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Analisi organizzativa del Dipartimento Cardiotoracovascolare AOUP: modelli organizzativi a confronto per un'ipotesi di riorganizzazione

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Sommario

Parte prima: L’analisi organizzativa ... 4

Capitolo 1: Introduzione ... 4

Capitolo 2: Origini della teoria dell’organizzazione aziendale ... 6

Capitolo 3: L’analisi organizzativa... 9

3.1 Il modello clinico di A. Donabedian: ... 10

3.2 L’analisi organizzativa sistemica di Vaccani e Tonelli ... 10

Capitolo 5: Diagnosi organizzativa ... 12

5.1: l’analisi SWOT ... 13

Conclusioni ... 16

Parte seconda: Organizzazione innovativa ... 17

Capitolo 1: Introduzione ... 17

Capitolo 2: I modelli organizzativi attuali dell’assistenza infermieristica ... 19

2.1: i modelli centrati sul paziente (care delivery models)... 19

2.2: i modelli centrati sul professionista (nursing practice models):... 21

Capitolo 3: L’attuale realtà della gestione per processi ... 23

3.1: la Clinical Governance, alla base della gestione per processi ... 23

3.2: la gestione per processi ... 24

Capitolo 4: Il Lean Healthcare... 27

4.1: origini e principi della filosofia lean ... 27

4.2: applicare il Lean Thinking in sanità: Lean Healthcare... 28

Capitolo 5: Uno strumento del Lean come modello organizzativo: il Cell Design. ... 30

5.1: progettazione del cell design. ... 31

5.2: ambiti di applicazione del Cell Design in Sanità. ... 35

5.3: i vantaggi del Cell Design ... 35

Conclusioni ... 38

Parte terza: La realtà del Dipartimento Cardiotoracovascolare dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana: ci può essere un cambiamento? ... 39

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2 Capitolo 2: L’attuale configurazione strutturale del Dipartimento Cardiotoracovascolare in

AOUP ... 41

2.1 Generale articolazione del Dipartimento Cardiotoracovascolare: la clinica e la didattica ... 41

2.2 La struttura fisica del dipartimento e la sua distribuzione nello spazio ... 41

Capitolo 3: Le Unità Operative del Dipartimento: odierno setting organizzativo clinico ed assistenziale ... 44

3.1: due aspetti dell’organizzazione: quantità e qualità ... 44

3.2: il settore medico e quello chirurgico a confronto ... 47

3.3: Il riassetto del Dipartimento Cardiotoracovascolare: uno strumento per risolvere le criticità e migliorare la qualità dell’assistenza ... 50

Capitolo 4: Le procedure operative: capire l’attualità per uniformare ed implementare ... 52

4.1: uniformare le procedure dell’area medica del Dipartimento Cardiotoracovascolare ... 52

4.2: uniformare le procedure dell’area chirurgica del Dipartimento Cardiotoracovascolare. ... 57

4.3: le procedure dei due servizi trasversali: Laboratorio di emodinamica e S.D. Endoscopia toracica ... 62

4.4: la qualità aziendale ... 63

Capitolo 5: La riorganizzazione dell’area medica ... 65

5.1: la gestione del personale ... 66

Capitolo 6: La riorganizzazione dell’area chirurgica ... 70

6.1: la gestione del personale ... 70

Capitolo 7: Aspetti specifici relativi alle diverse figure infermieristiche: ruoli e formazione .... 74

7.1: l’infermiere coordinatore ... 74

7.2: Gli infermieri giornalieri e turnisti ... 75

Conclusioni ... 77 Bibliografia ... 78 Citazioni bibliografiche ... 78 Sitografia... 90 Crediti immagini ... 90 Ringraziamenti ... 92

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Parte prima: L’analisi organizzativa

1: Introduzione; 2: Le origini delle teorie dell’organizzazione aziendale;

