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La metamorfosi del rito nell'interminabile percorso di riforma del giudizio abbreviato

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione ... 3

Capitolo 1 – Evoluzione storica del giudizio abbreviato ... 6

1. Origine ed evoluzione storica del giudizio abbreviato: ... 6

2. Interventi della Corte Costituzionale e la c.d. legge Carotti .... 11

3. La riforma Orlando ... 23

Capitolo 2 – Parte sistematica ... 29

1. Questioni di costituzionalità nella disciplina del giudizio abbreviato ... 29

1.1. Legittimità costituzionale della legge Carotti ... 29

1.1.1. La prova contraria e le indagini difensive a sorpresa ... 34

1.2. La rinnovazione della richiesta di giudizio abbreviato in sede dibattimentale ... 40

1.3. Illegittimità costituzionale del meccanismo delle nuove contestazioni ... 41

2. La richiesta di giudizio abbreviato ... 44

2.1. Modalità di presentazione della richiesta ... 44

2.2. I termini ... 44

2.3. Giudizio abbreviato semplice e giudizio abbreviato condizionato ... 47

2.4. Alternatività e indivisibilità del giudizio abbreviato ... 50

2.5. Legittimazione alla richiesta di giudizio abbreviato ... 51

2.6. Revoca della richiesta di giudizio abbreviato ... 54

3. L’imputazione nel giudizio abbreviato ... 56

4. Premialità del rito ... 57

5. Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice dell’udienza preliminare ... 59

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6. Preclusioni alla eccezione di incompetenza: in particolare, il

difetto di competenza territoriale. ... 63

6.1. Dubbi di costituzionalità ... 69

7. Piattaforma probatoria ... 71

7.1. Il principio del contraddittorio nel giudizio abbreviato ... 71

7.2. Utilizzabilità degli atti probatori delle parti ... 73

7.2.1. Sanatoria delle nullità e irrilevanza delle inutilizzabilità 76 7.3. La prova contraria del pubblico ministero ... 82

7.3.1. La riforma Orlando e le indagini difensive a sorpresa . 91 7.4. Integrazione probatoria d’ufficio ... 98

7.5. Differenze col rito ordinario ... 109

7.6. Impossibilità di assumere la prova dichiarativa richiesta ex art. 438, quinto comma, c.p.p. ... 111

7.6.1. Per cause soggettive... 111

7.6.2. Per cause oggettive ... 113

Capitolo 3 – Considerazioni conclusive ... 115

1. Conclusioni ... 115

Bibliografia ... 125

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Introduzione

Con l’approvazione del decreto del Presidente della Repubblica del 22 settembre 1988, n. 447, fu introdotto nel nostro ordinamento il nuovo codice di procedura penale, ispirato dal progetto di delineare un nuovo modello processuale che si rivelasse adatto ad attuare quella logica di tutela delle garanzie individuali prevista dalla Carta costituzionale già molti anni addietro, ma mai realizzata a causa di un sistema processuale fisiologicamente refrattario a tali tutele.

Il nuovo codice di rito si rifece a fondamentali principi di stampo accusatorio, originari dei sistemi di common law, dai quali riprese anche la conseguente necessità di prevedere riti semplificati, alternativi a quello ordinario, allo scopo di decongestionare un apparato processuale che fa della lunga fase dibattimentale il momento più importante per l’attuazione delle fondamentali garanzie processuali.

Fra questi riti alternativi con finalità deflattive rientra anche il giudizio abbreviato, caratterizzato precipuamente dall’assenza della fase dibattimentale e da una decisione presa allo stato degli atti nella fase preliminare.

In questo lavoro ci occuperemo del giudizio abbreviato prediligendo un’analisi delle modifiche normative e degli interventi

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giurisprudenziali che hanno martoriato questo rito speciale fin dalla sua introduzione nel nostro ordinamento, avvenuta con l’entrata in vigore del nuovo codice di rito nel 1989.

Nel primo capitolo cercheremo di delineare lo sviluppo storico del giudizio abbreviato, fra sentenze della giurisprudenza di legittimità, pronunce della Corte costituzionale e riforme normative che hanno finito per snaturare l’impianto originale del rito, nel costante tentativo di adattare alle esigenze costituzionali un istituto che non conosce precedenti all’interno del nostro ordinamento, soprattutto dopo l’introduzione dei principi del giusto processo avvenuta con la legge costituzionale del 23 novembre 1999, n. 2.

Possiamo arrivare a sostenere che il nostro ordinamento ha conosciuto due modelli diversi di giudizio abbreviato, e lo spartiacque fra questi due modelli è rappresentato dalla legge n. 479 del 1999, la c.d. legge Carotti. Con questa prima ingente riforma normativa, infatti, il giudizio abbreviato ha cambiato faccia: sorto come rito instaurato su base pattizia, con un accordo tra accusa e difesa seguito da una valutazione del giudice sulla decidibilità allo stato degli atti, e refrattario ad ogni forma di integrazione probatoria, il giudizio abbreviato si è infine trasformato in un rito che presenta margini di autonomia istruttoria e la cui instaurazione è un vero e proprio diritto dell’imputato.

L’ultimo intervento normativo sul tema è la riforma Orlando, contenuta nella legge n. 103 del 2017, attraverso la quale si è nuovamente intervenuti sulla disciplina del giudizio abbreviato, questa volta con una logica di continuità rispetto al legislatore della riforma precedente, ma non senza innovazioni che potrebbero avere risvolti traumatici per la vita di questo rito alternativo.

Nel secondo capitolo, quello sulla parte sistematica, si andrà a esaminare la disciplina vigente del rito de quo, con un’analisi

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focalizzata soprattutto sul ruolo e sui poteri delle parti, senza però poter prescindere, ancora una volta, dagli interventi ad opera della giurisprudenza di legittimità e della Consulta sull’attività del legislatore, fondamentali per delineare la suddetta disciplina. In particolar modo il giudice costituzionale nel tempo è andato a rimodellare i singoli istituti del giudizio abbreviato, contemplati agli artt. 438 ss. c.p.p., al fine di renderli il più possibile compatibili con i nuovi principi del giusto processo, risolvendo diatribe ermeneutiche originate, in alcuni casi, dalla equivoca lettera della legge e, in altri casi, dal silenzio del legislatore.

Si vedrà soprattutto come si è evoluta nel tempo la disciplina inerente ai poteri istruttori delle parti, prima e dopo l’instaurazione del rito, per poi cercare di stilare delle considerazioni conclusive sulla normativa oggi vigente, anche alla luce della recente riforma del sistema processuale penale del 2017, la quale è andata a intaccare nuovamente l’equilibrio dei poteri delle parti necessarie, equilibrio molto delicato e che coinvolge direttamente fondamentali principi di rango costituzionale, quale quello del contraddittorio e della parità delle armi all’art. 111 Cost.

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Capitolo 1 – Evoluzione storica del giudizio

abbreviato

1. Origine ed evoluzione storica del giudizio

abbreviato

:

Il giudizio abbreviato è un rito speciale semplificato che si caratterizza per l’eliminazione dal processo della fase dibattimentale1. Fu introdotto nel nostro ordinamento con il codice di procedura penale approvato nel 1988, ed entrato in vigore l’anno seguente, che costruì un modello processuale prevalentemente accusatorio ed elesse il dibattimento a “luogo di formazione originaria della prova nel contraddittorio delle parti” con la conseguente esigenza di “garantire, quale condizione stessa di tenuta del sistema, che il flusso dei procedimenti verso la sede dibattimentale risultasse contenuto”2, rendendo pressoché inevitabile la previsione di riti speciali, semplificati e alternativi al rito ordinario. Questo nuovo procedimento speciale si inserì in un quadro di interventi3 a carattere deflattivo volti a risolvere un problema annoso e molto discusso del processo penale

1 Il processo si chiude nella fase dell’udienza preliminare e permette di

attribuire valore probatorio agli atti delle indagini preliminari, costituendo un’eccezione al principio del contraddittorio dibattimentale nel momento della formazione della prova.

