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la ventilazione protettiva nel paziente con grave cerebrolesione acquisita

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Corso di specializzazione in anestesia, rianimazione, terapia intensiva e

antalgica

Tesi di specializzazione: “ LA VENTILAZIONE PROTETTIVA NEL PAZIENTE

CON GRAVE CEREBRO-LESIONE ACQUISITA “

Candidato

Relatori

Jacopo Belfiore

Dott. Paolo Malacarne

(2)

INDICE:

GRAVE CEREBRO-LESIONE ACQUISITA

 Definizione e classificazione

 Pressione intracranica e autoregolazione del flusso ematico cerebrale

Patogenesi dell’ipertensione endocranica in corso di GCLA

 Patogenesi del danno polmonare in corso di GCLA

- Edema polmonare neurogeno

- Acute respiratory distress syndrome

- VAP

ACUTE

RESPIRATORY

DISTRESS

SYNDROME

(ARDS)

E

VENTILATOR INDUCED LUNG INJURY (V.I.L.I.)

STRATEGIE DI VENTILAZIONE MECCANICA PROTETTIVA IN

CORSO DI ARDS

STUDIO

CLINICO:

LA

VENTILAZIONE

PROTETTIVA

NEL

PAZIENTE CON GRAVE CEREBRO-LESIONE ACQUISITA

 Background

 Materiali e metodi

 Analisi statistica

 Risultati

 Discussione

 Conclusioni

(3)

GRAVE CEREBRO-LESIONE ACQUISITA

DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE

L’accezione di grave cerebro-lesione acquisita (GCLA) comprende uno spettro ampio ed eterogeneo di condizioni patologiche di differente origine eziologica, ad insorgenza acuta, in grado di causare uno stato di coma di durata superiore alle 24 ore. Secondo una delle più recenti definizioni di coma descritta da Wijdicks (1) , lo stato di coma è il risultato di una disfunzione o di un danno a carico delle strutture che consentono il mantenimento della veglia e l’awarness. Il tono di veglia è legato all’attività della formazione reticolare ascendente situata in corrispondenza del ponte di Varolio e connessa al talamo, ipotalamo ed alla corteccia. La awarness è mantenuta dal corretto funzionamento della corteccia cerebrale in corrispondenza dei lobi frontali ed in parte delle aree associative dei lobi parietali. Dal punto di vista clinico, le linee guida SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia intensiva) inerenti il management del trauma cranico, indicano che il paziente è in coma se non è in grado di aprire gli occhi, pronunciare parole ed eseguire ordini semplici: Glasgow Coma Scale (GCS) <8, oppure uguale a 8 nel caso di un paziente che emetta suoni incomprensibili.(2)

La classificazione delle GCLA viene definita su base eziopatogenetica, ovvero in base alla patologia di base che ne rappresenta la causa:

 Trauma cranico isolato o nel contesto di un paziente politraumatizzato

 Emorragia intraparenchimale (ICH) spontanea

 Emorragia sub-aracnoidea (SAH)

 Patologia infettiva a carico del sistema nervoso centrale (SNC), meningo-encefaliti acute

 Encefalopatia vascolare ischemica acuta (Ictus ischemico)

 Stato di male epilettico

PRESSIONE INTRA-CRANICA E AUTOREGOLAZIONE DEL FLUSSO EMATICO CEREBRALE Le patologie precedentemente elencate sono accomunate da un meccanismo fisiopatologico che sta alla base del danno neurologico della GCLA, rappresentato dall’aumento non controllato della pressione intra-cranica (PIC). Questa alterazione patologica della PIC può verificarsi in qualsiasi momento successivo all’evento che ha causato la GCLA, sia in fase iper-acuta che durante le diverse fasi di

(4)

trattamento e degenza del paziente ed è strettamente correlato alle variazioni di pressione di perfusione cerebrale (CPP). In condizioni fisiologiche e di riposo, la PIC si mantiene intorno ad un valore pari a circa 10 mmHg; vengono universalmente ritenuti dannosi e patologici valori di PIC > 20 - 22 mmHg, soprattutto se mantenuti a lungo (> 5 min) e refrattari ai trattamenti terapeutici. (3) Le prime misurazioni della PIC, vennero eseguite da Guillame e Janny nel 1951 (4) usando un trasduttore di pressione elettrica in grado di misurare le oscillazioni pressorie a carico del liquor ventricolare in pazienti con GCLA. Attualmente, sono due le tecniche maggiormente diffuse impiegate per stimare la PIC. Il gold-standard è rappresentato dalla derivazione ventricolare esterna, ovvero un sistema di drenaggio ventricolare temporanea (di solito, meno di una settimana) caratterizzato da una porzione interna al paziente, il catetere ventricolare, ed una esterna, costituita dall'apparato di misurazione della quantità di liquor drenata e raccolta della medesima. Solitamente, tra di essi è presente una differenza di circa 10 cmH2O in modo tale da ottenere una de-liquorazione di circa 10 ml/h, mantenendo il

trasduttore di pressione a livello del meato acustico esterno del paziente (approssimazione del livello del forame di Monro).(5) Altresì è possibile ottenere una stima della PIC mediante un catetere posizionato all’interno del parenchima cerebrale, la cui punta è costituita da un microsensore foto-elettrico (PIC intra-parenchimale).(6) Considerando le diverse cause di GCLA è opportuno sottolineare che, mentre le indicazioni alla misurazione della PIC sono ben definite nel paziente con trauma cranico

(7)

, ciò non è altrettanto chiaro nei pazienti affetti da SAH (8) e ICH (9). Le indicazioni al monitoraggio della PIC comprendono le seguenti condizioni:

 Pazienti con diagnosi di trauma cranico severo (GCS < 8) e positività alle immagini TC-cranio

 Pazienti con diagnosi di trauma cranico severo (GCS < 8) con TC-cranio negativa ma in possesso di almeno due dei seguenti criteri di inclusione:

- età > 40 anni

- pressione arteriosa sistolica (PAS) < 90 mmHg (anche un solo episodio è sufficiente) - anormalità mono o bi-laterale della risposta motoria del paziente

L’aspetto dell’onda della PIC dipende da piccole variazioni oscillatorie trasmesse dalla pressione arteriosa sistolica alla cavità cranica che si sovrappongono alle più lente variazioni respiratorie. Nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica la PIC aumenta perché durante l’inspirazione il ritorno venoso dal cranio è ostacolato dall’aumento di pressione intra-toracica data dalla pressione positiva inspiratoria. Se osserviamo attentamente l’onda della PIC (Fig.1) in condizioni di normale compliance, notiamo tre differenti incisure. La prima è l’onda di percussione, seguita dall’onda dicrotica e infine

(5)

dall’onda tidalica. L’onda di percussione corrisponde alla incisura oscillatoria trasmessa dalla pressione sistolica arteriosa ed è la più alta. Le altre due incisure hanno valori inferiori e corrispondono alla variazione pressoria venosa dell’atrio destro in fase diastolica. L’onda PIC fornisce informazioni sulla compliance cerebrale, infatti, in caso di un aumento della PIC il profilo dell’onda si modifica e le ultime due onde superano l’onda di percussione indicando una ridotta compliance cerebrale associata ad ipertensione endocranica.

Fig.1: Onda PIC

Il cranio è una struttura rigida ed anelastica, quindi inestensibile. Al suo interno è composto da volumi relativamente non comprimibili. La sua pressione interna (PIC) è determinata dalla somma dei tre compartimenti in esso contenuti: compartimento parenchimale (che comprende l’80% del volume intracranico), compartimento ematico (10% del volume intracranico) e compartimento liquorale (10% del volume intracranico). Su questi concetti anatomici si basa la teoria di Monro – Kellie (10). Essa afferma che, affinché vi sia una PIC normale, il volume all’interno del sistema cranio - spinale deve rimanere costante. Esistono quindi meccanismi di compenso (sistemi di autoregolazione) che intervengono ad ogni aumento di volume di ognuno dei tre componenti, con una proporzionale riduzione degli altri due, in modo da mantenere una PIC costante. Quando i meccanismi di compenso si esauriscono, anche piccoli aumenti di volume intracranico provocano un aumento di PIC ad andamento esponenziale, causando ipertensione endocranica. Principalmente si verificano:

(6)

 una diminuzione del volume ematico intracranico (data dalla compressione con spremitura del letto vascolare venoso)

 dislocazione del liquor nel canale vertebrale (passaggio di liquor dai ventricoli e dalle cisterne basali al canale vertebrale)

 riduzione della produzione di liquor da parte delle cellule ependimali e aumento del riassorbimento del liquor in corrispondenza delle granulazioni aracnoidee del Pacchioni Osservando la curva che descrive la relazione di Monro - Kellie (Fig.2) si notano due fasi distinte. Aumentando il volume di una delle componenti precedentemente descritte, notiamo che inizialmente non vi è un significativo aumento di PIC. Infatti, inizialmente la curva è piatta a causa degli effetti dei sistemi di compenso descritti, ovvero la compliance intra-cranica . La compliance rappresenta l’adattamento del compartimento intracranico ai cambiamenti di volume. La durata di questa fase è in funzione della velocità con cui si evolve la lesione causale, e la quantità di aumento di volume. Infatti, una massa ex novo con scarsa cinetica proliferativa può raggiungere dimensioni notevoli senza provocare ipertensione endocranica (ad esempio neoplasie cerebrali). Quando invece i meccanismi di compenso sono esauriti, assistiamo ad un incremento esponenziale della PIC. Anche piccoli aumenti di volume, generano quindi drammatici aumenti della PIC. (10)

(7)

Fig.2: Legge di Monroe - Kellie

Con l’esaurimento dei sistemi di compenso assistiamo ad un rapido ed incontrollato incremento della PIC, che ha come dirette conseguenze:

 La riduzione progressiva della CPP

 La possibile erniazione cerebrale

Autoregolazione cerebrale

L’autoregolazione cerebrale rappresenta la capacità dell’encefalo di mantenere un adeguato valore di CBF in risposta a variazioni della CPP, entro un range definito di CPP stessa. Processi di autoregolazione sono fisiologicamente presenti in diversi distretti vascolari, ma non sono così ben definiti come a livello cerebrale, probabilmente a causa della costante necessità di apporto di O2 e

nutrienti al parenchima cerebrale. La pressione di perfusione cerebrale è stimata matematicamente dalla differenza che sussiste tra la pressione arteriosa media del paziente (MAP) e la PIC:

CPP = MAP – PIC

Il mantenimento di una CPP ottimale impedisce l’instaurarsi della più frequente e temuta complicazione dell’evoluzione delle GCLA, ovvero il danno ipossico-ischemico cerebrale secondario. Esiste infatti una stretta correlazione tra CPP e flusso ematico cerebrale (CBF) descritta dal fenomeno dell’autoregolazione cerebrale, recentemente revisionato da Czonsnyka (11)

: CBF = CPP / CVR (resistenza vascolare cerebrale)

Combinando le due precedenti equazioni, si evince che il CBF dipende dalla differenza che sussiste tra la pressione presente nei vasi arteriosi cerebro-afferenti e la pressione del distretto venoso refluo cerebrale (approssimabile alla PIC), in rapporto alla resistenza vascolare del microcircolo cerebrale. Ogni potenziale aumento della PIC può ridurre la CPP, a causa della riduzione del gradiente pressorio tra il distretto arterioso e quello venoso cerebrale. Nel soggetto giovane, sano il CBF è stimato intorno a 75 – 90 ml / 100 g / min e si mantiene intorno a valori costanti per un range di MAP compreso tra i 60 mmHg e i 160 mmHg. (11) Secondo le linee guida della Brain Trauma Foundation, revisionate nel 2017, è necessario mantenere una CPP compresa tra 60 e 70 mmHg per mantenere una adeguata perfusione ed ossigenazione tissutale cerebrale, ottenendo un outcome favorevole in termini di mortalità e prognosi neurologica a lungo termine. In aggiunta, viene sconsigliato qualsiasi tipo di

(8)

accanimento terapeutico al fine di ottenere un target di CPP > 70 mmHg mediante l’impiego aggressivo di terapia infusionale e/o con vasopressori, per evitare il rischio di insorgenza di danno polmonare da edema vasogenico, nel paziente traumatizzato cranico. (3) Il meccanismo dell’autoregolazione del flusso cerebrale non è tutt’ora completamente noto, tuttavia diversi mediatori sono stati oggetto di studi clinici e fisiologici.

Innervazione autonomica: esiste una fitta rete di innervazione peri-vascolare appartenente al sistema nervoso simpatico e parasimpatico a livello del microcircolo cerebrale in grado di modificare la CVR in risposta a diversi cambiamenti del CBF: una riduzione del CBF comporta una maggiore attività parasimpatica, cui segua una vasodilatazione compensatoria delle arteriole cerebrali. Viceversa, l’aumento del CBF causa una maggior stimolazione simpatica peri-vascolare con conseguente vasocostrizione arteriolare.

accoppiamento neuro-vascolare: il rilascio di glutammato da parte dei neuroni centrali guida una risposta locale data dall’aumento del rilascio di sostanze vaso-attive dilatatorie (tra cui derivati dell’acido arachidonico, NO, lattato, adenosina, H+

, K+) da parte dei neuroni stessi, degli astrociti e delle cellule muscolari lisce peri-vascolari. (11, 12)

risposta miogenica: CBF può essere regolato da modificazioni attive a carico del diametro dei vasi cosiddetti “regolatori”, un processo noto come risposta miogenica. Le arteriole cerebro-afferenti presentano uno spesso strato di fibro-cellule muscolari lisce in grado di indurre vasodilatazione e vasocostrizione in risposta alle modificazioni della CPP. (12) Alla base della risposta miogenica sono coinvolti la risposta del microcircolo cerebrale all’ipossia (vedi seguito) ed il rilascio di sostanze vasoattive da parte delle cellule neuronali/astrocitarie.

Le cellule che costituiscono il tessuto cerebrale possiedono una alta richiesta metabolica di O2 rispetto

ad altri organi e tessuti, quindi, non è sorprendente il fatto che l’ipossia acuta possa rappresentare un potente stimolo vasodilatatorio della circolazione cerebrale, in grado di aumentare il CBF. In generale, il CBF non subisce variazioni fino a livelli minimi di PaO2 < 50 mmHg. (13) Durante l’ipossia acuta si

verificano alterazioni molecolari a carico delle cellule muscolari lisce delle arteriole cerebrali indotte direttamente da bassi valori di PaO2. In particolare si verifica una brusca riduzione dei livelli

intra-cellulari di ATP e, di conseguenza, una progressive apertura dei canali KATP a delle cellule muscolari

lisce arteriolari. La conseguente iperpolarizzazione dell’ambiente intra-cellulare causa una risposta rapida vasodilatatoria; lo stimolo ipossico è, inoltre, in grado di promuovere vasodilatazione del letto arteriolare cerebrale mediante l’aumento della sintesi locale di NO e adenosina. (14)

(9)

cerebrale è sensibile a modificazioni della pressione parziale di CO2 arteriosa (PaCO2), secondo il

riflesso chemocettivo carotideo: la riduzione della PaCO2 induce una vasocostrizione arteriolare con un

conseguente aumento della CVR e riduzione della perfusione cerebrale. Allo stesso modo, un aumento progressivo della PaCO2 induce una risposta vasodilatatoria con riduzione della CVR e un aumento

relativo del CBF.(15) Sono stati ipotizzati molti meccanismi molecolari alla base del riflesso chemocettivo, ma, in sostanza, le alterazioni del tono vascolare indotte dalle variazioni della PaCO2

sembrano essere legate a modificazioni della concentrazione degli ioni H+, come risultato della diffusione della CO2 dai vasi e la conseguente acidosi tissutale. (16) Questo fenomeno è descritto

dall’equazione seguente:

CO2 + H2O < = > H2CO3 < = > H+ + HCO3

-Una volta diffusa dallo spazio intra-vascolare a quello del liquido extra-cellulare, la CO2 si combina

con l’acqua aumentando transitoriamente i livelli di H2CO3 che tende a dissociarsi rapidamente e ad

aumentare la concentrazione degli H+ e a indurre acidosi tissutale. Altri meccanismi molecolari proposti coinvolgono l’aumento della sintesi di NO e di prostanoidi ad attività vasodilatatoria, ma non sono universalmente riconosciuti.

PATOGENESI DELL’IPERTENSIONE ENDOCRANICA IN CORSO DI GCLA

Come precedentemente descritto, la base fisiopatologica comune a tutte le diverse cause di GCLA è rappresentata dalla genesi di ipertensione endocranica. Sono descritti diversi meccanismi patogenetici di ipertensione endocranica per ciascuna condizione patologica alla base della GCLA, a causa della eterogeneità eziologica.

