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Acidi omovanillico e vanilmandelico urinari nella diagnosi del neuroblastoma: valori di riferimento pediatrici e valutazione della performance diagnostica

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Scuola di Specializzazione in Patologia Clinica

Sede di Genova

Acidi omovanillico e vanilmandelico urinari

Acidi omovanillico e vanilmandelico urinari

Acidi omovanillico e vanilmandelico urinari

Acidi omovanillico e vanilmandelico urinari

nella diagnosi del neuroblastoma: valori di

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riferimento pediatrici e valutazione della

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performance diagnostica

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RELATORI

SPECIALIZZANDO

Dott. Gino Tripodi

Dott. Iulian Gennai

Dott.ssa Giuliana Cangemi

Anno accademico 2015/2016

Anno accademico 2015/2016

Anno accademico 2015/2016

Anno accademico 2015/2016

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INDICE

Capitolo 1 Dosaggio dei biomarcatori

3

-1.1 Intervalli di riferimento

3

-1.2 Variabilità biologica e analitica

6

-1.3 Interpretazione dei risultati

9

-1.4 I metaboliti delle catecolamine

12

-1.5 L’analisi cromatografica

13

Capitolo 2 Il Neuroblastoma

17

-2.1 Definizione

17

-2.2 Epidemiologia

17

-2.3 Stadiazione

17

-2.4 Quadro clinico

20

-2.5 Metastatizzazione

21

-2.6 Diagnosi

22

-2.7 Prognosi

23

-2.8 Terapia

24

Capitolo 3 Parte sperimentale

25

-3.1 Introduzione

25

-3.2 Scopo della tesi

25

-3.3 Soggetti in studio

26

-3.4 Metodi analitici

26

-3.5 Metodi statistici

27

-3.6 Risultati

29

-3.7 Discussione

32

-3.8 Conclusioni

33

Riconoscimenti

35

Bibliografia

36

(3)

Capitolo 1: Dosaggio dei biomarcatori

1.1 Intervalli di riferimento

Le misurazioni ottenute con un test di laboratorio su un paziente, sono confrontate generalmente con degli intervalli di riferimento, allo scopo di compiere una diagnosi, prendere una decisione terapeutica, o valutare uno stato fisiologico. L’interpretazione dei dati di laboratorio pertanto, è un processo decisionale comparativo. Spesso si tende a fare confusione fra intervalli di riferimento e limiti decisionali, etichettandoli indistintamente come valori “normali”. Cerchiamo perciò di chiarire che cosa si intende realmente.

Innanzitutto, il termine “normale”, pur se usato frequentemente in medicina, e associato per confronto al termine “patologico”, si presta ad equivoci e confusione. Esso indica che il valore in questione, rientra in un certo intervallo, riferito a uno specifico modello teorico, oppure, che è conforme alla media delle osservazioni. Ciò non implica che il termine “normale” sia l’opposto di “patologico”, poiché il confine fra sano e malato è spesso sfumato, per cui non sempre si riesce ad ottenere una netta distinzione fra valori “accettabili” e valori patologici. Ralph Gräsbeck, primo promotore dell’introduzione dei valori di riferimento [1], sosteneva che ”la salute in senso assoluto non esiste e, di conseguenza, deve essere considerata ed affrontata come un concetto relativo”. Lo stato di salute può essere definito solo in senso negativo, cioè intendendolo come assenza di eventi negativi (malattie) e privo di caratteri positivi che ne possano contraddistinguere l'identificazione.

Dati anamnestici, esami clinici e approfondimenti diagnostici strumentali e di laboratorio possono essere interpretati solo per confronto con altri dati, definiti “ di riferimento”, allo scopo di formulare la diagnosi.

Ogni risultato viene confrontato e rapportato con un determinato riferimento, e pertanto è necessario disporre di valori di riferimento per tutti i test eseguiti nel laboratorio clinico. Inoltre è importante poter

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disporre non solo di valori generati da soggetti sani, ma anche di valori misurati in pazienti affetti da patologie specifiche.

Occorre dunque selezionare un intervallo “di riferimento” sulla base delle caratteristiche dell’analita, delle patologie che vogliamo diagnosticare, e della popolazione coinvolta [2].

L’intervallo di riferimento rappresenta un ambito di valori di concentrazione di un analita. Generalmente si sceglie un intervallo che comprenda il 95% dei valori osservati nel gruppo di campioni di riferimento.

La probabilità per un soggetto “sano” di avere un valore fuori dell’intervallo, cioè un valore “anormale” ma non necessariamente “patologico”, è dunque del 5% (2,5% valori più alti del limite superiore, 2,5% valori più bassi del limite inferiore).

La probabilità che un soggetto “sano” sia classificato al di fuori dell’intervallo di riferimento aumenta se questo viene sottoposto a più esami fra loro non correlati.

Quindi all’aumentare del numero delle analisi effettuate, aumenta anche la probabilità di riscontrare valori fuori dalla norma. Per questo è importante che la richiesta di analisi di laboratorio sia motivata da un quesito diagnostico preciso, per evitare di incorrere in quella che è stata definita come “Sindrome di Ulisse”: a un soggetto cui vengono fatte delle analisi senza uno specifico razionale, viene riscontrato un parametro fuori dai limiti di riferimento. Pur non avendo da sola nessun significato patologico, la “anomalia” fa suonare un campanello di allarme, che porta il soggetto ad essere sottoposto a tutta una serie di analisi, del tutto inutili, che portano ad un futile aggravio di spesa sanitaria e alla perdita di tempo degli operatori sanitari, che viene sottratto a situazioni di vero interesse sanitario.

Come indicato dalle linee guida CLSI [3], per ottenere l’intervallo di riferimento si seleziona una popolazione di soggetti, stratificati per una o più variabili (sesso, età, peso, ecc.), con una numerosità campionaria

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statisticamente significativa dipendente dal grado di accuratezza che vogliamo ottenere (di solito ≥120).

Per determinare gli intervalli di riferimento di un analita occorre innanzi tutto studiarne la distribuzione dei valori ottenuti, utilizzando il test di Kolgomorov-Smirnov e stabilire se essa e’ di tipo Gaussiano. Se la distribuzione risulta essere Gaussiana, si applicano i test statistici parametrici e si eliminano i valori estremi, i cosiddetti “outliers”, che non devono essere >5%; sui dati rimanenti si andrà a calcolare l’intervallo di riferimento, che conterrà il 95% dei valori, andando quindi a comprendere tutti quelli distanti dalla media fino a 1,96 deviazioni standard (DS).

Figura 1. Curva di distribuzione Gaussiana con indicazione dell’area sottesa da varie porzioni corrispondenti alle DS.

Se invece la distribuzione non è Gaussiana, occorre calcolare i percentili (mediana o 50%ile e 2,5 e 97,5%ile). In questo caso l’intervallo di riferimento comprenderà tutti i valori fra il 2,5 e il 97,5%ile o, in caso di variabilità biologica alta, il 5 e 95%ile.