3: L’analisi organizzativa; 4: La diagnosi organizzativa; 5: Conclusioni

Capitolo 1: Introduzione

Parlare di realtà sanitaria significa parlare di una realtà aziendale, cioè di un contesto in cui un insieme di persone -spesso molto numeroso, come accade proprio in ambito sanitario- persegue l’obiettivo comune avvalendosi di strumenti precisi, in base al ruolo che riveste. Si rende perciò necessario individuare relazioni uomo e uomo-macchina tali da rendere agevole il lavoro comune volto a perseguire gli obiettivi aziendali: le teorie sull’organizzazione aziendale. Ma che cosa significa organizzazione? Butera ¹ distingue tre significati di organizzazione: in primo luogo come attività organizzatrice, con riferimento alle attività volte a mettere in relazione persone e cose per raggiungere un obiettivo (“organizzare è portare a unità elementi

dispersi”) secondo leggi, prescrizioni, raccomandazioni, pratiche, conoscenze; poi

come soggetto collettivo, cioè un soggetto della vita collettiva avente personalità organizzativa giuridica o di fatto, che deve essere identificato e studiato nel suo essere dall’analisi organizzativa; infine come struttura, in cui si identificano le diverse componenti del soggetto organizzativo (processi, compiti, ruoli, sistema sociale) e le relazioni di queste ultime fra di loro e con il mondo esterno. Come afferma Tanese¹¹, l’organizzazione è un sistema sociale, e perciò “per introdurvi dei cambiamenti

occorre agire su quegli elementi che ne condizionano il funzionamento: da un lato gli aspetti strutturali e regolamentari (organigrammi, regolamenti, procedure), dall’altro quelli comportamentali e culturali (valori, atteggiamenti, culture, relazioni interpersonali)”. Per avviare il processo del cambiamento è necessario, quindi, uno

strumento apposito, che si focalizzi sugli aspetti relativi alla dimensione organizzativa per assicurare coerenza tra struttura e obiettivi strategici: il Piano di Organizzazione¹¹,

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che accompagna e guida il processo del cambiamento organizzativo nelle sue diverse fasi.

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Capitolo 2: Origini della teoria dell’organizzazione aziendale

Le teorie dell’organizzazione aziendale nascono con la rivoluzione industriale, contemporaneamente, quindi, alla nascita delle fabbriche intese nell’accezione moderna: le industrie investono non solo in uomini, ma anche in macchine; si presentano così problemi di coordinamento e divisione dei compiti e delle gerarchie. La questione di maggior rilevanza è proprio quella che riguarda la suddivisione del lavoro, tanto che molti studiosi dell’epoca e successivi vi focalizzano la propria attenzione:

L’economista Adam Smith (1723-1790) osserva² che la produttività aumenta con la suddivisione del lavoro, quindi con la specializzazione;

il matematico Charles Babbage (1791-1871) nota che i vantaggi della divisione del lavoro sono numerosi, ad esempio suddividendo la produzione in operazioni elementari, si possono utilizzare lavoratori meno qualificati, riducendo i costi, (primo principio di Babbage). (a)

Il filosofo Karl Marx (1818-1883) pone l’attenzione sul sistema macchina-operaio, in cui quest'ultimo tende a diventare parte della macchina, poiché privo del possesso del prodotto e del controllo della produzione, ma anche della possibilità di gestire le relazioni con gli altri all’interno del luogo di lavoro, definendolo come "ridotto spiritualmente e psichicamente alla condizione di una macchina" (alienazione)³.

Nel XX secolo, con le nuove scoperte scientifiche e la nascita della produzione di massa, diventa fondamentale studiare l’organizzazione uomo-macchina: nasce la teoria sull’organizzazione scientifica del lavoro elaborata da Taylor (1856-1915), ⁴ i cui punti chiave sono:

 Aumentare l’efficienza e la produttività del sistema

 Razionalizzazione dei metodi produttivi al fine di aumentarne la produttività.