Trauma cranico

La fisiopatologia del trauma cranico è complessa ed eterogenea, soprattutto in funzione della severità del danno traumatico stesso. Negli ultimi decenni sono stati effettuati notevoli progressi nella comprensione fisiopatologica dell'evento traumatico; uno dei concetti fondamentali emersi da ricerche sperimentali e cliniche è che il danno cerebrale non si esaurisce al momento dell'impatto, ma evolve nelle ore e nei giorni successivi. In generale, possiamo distinguere due tipi di “danno”: un danno diretto o primario, ovvero il danno fisico a carico del parenchima cerebrale o delle strutture vascolari circostanti (dovuto a forze di natura compressiva o di shear-stress) che si verifica al momento del trauma stesso ed un danno secondario che si instaura e evolve nelle ore e nei giorni successivi al

(10)

trauma. (2,3,17) Il danno primario può essere causa di ipertensione endocranica in quanto sia lesioni parenchimatose (contusioni cerebrali ed edema cerebrale diffuso) che masse di natura vascolare (ematoma extra-durale, ematoma sub-durale, SAH e ICH) possono aumentare il volume delle corrispettive componenti intra-craniche descritte dalla legge di Monro – Kelly.(10) La rimozione chirurgica delle masse intracraniche, infatti, rappresenta la priorità assoluta del management e non può essere sostituita da alcun trattamento alternativo. Un fenomeno a parte è rappresentato dal danno assonale diffuso (DAI), in cui si verifica ipertensione endocranica per effetto di un edema cerebrale diffuso severo. (18) Il danno secondario è il risultato di un processo complesso che complica il danno primario e che tende ad evolversi nel corso delle ore e dei giorni successivi al danno primario. E’ un danno prevalentemente di natura ipossico-ischemica che clinicamente può essere correlato ad un ampio spettro di complicazioni come edema cerebrale, ematoma, idrocefalo, vasospasmo, alterazioni metaboliche, fenomeni di eccito-tossicità neuronale, tossicità da ioni calcio e crisi comiziali, tutte possibili cause di ipertensione endocranica. (19) Le seguenti condizioni devono, pertanto, essere evitate al fine di evitare l’insorgere o il protrarsi nel tempo del danno secondario stesso: (20)

- Ipotensione arteriosa (PAS < 90 mm Hg)

- Ipossiemia (PaO2 < 60 mm Hg; Saturazione O2 < 95%)

- Ipocapnia (PaCO2 < 35 mm Hg)

- Ipercapnia (PaCO2 > 45 mm Hg)

- Ipertensione arteriosa (PAS > 160 mm Hg, o MAP > 110 mm Hg)

- Iponatremia (Na < 142 mEq/L)

- Iperglicemia ( > 10 mmol/L)

- Ipoglicemia ( < 4.6 mmol/L)

(11)

- Acidemia: pH < 7.35

- Ipertermia ( T > 36.5°C)

- Ipotermia ( T < 35.5°C)

Si evince che il danno secondario traumatico rappresenta l’esito di uno squilibrio tra le richieste metaboliche delle cellule del parenchima cerebrale e l’apporto energetico. Entro le prime 24 ore dall’evento traumatico, in seguito a fenomeni di neuro-eccito-tossicità, si verifica edema citotossico intra-cellulare, lisi ed infine necrosi cellulare: in questo caso, il danno cellulare è dovuto a importante deplezione di ATP intra-cellulare. Questo determina la perdita di funzione delle pompe trans-membrana, in particolare la pompa sodio-potassio, con accumulo di Na intra-cellullare e, conseguentemente, richiamo osmotico di acqua libera dallo spazio extracellulare a quello intracellulare.

(21)

Nei giorni successivi al trauma prevalgono i fenomeni neuro-infiammatori. L’edema citototossico, la eccito-tossicità neuronale e la necrosi cellulare stimolano una cascata infiammatoria caratterizzata dall’aumento della sintesi e iper-secrezione di citochine pro-infiammatorie, prevalentemente da parte delle cellule gliali (astrociti e microglia); tali citochine inducono un aumento della permeabilità vascolare a livello della barriera emato-encefalica causando edema vasogenico che rappresenta uno dei maggiori predittori di ipertensione endocranica nel danno secondario traumatico. Inoltre si verifica una maggiore espressione di molecole di adesione di membrana che svolgono azione chemio-tattica dapprima sui neutrofili circolanti, successivamente anche sulla linea monocito-macrofagitaria. (22) Infine, un ulteriore ruolo nel rischio potenziale di ipertensione endocranica , nel traumatizzato cranico, è dato dalle possibili crisi comiziali, soprattutto se non prevenuto da un adeguato livello di analgo-sedazione o di profilassi analettica durante la degenza in terapia intensiva. (2,3)

Emorragia intra-parenchimale spontantea

La patogenesi dell’ipertensione endocranica in corso di ICH si realizza in due fasi distinte. La lesione primaria è una distruzione del tessuto locale come conseguenza della rottura di un vaso sanguigno cerebrale che introduce un flusso improvviso di sangue nel parenchima cerebrale. In oltre un terzo dei

(12)

pazienti, il sanguinamento continuato o un ri-sanguinamento comporta un aumento delle dimensioni dell'ematoma originario con ulteriori lesioni meccaniche che compaiono entro le prime ore dopo la lesione primaria. L’ipertensione endocranica da lesione primaria è quindi strettamente legata al volume dell’ematoma stesso (vedi legge di Monro-kelly). (23)

Per quanto riguarda la lesione secondaria, il meccanismo patogenetico principale di incremento della PIC consiste in una iniziale alterazione della permeabilità della barriera emato-encefalica, cui consegue lo sviluppo di edema vasogenico, ovvero il progressivo stravaso di essudato ricco di proteine. Questo tipo di danno (analogo al danno secondario in corso di trauma cranico) sembra essere spiegato da alterazioni a carico delle tight-junctions inter-cellulari e/o dal danno diretto alle membrane cellulari delle cellule endoteliali. Gli eritrociti che infarciscono il parenchima cerebrale liberano, per lisi e necrosi, alcuni prodotti intra-cellulari, in particolare il ferro dell’emoglobina. Il ferro, unitamente alla trombina e al fibrinogeno e ad altri prodotti di degradazione eritrocitaria inducono il danno alle tight junctions e alle cellule endoteliali a livello della barriera emato-encefalica. La lesione secondaria si perpetua tramite la cascata di sintesi di citochine pro-infiammatorie precedentemente descritte a proposito dei fenomeni neuro-infiammatori in corso di trauma cranico. (24)

Emorragia sub-aracnoidea spontanea

Il 60% dei pazienti con SAH sviluppano vasospasmo dei grossi vasi arteriosi cerebrali, alle misurazioni doppler trans-craniche, ma solo il 30% svilupperà sequele neurologiche irreversibili. La SAH può essere causa di ipertensione endocranica durante il danno precoce cerebrale o nel contesto del danno tardivo. Inizialmente, lo stravaso emorragico nel contesto del liquido cefalo-rachidiano induce una potente risposta di tipo neuro-infiammatoria con aumento di sintesi di citochine pro-infiammatorie, in particolare a carico di cellule della serie gliale. Conseguentemente, il danno infiammatorio precoce si riversa sulle cellule endoteliali danneggiando le tight-junctions, le membrane plasmatiche stesse e, definendo l’aumento della permeabilità della barriera emato-encefalica, da inizio all’edema vasogenico cerebrale. A questo processo si aggiungono fenomeni di necrosi e apoptosi delle cellule neuronali. La microtrombosi , oltre a essere coinvolta nella patogenesi del danno ischemico tardivo a carico del parenchima cerebrale post SAH, è alla base di un ridotto riassorbimento del liquor, anch’esso coinvolto nella patogenesi dell’ipertensione endocranica. (25)

(13)

tardivo, l’ipertensione endocranica sembra essere legata al fenomeno del vasospasmo stesso, a causa dell’estendersi dell’area di ischemia peri-lesionale del parenchima cerebrale. (26, 27)

Ictus ischemico

L’ictus ischemico è una condizione patologica causata, nella maggior parte dei casi, dall’occlusione di un vaso arterioso cerebrale da parte di un processo di trombosi intra-luminale o da un fenomeno embolico. In corrispondenza di tale regione ischemica si instaura quindi una alta CVR locale, con conseguente brusca abolizione del CBF. Alla periferia di tale lesione ischemica si presenta una zona di parenchima cerebrale (la cosiddetta zona di penombra) in cui il CBF non è abolito, ma semplicemente ridotto: in corrispondenza della zona di penombra vi si instaura un’ischemia reversibile tramite mezzi terapeutici come la trombolisi o la fibrinolisi e rappresenta il target terapeutico di tutti i pazienti con stroke. Dal punto di vista clinico, è importante sottolineare che il paziente ictato ischemico non si presenta in stato di coma (secondo la definizione sopra descritta), in quanto il processo fisiopatologico, di solito, colpisce un territorio circoscritto del parenchima cerebrale. Pertanto, l’ictus ischemico è causa di uno stato di coma solo quando il danno ischemico a carico del tessuto cerebrale si presenta bilaterale e diffuso. (28) La patogenesi dell’ipertensione endocranica in corso di stroke è essenzialmente dovuta all’instaurarsi di edema cerebrale sia citotossico che vasogenico. L’edema citotossico è diretta conseguenza dell’ischemia stessa, in quando la brusca riduzione del CBF correla con un deficit di apporto di O2 e substrati essenziali per il metabolismo energetico delle cellule neuronali. Ne

conseguono deplezione dell’ATP intra-cellulare e blocco del funzionamento della pompa Na+