In alcuni casi il calcolo di un intervallo di riferimento ha poco senso. Questo accade frequentemente con marcatori che nella maggior parte della popolazione hanno valori bassi, entro un certo valore soglia, che aumentano, in misura differente, in determinate condizioni. In questo caso, è opportuno invece stabilire i cosiddetti “livelli” o “limiti decisionali”.

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La scelta di stabilire intervalli di riferimento o limiti decisionali dipende da vari fattori:

1. Tipo di esame

2. Uso clinico del risultato

3. Variabilità biologica interindividuale

Si definisce limite o livello o valore decisionale il risultato di un’analisi di laboratorio che si associa o provoca una specifica decisione e azione clinica sul paziente.

La decisione può essere di tipo diagnostico, per esempio un approfondimento di indagini cliniche, strumentali e di laboratorio, o terapeutico (inizio o modifica di una terapia).

Nei casi in cui il valore decisionale “impone” un’azione immediata e salvavita, si usa il termine “valore critico o valore di panico” il quale richiede particolari procedure operative per assicurare tempestività di comunicazione, tracciabilità e certezza dell’identità del medico che riceve l’informazione.

Sulla scorta di tutte queste considerazioni è quindi opportuno che ciascun laboratorio calcoli e mantenga intervalli di riferimento “locali”, in relazione alla popolazione composta dai pazienti da esso osservati [3].

1.2 Variabilità biologica e analitica

Per il calcolo degli intervalli di riferimento, occorre tenere conto della variabilità nella ripetizione delle misurazioni dei valori analitici. Questa variabilità totale (VT) dipende da due componenti: la variabilità

analitica (VA) e la variabilità biologica (VB) [4].

La variabilità analitica dipende da tutti quei fattori che possono intervenire nella misurazione prima, durante e dopo la procedura d’analisi; si parla perciò di variabilità pre-analitica, analitica e post-analitica.

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Tabella 1 Fattori di variabilità dei valori analitici

Variabilità pre-analitica

Prelievo non corretto Provetta non idonea

Conservazione o trasporto inadeguati Ritardo nella processazione

Preparazione del campione non corretta

Variabilità analitica

Associata al metodo di misura Associata allo strumento Associata all’operatore

Variabilità post-analitica

Calcolo dei risultati

Dal punto di vista del metodo di misura, la variabilità analitica è legata a due componenti: l’accuratezza e la precisione [5];

L’accuratezza indica quanto un valore medio si scosta dal valore atteso. In altri termini, l’accuratezza equivale alla concordanza tra il valore misurato ed il valore vero e dipende dal metodo usato. Un metodo di analisi è tanto più accurato, quanto più si avvicina ai valori determinati mediante un metodo di riferimento. L’inaccuratezza è dovuta all’errore sistematico, per effetto del quale tutti i valori risultano uniformemente più alti o più bassi del valore vero.

La precisione è il grado di concordanza tra misure replicate effettuate sul medesimo campione. Se il metodo è preciso, la variazione dei valori segue una distribuzione gaussiana.

L’imprecisione è dovuta all’errore casuale. Per effetto dell’errore casuale, i valori analitici replicati risultano occasionalmente superiori o inferiori al valore vero. La precisione si misura in termini di deviazione standard o di coefficiente di variazione.

Oltre alla variabilità analitica, i risultati analitici sono soggetti anche alla variabilità biologica. Una serie di fattori legati all’individuo

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possono essere responsabili della variazione dei valori di un analita da soggetto a soggetto, o anche nello stesso individuo.

Fig. 2 Accuratezza e Precisione

Fra questi troviamo: età, sesso, etnia, ritmi circadiani, variazioni stagionali, ciclo mestruale, dieta, gravidanza, massa corporea, attività fisica, attività lavorativa, fumo, consumo di droghe o alcool, postura al prelievo, immobilizzazione, disturbi del sonno, ansia o stress, clima, ecc.

Tutti questi fattori portano a quelle differenze fra soggetto e soggetto, definita come variabilità inter-individuale, alla base degli intervalli di riferimento.

Possiamo ridurre la variabilità biologica agendo sulla cosiddetta frazione comprimibile, cioè standardizzando le condizioni in cui il soggetto si presenta al prelievo (digiuno, no farmaci, ecc); vi è però anche una frazione incomprimibile, dovuta ai meccanismi biometabolici dell’organismo (sintesi, rilascio in circolo, catabolismo, escrezione) che tendono a mantenere la concentrazione dell’analita intorno al punto omeostatico. Perciò, anche nelle stesse identiche condizioni, uno stesso soggetto avrà valori leggermente differenti da una misurazione all’altra. Si parla in questo caso di variabilità intra-individuale.

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1.3 Interpretazione dei risultati

Nella pratica clinica ci si trova regolarmente a dover interpretare i risultati analitici, dando loro il corretto significato, poiché essi non sono assoluti: nonostante un’adeguata individuazione dei livelli decisionali, un risultato negativo ad un test non esclude sempre la presenza di malattia, mentre in altri possono riscontrarsi valori

falsamente positivi. Uno dei fattori che influenza la valutazione di un risultato analitico è la prevalenza della malattia nella popolazione. L’epidemiologia ha sottolineato l’importanza di sensibilità e specificità come parametri di interpretazione dei risultati analitici [6]. Applicando un test ad una popolazione significativa, i risultati possono essere riassunti come nella tabella 2.

Tabella 2 Classificazione dei soggetti dopo applicazione di un test diagnostico

Malattia presente Malattia assente Test positivo Veri Positivi Falsi Positivi Test negativo Falsi Negativi Veri Negativi

La sensibilità è la capacità di identificare correttamente gli individui ammalati. In termini di probabilità, la sensibilità è la probabilità che un individuo ammalato risulti positivo al test;

Sensibilità = VP/(VP+FN)

La specificità è la capacità di identificare correttamente gli individui sani. In termini di probabilità, la specificità è la probabilità che un individuo sano risulti negativo al test.

Specificità = VN/(VN+FP)

Non si può affermare a priori che un valore all’interno dell’intervallo di riferimento appartenga ad un individuo senz’altro sano ed uno all’esterno ad un individuo senz’altro ammalato, poiché alcuni pazienti sani possono presentare valori non inclusi nei valori di riferimento (falsi positivi).

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D’altronde può accadere anche il contrario, cioè che soggetti ammalati presentino valori che cadono all’interno dei valori di riferimento (falsi negativi).

La produzione di falsi negativi e di falsi positivi è legata alla distribuzione dei valori nelle due popolazioni (Fig.3).

