui le tariffe praticate dai presidi sanitari di altre Regioni siano inferiori a quelle pugliesi. Le ragioni di contenimento della spesa pubblica e di razionalizzazione del sistema sanitario che, in linea astratta, sono idonee a giustificare una restrizione del diritto alla libertà di cura, in questo caso non sussistono. Anzi, la preclusione su base territoriale stabilita dal legislatore regionale non solo non perviene ad un ragionevole bilanciamento tra la libertà di cura e le esigenze della finanza pubblica, ma a ben vedere irragionevolmente impedisce all’amministrazione di effettuarlo: il divieto introdotto per via legislativa, infatti, non consente alle singole ASL di valutare caso per caso tutti gli elementi rilevanti ai fini della determinazione a stipulare un accordo contrattuale con presìdi privati, intra regionali o extraregionali, tra cui, ad esempio, le caratteristiche dei pazienti, la tipologia delle prestazioni riabilitative da erogare, le condizioni economiche offerte dai singoli operatori sanitari, nonché la dislocazione territoriale effettiva (giacché può accadere che un presidio sanitario extra-regionale si trovi nei fatti più vicino al domicilio del paziente, rispetto a strutture aventi sede legale nella Regione, specie nelle zone confinanti con altre Regioni). La rigidità del divieto contenuto nella normativa impugnata si pone pertanto in contrasto, oltre che con l’art. 32 Cost., anche con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza. 4.3.— Ancora, occorre osservare che l’art. 3 Cost. risulta violato pure in relazione al principio di uguaglianza, in quanto la normativa impugnata incide concretamente in peius sulle sole persone disabili, quali destinatarie di terapie riabilitative domiciliari. Il divieto posto dalla legge impugnata concerne, infatti, le sole prestazioni di riabilitazione da erogarsi a domicilio. Pertanto, gli effetti restrittivi della normativa impugnata ricadono principalmente sui soggetti più deboli, perché colpiscono prevalentemente i disabili gravi, che necessitano di ricevere prestazioni a domicilio, a differenza dei pazienti che mantengono una capacità di mobilità e sono in grado di raggiungere le strutture riabilitative che prediligono, per ottenere prestazioni in ambulatorio: questi ultimi, a differenza dei primi, conservano intatta la facoltà di avvalersi di centri di cura esterni al territorio regionale. In tal modo, proprio le persone affette dalle più gravi disabilità subiscono una irragionevole restrizione della libertà di scelta della cura, con grave pregiudizio anche della continuità nelle cure e nell’assistenza – che costituisce un profilo del diritto alla salute ugualmente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 19 del 2009 e n. 158 del 2007) – specie per i pazienti che da tempo sono presi in carico da strutture ubicate al di fuori della Regione Puglia, con le quali non risulta più possibile concludere accordi contrattuali. Risulta così violato il principio di uguaglianza, garantito dall’art. 3 Cost., che trova, in riferimento alle persone disabili, ulteriore riconoscimento nella citata Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sulle persone con disabilità, cui ha aderito anche l’Unione europea (Decisione del Consiglio n. 2010/48/CE, del 26 novembre 2009, relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità), e che pertanto vincola l’ordinamento italiano con le caratteristiche proprie del diritto dell’Unione europea, limitatamente agli ambiti di competenza dell’Unione medesima, mentre al di fuori di tali competenze costituisce un obbligo internazionale, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost.” Cfr Corte Cost. Sent nr 236 2012

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Un altro punto cardine, sul quale la Corte è intervenuta, è relativo all’uguaglianza degli individui nell’accesso alle cure. In particolare, nel caso in esame, giudicato con sentenza 185/1998, la Corte si è pronunciata dichiarando non fondata la disparità di trattamento rispetto ai farmaci della “multiterapia Di Bella” in quanto, dall’art. 2 del decreto-legge n. 23 del 1998, emerge come la sussistenza di studi clinici di fase seconda sia richiesta per tutti i medicinali innovativi e valga in generale come disposizione per la redazione dell’elenco. Allo stesso modo viene dichiarato non fondato il supposto carattere di legge-provvedimento contenuto nell’art. 2 dello stesso decreto-legge secondo cui «la disposizione determinerebbe una irragionevole discriminazione

a danno dei farmaci del "metodo Di Bella" rispetto agli altri che la Commissione unica del farmaco (CUF) può inserire nell’elenco di cui all’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 536 del 1996. In relazione alla generalità dei farmaci innovativi non si richiederebbe, infatti, la disponibilità dei risultati di studi clinici di fase seconda: requisito, questo, che si assume imposto per il solo "metodo Di Bella", quale limite ai poteri tecnici della CUF»29.