/ K+, con successivo aumento della concentrazione dei soluti osmoticamente attivi all’interno del citosol ed edema intra-cellulare. L’edema vasogenico è dovuto all’alterazione strutturale e aumento della permeabilità a carico della barriera emato-encefalica con stravaso essudatizio nello spazio extra-cellulare. L’ischemia tissutale cerebrale facilita il rilascio di citochine pro-infiammatorie e di mediatori in grado di alterare la permeabilità della barriera emato-encefalica, causando l’edema vasogenico. (29)

Patologia infettiva a carico del sistema nervoso centrale (SNC), meningo-encefaliti acute

Le meningiti acute batteriche si complicano spesso con l’insorgenza di ipertensione endocranica, secondo un duplice meccanismo patogenetico. La disseminazione batterica all’interno del liquido cefalo rachidiano ne compromette il riassorbimento fin dalle fasi iniziali della meningo-encefalite; l’idrocefalo conseguente aumenta la componente liquorale della legge di Monro-Kelly, causando

(14)

ipertensione endocranica. Secondo alcuni autori, l’idrocefalo su base infettiva sembra essere strettamente correlato con i livelli di protidorrachia influenzando in modo negativo la prognosi e l’outcome neurologico dei pazienti.(30)

L’altro meccanismo patogenetico causa di ipertensione endocranica è rappresentato da un rapido instaurarsi di edema cerebrale di tipo vasogenico: i prodotti di derivazione batterica maggiormente tossici per il nostro organismo (lipopolisaccaride, peptidoglicano…) inducono una potente risposta infiammatoria sistemica che si manifesta a livello cerebrale con un danno a carico della barriera emato-encefalica di gravità variabile. L’aumento di permeabilità vascolare conseguente è alla base dell’essudato extracellulare tipico delle alterazioni a carico della barriera stessa. (31)

PATOGENESI DEL DANNO POLMONARE IN CORSO DI GCLA

Il paziente con GCLA, molto spesso, sviluppa un possibile danno polmonare che si può manifestare precocemente o in fase tardiva, rispetto all’evento patologico scatenante la GCLA stessa. In particolare, sono tre i tipi di danno polmonare che possono verificarsi a seguito di una GCLA:

 Edema polmonare neurogeno (EPN)

 Acute Respiratory Distress Syndrome (ARDS)

 Polmonite associate alla ventilazione meccanica (VAP)

In fase acuta, riscontriamo l’edema polmonare neurogeno e l’acute respiratory distress syndrome come complicanza polmonare più frequente, mentre in fase tardiva è più frequente il manifestarsi della ARDS o di una VAP.

EPN

EPN rappresenta una sindrome clinica caratterizzata dall’insorgenza acuta di edema polmonare a seguito di un insulto che ha colpito il sistema nervoso centrale. Sia l’ICH, l’SAH, il trauma cranico che le meningo –encefaliti possono associarsi a questa sindrome. Qualsiasi tipo di insulto cranico che causi un brusco e persistente aumento della PIC sembra essere correlato con un alta incidenza di EPN: in particolare, esiste una correlazione tra l’aumento dei valori di PIC e l’aumento del contenuto idrico extra-vascolare polmonare (EVLW). (32) La patogenesi risiede nel fatto che il brusco aumento della PIC causa un’intensa attivazione di alcune aree del bulbo, dell’area postrema, del nucleo del tratto solitario e dell’ipotalamo (EPN trigger zones), cui segue un rilascio massivo di catecolamine.(33)

Questa risposta autonomica sembrerebbe suggerire un’origine esclusivamente emodinamica del EPN, ovvero

(15)

l’aumento della pressione idrostatica indotto dal massivo rilascio di catecolamine che altera le forze implicate nella legge di Starling, invertendo il flusso netto trans-capillare. Questo meccanismo fisiopatologico non spiega la presenza di cellule ematiche e liquido a contenuto proteico nel fluido alveolare osservati in alcuni pazienti affetti da EPN.(34) Theodore e Robin introdussero il modello del

“blast injury” in modo da spiegare sia la componente idrostatica che l’aumento della permeabilità

vascolare a carico del letto vascolare polmonare responsabili di EPN. Secondo questa teoria, la tempesta catecolaminica induce il brusco aumento di pressione arteriosa sistemica e polmonare con conseguente shift di un volume di sangue dalla circolazione sistemica alle zone a minor resistenza della circolazione polmonare. L’aumento di pressione venosa polmonare si traduce non solo in un edema trasudativo polmonare, ma è in grado di indurre una sorta di “barotrauma” a carico delle cellule endoteliali della barriera alveolo-capillare. Ne conseguono aumento della permeabilità capillare polmonare e essudato polmonare ad elevata concentrazione proteica. (33, 34) In definitiva, l’elevata pressione idrostatica unitamente al danno endoteliale alveolo-capillare spiegano la patogenesi dell’EPN secondo la blast theory. Inoltre, molti autori hanno osservato la presenza di un quadro di iper-reattività del distretto venoso polmonare alle catecolamine circolanti. Le cellule endoteliali a livello delle venule polmonari, infatti, esprimono sulla superfice recettori α e β-adrenergici e sembrerebbero rispondere con un’intensa vasocostrizione all’elevato livello di catecolamine circolanti indotto dalla lesione centrale causa di GCLA.(35)

ARDS in corso di GCLA

Dal punto di vista epidemiologico, studi recenti riportano un’incidenza di ARDS approssimativamente del 35% in pazienti con diagnosi di GCLA. (36) In particolare, l’incidenza di ARDS sembra essere particolarmente elevata (intorno al 20-25%) in pazienti con diagnosi di trauma cranico (37) e 20-38% nel caso di SAH (38), mentre solo in circa il 4% dei pazienti affetti da stroke ischemico si manifesterà l’ARDS .(39)

In tutti i casi, l’impatto sulla morbilità e mortalità dovuto all’insorgenza di ARDS nel paziente con diagnosi di GCLA ne peggiorava l’outcome e la prognosi. (36,37,38,39)

I seguenti fattori di rischio principali di insorgenza di ARDS in corso di GCLA sono stati identificati (40):

 Gravità del danno cerebrale, definito da un GCS minimo (GCS = 3-4)

 Iniziale evidenza di shift > 5 mm della linea mediana o anomalie diffuse alla TC cranio

(16)

 Somministrazione precoce di sostanze vasoattive

 Età avanzata

 Diabete

 Storia di tossicodipendenza

La distribuzione dell’ARDS nel tempo, a partire dall’insorgenza della GCLA, sembra essere bimodale: il primo picco si evidenzia nei 2-3 giorni successivi all’insorgenza del danno neurologico, mentre il secondo picco si manifesta al settimo-ottavo giorno, spesso in concomitanza con una VAP. (41) Dal punto divista patogenetico, la teoria del Double hit spiega come la risposta infiammatoria sistemica giochi un ruolo predominante nel contesto dello sviluppo di ARDS in corso di GCLA. (42) A seguito del danno cerebrale acuto si osserva una maggiore sintesi e secrezione di citochine pro-infiammatorie (in particolare IL-1, IL-6, IL-8 e TNF) da parte delle cellule appartenenti alla serie gliale, ovvero microglia e astrociti. La cascata infiammatoria attivatasi, induce una alterazione della barriera ematoencefalica per effetto del danno a carico delle cellule endoteliali del microcircolo cerebrale, incrementandone la permeabilità vascolare. Le citochine pro-infiammatorie sfruttano l’aumento della permeabilità della barriera ematoencefalica per immettersi nella circolazione sistemica, secondo gradiente di concentrazione trans-cranico. Una volta in circolo, le citochine si riversano su organi e tessuti maggiormente vascolarizzati dove creano un “ambiente infiammatorio” che rappresenta il “first

hit”.(43)