Figura 3. Distribuzione realistica di soggetti sani e malati nella popolazione in analisi

Un test ottimale dovrebbe essere contemporaneamente molto sensibile e molto specifico. Nell’ambito dello stesso test, la specificità e la sensibilità sono due caratteristiche interdipendenti, cioè al crescere dell’una diminuisce l’altra e viceversa. Nella pratica clinica, volendo confermare la presenza di una certa malattia si sceglierà un esame che presenti elevata specificità, volendo invece escluderla (come nei test di screening) si sceglierà un esame con alta sensibilità.

Le due caratteristiche del test possono essere dosate sacrificando l’una all’altra. Basta variare il valore di riferimento del test spostando il punto di discriminazione tra positivo e negativo.

Il punto di discriminazione più conveniente di un test si ricava dalle curve ROC (Receiver Operating Characteristics) [7,8]: ad ogni soglia di decisione corrisponde una coppia di valori di sensibilità (SE) e specificità (SP).

(11)

Riportando in ascisse 1-SP che rappresenta la frazione di falsi positivi, e in ordinata SE che rappresenta la frazione veri positivi,

si può tracciare una curva i cui punti rappresentano le prestazioni del test diagnostico per ogni possibile scelta della soglia di decisione clinica.

Il punto di ottimo e’ quello in alto a sinistra (SE=1,SP=1) per il quale la regola di decisione è infallibile (nessun falso positivo e falso negativo). Pertanto più la curva ROC è arcuata verso quel punto, migliore è il test decisionale. L’area grigia sopra la curva ROC rappresenta pertanto l’errore connesso con l’uso del test stesso.

(12)

1.4 I metaboliti delle catecolamine

Gli acidi omovanillico e vanilmandelico urinari (HVA e VMA) sono metaboliti delle catecolamine, utilizzati fin dagli anni ’70 come biomarcatori nella diagnostica e nel follow-up dei pazienti con Neuroblastoma (NB) [9,10]. Alcuni studi hanno indagato il valore diagnostico di questi due marcatori tumorali, rilevandone sensibilità (66-100%) e specificità (>99%) molto elevate [11,12].

Figura 5. Metabolismo delle catecolamine

Il numero di pazienti con NB in cui risultano valori elevati di HVA e/o VMA alla diagnosi, varia con lo stadio della malattia (come descritto dall’International Neuroblastoma Staging System, INSS), in particolar modo nei tumori a più alto stadio [13].

Il metodo d’elezione per la determinazione delle concentrazioni di HVA e VMA nelle urine è la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC) con rilevatore elettrochimico (EC) [14]. Possono però essere utilizzati anche altri metodi analitici quali gas-cromatografia (GC) [15], cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa

(13)

(LC-MS/MS) [16] o immunoassay [17]. Il metodo standard per il dosaggio prevede la raccolta delle urine delle 24 ore, che però sono difficili da raccogliere in età pediatrica e risultano spesso incomplete. Per questa ragione si preferisce utilizzare le urine su singola minzione, dal momento che ne è stata dimostrata l’intercambiabilità con la raccolta 24 ore [18,19]. In questo caso, è obbligatorio per ogni campione correggere il valore di HVA e VMA per l’escrezione di creatinina (HVA/Cr e VMA/Cr).

L’escrezione giornaliera di HVA e VMA aumenta in maniera lineare con l’età, senza differenze di sesso, mentre i valori di creatinina aumentano proporzionalmente alla crescita della massa muscolare. Per queste ragioni, queste variazioni devono essere tenute in conto negli intervalli di riferimento e nei limiti decisionali di HVA e VMA correlati con l’età [20,21].

1.5 L’analisi cromatografica

L’HPLC è una tecnica di chimica analitica utilizzata per separare e purificare i componenti di una miscela, identificarne i componenti di interesse e quantificarli. La metodica si basa sul passaggio di una miscela liquida contenente il campione e un solvente liquido pressurizzato (detto “fase mobile”) attraverso una colonna riempita con un materiale adsorbente solido (detta “fase stazionaria” o “solida”). Una sostanza più affine alla fase stazionaria rispetto alla fase mobile impiega un tempo maggiore a percorrere la colonna cromatografica (tempo di ritenzione), rispetto ad una sostanza con bassa affinità per la fase stazionaria ed alta per la fase mobile. Questi diversi tempi di ritenzione permettono di separare le varie molecole presenti nel campione e di quantificare quella di interesse.

Il componente attivo della colonna, la fase stazionaria, è tipicamente un materiale granulare costituito da particelle solide (ad esempio silice, polimeri, ecc) di dimensioni 2-50 micrometri. Le componenti del campione sono separate le une dalle altre grazie ai diversi gradi di interazione con le particelle adsorbenti.

(14)

La fase mobile è tipicamente una miscela di solventi (ad esempio acqua, acetonitrile e/o metanolo). La sua composizione, la temperatura e la pressione di iniezione giocano un ruolo fondamentale nel processo di separazione influenzando le interazioni che avvengono tra le componenti di campione e fase stazionaria.

L’HPLC si distingue dalla tradizionale (“bassa”) cromatografia liquida perché le pressioni operative sono significativamente superiori (50-350 atmosfere. Per ottenere un'elevata efficienza nella separazione è necessario che le dimensioni delle particelle del riempimento siano molto ridotte (di solito hanno diametri compresi da 3 a 10 µm), per questo motivo è indispensabile applicare un'elevata pressione se si vuole mantenere una ragionevole velocità di flusso dell'eluente e quindi un tempo di analisi adeguato.

Lo schema di uno strumento di HPLC (Fig.6) comprende tipicamente un autocampionatore, delle pompe e un rivelatore.

Figura 6. Schema di un HPLC

Il campionatore porta la miscela del campione nel flusso di fase mobile che lo trasporta nella colonna. Le pompe forniscono la portata desiderata e la composizione della fase mobile attraverso la colonna. Il rilevatore è un sistema che permette l’ analisi in continuo dell’uscita

(15)

della colonna e quindi di poter identificare le sostanze iniettate.

Vari rivelatori sono di uso comune: rivelatori ad assorbanza (la regione di spettro più utilizzata è quella dei raggi UV), a fluorescenza, elettro-chimici, a serie di diodi e spettrometri di massa.

Il rivelatore genera un segnale proporzionale alla quantità di componente del campione emergente dalla colonna (Fig.7), che viene poi convertito nel dato finale.

Nel caso di HVA e VMA si utilizza un rivelatore elettrochimico (EC). Esso rappresenta il gold standard, permettendo di rilevare quantità minime di analiti, data la sua elevatissima sensibilità, maggiore anche di quella di tecnologie più avanzate come la massa.

Il rivelatore EC permette l’analisi di composti elettroattivi che possono essere cioè ossidati o ridotti.

Tra l’elettrodo di lavoro e l’elettrodo di riferimento viene mantenuto un potenziale costante e la corrente, prodotta dalla reazione di ossidazione o riduzione dell’analita, è misurata tra l’elettrodo di lavoro e il contro-elettrodo ed è proporzionale alla concentrazione di analita nel campione.