 Separare nettamente la produzione dalla direzione del lavoro: i lavoratori dovevano solo eseguire i compiti loro assegnati dalla direzione

 Scomporre il lavoro esecutivo in modo molto capillare così che ogni operaio, grazie

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 Definizione degli standard di rendimento

 Introduzione del meccanismo dell’incentivo economico come sistema di controllo: era

meglio ricompensare piuttosto che minacciare

Viene introdotto così il principio della “one best way”: esistono diversi modi per svolgere un compito lavorativo, ma solo uno è il migliore e si può individuare attraverso lo studio e la razionalizzazione dei processi lavorativi, massimizzando l’efficienza dell’impresa, i profitti dell’imprenditore e il benessere dei lavoratori. Ciò permette, da un lato, di uscire dallo spontaneismo organizzativo, ma dall’altro annienta la componente umana e separa nettamente il lavoro intellettuale da quello esecutivo Quest’ultima divisione viene ripresa anche da Fayol (1841-1925) ⁵ nella teoria della direzione amministrativa, in cui si isola la funzione direttiva da tutte le altre funzioni gestionali e per la prima volta viene introdotto il concetto di organo di “staff” (specializzato, a cui affidare incarichi specifici) contrapposto agli organi di “line” (direzione): il modello ancora oggi più in uso nelle aziende

Tuttavia, impostare la produzione secondo rigidi schemi gerarchici non è sufficiente: nel 1927 Elton Mayo (1880-1949) ⁶ si accorge della profonda insoddisfazione dei dipendenti nonostante i numerosi incentivi economici ed evidenzia l’importanza dei rapporti umani che si instaurano nell’ organizzazione soprattutto a livello informale. La grande insoddisfazione dei dipendenti è causata dall’ eccessiva rigidità ed impersonalità dei rapporti con la direzione e dall’organizzazione del lavoro in funzione delle macchine a cui i lavoratori dovevano adattarsi. Si ottiene quindi un miglioramento dell’umore dei lavoratori e della loro produttività dando loro la possibilità di esprimere le proprie esigenze, affiancando a motivazioni di carattere razionale le motivazioni di carattere emotivo. Si comprende anche che accanto alle strutture organizzative ufficiali esistono anche dei raggruppamenti spontanei che esercitano un’importante influenza sul clima aziendale e che influenzano fortemente la produttività, per cui accanto ai capi eletti gerarchicamente esistono anche leader eletti spontaneamente dai gruppi, e si percepisce che l’autorità assegnata dalla struttura organizzativa non è efficace se rimane un fatto formale e non viene condivisa, accettata e considerata utile dal gruppo: l’autorità non deve farsi accettare con le minacce di

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sanzioni o con le promesse di ricompense, ma con la persuasione dei lavoratori e la condivisione delle finalità.

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Capitolo 3: L’analisi organizzativa

Il processo di aziendalizzazione del SSN e il conseguente passaggio a una gestione manageriale hanno segnato un netto cambiamento di indirizzo nell’assistenza: come è ben noto da alcuni studi⁷, ad oggi, “il management applicato alle scienze

infermieristiche rappresenta per gli infermieri lo strumento essenziale per interpretare al meglio questo cambiamento con il fine ultimo di realizzare il connubio tra il miglioramento dell’assistenza e l’ottimizzazione nonché la valorizzazione delle risorse umane.” Ciò rende necessario coinvolgere nella costruzione ed organizzazione delle

condizioni lavorative proprio le persone impiegate in prima linea, “valorizzando

quanto da loro percepito e proposto per dar vita ad eventuali nuove configurazioni dei processi organizzativi”, ⁷ dal momento che il benessere organizzativo degli

infermieri è ormai diventato un tema fortemente sentito non solo nell’ambito del management sanitario, ma a tutti i livelli gerarchici. Si rende perciò fondamentale trovare uno strumento per verificare lo stato di salute organizzativa nelle aziende sanitarie, in particolare al fine di mettere al centro le risorse umane per renderle

“sempre più la fonte centrale del vantaggio competitivo di un’azienda” ⁷: questo

strumento è l’analisi organizzativa. Essa, infatti, è il punto di inizio del processo di cambiamento organizzativo, è cioè un processo gestionale ricorsivo e partecipativo⁸ che consente di studiare sia l’area amministrativa che quella prettamente tecnica -e nel nostro caso, quindi, sanitaria- di un sistema e le relazioni organizzative che intercorrono tra queste ultime, evidenziarne i punti di forza e debolezza ed intervenire così su questi ultimi per cercare di risolverli, tutto ciò a livello sia generale, come azienda, che nel particolare di singole parti dell’organizzazione: deve essere, pertanto,

“una fotografia dell’esistente quanto più possibile analitica e neutra”¹¹

Nel procedere con l’analisi organizzativa -anche di un contesto sanitario- i modelli sono strumenti indispensabili per valutare l’organizzazione, trovarne i punti di forza e di debolezza e per incrementare la qualità.