2 L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, in Trattato di

procedura penale (a cura di G. SPANGHER), vol. 4, tomo I, Procedimenti speciali (a cura di L. FILIPPI), Utet, Torino, 2008, p. 64.

3 Sono 5 i riti speciali introdotti con il nuovo c.p.p., molto differenti tra loro

per struttura ma con la stessa ratio legis. La loro disciplina è contenuta nel Libro VI del c.p.p.

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italiano: il sovraccarico della macchina processuale, che determina gravi e insopportabili inefficienze nel sistema giustizia.

L’instaurazione del giudizio abbreviato postula una rinuncia, da parte dell’imputato, alle garanzie proprie della fase dibattimentale (quale, in particolare, la formazione della prova nel pieno contraddittorio delle parti). Tale rinuncia viene retribuita con una riduzione della pena determinata dal giudice4, il quale, ai fini della decisione, fa riferimento agli atti contenuti nel fascicolo delle indagini. Il modello originariamente delineato dal Codice, nei suoi caratteri salienti, per l’instaurazione di questo nuovo rito5 prevedeva tre requisiti necessari e concorrenti: la richiesta dell’imputato, il consenso del pubblico ministero, la valutazione del giudice sulla possibilità di definire il processo allo stato degli atti senza alcuna integrazione probatoria6 . Fu quindi accolta la logica negoziale del rito: un accordo tra le parti che si fondava su un’insindacabile manifestazione di volontà di procedere all’instaurazione del giudizio abbreviato, espressa da entrambe le parti necessarie del processo.

Sul punto assunse subito rilievo la differenza di disciplina tra l’istituto del giudizio abbreviato e l’altro rito speciale a natura pattizia: il patteggiamento. Nel costruire l’istituto del giudizio abbreviato, il legislatore delegato, infatti, non ritenne opportuno subordinare al sindacato del giudice l’eventuale dissenso espresso dal pubblico ministero, muovendo dal presupposto che l’accordo fra le parti non

4 Riduzione di un terzo per i delitti e della metà per le contravvenzioni. Alla

pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta. Alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo. (Art 442, comma 2, c.p.p. come riformato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103)

5 L’introduzione del giudizio abbreviato rappresentò una novità assoluta nel

sistema processuale italiano. Fu una vera e propria “sfida della modernità” – l’espressione è di L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p. 65. - con la revisione dell’idea stessa di uno schema processuale unitario, fino ad allora centrale.

6 P. TONINI, Manuale di procedura penale, Giuffrè, ed. XV, 2014, Milano,

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concerneva, a differenza del patteggiamento, la pena da irrogare in caso di condanna, ma aveva come oggetto esclusivo il particolare rito da seguire. Fu quindi lasciata, alla parte pubblica, ampia discrezionalità nello scegliere se acconsentire o meno all’accesso al rito. Nella relazione al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale del 1989 si legge, infatti, che “la diversità di oggetto della richiesta dell’imputato spiega perché il giudizio abbreviato è caratterizzato, rispetto al patteggiamento sulla pena, dalla insindacabilità sia della scelta del pubblico ministero di consentire o meno alla richiesta dell’imputato, sia della decisione del giudice, di fronte al consenso delle parti, di disporre o meno il giudizio abbreviato”7. L’altro requisito (quello definito “la clausola dello stato degli atti”) era invece dettato dalla scelta di sottrarre al giudice, oltre che alle parti, ogni potere di integrazione probatoria8. Il procedimento, così configurato, fu efficacemente definito dalla giurisprudenza di legittimità come “procedimento a prova contratta, alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito”9.

Già negli anni precedenti all’entrata in vigore del nuovo codice di rito, durante le discussioni parlamentari sul progetto, fu fatto notare che il nuovo processo avrebbe funzionato a patto che si fosse riusciti “a far pervenire al dibattimento soltanto una parte piccola di processi”10, altrimenti il sistema si sarebbe congestionato e il nuovo impianto

7 Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di

procedura penale, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni e delle norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni, in Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 250 del 24-10-1988, suppl. ordinario n.93, parte seconda, libro VI, Procedimenti speciali, Titolo I, giudizio abbreviato, p.104.

8 L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p. 70. 9Cass. SS.UU., sentenza 21 giugno 2000, n. 17, in Cass. Pen., 2000.

10 Intervento dell’on. Casini alla Camera dei Deputati, Aula, seduta del 10

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avrebbe finito per condurre a risultati antitetici a quelli a cui il legislatore voleva pervenire proprio attraverso la previsione del giudizio abbreviato e degli altri riti alternativi. Fin da subito, le prese di posizione scettiche sul nuovo assetto si dimostrarono fondate e la condizione di funzionamento sopra menzionata non si realizzò mai11. Le ragione alla base del fallimento del sistema sono molteplici. Da una parte, un uso eccessivamente disinvolto12 da parte di alcuni giudici dell’udienza preliminare della clausola di decidibilità allo stato degli atti al fine di negare all’imputato l’accesso al rito alternativo. Dall’altra parte, la reticenza di molti magistrati ad accettare il meccanismo premiale previsto per il rito, tanto che si è sovente registrato un atteggiamento di eccessivo rigore nella determinazione della pena su cui poi applicare la diminuente, proprio al fine di contenerne gli effetti premiali. Oltre ai problemi dovuti all’atteggiamento degli addetti ai lavori nei confronti del nuovo rito, la dottrina non mancò di evidenziare anche limiti intrinseci alla struttura stessa del giudizio abbreviato così come delineato dalla disciplina originaria del codice Vassalli. Il riferimento va, in particolare, alla sua caratteristica di giudizio refrattario ad ogni forma di integrazione probatoria13 aggravata da una rigidità che non caratterizzava soltanto il dato normativo, ma altresì l’interpretazione della giurisprudenza. La criticità sul punto era massima dato che, di fatto, all’imputato veniva preclusa ogni possibilità di integrare il materiale probatorio raccolto

11 L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p. 67.“Una

volta entrato in vigore il codice, però, il sistema dei procedimenti speciali dimostrò – praticamente da subito – di non essere in grado di smaltire un elevato numero di affari, con la conseguenza che in pochi anni la concentrazione del numero dei dibattimenti superò ogni nefasta previsione, determinando quella dilatazione dei tempi processuali tanto temuta alla vigilia”.

12L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p. 73. 13 Non direttamente esplicata a livello normativo, ma conseguente alla stessa

natura di giudizio allo stato degli atti propria dell’abbreviato - L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p. 74.

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dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, ancorché queste risultassero colpevolmente lacunose, anche sotto il profilo dell’eventuale sussistenza di circostanze attenuanti o della raccolta di elementi rilevanti, in senso positivo o negativo, per la valutazione giudiziale in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena.

Anche in ordine alla clausola della definibilità allo stato degli atti, quale presupposto processuale dell’instaurazione del rito speciale, sorsero ben presto perplessità. La relativa valutazione del giudice era irrimediabilmente condizionata dalla effettiva completezza delle indagini preliminari svolte dal pubblico ministero. Al giudice non era dato modo di rimediare all’inerzia, alla scarsa diligenza, se non addirittura al calcolo opportunistico del magistrato requirente, lasciando l’imputato, di fatto, privo di tutela relativamente ad una situazione giuridica protetta quale quella inerente alla scelta di accedere ai vantaggi del giudizio abbreviato14. Risultava un elemento patologico del sistema che la parte pubblica potesse, di fatto, gestire arbitrariamente l’accesso al rito da parte dell’imputato, non tanto per la facoltà, prevista dal codice, di non aderire al giudizio abbreviato, quanto per la sua facoltà, attribuita ex facto, di formare un fascicolo delle indagini preliminari che risultasse incompleto, facendo sorgere dubbi di illegittimità costituzionale per violazione del principio di parità delle parti, dal momento in cui alla difesa non era dato modo di reagire all’arbitrario diniego del pubblico ministero. Così facendo, la parte pubblica poteva alterare colposamente (se non addirittura dolosamente) il materiale che poi avrebbe costituito il parametro della valutazione da parte del giudice in ordine alla definibilità allo stato degli atti15.