Poiché sono necessari eluenti conduttivi, questo tipo di rivelatori è utilizzato nelle separazioni a fase inversa impiegando solventi acquosi o polari contenenti elettroliti disciolti, generalmente tamponi.

Il campione viene preparato tramite una eluizione su fase solida su colonnine:

-si sistemano le colonnine su un vacuum box, che crea una pressione negativa;

-si condiziona ciascuna colonnina con 1 mL di una soluzione di lavoro contenente lo standard interno, denominata “reagente 1”;

-si versano 500 µl di campione nella colonnina e si scarta l’eluato senza portare a secco;

-si lava la colonnina con 1 mL di reagente 1, scartando l’eluato e portando a secco lentamente. In questo modo la parte di interesse del campione rimane attaccata alla fase solida della colonnina;

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-si posizionano nel vacuum box le provette di raccolta e si eluisce con 1 mL di un reagente apposito per staccare il campione (reagente 2); -si inietta poi l’eluato ottenuto nell’HPLC [22,23].

Figura 7. Esempio di cromatogramma

(17)

Capitolo 2: Il Neuroblastoma

2.1 Definizione

Il Neuroblastoma è un tumore infantile del sistema nervoso simpatico che origina dalle cellule neuroectodermiche della cresta neurale primitiva.

Può colpire le ghiandole surrenali, presentandosi come una tumefazione addominale, o i gangli simpatici paraspinali, potendo comparire in qualsiasi tratto della colonna vertebrale: addominale, toracica e, più raramente, cervicale.

E' caratterizzato da un'estrema variabilità di comportamento: può regredire spontaneamente nei neonati, o accrescersi rapidamente portando a morte il paziente [24,25].

2.2 Epidemiologia

Il neuroblastoma rappresenta il 7-8% dei tumori infantili, risultando la terza neoplasia per frequenza dopo le leucemie e i tumori cerebrali in età pediatrica (10% dei tumori solidi fino al 15° anno di vita). L’incidenza complessiva, nei bambini fino ai 15 anni, è di 1/70.000 all’anno; rappresentando il 10% di tutti i tumori maligni dei bambini e oltre la metà dei tumori diagnosticati in età neonatale, è di gran lunga il tumore più frequente nei primi 5 anni di vita, con un età media alla diagnosi di circa 2 anni. Negli adulti viene riscontrato raramente. Il rapporto maschi/femmine è di 1.3/1 [26].

2.3 Stadiazione

Il termine ”neuroblastoma” è spesso usato impropriamente per indicare l’insieme dei tumori neuroblastici periferici derivanti dalle cellule neuroectodermiche embrionali (27). La famiglia dei tumori neuroblastici periferici comprende in realtà vari tumori che

(18)

differiscono per composizione cellulare e per grado di differenziazione: - neuroblastoma: costituito da cellule neuroblastiche immature, con componente stromale schwanniana limitata;

- ganglioneuroblastoma “nodulare”: costituito da una componente stromale schwanniana prevalente e una componente nodulare macroscopica di cellule neuroblastiche con scarso stroma;

- ganglioneuroblastoma “intermixed”: costituito da una componente stromale schwanniana prevalente (> 50%) e da aggregati microscopici di cellule neuroblastiche intercalati allo stroma;

- ganglioneuroma: costituito da una componente stromale schwanniana con cellule gangliari più o meno differenziate.

La stadiazione della malattia, che, insieme all’amplificazione dell’oncogene N-MYC e all’età, è largamente usata per definire la prognosi e i programmi terapeutici, è basata sulla valutazione della estensione, locale e a distanza, del tumore, e sulla sua resecabilità [28]. Il sistema universalmente utilizzato negli ultimi due decenni, chiamato “International Neuroblastoma Staging System” (INSS), era basato sulla valutazione della resecabilità da parte del chirurgo al momento della diagnosi (Tabella 3) [28].

Tabella 3. Stadiazione INSS

Stadio Descrizione

Stadio 1

Tumore localizzato con escissione macroscopicamente completa, con o senza residuo microscopico di malattia; linfonodi rappresentativi omolaterali microscopicamente negativi (eventuali linfonodi a contatto con il tumore e rimossi con esso possono essere positivi).

Stadio 2A Tumore localizzato con escissione macroscopicamente incompleta; linfonodi rappresentativi omolaterali non aderenti microscopicamente negativi.

Stadio 2B

Tumore localizzato con o senza escissione completa, con linfonodi omolaterali non aderenti positivi. I linfonodi controlaterali devono essere microscopicamente negativi.

Stadio 3

Tumore unilaterale non resecabile, che infiltra superando la linea mediana*, con o senza coinvolgimento dei linfonodi loco-regionali; oppure tumore della linea mediana con estensione bilaterale per infiltrazione o coinvolgimento linfonodale.

Stadio 4 Qualsiasi tumore primitivo con disseminazione a linfonodi distanti, ossa, midollo osseo, fegato e/o altri organi (eccetto casi descritti come Stadio 4S).

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Stadio 4S

Tumore primitivo localizzato (come definito negli stadi 1, 2A o 2B), con disseminazione limitata a fegato, cute e/o midollo osseo†. Lo stadio 4S è limitato a bambini di età inferiore a un anno.

Note

I tumori primitivi multifocali (p. es. i tumori surrenalici bilaterali) vanno stadiati secondo l’estensione maggiore di malattia, come definito sopra, e sono seguiti dall’indicazione “M” (p. es. Stadio 3M).

* La linea mediana è definita come colonna vertebrale. Tumori che originano da un lato e attraversano la linea mediana devono infiltrare fino al lato opposto della colonna vertebrale.

† Il coinvolgimento midollare nello Stadio 4S deve essere minimo, cioè meno del 10% delle cellule nucleate sulla biopsia osteo-midollare o sulla valutazione quantitativa nell’ aspirato midollare e scansione MIBG negativa a livello midollare. Coinvolgimenti più estesi devono considerarsi Stadio 4.

Il sistema di classificazione dello “International Neuroblastoma Risk Group” (INRG) è stato sviluppato nel 2009 per facilitare il confronto dei trial clinici basati sul rischio condotti in differenti aree del mondo, definendo coorti omogenee di pazienti pre-trattamento. Questo sistema definisce in maniera più unitaria gruppi di rischio riproducibili, e i criteri radiologici alla diagnosi sono stati adottati come fattori di rischio per la terapia chirurgica. (Tabella 4) [29,30].