In tale contesto ad elevato contenuto di mediatori infiammatori, si configura una maggior suscettibilità a successivi eventi patologici, in particolare VAP e danno polmonare indotto da ventilazione meccanica (VILI), che costituiscono il “second hit”. (44)

Alcuni autori hanno evidenziato la migrazione di macrofagi e granulociti neutrofili all’interno dello spazio alveolare e nel liquido di lavaggio bronco-alveolare in seguito al danno cerebrale acuto, associati ad elevati livelli di citochine pro-infiammatorie. Tali alterazioni correlavano con quadri Tc torace di ARDS.(45)

VAP

Come riconosciuto da molti autori, la vecchia definizione di VAP presentava numerosi limiti.(46) I più importanti riguardavano l’estrema variabilità inter-individuale e, quindi, la soggettività nell’interpretazione dei dati diagnostici in quanto i segni e sintomi clinici così come i segni radiologici presentavano bassa sensibilità e specificità. Nel 2013, il Center for desease control diagnosis of

(17)

pneumonia (CDC) ha decretato la nuova definizione di VAP partendo dalla differenziazione di tre condizioni patologiche denominate VAE (ventilator associated events): (47)

VAC (ventilator associated condition): Nuovo deterioramento respiratorio, dato dal peggioramento della ossigenazione arteriosa in un paziente ventilato da oltre 2 gg, dopo un periodo di stabilità o miglioramento che :

- necessita di incremento della PEEP e/o necessita di incremento della FiO2.

IVAC (infection-related ventilator associated condition): Nuovo deterioramento respiratorio (definizione di VAC) con evidenza di infezione/infiammazione:

- T° > 38° o < 36° o leucociti ≥12.000/cc o ≤ 4.000/cc +

- inizio di nuova antibioticoterapia continuata per almeno 4 gg.

VAP probabile o possibile: Criteri di V.A.C. e I.V.A.C. associati a: - secrezioni purulente o

- colture positive qualitative o quantitative di sputo, aspirato tracheale BAL, tessuto polmonare (escluse specie quali Candida, Enterococco, Stafilococco coagulasi negativo o la normale flora orale)

Si evince che la nuova definizione pone l’accento esclusivamente su criteri quantitativi e in definitiva più oggettivi: scompare il criterio radiologico, soggettivo, mentre viene introdotto il criterio dell’uso di un antibiotico. Inoltre, identifica tutti i malati che hanno una complicazione da e durante la ventilazione meccanica. (46, 47)

La patogenesi delle VAP si presenta con un triplice meccanismo: (47)

 Colonizzazione cavo oro-faringeo

 Inalazione / aspirazione e colonizzazione vie aeree superiori: Il passaggio di secrezioni infette dal cavo oro-faringeo al piano glottico, da qui al piano sotto-glottico e, infine, al di sotto della cuffia del tubo endotracheale, fino alle basse vie respiratorie, rappresenta il fattore di rischio principale per lo viluppo di VAP. La presenza del tubo endotracheale riduce la clearence muco-ciliare favorendo l’accumulo di secrezioni mucose tracheo-bronchiali ed il loro successivo passaggio alle vie aeree inferiori, per gravità. Inoltre, attorno alla cuffia del tubo endotracheale,

(18)

si viene a costituire un biofilm ovvero un aggregato batterico (prevalentemente costituito da Gram negativi MDR), tenuto insieme da una matrice di proteine e polisaccaridi che agisce da reservoir, un ambiente protettivo per l’annidamento dei batteri stessi, consentendone lo sviluppo di farmaco resistenza. Il biofilm isola i microrganismi dal torrente circolatorio, impedendo l’azione degli antibiotici. Infine, il sistema immunitario dell’ospite è spesso frequentemente soppresso a causa dello sviluppo di una reazione infiammatoria sistemica dovuta alla patologia di base, in questo caso la neuro-infiammazione da GCLA. (47)

 Contaminazione delle attrezzature di ventilazione da parte di germi presenti in ambito nosocomiale e, quindi, spesso con multi-drug resistence (MDR)

Nel 2010 sono stati pubblicati gli European Bundles (48) che attualmente rappresentano le linee guida vigenti per la prevenzione delle VAP:

• Non sostituzione routinaria del circuito di ventilazione • Igiene delle mani con alcool

• Educazione e formazione del personale sanitario

• Controllo della sedazione e protocollo di weaning al fine di ridurre il più possibile la durata della ventilazione meccanica invasiva

• Igiene orale con clorexidina

I protocolli di decontaminazione del tratto digestivo superiore non sembrano ridurre l’incidenza di VAP e, quindi, il loro utilizzo non rappresenta una garanzia di prevenzione delle VAP. L’utilizzo di inibitori dei recettori H2-istaminici viene sconsigliato, in quanto sembra aumentare il rischio di colonizzazione delle vie aeree. La sovrapposizione di un processo infettivo polmonare e l’insorgenza di una VAP sono complicazioni frequenti nel paziente con GCLA. In particolare ricordiamo che la GCLA, per definizione, presuppone uno stato di coma per una durata superiore alle 24 h: in GCS < 8 è assente il riflesso di protezione delle vie aeree, motivo per cui è mandatorio procedere alla assicurazione di una via aerea definitiva (1). Durante le prime fasi di insorgenza del coma da GCLA il rischio di inalazione è particolarmente elevato, soprattutto per quanto riguarda le micro-aspirazioni (1,

42). L’incidenza di VAP è compresa tra il 21 ed il 60% dei pazienti con danno cerebrale acquisito. (49)

Inoltre, sembra che l’insorgenza della VAP sia correlato con un prolungamento della ventilazione meccanica, con la difficoltà nel processo di weaning e con l’aumento della mortalità dei pazienti con

(19)

GCLA. (49, 50) Nel corso degli anni, alcuni autori sono riusciti ad identificare i principali fattori di rischio di insorgenza di VAP nei pazienti con diagnosi di GCLA. (51) Tra i più importanti riscontriamo:

 Età avanzata

 Obesità

 Diabete

 Politrasfusioni di emoderivati

 Immunodepressione

 Patologie croniche polmonari

 Uso prolungato di barbiturici

A questi deve essere aggiunto il fatto che la ventilazione meccanica prolungata e l’assenza di un decubito proclive del paziente (fin dalle prime fasi di danno cerebrale acuto) rappresentano i più importanti fattori di rischio associati all’insorgenza di una VAP in questi pazienti. Come descritto in precedenza, nel caso del paziente affetto da GCLA, l'insorgenza di infezioni a carico del parenchima polmonare è favorita dalla condizione di ridotta attività del sistema immunitario secondaria all'attivazione del sistema nervoso simpatico e dal danno polmonare secondario alla diffusione sistemica della neuro-infiammazione. (47) Recentemente, gli studi orientano verso una precoce terapia di nutrizione enterale come uno dei maggiori fattori protettivi dalle VAP nelle unità di terapia intensiva neurochirurgica, soprattutto quando applicata tra le 48 h e la quinta giornata dopo la diagnosi di GCLA.

(52) Infatti, L’aumento del pH gastrico, dovuto all’adozione della nutrizione parenterale e alla profilassi

antiacida dell’ulcera da stress, favorisce la colonizzazione dello stomaco da parte dei batteri intestinali. Lo Staphylococcus aureus meticillino-sensibile (MSSA) e altri germi acquisiti in comunità sembrano essere i patogeni maggiormente coinvolti, quando la VAP in corso di GCLA è ad esordio precoce. Nei pazienti con diagnosi tardiva di VAP vengono isolati più frequentemente germi MDR nosocomiali (lo

Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA), pseudomonas aeuriginosa, acinetobacter

baumanii,klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemici). (47, 53)

(20)

Nel 2011 sono stati revisionati i criteri per la nuova definizione di Berlino di ARDS (54), secondo i quali essa viene definita come una condizione patologica polmonare ad insorgenza acuta che rispetti i seguenti criteri:

Timing: insorgenza entro 1 settimana da un evento clinico noto, come peggioramento di un sintomo respiratorio pre-esistente o di nuova insorgenza.

Imaging toracico: comparsa all’Rx del torace o alla TC torace di opacità bilaterali, non completamente imputabile a versamenti, atelettasia lobare o alveolare e noduli polmonari.

Origine dell’edema: l’edema che causa l’insufficienza respiratoria non deve essere dovuto a

insufficienza cardiaca o a sovraccarico di fluidi. E’ necessaria una diagnosi differenziale strumentale, in particolare ultrasonografica * per escludere le due condizioni precedenti.