14 L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p. 76. 15 “Distorsione tanto più evidente alla luce delle conclusioni cui la Corte

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2. Interventi della Corte Costituzionale e la c.d. legge

Carotti

A circa un decennio dall’entrata in vigore del nuovo codice, quindi, l’impianto dei procedimenti speciali aveva fallito in quasi tutti i suoi intenti. Osservando i repertori delle sentenza della Corte costituzionale, si nota che il codice di procedura penale del 1989 è il

corpus normativo più soggetto a eccezioni di legittimità

costituzionale. Soprattutto in relazione alle sue parti dedicate ai procedimenti speciali e, entrando ancor più nello specifico, relativamente proprio all’istituto disciplinato all’art 438 c.p.p. Nonostante ciò, il legislatore non si è scoraggiato e ha perseverato sulla strada dei riti alternativi al processo ordinario andando, non a eliminarli, ma, al contrario, a potenziarne l’appetibilità incrementando i poteri di accesso al rito per l’imputato. Egli infatti, sotto la preziosa guida della giurisprudenza di legittimità e soprattutto della Corte costituzionale, ha via via posto in essere interventi modificativi di tale assetto iniziale16, intraprendendo una strada che ha trasformato progressivamente l’accesso al rito in un vero e proprio diritto dell’imputato17, e che ha causato anche l’allontanamento del rito dai primigeni intenti di economia processuale.

cost., sentenza 15 febbraio 1991, n.88.), nella quale aveva sottolineato come la completezza delle indagini fosse bene indisponibile da parte dello stesso pm, attesa la sua pertinenza ai principi di obbligatorietà dell’azione penale e di uguaglianza tra i cittadini.” L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p.77.

16 Interventi che hanno finito per snaturare il giudizio abbreviato nella sua

accezione originaria. “Il giudizio abbreviato, visto nel suo sviluppo diacronico, pare quasi un’enantiosemia: figura linguistica che denota espressioni che hanno, o hanno finito per assumere, un significato opposto alle proprie origini” (A. Macchia, La riforma del Giudizio abbreviato e degli altri riti speciali, in Diritto penale contemporaneo, 24 novembre 2017)

17 L. DEGL’INNOCENTI – M. DE GIORGIO, Il giudizio abbreviato, in

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Il primo intervento di rilievo, sorprendentemente precoce, fu la sentenza n.66 del 1990, nella quale la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità del dissenso immotivato del pubblico ministero nelle ipotesi di richiesta di giudizio abbreviato avanzata ai sensi dell’art. 247 delle norme transitorie del codice di procedura penale. Il ragionamento che condusse il giudice delle leggi a tale pronuncia di incostituzionalità, mosse dalla constatazione di una inaccettabile disparità di disciplina tra patteggiamento sulla pena e giudizio abbreviato. Entrambi istituti ispirati da intenti di economia processuale ed entrambi strutturati sostanzialmente su base negoziale. Si ritenne, perciò, che il pubblico ministero dovesse, come nel patteggiamento, anche nel giudizio abbreviato, esporre le ragioni del proprio dissenso e, di conseguenza, che il giudice del dibattimento potesse pronunciarsi su tale dissenso e, nel caso in cui lo ritenesse immotivato, applicare la riduzione di pena ai sensi dell’art. 442 c.p.p.18 La Consulta ravvisò quindi una somiglianza sostanziale fra i due istituti deflattivi del processo, ritenendo ingiustificato che “il pubblico ministero, di fronte ad una richiesta di giudizio abbreviato, possa sacrificare, oltre al rito, anche l’effetto sulla pena, senza neppure dover enunciare le ragioni del proprio dissenso, a differenza di quanto avviene di fronte ad una richiesta di applicazione della pena, dove un rito sostanzialmente corrispondente può essere sacrificato dal pubblico ministero solo enunciando le ragioni del dissenso e l’effetto sulla pena può essere sacrificato solo con un dissenso non ritenuto ingiustificato dal giudice”19.

La Corte costituzionale tornò a pronunciarsi sulla questione, già l’anno successivo, con la sentenza n. 81 del 199120, nella quale, oltre a

18 Corte cost., sentenza 8 febbraio 1990, n.66. 19 Corte cost., sentenza 8 febbraio 1990, n.66.

20 La Corte costituzionale, con la sentenza del 15 febbraio 1991, n.81,

intervenne sulla disciplina del rito abbreviato, dichiarando incostituzionale il combinato disposto degli artt. 438 ss. c.p.p., nella parte in cui non

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ribadire la necessità che l’eventuale dissenso del pubblico ministero fosse motivato e che il giudice qualora, a dibattimento concluso, ritenesse ingiustificato tale dissenso, potesse comunque applicare la diminuente ai sensi del secondo comma dell’art. 442 del codice di rito, la Consulta si pose anche il problema dei parametri sulla base dei quali la parte pubblica potesse motivare il proprio diniego, concludendo che l’unico criterio idoneo “non può che identificarsi in quello – ricavabile dal confronto con i poteri conferiti al giudice dall’art. 440, primo comma – consistente nel ritenere il processo non definibile allo stato degli atti”21.

Nella medesima direzione si mossero anche le due pronunce del 1992: la numero 23 e la numero 92. Con la prima, la Consulta si occupò del caso in cui il giudice per le indagini preliminari negasse l’accesso al giudizio abbreviato sul presupposto della non decidibilità allo stato degli atti, nonostante il consenso del pubblico ministero, stabilendo che il giudice del dibattimento potesse sindacare tale provvedimento del giudice per le indagini preliminari. La Corte precisò, infatti, che “poiché sono in gioco apprezzamenti che producono conseguenze sull’entità della pena, risulta lesiva della relativa posizione sostanziale dell’imputato l’attribuzione, in via esclusiva, al giudice per le indagini preliminari del potere di definire in senso negativo il giudizio su di essi, senza alcun controllo al riguardo”22. Con la sentenza n.92 del

prevedevano che il pubblico ministero, nel caso in cui manifestasse il proprio dissenso nei confronti della richiesta di giudizio abbreviato, fosse tenuto ad enunciarne le ragioni e nella parte in cui non prevedevano che il giudice, quando, concluso il dibattimento, riteneva ingiustificato il dissenso del p.m., potesse applicare all’imputato la riduzione di pena ai sensi dell’Art. 442, comma 2, c.p.p. La Corte ritenne che l’opposizione immotivata del pubblico ministero alla richiesta di giudizio abbreviato risultava contrastante con l’art. 3 della Costituzione, poiché andava a creare una ingiustificata disparità nel rapporto tra pubblica accusa e imputato, oltre che tra imputato e imputato.