Tabella 4. Fattori di rischio definiti con diagnostica per immagini (IDRF) in tumori neuroblastici

Estensione ipsilaterale del tumore a non più di 2 compartimenti corporei

Collo

-Il tumore ricopre la carotide/o l’arteria vertebrale e/o la vena giugulare interna

-Tumore esteso alla base del cranio -Il tumore comprime la trachea

Giunzione toraco-cervicale

-Il tumore ricopre le radici del plesso brachiale -Il tumore ricopre i vasi sottoclavicolari e/o le arterie vertebrali e/o la carotide -Il tumore comprime la trachea

-Il tumore ricopre l’aorta e/o i rami maggiori

-Il tumore comprime la trachea e/o I bronchi principali Torace

-Tumore mediastinico basso, infiltrante le articolazioni costovertebrali fra T9 e T12

Giunzione

toraco-addominale -Il tumore ricopre l’aorta e/o la vena cava inferiore

-Il tumore infiltra la vena porta e/o il legamento epatoduodenale -Il tumore ricopre I rami dell’arteria mesenterica superiore e le radici del mesentere

Addome/pelvi

-Il tumore ricopre la radice del tronco celiaco e/o l’arteria mesenterica superiore

-Il tumore invade uno o entrambi gli ili renali -Il tumore ricopre l’aorta e/o la vena cava inferiore

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-Il tumore ricopre i vasi iliaci -Tumore pelvico sul nervo sciatico

- Estensione intraspinale del tumore in qualsiasi localizzazione, a condizione che: più di un terzo del canale spinale in piano assiale sia invaso e/o gli spazi leptomeningei perimidollari non siano visibili e/o il segnale del midollo spinale sia anormale

-Infiltrazione di strutture/organi adiacenti: Pericardio, diaframma, rene, fegato, duodeno, pancreas e mesentere

-Tumori primari multifocali Condizioni da notare

ma non considerate negli IDRFs

Essudato pleurico, con o senza cellule maligne; ascite, con o senza cellule maligne.

Questi criteri sono basati sulla relazione fra il tumore e le strutture adiacenti, e sono in grado di prevedere complicazioni chirurgiche severe; essi sono alla base del nuovo sistema di stadiazione del “International Neuroblastoma Risk Group” (INRGSS) (Tabella 5).

Tabella 5. International Neuroblastoma Risk Group Staging System (INRGSS)

Stadio Caratteristiche

Stadio L1

Fattori di rischio radiologici assenti: tumore localizzato, che non coinvolge strutture vitali, come definite dall’elenco dei fattori di rischio definiti con diagnostica per immagini,e confinato ad un solo compartimento corporeo

Stadio L2 Tumore locoregionale con presenza di uno o più fattori di rischio definiti con diagnostica per immagini

Stadio M Metastasi a distanza

Stadio MS

Tumore metastatico in bambini sotto i 18 mesi di età, con metastasi confinate a pelle, fegato e/o midollo osseo (il coinvolgimento midollare deve essere <10% del totale delle cellule nucleate su striscio o biopsia)

2.4 Quadro clinico

Il neuroblastoma ha origine, nel 66% circa dei casi, dai gangli paravertebrali retroperitoneali o dalle ghiandole surrenali, e si presenta come una massa addominale che si manifesta con sintomi da compressione. In un 20% dei casi prende origine dai gangli mediastinici posteriori, dove può manifestarsi con sintomi respiratori gravi. Nei restanti casi origina dal collo, dove appare come una massa laterocervicale, che può accompagnarsi alla sindrome di

(21)

Bernard-Horner, o dalla pelvi. Le sedi più comuni di metastatizzazione, presenti alla diagnosi nel 60% circa dei pazienti, sono il midollo osseo e le ossa. Talvolta i primi segni e sintomi sono correlati alla disseminazione della neoplasia (anoressia, dolore, febbre, epatomegalia, esoftalmo ed ecchimosi periorbitali) e queste sono le prime manifestazioni ad attirare l’attenzione dei genitori e dei pediatri [25].

I sintomi da compressione del midollo spinale sono presenti nel 7% dei pazienti, conseguentemente all’infiltrazione dei forami intervertebrali; nella maggior parte dei casi, questi sintomi sono reversibili con una diagnosi e una terapia tempestivi (31). I più importanti segni e sintomi alla diagnosi sono l’atassia e l’ opsoclono, legati alla presenza di autoanticorpi anti-cervelletto; questa presentazione si associa in genere a una prognosi favorevole. Un terzo circa dei pazienti, ha però sequele psico-motorie gravi nonostante l’ uso di agenti immunosoppressori [32]. Un’altra rara presentazione della malattia è associata a diarrea acquosa dovuta ad una produzione paraneoplastica di peptide intestinale vasoattivo [25].

2.5 Metastatizzazione

Più della metà dei pazienti presenta malattia metastatica alla diagnosi, con metastasi, frequenti e precoci, che colpiscono ossa, linfonodi, fegato e midollo osseo.

La ricaduta avviene in particolare in associazione con: aumentare dell'età, metastatizzazione, sito primitivo addominale, quantità elevate di LDH, e amplificazione del gene MYCN [33]. Circa il 60% dei bambini con neuroblastoma hanno tumori ad alto rischio, e le normali terapie raramente portano a lunghe sopravvivenze. Sebbene alcuni pazienti ad alto rischio possano raggiungere una lunga sopravvivenza in seguito a terapia chemio-radio ablativa del midollo e trapianto autologo di midollo osseo, il 50-60% di questi pazienti subirà una ricaduta. Una simile prognosi negativa si riscontra in bambini con malattia in stadio avanzato, refrattaria alle cure.

(22)

2.6 Diagnosi

Per una diagnosi accurata e per la stadiazione, sono richieste, come suggerito dall’International Neuroblastoma Staging System (INSS), le seguenti indagini [28,30]:

• TC o RM del sito del tumore primitivo, per valutare l’estensione della

malattia primitiva;

• livelli urinari dei metaboliti delle catecolamine (acido omovanillico e

vanilmandelico);

• valutazione istologica del tumore primitivo o di metastasi;

• biopsia osteo-midollare e aspirato midollare in due diversi siti, al fine

di valutare la presenza di invasione midollare; indagini immunocitochimiche o di biologia molecolare per la rilevazione di una invasione midollare possono essere eseguite, ma sono considerate sperimentali [34];

• scintigrafia con meta-iodo-benzil-guanidina (I-MIBG), per valutare il

sito del tumore primitivo e rilevare eventuali siti di metastasi; la scintigrafia è molto rilevante anche per valutare la risposta alla terapia nelle sedi di metastasi;

• TC delle sedi ossee risultate positive alla scansione con MIBG in

bambini di età inferiore a un anno;

• valutazioni ulteriori sono i livelli sierici di ferritina, LDH ed enolasi

neurono-specifica (NSE).

La diagnosi differenziale si pone con il nefroblastoma, e ciò suggerisce la necessità di controllare sistematicamente le catecolamine urinarie in presenza di un tumore addominale. Il dolore osseo e la claudicazione possono essere erroneamente interpretati come sintomi di una sinovite dell'anca. La possibile presenza di ematomi periorbitali bilaterali dovuti alle metastasi orbitali non deve essere confusa con il maltrattamento. I neuroblastomi possono essere identificati con l'ecografia prenatale e perciò è necessaria un'adeguata presa in carico dopo la nascita [28].