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Inoltre la Corte si esprime, in relazione al diritto alla salute (artt. 3 e 32 della Costituzione), sulla valutazione del rispetto del principio di uguaglianza: viene sancita l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art 2 comma 1 ultima proposizione e dell’art. 3 comma 4 del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, nella parte in cui non prevede l’erogazione da parte del servizio sanitario nazionale dei medicinali impiegati nella cura di patologie tumorali (con particolare riferimento ai farmaci della terapia “Di Bella”), per le quali è disposta la sperimentazione di cui all’art. 1, a favore di coloro che versino in condizioni di insufficienti disponibilità economiche secondo i criteri stabiliti dal legislatore: «nei casi di esigenze terapeutiche estreme,

impellenti e senza risposte alternative, come quelle che si verificano in alcune patologie tumorali, va considerato che dalla disciplina della sperimentazione, così prevista, scaturiscono indubbiamente aspettative comprese nel contenuto minimo del diritto alla salute. Sì che non può ammettersi, in forza del principio di uguaglianza, che il concreto godimento di tale diritto fondamentale dipenda, per i soggetti interessati, dalle diverse condizioni economiche»30.

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Garantire la libertà di cura significa anche poter permettere l’accesso alle prestazioni sanitarie in modo gratuito, che, pur nel difficile contemperamento fra diritto alla salute e interessi pubblici che stanno alla base dell’organizzazione sanitaria si concretizza, come ha precisato dalla Corte con sentenza n. 309/1999, nel diritto del soggetto di ottenere il rimborso delle spese sostenute. Così la Corte ha esteso il principio che consente il rimborso delle spese ai soli soggetti che si trovano fuori dal territorio dello Stato per motivi di lavoro o di studio a prescindere dalle condizioni economiche, anche a chi versa in condizioni economiche di indigenza. La Corte afferma: «spetta al legislatore

adottare le cautele e gli accorgimenti idonei a far sì che il diritto alle cure gratuite per l'indigente all'estero non trasmodi in un diritto dei cittadini di rifiutare le cure offerte in Italia dal servizio sanitario nazionale e di scegliere liberamente lo Stato nel quale curarsi a spese della collettività.»31. E continua: «Quello che l'articolo 32 della

Costituzione certamente non tollera, e che spetta a questa Corte colmare con il presente intervento di principio, é l'assoluto vuoto di tutela, risultante dalla disciplina censurata, per gli indigenti che si trovino temporaneamente nel territorio di Stati esteri nei quali non é

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loro garantita alcuna forma di assistenza sanitaria gratuita»32. La

Corte ha pertanto affermato, dimostrando una “vocazione espansiva”, di consentire l’accesso alle cure a chiunque si trovi all’estero a prescindere dalla condizioni di indigenza o dalla sussistenza di situazioni di emergenza.

1.2 Autodeterminazione dell’individuo e dignità della persona

Al fine di fornire piena e completa attuazione a quello che viene definito ‘diritto alla salute’, occorre offrire all’individuo la possibilità di autodeterminarsi, rendendolo edotto del proprio stato di salute e conseguentemente fornendogli ogni notizia utile in ordine ad ogni possibile scelta o soluzione che il singolo può eventualmente adottare. In questa fase per così dire informativa un ruolo fondamentale lo gioca il medico: il quale, con tutto il suo bagaglio conoscitivo risulta il soggetto più idoneo a rendere edotto l’individuo sulle opportunità di scelte e sulle vie di cure.

È naturale che il ventaglio delle opportunità di scelta che vengono prospettate dal medico incontrano il limite, sottolineato dalla giurisprudenza, che le soluzioni prospettate devono essere dotate di

ragionevolezza scientifica. Da qui una sempre maggiore

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responsabilizzazione del medico in direzione di una specifica responsabilità tecnica.