21 Corte cost., sentenza 15 febbario 1991, n.81.

22 Corte cost., sentenza 22 gennaio 1992, n. 23. Nella quale si legge altresì

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1992, invece, la Corte ribadì che una scelta che produce effetti automatici sulla determinazione della pena, quale quella inerente all’introduzione, o meno, del giudizio abbreviato, non può farsi dipendere dalla discrezionalità del pubblico ministero. Discrezionalità che, afferma la Corte, può concretizzarsi anche “nello svolgimento di indagini insufficienti alla decidibilità con giudizio abbreviato”, determinando “l’inaccettabile paradosso per cui il pubblico ministero può legittimamente precluderne l’instaurazione allegando lacune probatorie da lui stesso discrezionalmente determinate”23, facendo quindi dipendere il meccanismo automatico al secondo comma dell’art. 442 anche da ragioni connesse alla sua strategia processuale. Ma, più in generale, la Corte costituzionale, nel primo decennio successivo all’entrata in vigore del nuovo codice, ha riletto l’intero istituto del giudizio abbreviato alla luce dei parametri e dei principi della Carta costituzionale, incidendo significativamente sull’impianto originario e disegnando le linee guida poi seguite dal legislatore nella massiccia riforma del giudizio abbreviato del 1999. La riforma contenuta nella legge n. 479 del 1999 è infatti ispirata dal non celato intento del legislatore di adeguare la disciplina del procedimento speciale in esame alle indicazioni della Corte costituzionale.

tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.) dell'imputato contro un provvedimento (di natura processuale) che disconosce un suo diritto, imporrebbero, secondo quanto si sostiene nell'ordinanza di rinvio, di affidare al giudice del dibattimento il riesame del provvedimento negativo del giudice per le indagini preliminari, con soluzione analoga a quella adottata nella citata sentenza n. 81 del 1991. Si osserva infine che, dopo quest'ultima decisione, si sarebbe venuta a creare una disparità di trattamento tra l'imputato che, pur avendo ottenuto il consenso del pubblico ministero, si vede negare il giudizio abbreviato e, quindi, l'eventuale riduzione della pena e l'imputato che, invece, nonostante il dissenso espresso dal pubblico ministero tale beneficio può ancora ottenere in sede dibattimentale.”

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Fra le altre, la principale novità introdotta dalla c.d. legge Carotti24 è stata quella di rendere la semplice richiesta dell’imputato condizione sufficiente (e necessaria) per l’accesso al rito, negando al pubblico ministero ogni possibilità di interloquire sulla richiesta. La riforma ha inoltre eliminato dai presupposti di ammissibilità la suscettibilità del procedimento di essere definito allo stato degli atti25. Con queste due importanti innovazioni, alle quali va aggregata la previsione che la richiesta di accesso al rito non implica più una rinuncia a chiedere ulteriori mezzi di prova, all’imputato è stato attribuito, tranne che nei casi di richiesta condizionata26, il diritto ad essere giudicato mediante tale rito speciale e perciò di godere della conseguente riduzione di pena ai sensi dell’art. 442, 2° comma c.p.p.

Il nuovo assetto, così come modificato dalla citata riforma, delinea quindi un procedimento speciale che vede ampliata notevolmente la facoltà dell’imputato di accedere al rito, potendo egli adesso richiedere di essere giudicato con tale rito senza che la pubblica accusa possa opporvisi. Inoltre, per quanto riguarda l’integrazione probatoria successiva alla richiesta di accesso al rito, la legge n. 479 del 1999 ha previsto, in capo all’imputato, al quinto comma dell’art. 438 c.p.p., la facoltà di subordinare l’instaurazione del giudizio

24 Dal nome dell’On. Pietro Carotti, relatore del progetto di riforma del

codice di procedura penale del 1999.

25 L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p. 88.“La

formula ‘allo stato degli atti’ è comunque rimasta nel 1°comma dell’art. 438 a ricordare che il giudizio abbreviato è pur sempre un procedimento scritto, accedendo al quale l’imputato riconosce valore di prova agli elementi acquisiti dal P.M.”

26 L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p.

93-94.“Nell’ipotesi di richiesta condizionata, il giudice non è tenuto, sempre ed in ogni caso, a consentire l’accesso al rito, atteso che, quando non ritiene necessaria ai fini della decisione ovvero compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, l’integrazione probatoria indicata nella richiesta, ben può deliberare di non ammetterla e, di conseguenza, di non disporre il giudizio”

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abbreviato all’acquisizione di nuovo materiale istruttorio27 e, in capo al giudice, al quinto comma dell’art. 441 c.p.p., qualora ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, l’autorizzazione ad assumere, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione. Soprattutto a seguito di queste ultime due novità, è evidente l’allontanamento del giudizio abbreviato dalla sua originaria natura di giudizio allo stato degli atti.

In definitiva, pare corretto affermare che, a seguito della novella del 1999, è emerso, a discapito del modello originario del giudizio abbreviato, ormai pressoché scomparso, “un modello operativo non in linea con il principio della separazione delle fasi tipiche del processo accusatorio”28. Risulta emblematico, a tal proposito, l’intervento del procuratore generale presso la Corte di Appello di Firenze durante la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2003: “tali modifiche hanno mutato la fisionomia dell’istituto, nato con finalità deflative, sì che esso ha perso la caratteristica della immediata decidibilità. I tempi della giustizia non sono affatto abbreviati. Detto rito è diventato nient’altro che un giudizio ordinario con lo sconto di pena”; e conclude provocatoriamente: “sia almeno coerente il legislatore: ne faccia il modello del rito ordinario e comunque ne cambi il nome”29.

Le critiche più pressanti ricevute dalla legge Carotti hanno riguardato, in particolare, la mancata previsione di un diritto alla prova in capo al pubblico ministero che bilanciasse la eliminazione del consenso della parte pubblica dai requisiti necessari per l’accesso al rito. Sono stati

27 L’art. 438, quinto comma, c.p.p. pone altresì, per l’integrazione probatoria,

la condizione che essa appaia “necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili”.

28 L. DEGL’INNOCENTI – M. DE GIORGIO, Il giudizio abbreviato, cit., p.

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29 L. DEGL’INNOCENTI – M. DE GIORGIO, Il giudizio abbreviato, cit., p.

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molti i giudici che hanno sottoposto alla Consulta i loro dubbi inerenti a questo e altri aspetti della riforma del 1999, ma la Corte ha salvato la legge Carotti ribadendo, anzi, che il legislatore con questo intervento ha eliminato i profili di incostituzionalità che presentava la precedente disciplina30. In particolare, il giudice delle leggi ha ritenuto non violato il principio di parità delle parti affermato al 2° comma dell’art. 111 della Costituzione, dal momento che la posizione del pubblico ministero risulta già rafforzata dal suo ruolo nelle indagini preliminari, dal principio di completezza delle indagini31 e dal fatto che la parte pubblica, nello svolgimento delle indagini preliminari, è pienamente consapevole di dover sempre tener conto del fatto che, sulla base degli elementi raccolti in dette indagini, l’imputato potrà chiedere (ed ottenere) l’accesso al giudizio abbreviato. Ad avallare tale visione della funzione requirente del pubblico ministero è intervenuta altresì la legge n. 397 del 2000 che ha ampliato le facoltà investigative della difesa.

Un’altra diffusa critica a tale nuovo assetto del rito abbreviato, verteva sulla mancata previsione di un meccanismo di controllo del rigetto della richiesta condizionata di giudizio abbreviato. La Corte costituzionale, sul punto, ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 438, 6°comma, 458, 2°comma, e 461, 1°comma, c.p.p.32, stabilendo che, sulla base della rinnovata richiesta di accesso al rito, il giudice del dibattimento, in limine litis, sia tenuto a verificare la doglianza e che, qualora la accolga, debba instaurare il giudizio abbreviato nella fase introduttiva del dibattimento33. Quindi, in linea con quanto previsto

30 Corte costituzionale, sentenza 7 maggio 2001, n. 115.

31 “Il p.m. ha il dovere di compiere ogni attività necessaria ai fini delle

determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale” Corte cost., sentenza 15 febbraio 1991, n.88.