(23)

2.7 Prognosi

Diversi gruppi internazionali hanno sviluppato un modello di stratificazione dei pazienti per fattori di rischio sulla base dei quali pianificare le cure [35]. Caratteristiche biologiche sono state aggiunte alle differenti caratteristiche cliniche e oggi i più importanti fattori di rischio includono età, stadio e amplificazione di N-MYC.

Questi parametri definiscono almeno due pattern di malattia. Il primo è il neuroblastoma che origina nei primi mesi di vita: questi pazienti mostrano una regressione spontanea della malattia o hanno comunque una sopravvivenza eccellente con un trattamento minimo, purché il tumore non sia N-MYC amplificato [36,37].

Al contrario, un outcome sfavorevole è atteso in bambini con tumori N-MYC amplificati o metastatici e un’ età alla diagnosi superiore a 18 mesi [38-40]. Tra questi due gruppi estremi c’è un gruppo intermedio con caratteristiche “intermedie”.

Fattori prognostici addizionali, tra cui la classificazione istopatologica, la ploidia del tumore, le anomalie cromosomiche, possono aiutare in una miglior definizione della prognosi e conseguentemente permettere al medico di adottare diverse strategie terapeutiche specifiche per questo gruppo di pazienti (la triploidia, le anomalie numeriche dei cromosomi si associano a una buona prognosi, mentre la diploidia o la tetraploidia e le anomalie segmentali dei cromosomi, comprese le perdite di 1p, 11q o le duplicazioni di 17q, si associano a una prognosi sfavorevole).

L’International Neuroblastoma Risk Group (INRG) Task Force ha sviluppato un sistema di classificazione chiamato International Neuroblastoma Risk Group Consensus Pretreatment Classification Schema per stabilire un approccio condiviso per la stratificazione del rischio pre-trattamento, con un livello di evidenza di tipo C [41].

Il neuroblastoma negli adolescenti e negli adulti è molto raro: in questi pazienti ha una diversa evoluzione. L’ assenza di malattia metastatica alla diagnosi è la presentazione più frequente, ed è molto raramente associata ad amplificazione di N-MYC. In ogni caso, nonostante si tratti di una malattia relativamente a lenta evoluzione, insorgono frequentemente recidive locali multiple o metastasi, ad esito fatale [26].

(24)

2.8 Terapia

Il trattamento del neuroblastoma si avvale di chemioterapia (a dosi convenzionali o a dosi mieloablative), chirurgia, radioterapia e derivati della vitamina A, con un livello di evidenza 1. Sono in via di sperimentazione approcci immunologici, tra cui gli anticorpi anti-disialoganglioside 2 (anti-GD2) combinati o meno con citochine (GM-CSF, IL-2), il trapianto di cellule staminali allogeniche, e trattamenti con nuovi agenti chemioterapici [42,43].

(25)

Capitolo 3: Parte sperimentale

3.1 Introduzione

Teoricamente, gli intervalli di riferimento dovrebbero essere stabiliti sulla basi di un grande numero di campioni ottenuti da soggetti selezionati da una popolazione sana, e stratificati sulla base di variabili quali età, sesso ed etnia [44]. Questo tipo di approccio si rende particolarmente difficoltoso in campo pediatrico, dove è esclusa la possibilità di raccolta di campioni da volontari sani per motivi etici. Perciò, i valori di riferimento pediatrici, vengono generalmente ottenuti da piccoli gruppi, e gli intervalli di età sono spesso arbitrari.

Un approccio molto utile per superare queste difficoltà è quello di usare un gran numero di risultati, registrati nei sistemi informatici di laboratorio, elaborandoli con specifici metodi statistici, come l’analisi multivariata, usando l’età come variabile continua [45].

In questo lavoro sono stati recuperati i risultati di HVA e VMA misurati mediante HPLC-EC nel Laboratorio Centrale di Analisi dell'Istituto Giannina Gaslini, laboratorio di riferimento per la biochimica del NB per l'AIEOP (Associazione Italiana di Emato Oncologia Pediatrica, gruppo Cooperativo per il NB).

3.2 Scopo della tesi

Lo scopo di questo lavoro è stato appunto quello di utilizzare questo considerevole numero di dati per calcolare gli intervalli di riferimento di HVA/Cr e VMA/Cr in funzione dell’età e per stabilire la performance diagnostica dei due biomarcatori all’esordio della malattia. In passato è stato valutato il significato prognostico di vari marcatori di NB [46], ma finora non si era mai focalizzata l’attenzione sulla capacità diagnostica di HVA e VMA.

Per questo motivo, al fine di valutare la loro performance nella diagnosi del NB, sono state stabilite le curve ROC, per rappresentare la

(26)

sensibilità e la specificità nelle differenti classi di età e stadi di malattia [47]. Per utilizzare un analita a fini di screening è più importante massimizzare la specificità, inoltre si deve tenere presente che, come risaputo, una piccola parte dei NB (5-10%) non secerne catecolamine [48]. Questo è uno dei primi lavori che analizza a fondo la sensibilità e la specificità di HVA e VMA nella diagnostica del NB nei vari stadi di malattia e classi di età. Sono stati inoltre creati i valori soglia in grado di discriminare fra pazienti NB e soggetti sani con sospetto di malattia, che possono essere d’aiuto nella decisione clinica.

3.3 Soggetti in studio

Lo studio ha incluso 926 pazienti (età 0-20; 481 femmine, 445 maschi) sottoposti a misurazione di HVA e/o VMA urinari da gennaio 2007 a dicembre 2013. Di questi, 348 erano soggetti con NB e 188 di questi ultimi (età 0-20; 91 femmine, 97 maschi) erano all’esordio di malattia. Gli altri pazienti erano bambini in cui la diagnosi di NB era stata supposta ma non confermata dalla diagnostica per immagini e/o dall’istologia. La loro diagnosi definitiva era stata un altro tipo di patologia, infiammatoria e/o infettiva. I dati clinici e demografici dei pazienti con NB inclusi nello studio sono stati recuperati dal Sistema Informatico di Laboratorio, e dal Registro Italiano del Neuroblastoma. Dato che i test di laboratorio erano stati tutti richiesti per motivi diagnostici, non si è resa necessaria l’approvazione da parte del Comitato Etico dell’Istituto.

3.4 Metodi analitici

Sono stati utilizzati campioni urinari sia da raccolta sulle 24 ore, sia da minzione, acidificati per la conservazione con acido cloridrico. Le aliquote sono state conservate a 4°C per non più di 3 giorni prima di essere analizzate. La creatinina è stata misurata con test colorimetrico cinetico con metodo Jaffè (Roche Diagnostic Ltd, Milano). I due analiti sono stati misurati in HPLC-EC utilizzando un metodo commerciale

(27)

(BioRad Laboratories, Milano). I controlli interni di qualità sono stati effettuati per ogni sessione di analisi utilizzando due livelli di controllo Lyphocheck (BioRad). I controlli di qualità esterni dell’ International Proficiency Testing Scheme per catecolamine urinarie e loro metaboliti (United Kingdom National External Quality Assessment Service, UK Neqas, Birmingham) sono stati effettuati mensilmente. Sia i controlli interni che esterni, nel periodo di studio rientravano nei limiti di accettabilità. Le concentrazioni di HVA e VMA urinari sono state espresse come rapporto con la concentrazione di creatinina in mg/g Cr.