Ossigenazione: in base alla gravità dell’ipossia vengono distinti tre diversi gradi di ARDS - Mild: 200 < PaO2/FiO2 < 300 con CPAP o PEEP > 5cmH2O

- Moderate: 100< PaO2/FiO2 <200 con PEEP > 5cmH2O

- Severe: PaO2/FiO2 < 100 con PEEP > 5cmH2O

*Reperti ecocardiografici e di ecocardiografa nell’ARDS: - Distribuzione irregolare

- Presenza di linee B bilateralmente o di un pattern C (aree di consolidamento parenchimale polmonare)

- Riduzione dello sliding pleurico

- Irregolarità lungo il decorso della superficie pleurica

- Non cambiamenti nella funzione ventricolare rispetto a un precedente controllo - Nessuna dilatazione della vena cava inferiore (diametro VCI < 23 mm)

- E/e’ ≤ 8

Reperti ecocardiografici e di ecocardiografa nell’edema cardiogeno: - Distribuzione uniforme

(21)

- Versamento pleurico

- Predominanza del emitorace sinistro

- Peggioramento della funzione ventricolare sinistra

- Dilatazione della vena cava inferiore (diametro VCI > 23 mm) - E/e’ ≥ 14

E/e’ è il miglior predittore di disfunzione diastolica ventricolare sinistra e rappresenta il rapporto tra il picco di velocità mitralica nella fase precoce della diastole misurato all’apice dei lembi valvolari mitralici (E) e il picco di velocità mitralica nella fase precoce della diastole misurato all’anulus mitralico tramite il tissue Doppler (e’).

Nella pratica clinica quotidiana, all’interno dei criteri di Berlino sono comprese tutte le forme di danno acuto polmonare su base infiammatoria, che si manifestano con una grave ipossia. Come mostrato in fig. 3, la patogenesi della cascata di eventi che conducono all’ARDS è estremamente eterogenea e, pertanto, ancora oggetto di numerosi studi. Tuttavia, possiamo identificare tre fasi diverse nello sviluppo del danno polmonare:

Fase essudativo - infiammatoria: insorge dopo 72h dall’evento e tende a protrarsi fino a una settimana.

La principale caratteristica dell’ARDS è l’aumento della permeabilità capillare polmonare. Il conseguente accumulo di essudato ad elevata concentrazione proteica intra-alveolare (in particolare fibrina) è il risultato di un danno ad insorgenza acuta che colpisce sia le cellule endoteliali che le cellule epiteliali alveolari. (55) Il rivestimento epiteliale alveolare è costituito da due tipi di cellule: il danno alle cellule epiteliali di tipo I è coinvolto nel passaggio dell’essudato all’interno dello spazio alveolare e nella brusca riduzione della clearance del versamento stesso. Le cellule alveolari di tipo I, a livello apicale, presentano dei canali per il sodio che determinano un passaggio di questo ione nello spazio interstiziale, con conseguente flusso osmotico di acqua per via para-cellulare e attraverso le aquaporine-5, altamente espresse a livello degli pneumociti di tipo I. (56) Questo meccanismo diventa inefficace in seguito alla risposta infiammatoria. Il danno alle cellule di tipo II (altresì denominate cellule di Clara: cellule capaci di generare il film ad elevata concentrazione lipidica che costituisce il surfactante polmonare) si traduce in un deficit di produzione di surfactante polmonare; le forze di tensione superficiale non adeguatamente contrastate indurranno il collasso alveolare e la conseguente notevole riduzione di compliance polmonare. (57) Durante questa fase essudativa, i mediatori del danno

(22)

alveolare sono rappresentati dai granulociti neutrofili e dalle citochine pro-infiammatorie. I granulociti neutrofili migrano dal sangue allo spazio alveolare grazie a molecole di segnale espresse dai macrofagi alveolari attivati; successivamente, i polimorfonucleati esacerbano il danno alveolare mediante il rilascio di specie reattive dell’ossigeno (ROS), enzimi proteolitici, lipidi bio-attivi e citochine pro-infiammatorie stesse che vanno a costituire il complesso della neutrophil extracellular traps (NETs). La NETs è in grado di indurre sia necrosi che apoptosi e processi di autofagia a carico delle cellule endoteliali e epiteliali alveolari. (58) Nei polmoni dei pazienti affetti da ARDS sono state rinvenute numerose alterazioni patologiche in grado di attivare la via dell’NF-kB come trasduzione del segnale intracellulare per indurre l’aumento dell’espressione di geni che codificano per la sintesi di citochine pro-infiammatorie a carico delle cellule epiteliali alveolari stesse, dai neutrofili e dai fibroblasti. (59) Tra queste il TNFα, IL-1β,IL-6. IL-8 svolgono un ruolo primario nello sviluppo dell’infiammazione acuta alveolare, considerando che l’IL-8 è anche un potente fattore chemiotattico per i granulociti neutrofili. Le citochine pro-infiammatorie sono in grado di indurre un danno a carico delle tight junctions endoteliali ed epiteliali contribuendo all’aumento patologico della permeabilità della membrana alveolo-capillare. (60) Le citochine pro-infiammatorie si riversano successivamente nella circolazione sistemica rappresentando i mediatori della reazione infiammatoria sistemica che porterà all’insufficienza multi-organo (MOF). (57,59)

Fase proliferativa: A partire da una settimana circa dopo l’insulto iniziale comincia la fase proliferativa

di danno alveolare, che tende a protrarsi per circa 21 giorni. Gli autori descrivono una progressiva riduzione dell’infiltrato infiammatorio neutrofilico che lascia spazio all’aumento della concentrazione di linfociti e cellule della linea monocito-macrofagitaria intra-alveolare. A seguire dell’iniziale accumulo di versamento essudativo ricco in proteine assistiamo, quindi, ad un aumento della proliferazione delle cellule alveolari di tipo II e/o di fibroblasti. Molti pazienti in cui prevale la crescita di pneumociti di tipo II vanno incontro a guarigione: le cellule di Clara, infatti, riprendono a secernere surfactante e si differenziano in pneumociti di tipo 1 con il conseguente ripristino dell’integrità della barriera alveolo-capillare e progressivo recupero della funzione polmonare. (61)

Fase fibrotica: Si manifesta a partire da circa tre-quattro settimane dopo l’insorgenza del danno acuto

alveolare. I pazienti che sviluppano fibrosi polmonare mostrano una riduzione della compliance polmonare che esita in un quadro clinico di tipo restrittivo. (62) Questa fase rappresenta l’esito di una maggior proliferazione e differenziazione fibroblastica nella fase precedentemente descritta. L’attivazione dei fibroblasti determina una riparazione per fibrosi del danno polmonare, per mezzo di

(23)

un’abbondante escrezione di matrice extracellulare. La proliferazione fibro-cellulare può arrivare a coinvolgere la parete vasale, aggravando l’occlusione del microcircolo, fino a determinare un quadro di ipertensione polmonare da aumento delle resistenza vascolari polmonari.

Fig. 3: patogenesi dell’ARDS

Il standard della diagnosi strumentale dell’ARDS è la TC torace, che rappresenta, inoltre, il gold-standard nel follow-up delle lesioni evolutive osservate in questo tipo di pazienti. La TC torace, infine, consente al clinico di dare una spiegazione strumentale delle caratteristiche anatomo-patologiche tipiche dell’ARDS. I patterns morfologici più comunemente riscontrati sono:

- Aree consolidate: aree omogenee di densità aumentata in cui non riusciamo a distinguere vasi e bronchi. (tra +100 e -100 HU)

- Aree di “ground glass”: (tra -101 e 500 HU) aree polmonari collassate in cui riconosciamo la struttura bronchiale e vascolare.

