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Capitolo 3 – Considerazioni conclusive

1. Conclusioni

Con il decreto del ministro della giustizia del 10 giugno 2013 viene istituita un’apposita commissione ministeriale con il compito di elaborare una proposta di riforma del processo penale. La commissione, presieduta da Giovanni Canzio, allora presidente della Corte d’appello di Milano, si è messa a lavoro indicando fin da subito come suo principale obbiettivo quello di razionalizzare il modello di processo ideato nel 1988, attraverso una rielaborazione delle aree del codice di rito che hanno presentato maggiori problematiche nell’ottica del funzionamento della macchina processuale, così da ripristinare qualità, efficacia e autorevolezza del processo penale318.

Tra le altre, il legislatore ha assunto il compito di riformare i riti alternativi, con particolare attenzione al giudizio abbreviato, in un’ottica di generale semplificazione e deflazione dei meccanismi procedurali, al fine di migliorare l’efficienza del sistema senza però rinunciare alle fondamentali garanzie processuali, nella costante consapevolezza che “la durata ragionevole, per dettato costituzionale, connota non già il processo, quale che sia la sua struttura, ma il giusto processo”319.

Per quanto riguarda il giudizio abbreviato, in dottrina si è rilevato come il risultato non appaia del tutto conforme agli scopi perseguiti320,

318 G. CANZIO, il processo penale: le riforme “possibili”, in

www.edizioniets.com, 2013, p. 505-506.

319 Relazione al d.d.l. c. 2798, presentato alla Camera dei deputati il 23

dicembre 2014.

320 L. CARACENI, la legge 103/2017 e i significativi ritocchi alla disciplina

del giudizio abbreviato, in La legislazione penale, 19 febbraio 2018, p. 1s; A. MACCHIA, La riforma del giudizio abbreviato e degli altri riti speciali, in

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soprattutto se si prende in considerazione alcune delle possibili letture a cui il novellato disposto normativo si presta321.

Sicuramente perseguono l’obiettivo di incentivare l’accesso al rito alternativo, sia pure con modesta efficacia, la modifica apportata al secondo comma dell’art. 442 c.p.p., con l’aumento della riduzione della sanzione per le contravvenzioni da un terzo alla metà, e la codificazione della prassi giurisprudenziale di ammettere la contestuale formulazione di una pluralità di richieste in ordine di priorità, attraverso l’innesto del comma 5bis all’interno dell’art. 438 c.p.p.

Si trae tutt’altra conclusione invece dalla lettura delle altre due modifiche apportate dalla riforma Orlando all’impianto del rito abbreviato: la previsione di un nuovo spazio di attività istruttoria per il pubblico ministero, nell’ipotesi contemplata al quarto comma dell’art. 438 c.p.p., provocherà verosimilmente un effetto deterrente sull’intenzione dell’imputato di accedere al rito alternativo e, a maggior ragione, lo farà la rimodulazione degli effetti della domanda di instaurazione del giudizio abbreviato in ordine alla sanatoria delle nullità, alla rilevabilità delle inutilizzabilità e, soprattutto322, alla eccepibilità delle questioni di competenza territoriale, codificata al comma 6bis dell’art. 438 c.p.p.

Si può quindi concludere sul punto che i dichiarati obbiettivi di incentivare l’accesso ai riti alternativi, al fine di perseguire la

Diritto penale contemporaneo, 24 novembre 2017; A. PASTA, Le investigazioni difensive nel giudizio abbreviato dopo la riforma Orlando: due cause di un fallimento, Archivio Penale, 2017; E. MARZADURI, il giudizio abbreviato: alcune riflessioni dopo la c.d. riforma Orlando, in Archivio penale, 7 giugno 2018.

321 v. supra § 7.3.1, cap. 2.

322 Detto effetto deterrente si verificherà soprattutto con riferimento alla

preclusione di ogni questione sulla competenza per territorio del giudice perché si pone in contrasto con la posizione assunta sul punto dalla giurisprudenza di legittimità. v. Cass. SS. UU., 29 marzo 2012, n. 27996, in Diritto penale contemporaneo, 2012.