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10 3.1 Il modello clinico di A. Donabedian:

questo modello⁹ ci suggerisce che la qualità si sviluppa lungo i tre assi di struttura, processo ed esito, e quindi si può parlare, rispettivamente, di qualità organizzativa, professionale e percepita; la qualità totale perciò è una sequenza di attività finalizzate ed interconnesse aventi lo scopo di fornire un prodotto al cliente, coinvolgendo quasi sempre più unità organizzative e più figure professionali.

3.2 L’analisi organizzativa sistemica di Vaccani e Tonelli. Il modello interpretativo

più completo per descrivere, analizzare, capire un’organizzazione nel tempo è quello sistemico.

Figura 2: Il modello org anizzativo sistemico

Detto modello intende l’organizzazione come sistema, quindi come insieme elementi in reciproca relazione tra loro, organizzati per la realizzazione di un fine; detto sistema è complesso (cioè costituito a sua volta da altri sistemi tra loro interagenti) e aperto

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(nel senso che scambia risorse e risultati con l’ambiente che lo circonda). Per descrivere questo modello è possibile usare una metafora vicina al mondo medico¹⁰ “Una cellula vivente sopravvive in un ambiente dato che le garantisce condizioni di

umidità, calore, acidità, nutrienti che fondano la sua vita. Al contesto la cellula fornisce a sua volta contributi in molecole di sintesi, che per lei costituiscono lo scarto dei propri processi vitali, ma che quasi sempre per il contesto stesso preludono a nuove opportunità. […] Il sistema sanitario può essere considerato un sistema vivente aperto, e l’analisi organizzativa sistemica ne è la rappresentazione mentale che può consentire di tentar di comprenderlo e, di governarlo accompagnandolo verso il raggiungimento di alcuni obiettivi.” È utile applicare il modello sistemico alla

complessa realtà sanitaria poiché agevola una visione a tutto tondo ed ordinata di quanto accade, permettendo così di cogliere ciò che intercorre fra gli elementi che compongono il sistema e fra il sistema e il suo contesto(b).

Il modello dell’analisi sistemica consente, dunque, di scomporre un’organizzazione in tre grandi parti: i fattori in entrata (input), il sistema organizzativo, i servizi in uscita (output), prodotti dalla nostra organizzazione (in tal caso servizi sanitari). Da questa rappresentazione si può affermare che le organizzazioni sono costituite per controllare e influenzare i fattori in ingresso, amministrandoli e modificandoli adeguatamente all’interno del sistema, al fine di raggiungere gli scopi che le stesse si sono prefissate. Un’utile rappresentazione di questo modello è la “caramella” di Vaccani:

Input Risorse umane ed economiche, domanda, materie prime, legislazione… Inside Variabili interne: struttura, meccanismi operativi, processi sociali… Output

Beni e servizi (nel nostro caso servizi sanitari)

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Capitolo 5: Diagnosi organizzativa

il modello di analisi sistemica può diventare un utile strumento di “diagnosi” di un contesto organizzato, in modo da rintracciare le “carenze” e le incongruenze di un’organizzazione e orientare gli interventi di riprogettazione. La diagnosi organizzativa è il secondo step del processo di cambiamento organizzativo, e sfrutta proprio la conoscenza derivante dall’analisi precedentemente svolta per valutare, come afferma Tanese¹¹, i punti di forza e debolezza dell’organizzazione, la relazione che intercorre fra struttura attuale e strategia aziendale, i fabbisogni da soddisfare per il futuro.