Ne deriva che il rapporto fra medico e paziente diviene un rapporto prettamente fiduciario, dove il medico mediante il consenso informato rende al paziente tutte quelle informazioni necessarie a questo per autodeterminarsi nella scelta delle opportune soluzioni terapeutiche da intraprendere. E appunto da qui discende la possibilità di esercitare al meglio il diritto alla salute, essendo questo il risultato del combinato disposto degli articoli 2, 13, 32 della Costituzione33.

Il concetto di autodeterminazione del singolo si coniuga, nel contesto in esame, con il termine ‘dignità della persona’, in corrispondenza del termine ‘dignità umana’ presente in alcuni articoli. Ora, sebbene il termine ‘dignità’ risulti richiamato nella Carta costituzionale, è tutt’altro che facile darne una definizione puntuale.

Al riguardo, è necessario confrontarsi con una grave difficoltà interpretativa, dato che il termine ‘dignità’ non è soltanto un concetto presente in ambito giuridico, ma è proprio anche di altri ambiti di riflessione, a partire dall’ambito filosofico. Sulla base di una tale premessa, alcuni sostengono che l’individuo, pur di vedersi

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riconosciuto il diritto alla dignità, può giungere fino a rinunciare ad alcuni diritti fondamentali; mentre altri giuristi asseriscono che quei diritti sono liberamente disponibili, al punto di giungere ad una vera e propria derubricazione del concetto di dignità umana34. Prescindendo

da tali posizioni contrastanti e del tutto dubbie nella loro validità, sono dell’opinione che al concetto di ‘dignità’ è possibile pervenire, soltanto a seguito di un’ analisi storico/giuridica degli eventi politici e sociali che sono accaduti in un passato non troppo remoto, facendo particolare riferimento agli eventi di genocidio, discriminazioni raziali, e così via – forme di eventi che nel loro insieme sono state duramente condannate da tutti gli Stati civili e che sono alla base degli accordi internazionali in materia di tutela dei diritti umani e dei «Bills of Rights» nazionali sorti subito all’indomani della seconda Guerra mondiale35. Per quel che

riguarda l’ordinamento italiano la Corte costituzionale ha affermato

che «quello della dignità della persona umana è valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve incidere sull’interpretazione di quella parte della disposizione in esame» (si trattava nella specie

34V. PACILLO, «Rovescio della dignità» e dignità del diritto, in Ragion pratica Rivista semestrale, 1/2012, pp. 143-160

35 G.M. FLICK, Elogio della dignità (se non ora quando?), in Politica del diritto, Rivista trimestrale di cultura giuridica fondata e diretta da Stefano Rodota', 4/2014, pp. 515-566

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dell’art.15 della legge 47/1948) «che evoca il comune sentimento della morale».36

Conviene riassumere i significati ciò che la giurisprudenza più accreditata ha attribuito alla dignità nei vari contesti esaminati. Vanno così ricordati il valore oggettivo di indisponibilità e di irrinunciabilità che le viene attribuito; il suo legame con la libertà e l’autonomia di decisione della persona; il suo esprimersi in termini di concretezza, legata alla realtà dei rapporti, alle disuguaglianze di fatto, alle differenze di condizioni personali che incidono sulla libertà di scelta e sull’autonomia delle persone. In particolare tutto ciò si traduce nel limite che ne deriva alla discrezionalità del legislatore e alla libertà dell’individuo nell’esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti; come ragionevole criterio di bilanciamento e di equilibrio costituzionale tra diversi valori e diritti; come «fonte» di nuovi diritti; come diritto ad una esistenza dignitosa e ad avere diritti.

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(37)

I

L

F

INE

V

ITA

: R

IFLESSIONI

P

RELIMINARI

Sommario: 2.1 Diritto all’informazione e consenso al trattamento sanitario quale atto condizionante; 2.1 Diritto all’informazione e consenso al trattamento sanitario quale atto condizionante; 2.1.1Segue: Una valida informazione; 2.2 La vita: fino a che punto è degna di essere vissuta? Bisogna davvero soffrire per vivere?; 2.2.1 Morire o lasciarsi far morire? Un interrogativo sul fine vita e l’accanimento terapeutico; 2.2.2 Rifiuto delle cure ed eutanasia: la faccia della stessa medaglia; 2.2.2.1 I modelli permissivi nelle scelte eutanasiche; 2.2.2.2 Le varie forme di eutanasia.