32 Corte cost., sentenza 23 maggio 2003, n.169.

33 “La Consulta ha dunque, da un lato, constatato che l’assenza di qualsiasi

forma di sindacato fa sì che il rigetto della richiesta condizionata precluda in via definitiva l’ammissione dell’imputato al giudizio abbreviato; dall’altro,

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all’art. 448 c.p.p. per il patteggiamento sulla pena, anche il giudizio abbreviato potrà essere instaurato nell’imminenza dell’apertura del dibattimento. Il quadro normativo così delineato, accompagnato dalle pronunce della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, va quindi nella direzione di impedire che il diritto di difesa sia ingiustificatamente compresso nel privare l’imputato del giudizio abbreviato e del conseguente trattamento di favore sul piano sanzionatorio. Il pubblico ministero mantiene certo la facoltà di scelta fra archiviazione ed esercizio dell’azione penale, ma una volta intrapresa la strada dell’esercizio dell’azione penale l’imputato potrà scegliere a quale giudizio sottoporsi. La giurisprudenza di legittimità si è subito allineata ai dettami della Corte costituzionale, affermando che integrerebbe gli estremi di un provvedimento abnorme l’ordinanza con cui il giudice respinga la richiesta (non condizionata) di accesso al giudizio abbreviato effettuata dall’imputato34.

Oggetto di un dibattito molto acceso, oltre alle generali criticità già esposte, emerso dalla pratica processuale, fu l’utilizzabilità degli atti dell’indagine difensiva depositati contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato non condizionato. La Corte non si è mai posta dubbi di incostituzionalità relativamente alla utilizzabilità delle investigazioni difensive eventualmente prodotte dalla difesa ai sensi dell’art. 415-bis c.p.p., dal momento in cui l’art. 421-bis c.p.p., consentendo al giudice di ordinare eventualmente al pubblico ministero di compiere il supplemento investigativo, e l’art. 419, terzo comma, c.p.p., che permette comunque al pubblico ministero di contrastare le prove difensive anche nell’inerzia del giudice

che il nuovo quadro normativo non osta a che l’imputato possa riproporre, prima dell’apertura del dibattimento, la richiesta ove, a suo avviso, ingiustificatamente rigettata. Sarà il giudice del dibattimento quindi, naturalmente qualora condivida l’opinione dell’imputato, a disporre e a celebrare il giudizio abbreviato.” L. PISTORELLI e R. BRICCHETTI, Giudizio abbreviato, cit., p. 93.

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dell’udienza preliminare, avevano sempre consentito all’accusa di espletare poteri di controprova rispetto alle investigazioni difensive depositate anteriormente alla richiesta di giudizio abbreviato35. Il problema si poneva, invece, in ordine alla documentazione difensiva depositata contestualmente alla richiesta di instaurazione del rito. In questo caso, l’ordinamento non forniva all’accusa alcuno strumento per reagire, lasciando il pubblico ministero sprovvisto della possibilità di porre al vaglio del contraddittorio materiale a lui sconosciuto. La questione fu affrontata per la prima volta dal giudice delle leggi con l’ordinanza n. 245 del 2005, nell’ottica della presunta violazione del principio del contraddittorio. Nel caso a quo, fu il pubblico ministero a chiedere di sollevare la questione di legittimità costituzionale perché, nel corso dell’udienza preliminare, il difensore aveva depositato il fascicolo delle indagini difensive contenente il verbale delle dichiarazioni rese da un teste ai sensi dell’art. 391-ter c.p.p. e, contestualmente, aveva chiesto il giudizio abbreviato, privando la parte pubblica della possibilità di controesaminare il teste36. La Consulta dichiarò inammissibile la questione, non perché non ravvisò una violazione del principio di parità delle parti nel caso in questione, ma perché il giudice rimettente aveva omesso di valutare la praticabilità di una interpretazione conforme a Costituzione, adempimento ritenuto necessario prima di sollevare una questione di legittimità37. La Corte, quindi, pur concludendo con una pronuncia di manifesta inammissibilità, riconobbe, almeno implicitamente, la violazione del principio del contraddittorio e del principio della parità

35 V.MAFFEO, I procedimenti speciali, in La riforma della giustizia penale,

commento alla legge 23 giugno 2017 n.103 (a cura di A. SCALFATI), Giappichelli, Torino, 2017, p.147.

36 Corte cost., ordinanza 20 giugno 2005, n. 245.

37 Corte cost., ordinanza 20 giugno 2005, n. 245. Nella quale si legge: “prima

di sollevare questione di legittimità il rimettente avrebbe quindi dovuto esplorare la concreta possibilità delle soluzioni offerte dall’ordinamento al fine di porre rimedio alla denunciata anomala sperequazione fra accusa e difesa.”

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delle parti all’art. 111 della Costituzione, nel caso di deposito delle indagini difensive effettuato contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato, riaffermando il principio secondo cui “a ciascuna delle parti va assicurato il diritto di esercitare il contraddittorio sulle prove addotte a sorpresa dalla controparte”. Proprio a tale principio, secondo la Corte, avrebbe dovuto dare attuazione il giudice remittente prima di sollevare la questione, “in modo da contemperare l’esigenza di celerità con la garanzia dell’effettività del contraddittorio, anche attraverso differimenti delle udienze congrui rispetto alle singole, concrete fattispecie”. La Corte, quindi, non censurò l’attività del legislatore, ma invitò la giurisprudenza a trovare una soluzione per via interpretativa. In ossequio alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, la giurisprudenza di legittimità riconobbe, al giudice, il potere-dovere di rinviare l’udienza, per permettere alla pubblica accusa di replicare al materiale probatorio depositato dalla difesa contestualmente alla richiesta di instaurazione del giudizio abbreviato38. Soluzione non condivisa da una parte della dottrina, la quale ha affermato la necessità che, a fronte del differimento dell’udienza per consentire al pubblico ministero di integrare il materiale probatorio, si preveda la possibilità per l’imputato “di recedere dalla richiesta una volta conosciute le attività suppletive del pubblico ministero”39. La stessa dottrina ha poi precisato che sarebbe stato più opportuno ricercare la soluzione al lamentato squilibrio fra le parti facendo rifermento ai poteri probatori del giudice previsti all’art. 441, quinto comma, c.p.p., che consente al magistrato giudicante, qualora ritenga “di non poter decidere allo stato degli atti”, di assumere “anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione”. Parlando la lettera della legge di poteri probatori attivabili “anche” d’ufficio, è ragionevole dedurre che l’esercizio di

38 Cass., Sez. VI, 31 marzo 2008, n. 240779, in CED n. 240779. 39 V.MAFFEO, I procedimenti speciali, cit., p. 149.

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tali poteri possa essere sollecitato altresì dalle parti, quindi, per quel che ci interessa, dal pubblico ministero.

Il giudice delle leggi è tornato sulla questione quattro anni più tardi, con la sentenza n.184 del 2009, discostandosi sostanzialmente dall’orientamento precedente. In questa pronuncia, infatti, la Corte ha dimostrato di non avvertire più l’esigenza di trovare una soluzione di riequilibrio dei rapporti tra le parti. Il giudice a quo lamentava una violazione degli articoli 3 e 111 della Costituzione ad opera del comma 1-bis dell’art. 442 del codice di rito, “nella parte in cui prevede l'utilizzabilità, nel giudizio abbreviato, ai fini della decisione sul merito dell'imputazione – in assenza di situazioni riconducibili ai paradigmi di deroga al contraddittorio dettati dall'art. 111, quinto comma, Cost. – degli atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo, unilateralmente assunti”40 . Anche in questo caso, il difensore aveva depositato il fascicolo delle indagini difensive contestualmente alla richiesta di instaurazione del rito speciale. Il giudice remittente, in particolare, lamentava la violazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova, con riferimento al momento genetico di formazione della prova, offrendo una interpretazione di tale principio, incentrata sulla sua accezione “oggettiva”41 , alternativa a quella consolidatasi nella giurisprudenza. Afferma, infatti, che sarebbe erroneo “interpretare il principio del contraddittorio come un diritto soggettivo attribuito al solo

40 Corte cost., sentenza 22 giugno 2009, n.184.

41 “il giudice a quo rileva come nel nuovo art. 111 Cost. il concetto di

«contraddittorio» venga evocato in due accezioni distinte: talora, cioè, nell'aspetto «oggettivo» di metodo di accertamento dei fatti; talaltra, invece, nel senso «soggettivo» di garanzia individuale. In particolare, la prima parte del quarto comma di detto articolo, sancendo che «il processo penale è retto dal principio del contraddittorio nella formazione della prova», detterebbe una prescrizione di natura oggettiva, posta a tutela del processo penale e intesa ad assicurare il contraddittorio come metodo di conoscenza.” Corte cost., sentenza 22 giugno 2009, n.184.