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fondamentale finalità deflattiva, siano stati del tutto disattesi dalla legge n. 103 del 2017, la quale, non solo ha ulteriormente aggravato i tempi dell’iter del rito de quo prevedendo un’ipotesi di rinvio dell’udienza camerale, ma ha anche nuovamente alterato gli equilibri dei poteri delle parti, questa volta a discapito della difesa323, con la conseguenza che l’imputato sarà ancora meno motivato a chiedere di procedere con le forme del giudizio abbreviato.

Le modifiche introdotte dalla riforma Orlando inoltre, come già anticipato324, si prestano in più punti a interpretazioni foriere di criticità. Innanzitutto il lasso di tempo che deve intercorrere fra il deposito delle investigazioni difensive e la richiesta di giudizio abbreviato, stabilito al quarto comma dell’art. 438 c.p.p. con la locuzione “immediatamente dopo”, appare eccessivamente labile, al punto di rischiare, in concreto, di affidare alla sola discrezionalità del giudice la decisione inerente al concedere o meno un nuovo margine di attività istruttoria alla pubblica accusa. Lo stesso comma crea dubbi anche con riferimento alla durata del termine e, in particolare, nulla ci dice in ordine ai parametri a cui deve rifarsi il giudice per stabilire detta durata, di cui conosciamo solo il limite massimo, cioè sessanta giorni. Anche il limite oggettivo delle indagini suppletive, consistente nei “temi introdotti dalla difesa”, solleva più di un dubbio sul piano ermeneutico: il fatto che il legislatore non abbia fatto esplicito riferimento alla facoltà di prova contraria porta giurisprudenza e dottrina a chiedersi se, in questo caso, lo spettro di attività istruttoria del pubblico ministero sia più, meno o ugualmente ampio rispetto ai casi in cui gli è attribuita espressamente suddetta facoltà. La soluzione delle fondamentali questioni di cosa possa legittimamente rientrare nell’attività istruttoria suppletiva del pubblico ministero, di quali siano

323 L. CARACENI, la legge 103/2017 e i significativi ritocchi alla disciplina

del giudizio abbreviato, cit., p. 4.

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i parametri a cui deve rifarsi il giudice per fissare la durata del termine entro la forbice dei sessanta giorni e di quale sia il periodo di tempo massimo intercorrente fra il deposito delle indagini difensive e la richiesta di giudizio abbreviato, tale da giustificare il rinvio dell’udienza, è perciò rimandata al consolidamento di prassi giurisprudenziali, dal momento che non è possibile ricavarlo univocamente dalla lettera della legge.

Ampliando la visuale sullo sviluppo diacronico del giudizio abbreviato si nota come la giurisprudenza, sia costituzionale che di legittimità, e il legislatore abbiano progressivamente modificato la struttura originaria del rito alternativo, introdotto nel nostro ordinamento con l’entrata in vigore del codice Vassalli, fino a renderlo un rito che si discosta fortemente dalle intenzioni della commissione che si occupò di redigere il nuovo codice di procedura penale, al punto che la dottrina325 ha attribuito al termine “giudizio abbreviato” quella condizione semantica che in linguistica viene chiamata enantiosemia, che rileva come un termine o una proposizione abbiano assunto, nel corso del tempo, un significato opposto a quello etimologico326. Infatti il giudizio abbreviato, sorto come rito alternativo estremamente semplificato, ha via via assunto le forme di un rito alternativo con ridotta efficacia deflattiva e una struttura sempre più simile al rito ordinario. Si è presentato nel nostro ordinamento come giudizio allo stato degli atti, instaurato sulla base di un accordo fra accusa e difesa seguito da una valutazione giudiziale in ordine alla decidibilità allo stato degli atti, senza possibilità alcuna di porre in essere una integrazione probatoria , né di parte né di ufficio, dopo l’instaurazione del rito. L’imputato e il pubblico ministero

325 A. MACCHIA, La riforma del Giudizio abbreviato e degli altri riti

speciali, cit., p. 1.

326 Enc. Treccani, voce “enantiosemia”: per es., l’aggettivo feriale che,

derivato del latino feriae “giorni di riposo”, significava in origine “festivo” mentre oggi vuol dire “lavorativo”.