3.5 Metodi statistici

Le statistiche descrittive sono state riportate in termini di mediane e percentili per variabili continue. La normalità delle distribuzioni è stata valutata col test di Kolmogorov-Smirnov. I valori di riferimento per le varie classi d’età sono stati calcolati con metodo non parametrico, ottenendo il 10° e 90° percentile dei dati di partenza, con un intervallo di confidenza del 95%. E’ stata poi effettuata una analisi multivariata, stimando le curve con un modello di regressione che considerava l’età come variabile continua per calcolare gli intervalli di riferimento. Le distribuzioni della mediana e del 10° e 90° percentile sono state calcolate utilizzando vari modelli di regressione (lineare, quadratica, cubica) attraverso un grafico di dispersione con MS-Excel. Per identificare il modello più adatto sono stati utilizzati i valori più alti di R2. R2 è definito come la proporzione della varianza della risposta

che si può predire (o che può essere spiegata) dalla variabile della regressione. Per questa ragione, più alto è l’ R2, migliore sarà la

rappresentazione della correlazione con la curva di regressione. Il confronto delle variabili quantitative fra due gruppi è stato fatto con il test U di Mann-Whitney. La correlazione fra due parametri quantitativi è stata valutata col coefficiente di correlazione per ranghi di Spearman (rs), interpretato secondo Swinscow [49] come segue:

(28)

≥ 0.4–0.59: correlazione moderata; r ≥ 0.6–0.79: correlazione forte; r ≥ 0.8: correlazione molto forte.

Tutti i test statistici erano a due code, con un valore di P considerato statisticamente significativo se inferiore a 0.05.

Allo scopo di trovare il miglior valore soglia, in grado di discriminare fra controlli e soggetti NB, e le relative sensibilità e specificità, è stata condotta un’ analisi delle curve ROC; sono stati calcolati e riportati le aree sotto le curve ROC (AUC) e gli intervalli di confidenza (CI) al 95%. Per ottenere una valutazione della combinazione dei due analiti (HVA/Cr e VMA/Cr) si è utilizzato il modello di regressione logistica.

Questo modello viene utilizzato quando si è interessati ad analizzare la relazione causale tra una variabile dipendente dicotomica (in questo caso presenza o assenza di malattia) e una, o più variabili indipendenti quantitative (nel nostro lavoro, HVA/Cr e VMA/Cr). Quando la variabile dipendente è dicotomica, codificata come 0/1, la distribuzione teorica di riferimento è la distribuzione binomiale.

Nell’analisi della regressione logistica l’interpretazione della relazione tra variabili indipendenti e variabile dipendente avviene mediante la valutazione dei parametri del modello.

Nella stima dei parametri della regressione logistica si utilizza l’algoritmo di massima verosimiglianza (maximum likelihood - ML) che stima i parametri del modello in modo da massimizzare quella funzione (log-likelihood function) che indica quanto è probabile ottenere il valore atteso di Y dati i valori delle variabili indipendenti.

Nel metodo della massima verosimiglianza, la soluzione ottimale viene raggiunta partendo da dei valori di prova per i parametri (valori arbitrari) i quali successivamente vengono modificati per vedere se la funzione può essere migliorata.

Il processo viene ripetuto (iterazione) fino a quando la capacità di miglioramento della funzione è infinitesimale (convergenza).

(29)

di statistiche del tutto simili alle statistiche che esprimono l’adeguatezza del modello nel riprodurre i dati osservati nella regressione lineare (F e R2). Similmente alla somma dei quadrati, nella

regressione logistica si utilizza il log likelihood come criterio per la scelta dei parametri del modello. [50]

Per l’analisi statistica sono stati utilizzati i programmi “Excel 98” (Microsoft Corporation, Redmond, WA, USA) e “MedCalc” (MedCalc Software bvba, Ostend, Belgium).

3.6 Risultati

Estrapolando i risultati dal sistema informatico di laboratorio sono stati ottenuti 2340 risultati di HVA/Cr e 2557 risultati di VMA/Cr. Dopo aver escluso i risultati di pazienti con NB o altri tumori neuroendocrini a qualsiasi stadio di malattia, sono stati selezionati 648 risultati di HVA/Cr e 671 di VMA/Cr. Di questi, 599 soggetti avevano entrambi i risultati, e 95 erano bambini sotto i 18 mesi di vita. I dati così ottenuti sono stati utilizzati per calcolare gli intervalli di riferimento, e come controlli per il calcolo delle curve ROC. I valori di HVA/Cr andavano da 0,1 a 35 mg/g Cr, quelli di VMA/Cr da 0,5 a 20,4 mg/g Cr, entrambi non normalmente distribuiti. Non sono state riscontrate differenze correlate al sesso né per HVA/Cr (P = 0,1205), né per VMA/Cr (P = 0,1889).

Intervalli di riferimento

(30)

I risultati sono stati suddivisi in 8 sottogruppi a seconda dell’età: gruppo 1: 0-3 mesi; gruppo 2: 3-6 mesi; gruppo 3: 6-12 mesi; gruppo 4: 1-2 anni; gruppo 5: 2-5 anni; gruppo 6: 5-10 anni; gruppo 7: 10-15 anni; gruppo 8: 15-20 anni. Confrontando le medie ottenute per ciascuna classe d’età con quelle ottenute da altri autori che hanno calcolato gli intervalli di riferimento in una popolazione simile [20] è stata riscontrata una forte correlazione (r = 0,98; P < 0,0001). Sono state poi calcolate le equazioni per valutare gli intervalli di HVA e VMA in funzione dell’età. Il modello con il miglior R2 è risultato essere quello cubico.

Pazienti all’esordio di malattia

Sono stati ottenuti 169 valori di HVA/Cr e 179 di VMA/Cr da pazienti all’esordio di malattia, la cui diagnosi è stata confermata dalla diagnostica per immagini (scintigrafia con MIBG) e/o dall’esame istologico su aspirato midollare, e/o dalla biopsia, e ai quali era stato attribuito uno stadio di malattia in accordo con il sistema di stadiazione del “International Neuroblastoma Staging System” (INRG). I valori andavano da 0,8 a 387 per HVA/Cr e da 1,5 a 477 per VMA/Cr, ed erano significativamente differenti fra controlli e pazienti alla diagnosi (P<0,0001).