Per svolgere un intervento appropriato di diagnosi organizzativa, bisogna tuttavia tenere conto di alcuni aspetti¹¹

 Natura specifica delle aziende sanitarie come organizzazioni, che erogano un

servizio di natura pubblica e appartengono al SSN, e sono pertanto vincolate al rispetto dei principi classici del servizio pubblico e delle relazioni con gli altri organi del sistema; non hanno un prezzo dei servizi sanitari come regolatore del mercato, vedono i propri servizi erogati in regime di autonomia professionale e alta professionalità degli operatori (con conseguente creazione di un’elevata discrezionalità decisionale). Nell’opera di Tanese in tal proposito sono citati anche degli aspetti pertinenti alle scelte strategico- organizzative quali: interdipendenza dei processi produttivi, diversità dell’offerta, visibilità sociale, centralità e complessità della variabile tecnologica nei processi di innovazione.

 Elementi istituzionali, ambientali e strutturali specifici di ogni azienda (tipologia di azienda, territorio, strategie aziendali, storia organizzativa dell’azienda, normative di riferimento);

 Distinzione dei diversi livelli di intervento sull’assetto organizzativo: l’analisi e la diagnosi organizzativa non dovrebbero fermarsi al livello macrostrutturale dell’azienda, ma approfondire le criticità relative alle singole microstrutture, ai sistemi operativi, al clima e alla cultura organizzativa¹²

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Vi sono, poi, ulteriori fattori che rendono più difficile il lavoro organizzativo nei sistemi sanitari:

 Il conflitto differenziazione - integrazione: in sanità si confrontano due tendenze tra loro opposte: quella alla specializzazione estrema, che porta alla sempre maggior differenziazione delle unità operative, e quella all’integrazione, che porta alla creazione dei dipartimenti, con l’integrazione della multidisciplinarietà.

 Il lavoro senza interruzioni nella giornata: implica molte variabili organizzative (necessità di numeri elevati di personale per consentire la turnazione, disponibilità del personale alla turnazione, difficoltà nel reperirlo, difficoltà nel coprire le assenze ecc.)

 La possibilità che si verifichino imprevisti: urgenze, assenze impreviste del personale ecc.

5.1: l’analisi SWOT. Dal momento che l’obiettivo della diagnosi organizzativa è

mettere in luce i vari punti di forza e -soprattutto- di debolezza di un’organizzazione al fine di procedere al meglio con eventuali interventi di riprogettazione e miglioramento della stessa, si rende necessario individuare uno strumento opportuno, in grado di fornire un quadro preciso e, allo stesso tempo, di immediata interpretazione, della situazione. Questo strumento è l’analisi SWOT, il cui nome è l’acronimo dei termini inglesi Strenghts (punti di forza), Weaknesses (punti di debolezza), Opportunities (opportunità), Threats (minacce), caratteristiche dell’organizzazione che, appunto, devono essere valutate attraverso la diagnosi organizzativa. Come è chiaro, la validità della valutazione SWOT è direttamente proporzionale all’accuratezza dell’analisi svolta preliminarmente. L’analisi SWOT è uno strumento che si è esteso al mondo della sanità solo in un secondo momento, dopo essere stato ideato fra gli anni ’60 e ’70 presso l’Università di Stanford da Albert Humphrey ( c) come applicazione destinata all’ambito dell’economia aziendale: il passaggio al contesto sanitario si avrà con l’aziendalizzazione del Sistema Sanitario pubblico, occasione in cui le strutture sanitarie si trovano a scegliere la propria linea di indirizzo

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e ad affrontare problemi di natura prettamente strategica¹³, e dunque ad introdurre strumenti e metodi propri del management e provenienti dal settore privato. È, appunto, in questo momento che l’analisi SWOT guadagna la sua popolarità nel settore sanitario configurandosi come un confronto tra fattori esterni all’organizzazione e caratteristiche e capacità proprie di essa: i fattori esterni sono le opportunità e le minacce (opportunities e threats); mentre le caratteristiche interne all’organizzazione sono i punti di forza e quelli di debolezza (strenghts e weaknesses). A tal proposito, la letteratura riporta alcune procedure per l’applicazione dell’analisi SWOT. Questa analisi può essere effettuata “a tavolino”, con le caratteristiche individuate dal ricercatore sulla base dei dati raccolti da “saperi esperti”, in modo neutrale ed oggettivo; oppure in modo partecipato, mediante l’uso di tecniche partecipate come brainstorming, con il confronto tra esperti e stakeholders.