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valutavano la portata della piattaforma probatoria delineatasi nella fase preliminare del procedimento e le sue prospettive di sviluppabilità nella fase dibattimentale per poi decidere, inizialmente in maniera insindacabile327, se chiedere o meno una decisione allo stato degli atti che il giudice doveva valutare fattibile, dal momento che, come detto, a seguito dell’instaurazione del rito non era più possibile procedere ad alcuna forma di integrazione istruttoria e il giudice decideva illico et immediate sulla base del dossier prodotto dal pubblico ministero all’atto della richiesta di rinvio a giudizio. Il giudizio abbreviato, quindi, nella sua struttura originale, si presentava come un rito estremamente semplificato, caratterizzato da una forte rigidità sul piano istruttorio. Si riscontra proprio detta rigidità fra le principali motivazioni che spinsero la Consulta, la giurisprudenza di legittimità e, infine, il legislatore a porre in essere una serie di interventi che hanno finito per snaturare questo rito, facendogli perdere quella configurazione di speedy trial che presentava nelle intenzioni del legislatore che lo introdusse nel nostro ordinamento328. Fu in particolare la legge n. 479 del 1999 a rivoluzionare l’impianto originale del giudizio abbreviato e anche il suo ruolo all’interno del sistema. Con l’entrata in vigore della legge Carotti l’instaurazione del rito abbreviato abbondonò la sua vocazione negoziale per trasformarsi in un vero e proprio diritto dell’imputato, il quale oggi, qualora la richiesta non sia condizionata ad alcuna integrazione probatoria, non può in nessun caso vedersi negare l’accesso al rito né dal pubblico ministero né dal giudice. La conseguenza della previsione di una

327 Fu attraverso la pronuncia dell’8 febbraio 1990, n. 66, che la Consulta

invitò il legislatore a stabilire per il giudizio abbreviato, così come per il patteggiamento, che il dissenso del pubblico ministero dovesse essere motivato. v. Corte cost., 8 febbraio 1990, n. 66.

328 Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, in G.U.,

supplemento ordinario n.2, 24 ottobre 1988, p. 104 ss. Inoltre, in dottrina v. A. MACCHIA, La riforma del Giudizio abbreviato e degli altri riti speciali, cit., p. 1-2.

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siffatta modalità di accesso al rito, con l’abbandono sia della necessità del consenso della pubblica accusa sia della valutazione del giudice sulla decidibilità allo stato degli atti, ha imposto al legislatore di porre significativi correttivi a un sistema che altrimenti rischiava, in concreto, di costringere il giudice a prendere una decisione basandosi su di una piattaforma probatoria eccessivamente scarna, con evidenti

vulnus all’attuazione della giustizia processuale. Perciò, il legislatore

del 1999 ha previsto al quinto comma dell’art. 438 c.p.p. la possibilità per l’imputato di condizionare l’accoglimento della richiesta di instaurazione del rito a una integrazione probatoria e, soprattutto, al quinto comma dell’art. 441 c.p.p. la facoltà del giudice di assumere, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione, qualora ritenga di non poter decidere allo stato degli atti.

Quindi, da un giudizio allo stato degli atti refrattario a ogni forma di integrazione probatoria si è passati a un rito, sempre definito nell’udienza preliminare allo stato degli atti, ma che presenta un certo margine di autonomia istruttoria. Sullo stesso solco delle intenzioni del legislatore del 1999 si è inserito anche il legislatore del 2017, che ha previsto, al quarto comma dell’art. 438 c.p.p., la possibilità per il pubblico ministero di chiedere al giudice un ulteriore spazio istruttorio qualora l’imputato abbia depositato le investigazioni difensive a ridosso della richiesta di instaurazione del giudizio abbreviato. Inoltre, se le modifiche poste in essere dalla legge Carotti trovavano giustificazione nel perseguimento della funzione deflattiva del rito alternativo, ratio stessa dell’istituto, la riforma Orlando, su questo punto, va in direzione opposta, dal momento che l’appetibilità del giudizio abbreviato risulta in parte compromessa dalla previsione di suddetta facoltà del pubblico ministero, nonostante sia stata parallelamente prevista anche la possibilità per l’imputato di revocare la richiesta al verificarsi di tale evenienza.

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Siffatta situazione non può che rimettere in discussione anche gli effetti premiali del rito. Nella prospettiva del legislatore del 1988 si trattava di un premio che l’imputato meritava in virtù degli effetti benefici sull’economia processuale prodotti dalla scelta di accedere al rito alternativo329, effetti che oggi hanno assunto una portata decisamente minore. A fronte di una riduzione di pena, il guadagno in termini di economia processuale è davvero modesto, tanto che appare difficile giustificare questa forte interferenza del giudizio abbreviato sul campo dei benefici sanzionatori330, soprattutto dal momento che la legge Carotti ha eliminato la necessità del consenso del pubblico ministero per l’instaurazione del rito.