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imputato”42 . La violazione del principio di uguaglianza all’art. 3 della Costituzione, invece, è denunciata in riferimento alla situazione di sostanziale disparità in cui si vengono a trovare l’imputato nel rito ordinario e quello nel giudizio abbreviato, in ordine “ai poteri probatori dell'imputato in tema di atti di investigazione difensiva a contenuto dichiarativo”43 . Disparità che, afferma il giudice a quo, si presenta, inevitabilmente, anche nelle ipotesi di richiesta di giudizio abbreviato condizionato, dove il giudice può escludere l’accesso al rito speciale, qualora ritenga l’integrazione probatoria non necessaria o incompatibile con le finalità di economia processuale proprie dell’istituto, e il pubblico ministero può chiedere l’ammissione di prova contraria. La Consulta dichiarò la questione non fondata, affermando la funzione compensativa delle indagini difensive a fronte di un sistema istruttorio largamente affidato alla pubblica accusa. Una violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 3 e 111 della Costituzione, ad opera dell’art. 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sarebbe perciò da escludere precipuamente in

42 V. Corte cost., sentenza 22 giugno 2009, n. 184. Vi si legge, altresì, che:

“Opinare diversamente significherebbe, in pratica, rendere l'accusato «arbitro della prova», riducendo il principio del contraddittorio nel solo alveo del diritto di difesa. Non solo: ma la tesi contrastata porterebbe a ritenere incostituzionali le norme che, con riferimento al dibattimento, subordinano l'acquisizione ai fini della prova di atti formati unilateralmente non al mero «consenso» dell'imputato, ma all'accordo di tutte le parti (artt. 431, comma 2, 493, comma 3, 555, comma 4, cod. proc. pen.), giacché, in tal modo, esse determinerebbero – nella prospettiva osteggiata – un «aggravio» della posizione dell'imputato stesso.”

43 Corte cost., sentenza 22 giugno 2009, n. 184.” Per attribuire valore di

prova in dibattimento alle dichiarazioni inserite nel fascicolo del difensore – normalmente utilizzabili, salvi i casi di irripetibilità e di provata condotta illecita, solo per le contestazioni (art. 391-decies, in riferimento agli artt. 500, 512 e 513 cod. proc. pen.) – è infatti necessario l'accordo con il pubblico ministero e con le altre parti eventuali (artt. 431, comma 2, 493, comma 3, 555, comma 4, cod. proc. pen.). Nell'ambito del giudizio abbreviato, invece – nonostante il trattamento premiale connesso alla scelta del rito alternativo – la posizione dell'imputato risulterebbe paradossalmente più favorevole, in quanto l'inserimento nel materiale probatorio di atti di investigazione unilateralmente formati sarebbe espressione di un suo diritto potestativo.”

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ragione del “marcato squilibrio” che, nella fase delle indagini preliminari, caratterizza i poteri istruttori di accusa e difesa. Tale decisione subì aspre critiche dalla dottrina, che sottolineò come la previsione di limiti all’operatività del principio del contraddittorio non potesse avere funzione compensatoria, andando, al contrario, ad accentuare lo squilibrio tra le posizioni delle parti44. La Costituzione prevede espressamente che l’imputato possa rinunciare al contraddittorio solo in relazione alle garanzie previste a suo favore. Quindi, tale rinuncia non può “travolgere le facoltà di contraddittorio che competono alla controparte”.

3. La riforma Orlando

Questo appena descritto è il quadro normativo, non certo scevro da criticità e dubbi interpretativi, nel quale si ritrova ad operare il legislatore del 2017 che, a seguito di interventi più o meno coerenti della Corte costituzionale e del consolidamento di alcune prassi giurisprudenziali su punti ambigui e dibattuti45, soprattutto per quanto riguarda il mancato coordinamento della legge sulle indagini difensive (la legge n. 397/2000) con la novella del 1999, si è deciso a reintervenire sugli artt. 438 e seguenti del codice di procedura penale. Lo ha fatto con la c.d. riforma Orlando46, una legge figlia di faticosi tentativi di mediazione politica nel contesto di una legislatura

44 V.MAFFEO, I procedimenti speciali, cit., p. 150.

45 In particolare, la giurisprudenza si consolidò sulla posizione di ritenere

utilizzabili tutte le investigazioni difensive depositate prima della richiesta di giudizio abbreviato, permettendo poi al pubblico ministero, mediante un congruo differimento dell’udienza, di controbattere a tale materiale istruttorio. v. A. PASTA, Le investigazioni difensive nel giudizio abbreviato dopo la riforma Orlando: due cause di un fallimento, in Archivio Penale, 2017, p.11.

46 La legge n. 103 del 2017 che prende il nome dal Ministro della Giustizia

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caratterizzata da una profonda eterogeneità47. Il prodotto finale della riforma, infatti, è per molti aspetti distante dagli iniziali intenti del legislatore. La legge era nata con propositi ambiziosi48, subito ridimensionati dalla ineluttabile esigenza di far riferimento, per la sua approvazione, a “larghe intese”, notoriamente instabili e bellicose. La riforma nella sua versione definitiva, con riferimento ai procedimenti speciali, conserva l’impianto degli istituti, introducendo qualche lieve modifica suggerita dalla prassi giurisprudenziale e tutte rivolte a potenziare l’aspetto deflattivo e premiale dei riti. Lo spirito della legge Orlando è stato definito in dottrina con la formula ossimorica “innovazione conservatrice”49, proprio per porre in evidenza l’iniziale intento innovativo, subito frenato dalle reazioni conservatrici delle forze politiche terze al partito che ha preso l’iniziativa legislativa, ma comunque parte necessaria della maggioranza parlamentare che ha proceduto all’approvazione.

Con riferimento al giudizio abbreviato, il primo tema affrontato dal legislatore è stato quello del problema, già esposto, che sorge di fronte agli atti dell’indagine difensiva depositati contestualmente alla richiesta (non condizionata) di accesso al rito50. Si tratta delle indagini difensive “a sorpresa”, cioè depositate a ridosso della richiesta di giudizio abbreviato. Il legislatore del 2017 è intervenuto sul punto prevedendo che, in caso di richiesta di giudizio abbreviato avvenuta “immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non

47 M. CHIAVARIO, Una riforma dalle molte facce, in

www.lalegislazionepenale.eu, 19 dicembre 2017, p. 2.

48 Ad esempio la proposta di aumentare il numero dei procedimenti speciali,

in particolare aggiungendo la richiesta di condanna ad opera dell’imputato.

49V. MAFFEO, I procedimenti speciali, cit., p. 145.

50 Per quanto riguarda invece il problema della utilizzabilità di tali atti, il

legislatore ha preferito tacere, presupponendo detta utilizzabilità – A. PASTA, Le investigazioni difensive nel giudizio abbreviato dopo la riforma Orlando: due cause di un fallimento, cit., p.13.