(31)

Performance diagnostica

La performance diagnostica di HVA/Cr e VMA/Cr per la diagnosi di NB è stata valutata calcolando sensibilità e specificità e stabilendo le rispettive curve ROC, utilizzando i valori dei controlli e dei pazienti con NB all’esordio di malattia. E’ stata ottenuta un’ottima soglia diagnostica utilizzando l’indice di Youden, e le aree sotto la curva (AUC) sono state usate per analizzare la prestazione globale. Sono state ottenute curve ROC per HVA, VMA e per la loro combinazione, considerando differenti stadi di malattia e gruppi d’età (< o > ai 18 mesi d’età).

Prendendo in considerazione tutti gli stadi contemporaneamente, sono state ottenute AUC molto elevate (0,927 per HVA, 0.926 per VMA). I valori di AUC ottenuti considerando i tumori localizzati (stadi 1 e 2) nel loro complesso (0,875 HVA e 0,869 VMA) sono risultati inferiori rispetto a quelli ottenuti nello stadio 3 (0,968 HVA e 0,935 VMA) (con P = 0,0201 e P = 0,124 rispettivamente) e nello stadio 4 (0,948, con P< 0,0001 per entrambi gli analiti); infine, nello stadio 4s, si sono riscontrati valori di AUC molto elevati (0,948 per HVA e 0.996 per VMA).

Figura 10. Curve ROC di tutti i pazienti per HVA (A), VMA (B) e la loro combinazione (C)

Combinando i due marcatori, le AUC aumentavano considerevolmente in tutti gli stadi, con un picco nello stadio 4s (AUC = 1). La prestazione diagnostica era significativamente diversa nei pazienti al di sotto o al di

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sopra di 18 mesi di vita (0,963 contro 0.923 rispettivamente, P < 0,0001).

Tabella 4. Performance diagnostica di HVA/Cr e VMA/Cr. Sono riportati: area sotto la curva (AUC) con Intervallo di Confidenza 95% (CI), sensibilità e specificità con Intervallo di Confidenza 95% (CI) e valore soglia, per HVA/Cr, VMA/Cr e per i 2 analiti combinati.

3.7 Discussione

La determinazione di HVA e VMA urinari è uno strumento rapido, non invasivo e poco costoso per la diagnostica del NB. Sebbene il dosaggio di questi due metaboliti delle catecolamine sia diventato uno standard della pratica clinica, in letteratura sono disponibili solo pochi e dati e peraltro contraddittori sulle loro prestazioni diagnostiche. In questo lavoro si è analizzato un gran numero di dati omogenei, ottenuti dal laboratorio dell’Istituto Giannina Gaslini, struttura di riferimento italiana per la biochimica del NB, in un periodo di 7 anni, in cui si è sempre utilizzata la stessa metodica in HPLC-EC. Questi dati sono stati utilizzati per calcolare gli intervalli di riferimento in funzione dell’età, considerando quest’ultima come una variabile continua. Intervalli di riferimento accurati e affidabili sono cruciali per una

(33)

corretta interpretazione dei risultati dei test di laboratorio e, di conseguenza, per la decisione clinica. Le equazioni presentate in questo lavoro, permettono di avere valori di riferimento correlati con l’età più accurati rispetto ad approcci tradizionali, inoltre, i dati ottenuti da un gran numero di controlli, sono stati utilizzati per valutare sensibilità e specificità di HVA/Cr e VMA/Cr, e per stabilire le curve ROC. Sono stati inoltre forniti i valori soglia per ciascuno stadio di malattia e per le coorti di età al di sopra e al di sotto dei 18 mesi di vita. I risultati ottenuti rivelano una capacità diagnostica molto alta per i due biomarcatori, in tutti gli stadi e sottogruppi. La prestazione migliore è stata ottenuta per lo stadio 4s considerando i due marcatori combinati, dove la sensibilità ha raggiunto il 100%, e la specificità il 99,7%, con una AUC di 1. I bassi valori di sensibilità ottenuti nei tumori localizzati (stadi 1 e 2, 73,2 HVA, 81,8 VMA, e 74,5 per la combinazione dei 2 marcatori) sono probabilmente dovuti al basso carico tumorale. Negli altri stadi, l’HVA aveva sempre sensibilità più alta del VMA, sia nei singoli stadi che nel loro complesso. Valori più alti sono evidenti anche nei pazienti sotto 18 mesi (88,5 HVA contro 85,5 VMA).

3.8 Conclusioni

Pochissimi lavori su questo argomento sono stati pubblicati in precedenza. In uno di questi [4] gli autori confrontano la prestazione diagnostica di vari metaboliti delle catecolamine, compresi HVA e VMA, usando le curve ROC. I loro risultati sono basati su pochi pazienti con NB, e per questa ragione, non sono stati in gradi di valutare alcuna differenza fra gli stadi di malattia. Questi autori hanno considerato tre differenti sottogruppi di età, ed hanno riscontrato un miglioramento delle AUC con l’aumentare dell’età stessa. Viceversa, nel presente lavoro, le AUC ottenute nei pazienti più giovani (< 18 mesi) sono risultate più alte di quelle dei pazienti più grandi (> 18 mesi). Queste discrepanze possono essere dovute alla differenza nel numero di pazienti. Altri autori [13] hanno in parte investigato la prestazione

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diagnostica di HVA e VMA, insieme alla dopamina, in una coorte di pazienti simile a quella studiata nel presente lavoro. Essi hanno calcolato le sensibilità di HVA/Cr, VMA/Cr e DA/Cr da sole e in combinazione, riscontrando, a differenza di questo lavoro, la prestazione migliore per la combinazione di HVA e VMA nello stadio 3, con una sensibilità del 100%. Nonostante ciò, il loro lavoro non comprende alcun gruppo di controllo e, per questo motivo, non sono stati in grado di calcolare le specificità e le curve ROC.

In conclusione, l’accurata misurazione di HVA e VMA è uno strumento altamente sensibile e specifico per la diagnosi di NB, specialmente per tumori metastatici e nei neonati.

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RICONOSCIMENTI

Questo studio è stato supportato in parte dalla “Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma”.

Un ringraziamento alla Dott.sa Giuliana Cangemi, al Dott. Sebastiano Barco, e a tutti i tecnici del settore cromatografia dei laboratori centrali dell’Istituto Giannina Gaslini che hanno permesso la realizzazione di questo lavoro; al Dott. Giorgio Reggiardo per la sua disponibilità nel supporto per la parte statistica.

Questo lavoro è stato pubblicato come:

Barco S, Gennai I, Reggiardo G, Galleni B, Barbagallo L, Maffia A, Viscardi E De Leonardis F, Cecinati V, Sorrentino S, Garaventa A, Conte M, Cangemi G. Urinary homovanillic and vanillylmandelic acid in the diagnosis of neuroblastoma: Report from the Italian Cooperative Group for Neuroblastoma, Clin Biochem 2014; 47:848-52.

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