Come già anticipato dianzi, il legislatore del 2017 è intervenuto anche sugli effetti premiali del rito de quo, con un impatto sistematico modesto e perdendo un’altra occasione per elaborare una rimodulazione di tali effetti più attenta ai cambiamenti morfologici subiti dal giudizio abbreviato331.

Le intenzioni iniziali della commissione Canzio erano quelle di suddividere i delitti in tre scaglioni, in base alla loro gravità determinata in riferimento al massimo edittale della pena prevista, applicando ad ogni scaglione una diversa percentuale di diminuzione della pena: più alta per i delitti meno gravi e più bassa per quelli di maggiore gravità332. L’intento era chiaramente quello di favorire l’accesso al rito per la definizione dei casi che hanno ad oggetto delitti di minore gravità, per i quali si può ben procedere con le forme semplificate, mentre si voleva contenere l’accesso al rito per i delitti che provocano un maggiore allarme sociale, per i quali ben vale la

329 Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, in G.U.,

supplemento ordinario n.2, 24 ottobre 1988, p. 104.

330 L. CARACENI, la legge 103/2017 e i significativi ritocchi alla disciplina

del giudizio abbreviato, cit., p. 18.

331 F. GALLUZZO, Riforma Orlando: giudizio abbreviato, in Parola alla

difesa, 16 giugno 2017.

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pena di intraprendere il dispendioso rito ordinario333. Mantenendo invece l’attuale disciplina sugli effetti premiali del giudizio abbreviato, prevista all’art. 442, secondo comma, c.p.p., con una percentuale di diminuzione della sanzione uguale per tutti i delitti, si giunge al risultato diametralmente opposto: maggiore è la pena prevista per quel delitto, maggiore sarà la diminuzione applicata in concreto e, di conseguenza, l’appetibilità dell’instaurazione del rito alternativo per l’imputato, perseverando così all’interno di una situazione paradossale in cui, non solo si procede con le forme semplificate più volte per i delitti di maggiore gravità che per quelli di modesto allarme sociale, ma addirittura l’imputato dichiarato colpevole di un delitto di elevata gravità riceve un premio - la riduzione della sanzione - in concreto di entità maggiore rispetto a quello che l’ordinamento concede a un imputato dichiarato colpevole di un delitto di minore gravità.

In questa prospettiva, il 1° agosto 2018, la Commissione giustizia in sede referente ha iniziato l’esame della proposta di legge C. 460, di iniziativa della deputata Morani, recante “modifiche al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di inapplicabilità e di svolgimento del giudizio abbreviato”. La proposta di legge, presentata il 3 aprile 2018334, si pone come obbiettivo essenzialmente l’inapplicabilità del primo comma dell’art. 438 c.p.p. ai delitti per i quali è prevista in astratto la pena dell’ergastolo, più altre modifiche normative di adattamento sistematico335. Fra le motivazioni di questo

333 v. infra

334 Questa proposta di legge ha incorporato e ampliato il contenuto del d.d.l.

C. 392, presentato dall’on. Molteni e altri il 27 marzo 2018.

335In ossequio a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 19

maggio 2003, n. 169, la proposta di legge prevede altre due modifiche normative che consentono di proporre la richiesta di giudizio abbreviato nei procedimenti per delitti per i quali la legge prevede in astratto la pena dell’ergastolo, subordinatamente a una diversa qualificazione dei fatti o all’individuazione di un reato diverso allo stato degli atti, nonché di rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento

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atto rileva proprio l’esigenza, avvertita in modo particolare per i delitti di maggiore allarme sociale, di comminare una pena congrua, proporzionata alla gravità del fatto, e di svolgere il processo di fronte al giudice naturale - che è la Corte di assise e non il giudice monocratico del giudizio abbreviato - con le piene garanzie sia per l’imputato, sia per le vittime, di partecipare all’accertamento della verità336.

di primo grado, ove la richiesta di giudizio abbreviato sia stata respinta dal giudice dell’udienza preliminare.

336 P.d.l. C. 460, Camera dei deputati, XVIII legislatura, presentata il 3 aprile

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