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superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa” aggiungendo poi che “in tal caso, l’imputato ha facoltà di revocare la richiesta”51 . La precedente disciplina aveva fatto sorgere dubbi di legittimità costituzionale dal momento in cui non permetteva al pubblico ministero di svolgere un’attività di integrazione probatoria in risposta a queste indagini difensive a sorpresa, cosa che invece gli era consentita in caso di richiesta condizionata di accesso al rito. Dubbi di legittimità che, come già osservato, la Consulta aveva sempre respinto, almeno formalmente, con pronunce di inammissibilità52. Tali pronunce respingevano la lamentata violazione dei principi costituzionali sulla formazione della prova nel processo penale, facendo riferimento, innanzitutto, al 5°comma dell’art. 441 c.p.p., e quindi all’integrazione probatorio d’ufficio53, nonché alla naturale posizione di superiorità della pubblica accusa rispetto alla difesa, quindi a una costante lettura delle norme sul contraddittorio come norme a tutela della difesa e volte a riequilibrare una posizione che si presenta ontologicamente inferiore rispetto a quella della controparte pubblica54. Nonostante queste pronunce di inammissibilità, la Corte costituzionale non ha mancato di affermare la necessità che sia comunque rispettato, per entrambe le parti, il diritto di esercitare il contraddittorio sulle prove addotte “a sorpresa” dalla controparte, facendo anche esplicito riferimento a eventuali differimenti di udienze da parte del giudice,

51 Art. 438, 4°comma c.p.p., come riformulato dalla l. 103/2017

52 Corte cost. ordinanza 24 giugno 2005, n. 245; sentenza 22 giugno 2009,

n.184; sentenza 4 aprile 2011, n. 117.

53 A. MACCHIA, La riforma del giudizio abbreviato e degli altri riti speciali,

in Diritto penale contemporaneo, 24 novembre 2017 “Replica, mi sembra, piuttosto flebile, sia perché l’integrazione probatoria officiosa si fonda su una non decidibilità allo stato degli atti che non ha nulla a che vedere con una sorta di prova contraria al tema addotto dalla indagine difensiva”

54 “il principio del contraddittorio nel momento genetico della prova

rappresenta precipuamente uno strumento di salvaguardia del rispetto delle prerogative dell’imputato” Corte cost, sentenza 26 giugno 2009, n.184.

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sempre in un quadro di compatibilità con la natura del rito alternativo55.

La soluzione adottata dal legislatore con la riformulazione del 4° comma dell’art. 438 c.p.p., in risposta alle preoccupazioni emerse in relazione all’impossibilità del p.m. di reagire agli atti difensivi a sorpresa, era quindi già stata presa in considerazione dal giudice delle leggi, il quale aveva suggerito una disciplina che, almeno in parte, ha trovato attuazione nella legge n. 103 del 201756. L’attività del legislatore si è dovuta muovere, non senza difficoltà, nella direzione di una soluzione ragionevole, che rappresentasse un punto di equilibrio fra due estremi consistenti, da una parte, nel divieto di depositare materiale probatorio contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato, soluzione che avrebbe finito per negare il diritto dell’imputato al rito e, dall’altra parte, nel privare il pubblico ministero di uno strumento atto a consentirgli di partecipare all’attività di formazione della prova, violando ineluttabilmente il principio del contraddittorio e della parità delle parti. La soluzione codificata al nuovo quarto comma dell’art. 438 appare, quanto meno, in linea con i dettami della Consulta, anche se la dottrina ha definito “eccessivamente ampio” il termine di 60 giorni, denunciando un

vulnus alla posizione processuale dell’imputato57. Problemi sorgono anche in riferimento alla vaghezza del parametro cronologico previsto

55 Corte cost., ordinanza 24 giugno 2005, n.245 “...dare attuazione al

principio secondo il quale a ciascuna delle parti va comunque assicurato il diritto di esercitare il contraddittorio sulle prove addotte “a sorpresa” dalla controparte, in modo da contemperare – come già affermato dalla stessa Corte in altre circostanze – l’esigenza di celerità con la garanzia dell’effettività del contradditorio, anche attraverso differimenti delle udienze congrui rispetto alle singole, concrete fattispecie.”

56 La possibilità, oltre alla opportunità, di un differimento delle udienze per

permettere l’integrazione istruttoria e, quindi, la piena realizzazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova, era già emersa in alcune pronunce della Corte costituzionale, in particolare nella ordinanza del 24 giugno 2005, n. 245.

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per l’ipotesi disciplinata dal novellato quarto comma. L’art. 438 c.p.p. fa infatti riferimento alle richieste di giudizio abbreviato avvenute “immediatamente dopo” il deposito del fascicolo delle indagini difensive. E’ pacifico che si resti nella dimensione della “contestualità”, ma ciò non risolve del tutto il problema, stante la vaghezza del termine e le dinamiche dell’udienza preliminare che, in concreto, possono far sì che fra il deposito delle indagini difensive e la richiesta di giudizio abbreviato passi un lasso di tempo anche considerevole. Parte della dottrina ritiene ragionevole interpretare questo punto della norma nel senso che il pubblico ministero può chiedere il differimento dell’udienza, per lo svolgimento delle indagini suppletive, in tutti i casi in cui il deposito del fascicolo del difensore faccia da premessa logica alla richiesta di instaurazione del rito speciale58. Soluzione che appare coerente anche con la limitazione funzionale che il codice di rito pone all’attività istruttoria suppletiva del pubblico ministero, circoscritta ai “temi introdotti dalla difesa”. Questo è, senza dubbio, un altro aspetto della riforma che richiede chiarimenti: cosa si intende, sul piano istruttorio, per “temi” della difesa e, quindi, qual è lo spettro di attività istruttoria entro il quale si potrà muove il pubblico ministero nello svolgere le indagini suppletive ai sensi del quarto comma dell’art. 438 c.p.p. Il fatto che il legislatore abbia scelto un termine più generale rispetto a quello più ristretto di “prova contraria”, induce a pensare che siamo in un ambito concettualmente più ampio, e che il legislatore si riferisca a tutto ciò che può formare oggetto di prova ai sensi dell’art. 187 c.p.p. Parte della dottrina estende ancora di più tale concetto, affermando che anche “i risultati probatori eccedenti o ulteriori rispetto a quei temi saranno comunque utilizzabili nel giudizio di merito”59. Questa

58 A. MACCHIA, La riforma del giudizio abbreviato e degli altri riti speciali,

cit., pag. 10.

59 A. MACCHIA, La riforma del giudizio abbreviato e degli altri riti speciali,

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lettura, d’altronde, si presenta sistematicamente coerente con l’ultimo inciso del quarto comma, che dispone, per queste ipotesi, la facoltà dell’imputato di revocare la richiesta di giudizio abbreviato.

Dubbi interpretativi sorgono anche in relazione al regime di utilizzabilità delle indagini suppletive del pubblico ministero. Il legislatore, in questa nuova formulazione del quarto comma dell’art. 438 c.p.p., non ci da elementi univoci per stabilire se tali atti istruttori della parte pubblica abbiano, di per sé, valore probatorio o se, invece, servano a sollecitare l’assunzione, da parte del giudice, degli elementi necessari ai fini della decisione, ai sensi dell’art. 441, quinto comma, c.p.p. Non ci è di aiuto, in questo caso, nemmeno il metodo dell’interpretazione sistematica, dal momento in cui, come ha osservato la dottrina, entrambe le soluzioni presentano punti di contrasto con l’impianto processuale generale. Nella prima, il pubblico ministero compirebbe attività istruttoria successivamente alla richiesta di giudizio abbreviato, andando così a formare unilateralmente atti qualificabili come prova. Nella seconda, la parte pubblica formulerebbe istanze probatorie dopo la discussione, sulla base di atti compiuti prima dell’ammissione del rito60.