2.1 Diritto all’informazione e consenso al trattamento sanitario quale atto condizionante

Come abbiamo illustrato nel precedente capitolo, che il diritto alla salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione, significa che tutti gli individui, non esclusi gli stranieri ‘irregolari’ (Corte cost. 432/2005) hanno diritto «in condizioni di fondamentale eguaglianza in tutto il territorio nazionale» (Corte cost. 361/2003) ad essere curati nel modo migliore possibile, e a che i pubblici poteri adottino i provvedimenti preventivi, le cure e i trattamenti successivi necessari al <perseguimento di una sempre migliore condizione sanitaria della popolazione> (Corte cost. 218/94), ivi inclusi i provvedimenti destinati a rendere il territorio il più salubre e il meno rischioso possibile.

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Aggiunge il 1° comma dell’articolo 32 che la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti. Al diritto alla tutela della salute, proprio di ogni individuo, corrisponde dunque il dovere dei pubblici poteri di apprestare le misure necessarie a garantire una tale tutela37.

Se il diritto alla salute trova nella nostra Costituzione il suo riconoscimento nell’articolo 32, è altresì vero che lo stesso articolo 32 stabilisce al comma 2 che «Nessuno può essere obbligato a un

determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».

Questo significa che il diritto individuale alla salute non implica un dovere per l’individuo di tutelare la propria salute; questo significa cioè che la Costituzione riconosce l’ampia libertà del cittadino di sottoporsi o meno a trattamenti sanitari. Il godimento di una tale libertà deve tuttavia potersi conciliare con l’interesse collettivo alla salute, pure evocato nel testo del 1° comma dell’articolo 32. Allorquando questi due ‘valori’ sono in gioco ed entrano in conflitto tra di loro, il secondo – l’interesse della collettività alla cura dell’individuo – prevale sulla libertà dell’individuo di sottoporsi a trattamenti (Corte cost. 218/94; 238/96).

37 M. MAZZIOTTI DI CELSO-G.M. SALERNO, Manuale di Diritto costituzionale, 5°

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Ritorniamo adesso, facendo un passo indietro, al diritto del soggetto alla salute, un diritto – come abbiamo appena detto – è anche una libertà. Sembra innegabile che l’articolo 32 abbia un preciso collegamento sia con il concetto di autodeterminazione del soggetto (art 2 Cost.), e sia con l’altro di libertà personale (art 13 Cost.).

Risulta così ragionevole affermare che il principio generale ricavabile dalla combinazione delle norme costituzionali precedentemente richiamate altro non è che l’espressione, calata nel campo della tutela della salute, del più ampio principio personalistico adottato dalla nostra Costituzione38, dove la persona è posta al “centro

di interessi e di valori intorno al quale si coagula il sistema delle garanzie personali”39

38 L’importanza del suddetto principio personalistico ricollegato all’articolo 32 Cost.

si è posto come rilevante anche nell’ambito dell’attività ermeneutica delle norme civilistiche. In tema di tutela del possesso, per esempio, l’articolo 873 c.c. viene interpretato facendo riferimento esplicito al concetto riportato al primo comma dell’articolo 32 della Costituzione. L’argomentazione, dopotutto, non può escludere il riferimento all’articolo 844 c.c., che riconosce al proprietario di un fondo il diritto di impedire immissioni di fumo e di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino che superino le normali soglie di tollerabilità: la relativa azione inibitoria può essere esperita dal soggetto leso per conseguire la “cessazione delle attività nocive alla salute” (così, Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 10186/1998). Cfr. anche Cass. Civ., sez. III, sent. n. 8420/2006.

39 Così si è espressa Cass. Pen., sez. IV, sent. n. 36519/2001. Cfr., a proposito, A.

FIORI, G. LA MONACA, G. ALBERTACCI, In tema di trattamenti medico chirurgici effettuati per autonoma decisione del medico senza previo consenso del paziente: un passo avanti nella giurisprudenza della Cassazione penale?, in Riv. It. Med. Leg., 2002, pp. 880 e ss

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Ora, appunto al fine di garantire che il diritto alla salute come diritto alla tutela di essa possa dall’individuo essere esercitato nel modo più appropriato, è intervenuta la Corte costituzionale quando, con la sentenza n. 438 del 2008, ha puntualizzato che «La circostanza che il

consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura ed ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione. Discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale.». La sentenza citata si può infatti definire quale

pietra miliare del consenso informato.