- Aree normalmente ventilate. (tra -501 e -900 HU) - Aree iper-inflate (tra -901 e -1000 HU)

Le aree consolidate sono tipicamente localizzate nel contesto delle aree dipendenti del torace: il consolidamento è correlato all’effetto “spugna”, ovvero all’aumento del peso del polmone sovrastante,

(24)

a causa dell’imbibizione edematosa. La presenza di una pressione sovra-imposta determina una riduzione del volume di gas polmonare e lo sviluppo di regioni polmonari non areate. (63) Secondo alcuni studi, i pazienti con una diagnosi di ARDS di origine eziologica primitiva polmonare presentano la medesima distribuzione di aree ground-glass e aree consolidate, mentre nei pazienti con ARDS da cause extra-polmonari, le aree ground-glass sembrano essere pre-dominanti. (64) Questo modello descrittivo strumentale quantifica l’entità dell’incremento di permeabilità vascolare in termini di incremento di pressione sovra-imposta sulle diverse aree polmonari. La TC torace è utilizzata per valutare l’entità della reclutabilità polmonare, definita come la ventilazione di unità polmonari precedentemente collassate e non areate a seguito di un aumento della pressione alveolare e sembra variare tra lo 0 e il 70% del peso totale del polmone. La reclutabilità polmonare, quindi, dipende strettamente dalla minima pressione positiva da applicare nelle vie aeree necessaria a superare la pressione sovra-imposta generata dalla massa polmonare edematosa, dal cuore e dalla parete toracica.(65) Esistono diverse tecniche di esecuzione della TC torace al fine di quantificare la potenziale reclutabilità polmonare nel follow-up dei pazienti con ARDS, ma il più accreditato consiste nell’eseguire due scansioni toraciche successive a diversi livelli di crescenti di pressioni positive di fine espirazione(PEEP): inizialmente eseguiamo una scansione iniziale che definisca il “punto 0” a PEEP = 5 cmH2O, con blocco di fine espirazione in modo da avere la migliore visualizzazione possibile delle

diverse aree toraciche. Successivamente, dopo aver ripreso la normale ventilazione corrente, eseguiamo una nuova scansione a PEEP = 20 cmH2O con blocco di fine espirazione, in modo da poter identificare

eventuali nuove aree ventilate.

Il decorso clinico dell’ARDS è caratterizzato, spesso, da complicazioni che possono peggiorare l’outcome e incidere sia sulla durata della ventilazione meccanica invasiva che sulla mortalità. Tra queste, le più frequenti e studiate sono:

 Ventilator Induced Lung Injury (V.I.L.I.)

 Sovrapposizione di un processo infettivo polmonare

 Eccesso di carico idrico

 Atelettasie da postura

(25)

Basandosi sulle attuali evidenze scientifiche, i clinici hanno sviluppato una strategia di ventilazione protettiva che garantisse un’adeguata ossigenazione e un’opportuna clearance della CO2 minimizzando

il più possibile il danno indotto dalla ventilazione meccanica (V.I.L.I.). (66) L’esposizione prolungata ad una inappropriata ventilazione meccanica invasiva può esacerbare il V.I.L.I. sia tramite l’aumento dello stress indotto dall’applicazione di pressione e volume di insufflazione alle unità alveolari polmonari, che all’applicazione di livelli troppo bassi di PEEP con conseguente ritmico aprirsi e chiudersi delle unità alveolari. (67) La base teorica fisiopatologica del V.I.L.I. si basa sul concetto di “baby lung” sviluppato per la prima volta da Gattinoni. (68)

Questo modello funzionale, e non anatomico, descrive il polmone del paziente con diagnosi di ARDS come un polmone scarsamente ventilato, in quanto non si presenta rigido ma semplicemente “piccolo”, con una elasticità intrinseca conservata. Basandosi su quanto descritto, la compliance del sistema respiratorio è ridotta e correla direttamente con le dimensioni del baby lung. Pertanto, più piccola è la dimensione del baby lung, maggiore è la suscettibilità polmonare al danno indotto dalla ventilazione meccanica.

Barotrauma: viene definito come lesione traumatica alveolare indotta dall’applicazione di

eccessive pressioni positive di insufflazione, tali da indurre il passaggio di aria a livello extra-alveolare, dimostrato radiologicamente o macroscopicamente. Le complicazioni più severe sono rappresentate del pneumotorace, lo pneumomediastino e l’enfisema sottocutaneo. Dal punto di vista fisico, quando una pressione viene trasmessa ad una fibra, essa genera una tensione di pari intensità ma di verso opposto alla pressione applicata e viene definito stress. In realtà, il barotrauma si realizza quando la ventilazione meccanica a pressione positiva induce eccessivi valori di pressione trans-polmonare: si definisce pressione trans-polmonare la differenza tra la pressione interna agli alveoli (mediamente uguale alla pressione di plateau misurata a fine inspirazione) e la pressione che si trova all’esterno degli alveoli (cioè la pressione pleurica durante la manovra di occlusione di fine inspirazione). Questa differenza pressoria non deve superare il valore di 30 cmH2O, altresì il rischio di barotrauma è elevato. E’ questa la

pressione potenzialmente lesiva del polmone e non invece la semplice pressione alveolare (pressione di plateau misurata con il blocco di fine inspirazione): se infatti la pressione pleurica è maggiore della pressione atmosferica (versamento pleurico, importante edema tissutale della gabbia toracica, obesità, elevata pressione addominale), il valore della pressione transpolmonare sarà minore della pressione di plateau e quindi possiamo permetterci una strategia ventilatoria più aggressiva, senza rischio di barotrauma. (69)

(26)

Volutrauma: rappresenta il danno da sovradistensione alveolare risultata da uno strain eccessivo a fine inspirazione ,indotto dall’applicazione di eccessivi valori di volume corrente. Gli elevati volumi tidalici, piuttosto che le elevate pressioni all’interno delle vie aeree, sono ritenuti avere maggiore responsabilità nel verificarsi di V.I.L.I.. Per comprendere questo aspetto è necessario introdurre il concetto di strain : in fisica esso è definito come la differenza tra la lunghezza finale e lunghezza iniziale in rapporto alla lunghezza iniziale stessa.

Strain = Lfinale - L0 / L0

Nel contesto del parenchima polmonare esiste uno scheletro fibroso che “assorbe” tutta l’energia che la ventilazione meccanica fornisce al sistema respiratorio. Due sono i sistemi di fibre presenti nel tessuto polmonare:

- Un sistema assiale, ancorato all’ilo polmonare e decorrente in direzione centrifuga lungo le vie aeree, fino ai dotti alveolari

- Un sistema periferico ancorato alla pleura viscerale decorrente in direzione centripeta fini ad arrivare agli acini polmonari.

A costituire tali sistemi fibrosi esistono due tipologie di fibre: l’elastina, estensibile ed il collagene, inestensibile che, in posizione di riposo (ovvero a volume polmonare residuo) si presenta come “raggomitolato”. A capacità polmonare totale, le fibre di collagene inestensibili si dispiegano fino a raggiungere la loro lunghezza massima. Quindi, la variazione di forma dello scheletro fibroso non è altro che la variazione di volume indotta dalla ventilazione meccanica, ovvero, non tenendo conto degli effetti della PEEP, l’effetto del volume corrente applicato ad ogni ciclo respiratorio. La lunghezza a riposo di tali fibre, rappresenta la capacità funzionale residua del soggetto. Se lo strain alveolare indotto dalla ventilazione meccanica a volumi correnti elevati supera il normale strain fisiologico dell’unità polmonare, si verifica il volutrauma. (70)

Atelectrauma: danno causato dalla ripetuta apertura e chiusura di unità alveolari a fine espirazione, presumibilmente indotta da livelli di pressione positiva di fine espirazione (PEEP) inadeguati a prevenire il dereclutamento. A seguito del ritmico alternarsi di apertura e chiusura degli alveoli si generano forze di shear-stress tangenziali alle pareti bronchiolari distali ed

(27)

alveolari che causano un aumento della permeabilità capillare polmonare tramite un duplice meccanismo:

- Danno alle membrane plasmatiche delle cellule epiteliali alveolari e progressivi fenomeni di disepitelizzazione alveolare.

- Aumento della permeabilità capillare polmonare con aumento del passaggio di fluidi para-cellulari. Ciò è stato attribuito ad alterazioni a carico delle proteine costitutive delle tight junctions: ZO-1 e la claudina-4 sono le proteine maggiormente coinvolte nella regolazione del passaggio di proteine attraverso le tight-junctions e gli studi evidenziano come, in corso di atelectrauma, si evidenzino alterazioni strutturali di tali proteine cui consegue un maggior passaggio paracellulare di fluidi. (71)

Biotrauma: l’applicazione di eccessivi volumi di insufflazione e l’alternarsi dei cicli di apertura e chiusura degli alveoli atelettasici induce una reazione infiammatoria caratterizzata dall’aumento della sintesi di citochine pro-infiammatorie, in particolare dell’IL-8 che, come precedentemente osservato a proposito della fisiopatologia della risposta infiammatoria in corso di ARDS, presenta una potente attività chemiotattica nei confronti dei granulociti neutrofili. I granulociti neutrofili reclutati liberano specie reattive dell’ossigeno ed enzimi proteolitici che contribuiscono a definire il danno da biotrauma. La via di trasduzione del segnale che attiva la sintesi delle citochine pro-infiammatorie presenta l’attivazione di NF-kB come fattore principale. Inoltre, nel contesto della cascata infiammatoria sembra essere aumentata l’espressione dell’isoforma inducibile dell’ossido nitrico sintetasi con aumento della produzione di NO che media l’aumento della permeabilità capillare polmonare associata alla patogenesi del V.I.L.I. Infine, alcuni autori hanno sottolineato il ruolo patogenetico dell’aumentata sintesi di leucotrieni, in particolare LTB-4 che svolge azione chemiotattica sui neutrofili, aumenta la permeabilità capillare polmonare e altera il tono della muscolatura liscia peri-arteriolare polmonare. (72)