60 A. PASTA, Le investigazioni difensive nel giudizio abbreviato

dopo la riforma Orlando: due cause di un fallimento, in Archivio Penale, 2017, p.15-16. Vi si legge, altresì, che:”In entrambi i casi, comunque, le prerogative del pubblico ministero sono tutelate, quindi la questione che ha dato origine all’intervento normativo viene risolta. Ma proprio per questo è difficile dire quale delle due soluzione sia preferibile: se una delle due avesse mancato l’obiettivo, almeno in via inter-pretativa sarebbe stato possibile individuare la regola da seguire. Ma così non è.”

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Capitolo 2 – Parte sistematica

1. Questioni di costituzionalità nella disciplina del

giudizio abbreviato

1.1.

Legittimità costituzionale della legge Carotti

Per quanto riguarda la disciplina del giudizio abbreviato, posteriore alla legge Carotti, le principali questioni di legittimità costituzionale sollevate hanno riguardato la contrazione di poteri del giudice e del pubblico ministero in ordine all’accesso al rito. Come già anticipato nel primo capitolo, la legge n. 479 del 1999 ha precluso al giudice la possibilità di rigettare la richiesta, non condizionata, di giudizio abbreviato per non decidibilità allo stato degli atti61 e ha eliminato il consenso del pubblico ministero dagli elementi necessari per l’instaurazione del rito, residuando ora soltanto la semplice volontà dell’imputato.

La Corte costituzionale ha sempre respinto i dubbi di illegittimità costituzionale della disciplina del giudizio abbreviato sorti all’indomani della riforma del 1999, e lo ha fatto in primis con la sentenza n. 115 del 2001, una pronuncia che ha riunito, per identicità di questioni, più di un ricorso di costituzionalità62. I giudici remittenti

61 Preclusione compensata dalla previsione, in capo al giudice, di un potere

di integrazione probatoria, esercitabile anche d’ufficio, al quinto comma dell’art. 441 c.p.p., introdotto dalla legge n. 479 del 1999.

62 Corte cost., sentenza 7 maggio 2001, n. 115. Punto 2 del Considerato in

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30

lamentavano una serie di gravi violazioni del disposto costituzionale ad opera dei riformati artt. 438 e ss. c.p.p.

In particolare, si evidenziò una violazione dei principi del contraddittorio e della parità delle parti all’art. 111 Cost., nonché dei principi di giurisdizione e della soggezione del giudice alla legge, agli articoli 101 e 102 Cost., censurando rispettivamente “la mancata previsione del consenso della pubblica accusa” e “l’impossibilità per il giudice di esprimersi in ordine alla ammissibilità del rito”. Il giudice a

quo sosteneva che alla parte pubblica dovesse essere concessa, per

previsione costituzionale, la facoltà di interloquire sulla richiesta di instaurazione del rito alternativo e “in presenza di un dissenso motivato il processo dovrebbe proseguire con il rito ordinario, salva la possibilità per il giudice, a dibattimento concluso, di ritenere ingiustificato il dissenso e applicare all'imputato la riduzione di pena” e “in alternativa, il giudice dovrebbe avere la possibilità di ammettere o respingere la richiesta di rito abbreviato”. La violazione degli artt. 101 e 102 Cost., secondo i giudici ricorrenti, sarebbe determinata precipuamente dagli automatismi che la richiesta ex art. 438 c.p.p. produce in ordine alla riduzione di pena e alla scelta del rito da seguire, fatto normativo che sottrae il giudice dalla soggezione alla legge per sottoporlo “alla mera volontà di una delle parti del processo”.

Una violazione del principio di giurisdizione, invece, si integrerebbe dal momento in cui l’imputato, con la semplice richiesta di instaurazione del rito alternativo, incide direttamente sulla determinazione della pena la cui “definizione in concreto é atto di giurisdizione di spettanza del giudice, rientrante nel suo potere discrezionale ex art. 132 c.p., con la conseguenza che l'esercizio della giurisdizione viene ad essere sottoposto a impropri condizionamenti”.

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Inoltre, sostengono i giudici, la disciplina vigente del giudizio abbreviato contrasterebbe anche con il principio di uguaglianza all’art. 3 Cost., dal momento in cui si presta a produrre una duplice disparità di trattamento: fra l’imputato che chiede il giudizio abbreviato semplice e l’imputato che chiede il giudizio abbreviato condizionato, dal momento in cui solo quest’ultimo può vedersi respingere la richiesta dal giudice; fra l’imputato che chiede il rito alternativo e quello che invece prosegue con rito ordinario. In quest’ultimo caso, infatti, si verificherebbe una ingiustificata disparità di trattamento sanzionatorio fra due imputati che hanno commesso un medesimo fatto. L’imputato che si sottopone al rito ordinario si vedrebbe sanzionato con una pena maggiore per il solo fatto di essersi voluto avvalere delle garanzie processuali, quindi per aver esercitato un suo fondamentale diritto costituzionale.

Un’altra violazione posta in rilievo è quella relativa al principio rieducativo della pena all’art. 27 Cost. Infatti, la diminuzione di pena di cui gode l’imputato sottoposto a giudizio abbreviato, ex art. 442, secondo comma, c.p.p., è conseguenza di una mera valutazione di opportunità che questo compie, e non si rifà minimamente ai criteri della prevenzione speciale nell’esecuzione della pena63. Parte della dottrina64, addirittura, è arrivata a sostenere che nel giudizio abbreviato sia venuta meno la ratio giustificativa dello sconto di pena, dal momento che il nuovo assetto del rito alternativo, in cui è venuto meno il consenso del pubblico ministero per l’accesso al rito e in cui

63 Nella relazione della Commissione Canzio, in Diritto penale

contemporaneo, 27 ottobre 2014, si legge che la diminuente è “potenzialmente distorsiva del principio di proporzionalità e foriera di una vera e propria trappola di deterrenza”

64 L. CARACENI, la legge 103/2017 e i significativi ritocchi alla disciplina

del giudizio abbreviato, in La legislazione penale, 19 febbraio 2018, p. 17-18.

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può svolgersi un’attività istruttoria anche piuttosto ampia65, ha perso gli originali caratteri di speditezza, generando oggi uno scarso risparmio di tempo.

La Corte costituzionale, come già anticipato, ha dichiarato tali questioni infondate. La Consulta, innanzitutto, ha sottolineato come il nuovo assetto del giudizio abbreviato, che certamente presenta elementi di favor processuale in capo all’imputato, alla luce del ruolo e della posizione del pubblico ministero all’interno del processo penale, non violi il principio di parità delle parti enunciato all’art. 111 Cost. Il pubblico ministero, infatti, ha un ruolo di spicco nelle indagini preliminari, nel corso delle quali svolge attività istruttoria in assenza di un contraddittorio con la controparte, e sarà tenuto a raccogliere ogni elemento utile ai fini della decisione, in ossequio al principio di completezza delle indagini66, anche nella consapevolezza che l’imputato potrà chiedere (ed ottenere) una decisione allo stato degli atti, nel corso dell’udienza preliminare.

La Corte fu quindi esplicita nell’affermare che “non costituisce irragionevole discriminazione tra le parti la mancata attribuzione all'organo dell'accusa di uno specifico potere di iniziativa probatoria per controbilanciare il diritto dell'imputato al giudizio abbreviato”. In dottrina, inoltre, si è evidenziato come il secondo comma dell’art. 27 Cost., nell’enunciare il principio di presunzione di non colpevolezza, postuli una disciplina codicistica che generi squilibrio tra le posizioni processuali di imputato e pubblico ministero, dal momento che è riservato a quest’ultimo l’onere di provare la

65 D. NEGRI, Il «nuovo» giudizio abbreviato: un diritto dell’imputato tra

nostalgie inquisitorie e finalità di economia processuale, in Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, (a cura di F. PERONI), Padova, 2000, p. 441 ss.

66 Corte cost., 15 febbraio 1991, n.88, in cui si legge “Il pubblico ministero

ha il dovere di compiere ogni attività necessaria ai fini delle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale”.

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