Naturalmente, la risposta al quesito su che cosa debba intendersi per ‘ consenso informato’, non è affatto semplice. Si può affermare, in via di prima approssimazione, che il consenso informato non è una prassi

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burocratica medico-legale, ma è uno strumento etico giuridico che consente al medico di condividere la responsabilità diagnostico-terapeutica con il proprio paziente reso consapevole del proprio stato di salute. Più precisamente, il consenso informato in ambito medico è l'accettazione che il paziente esprime con riguardo ad un trattamento sanitario; un’accettazione che dovrà essere libera e non condizionata dall’intervento di terzi, e che ha alla sua base il diritto dell’individuo di essere informato circa le modalità di esecuzione, i benefici, gli effetti collaterali e i rischi ragionevolmente collegabili all’intervento terapeutico, nonché circa l'esistenza di valide cure alternative. L’espressione della volontà dell’ammalato potrà essere anche essere nel senso di rifiutare ogni terapia, o anche soltanto quella specifica cura. Una completa e chiara informazione è da intendere quale condizione preliminare, quale pre-condizione ai fini della libertà e validità del consenso.

Nel nostro ordinamento risulta assente una specifica disciplina organica del consenso informato. La legge 22 dicembre 2017, n. 219 recante «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni

anticipate di trattamento», pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16

gennaio del 2018, meglio nota come legge sul cosiddetto «fine vita», ha provveduto a dettare una prima disciplina in materia disciplina in

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parola. Tale provvedimento legislativo, di carattere comunque parziale, formerà oggetto di esame più avanti nel corso del presente lavoro.

Oltre che alla citata legge n. 219 del 2017, si può anche richiamare il codice di deontologia medica; il quale, sopperendo all’assenza di una disciplina organica, tenta di fornire un vademecum circa le modalità di resa del consenso informato.

Bisogna premettere che il consenso informato, nella connotazione attuale, è frutto di una evoluzione socio culturale, che si è sviluppata da un iniziale modo di intendere ad un altro. Si è cioè operato il passaggio da una concezione di paternalismo benevolo, in cui (grosso modo) il medico imponeva la sua volontà nella cura e il paziente si affidava completamente al suo medico, senza porre alcun veto o alcun dubbio in ordine alle indicazioni da lui provenienti, sentendosi in qualche modo obbligato a seguire quello specifico trattamento terapeutico, ad una pratica di condotta condivisa: dove il medico ha il dovere di curare, ma è il paziente, dopo essere stato informato del suo stato di salute e delle varie possibilità diagnostico-terapeutiche con i relativi pro e i contro, che può scegliere tra le varie ipotesi terapeutiche prospettate. Pertanto l’elemento informativo costituisce una parte essenziale del progetto

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terapeutico, e ciò anche a prescindere dalla finalità di ottenere il consenso40.

Più esattamente, la persona consapevole e capace di autodeterminarsi, bisognosa di cure mediche, non può essere sottoposta passivamente a trattamenti sanitari. Ogni singola procedura sanitaria – nella sua ampia accezione - non potrà essere effettuata se non dopo aver acquisito il valido consenso della persona interessata, la quale preventivamente sia stata adeguatamente informata – vuoi sulle patologie di cui egli è affetto, vuoi delle procedure di cura – al fine di poter valutare se il trattamento a cui sarà sottoposto e i rischi che potrebbero derivare dalla pertinenti procedure sono tali da indurlo a dare il consenso o, in ipotesi, di poter scegliere trattamenti diagnostico-terapeutici alternativi. Il tutto, in conformità del combinato disposto (come si usava dire una volta, e meno adesso) degli articoli 13 e 32 della Costituzione.

Ne consegue che il medico non è legittimato ad agire, se non in presenza di una esplicita o implicita – secondo la consuetudine operativa41 - manifestazione di volontà del paziente che si affida alla

40 M. IMMACOLATO. e L. MAGNANI, «Consenso informato e testamento biologico

nella legislazione internazionale», in Bioetica, vol. 21, n. 2/3, pagg. 383–415, 2013

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