STRATEGIE DI VENTILAZIONE MECCANICA PROTETTIVA IN CORSO DI ARDS

La ventilazione meccanica invasiva costituisce una fondamentale terapia di supporto nel paziente con diagnosi di ARDS, al fine di garantire gli scambi respiratori provvedendo sia all’ossigenazione che alla rimozione della CO2. In particolare, l’efficacia della ventilazione meccanica è duplice: innanzitutto

(28)

consente la calibrazione della FiO2. Secondariamente, durante la fase inspiratoria, assicura una

pressione positiva di insufflazione tale da “aprire” le unità polmonari atelettasiche. Tuttavia, senza l’applicazione di adeguati livelli di PEEP, le stesse unità polmonari collasseranno nuovamente durante la fase espiratoria. (73) Gli ultimi trent’anni circa di letteratura mostrano come l’uso di elevati volumi correnti e pressioni di insufflazione possano causare danno alveolare e V.I.L.I. (55): come precedentemente descritto, questi effetti sono primariamente dovuti sia alla sovra-distensione alveolare, che al continuo, ciclico alternarsi di collasso e ri-apertura alveolare. Pertanto, la ventilazione meccanica invasiva deve avere i seguenti targets:

basso volume corrente (Vt): il principale determinante del V.I.L.I. è rappresentato dal rapporto tra il volume corrente ed il volume contenuto nei polmoni al termine di una espirazione non forzata per effetto del ritorno elastico del parenchima polmonare (capacita funzionale residua)

Vt / CFR

Entrambi correlano con lo stress (tensione generata nel parenchima polmonare in risposta ad una data pressione di insufflazione) e con lo strain (entità della deformazione delle unità polmonari),(74) quindi, al fine di mantenere bassi livelli di stress e strain polmonare sono necessari bassi volumi correnti. Il noto studio ARMA trial ha dimostrato una riduzione della mortalità del 22% nei pazienti con diagnosi di ARDS ventilati con Vt = 6 ml/kg di peso corporeo predetto (PBW) rispetto a pazienti ventilati con un setting non protettivo basato su Vt = 12 ml/kg (PBW). Gli autori conclusero che l’uso di eccessivi volumi correnti in corso di ventilazione meccanica invasiva incrementa il rischio di ARDS, mentre l’esposizione ad alti volumi correnti in corso di ARDS incrementa il rischio di mortalità. (75) Nonostante il PBW sia tutt’ora indicato per il calcolo dell’appropriato Vt, esso non correla in modo preciso con la CFR. In corso di ARDS il baby lung si presenta con una compliance notevolmente ridotta , per questo motivo il PBW non può fornire una misura precisa del volume di aria contenuto nel polmone a riposo. Amato ha infatti introdotto il concetto di driving pressure (∆P) col fine di individualizzare al meglio il Vt appropriato al paziente con diagnosi di ARDS:

∆P = Vt / Crs

Normalizzando il Vt sulla compliance del sistema respiratorio (Crs) otteniamo un indice predittivo che riflette al meglio lo stress/strain alveolare in corso di ventilazione meccanica, come dimostrato dal fatto che valori di driving pressure > 15 cmH2O correlano con un tasso di

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mortalità maggiore in pazienti con ARDS. (76) Il rapporto tra volume tidalico e Crs può essere approssimato (nel paziente privo di drive respiratorio) alla differenza tra la pressione di plateau (Ppl) e la PEEP:

∆P = Ppl – PEEP

Questa approssimazione spiega la principale limitazione della ∆P: la pressione trans-polmonare e non la pressione delle vie aeree rappresenta la pressione di distensione alveolare, come intuibile dal fatto che diversi pazienti presentano differenti valori di impedenza toracica. (77)

settaggio PEEP: L’individuazione del corretto livello di PEEP applicabile rimane ad oggi uno degli aspetti più complicati nella ventilazione dei malati con ARDS: livelli troppo bassi favoriscono l’insorgenza di aree consolidate, livelli eccessivi causano aumenti incontrollati dello ”stretch” polmonare e dello spazio morto. Nel corso degli anni il razionale dell’impiego della PEEP in corso di ARDS è cambiato: dapprima era ritenuta fondamentale nel miglioramento dell’ossigenazione, adesso, rappresenta l’elemento chiave che impedisce l’apertura e la chiusura ciclica degli alveoli (atelectrauma). (78)

Il problema attualmente aperto consiste nel settaggio del corretto valore di PEEP per ogni differente paziente con ARDS. Tra le tecniche più utilizzate ricordiamo:

- rapporto PEEP/FiO2: ovvero settaggio della PEEP e della FiO2 usando come target

l’aumento PaO2. Tuttavia, il miglioramento dell’ossigenazione può essere secondario ad un

effetto emodinamico, senza alcun effetto sul reclutamento alveolare: l’aumento della pressione media intra-toracica comporta una riduzione della portata cardiaca con conseguente riduzione dello shunt destro-sinistro. (79)

- Metodo basato sulla meccanica respiratoria: mantenendo costante il Vt e il valore di pressione delle vie aeree (Paw) compreso tra 26 – 28 cmH2O, si applicano livelli crescenti

di PEEP, step-by-step. (80)

- Metodo di Talmor (Ptp): la PEEP viene settata su un valore assoluto di Ptp compreso tra 0 e 10 cmH2O , stimata indirettamente dalla pressione esofagea (Pes).(77)

-Curve pressione – volume polmonari (curve PV): possiamo ottenerla applicando una ventilazione a volume controllato ad un paziente sedato e curarizzato: impostiamo un atto inspiratorio con basso flusso ( < 9 l/min) per 9 secondi. A queste condizioni la resistenza

(30)

delle vie aeree al flusso inspiratorio è trascurabile e otteniamo la curva PV calcolando ogni aumento di pressione delle vie aeree per ogni incremento di volume insufflato. in condizioni fisiologiche (paziente sano) la curva PV, al di sopra della CFR, è pressoché lineare. Nel soggetto con insufficienza respiratoria da ARDS si presenta sigmoidale, in cui si evidenziano tre porzioni e due punti di flesso nel passaggio da una porzione all’altra: il punto di flesso inferiore rappresenta il valore di pressione applicato dopo il quale le unità alveolari si riaprono (pressione critica di apertura). Il punto di flesso superiore indica il valore di pressione oltre il quale si ha sovra-distensione alveolare. Secondo questo modello, il recruitment avviene per valori di pressione superiori al punto di flesso inferiore, ovvero sulla parte lineare della curva PV. Per questo la PEEP viene settata circa 2-3 cmH2O sopra il

punto di flesso inferiore. (81,82)

- Imaging: valutazione degli effetti del recruitment su scansioni TC torace a diversi livelli di PEEP. (63)

In definitiva, considerando la difficoltà nella scelta del valore di PEEP da applicare, in modo tale da poter garantire simultaneamente una migliore ossigenazione e la più alta Crs associata al minor tasso di sovra-distensione alveolare, viene raccomandato di stratificare la severità dell’ARDS ventilando i pazienti in O2 puro a PEEP = 5 cmH2O (83). Nel caso di ARDS

moderata o severa, la reclutabilità del parenchima polmonare dovrebbe essere valutata mediante imaging (Tc torace, ecografia toracica) e, successivamente, viene suggerita l’applicazione di livelli alti di PEEP. Per impedire la sovra-distensione alveolare, L’aggiustamento dei valori di PEEP applicati dovrebbe essere simultaneo alla misurazione della Ptp. (63, 77, 83)

Manovre di recruitment: il concetto cardine del reclutamento alveolare non consiste solo nell’ri-apertura di unità alveolari precedentemente collassate, ma anche e soprattutto di mantenerle aperte e pervie. L’incremento dei livelli di pressione delle vie aeree applicata tale da superare la pressione sovra-imposta (aumentata pressione addominale, massa polmonare consolidata, scarsa compliance della parete toracica, ecc.), comporta il reclutamento di regioni polmonari precedentemente collassate. L’applicazione di opportuni livelli di PEEP ne mantiene l’apertura.

(84)

Esistono diverse tipologie di manovre di recruitment alveolare, ciascuna delle quali presenta, come target, il raggiungimento di un’opportuna Ptp che consenta l’areazione di unità alveolari precedentemente collassate: (85)

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