In linea generale¹⁴, la forma base della SWOT si compone di quattro steps: 1. Individuare i fattori esterni

2. Individuare i fattori interni

3. Confrontare punti di forza e debolezza con minacce e opportunità 4. Utilizzare i risultati per formulare le strategie da applicare

Tuttavia, dall’analisi della letteratura si possono individuare due modalità di approccio diverse all’analisi SWOT:

 La SWOT “regolata”: è qualcosa di più di un semplice elenco di fattori interni

ed esterni, ma può metterli in confronto attribuendo un punteggio così da capire quale di essi può essere alla base della nuova strategia¹⁵.

 La SWOT “organica”: ha regole più aperte per scongiurare un uso troppo burocratico e lontano rispetto all’interesse delle parti coinvolte, prestando attenzione all’importanza di visione ed intuizione nella formulazione delle strategie¹⁶, ¹⁷; addirittura Grant¹⁸ non fa una netta distinzione tra punti di forza, di debolezza, minacce e opportunità poiché non ritiene che sia possibile incasellare tali caratteristiche a priori, dipendendo esse dal punto di vista: se considerata in quest’ottica, assume i tratti di un processo sociale che coinvolge

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tutte le parti interessate, e il processo -nonostante l’assenza di norme restrittive- risulta tuttavia chiaro.

L’analisi SWOT può essere utilizzata in tutte le fasi del processo di cambiamento: in fase ex-ante migliora l’integrazione del programma nel suo contesto; in fase intermedia consente di verificare le linee strategiche adottate; in fase ex post serve a contestualizzare i risultati dei piani e programmi. Tra i suoi vantaggi, in conclusione, possiamo evidenziare la possibilità di analizzare in maniera approfondita il contesto per adattarvi le strategie più idonee, che, se definite in maniera partecipata, godono del consenso di tutte le parti coinvolte; inoltre l’apporto di nuove idee può generare strategie di successo; per finire può essere utilizzata da parte del management prima, nel corso e dopo l’adozione delle strategie per ricavare dati utili, e può essere applicata in più campi. Non è, tuttavia, immune da svantaggi quali la visione a volte troppo soggettiva della realtà che porta a individuare e promuovere linee di azione non corrette, il rischio di eccessiva semplificazione della realtà, la mancanza di condivisione delle strategie laddove sia effettuata in maniera non partecipata.

Strenghts

Punti di forza

Weaknesses

Punti di

debolezza

Fattori interni

Opportunities

Opportunità

Threats

Minacce

Fattori esterni

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Conclusioni

Applicare l’analisi sistemica in sanità è certamente un compito che, a chi vi si dedica, un’ampia esperienza nell’ambito dell’organizzazione delle Unità Operative, ma che può rivelarsi di grande aiuto al middle e top management per classificare i problemi in categorie, rendendoli più comprensibili e facilmente risolvibili, eliminando quelle false percezioni che possono dar luogo a ingigantimenti dei problemi.

I problemi organizzativi sono nodi che possono essere sciolti solo tenendo presenti le relazioni richiede che intercorrono fra i fattori correlati alla questione, poiché anche questi ne sono – più o meno direttamente- interessati: risolvere il problema significa quindi analizzarlo a tutto tondo nei suoi fattori critici.

L’analisi SWOT è, per questo motivo, di grande aiuto poiché permette di evidenziare i suddetti fattori, tenendo tuttavia conto dei suoi limiti legati alla soggettività e ad una troppo rigida schematizzazione della realtà.

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Parte seconda: Organizzazione innovativa

1: Introduzione; 2: I modelli organizzativi attuali dell’assistenza

infermieristica; 3: la gestione per processi; 4: Il Lean Healthcare; 5: Uno

strumento del Lean come modello organizzativo: il Cell Design; 6:

Conclusioni

Capitolo 1: Introduzione

Con la riforma sanitaria basata sulla L.833/78, che istituì il Sistema Sanitario Nazionale, si cercò di rimediare alle profonde falle aperte nell’economia dal sistema delle mutue; tuttavia anche la nuova legge si rivelò fallimentare: si passò così alla prima riforma della sanità: la legge 502/92.(d)

I punti focali della riforma sono l’aziendalizzazione, l’orientamento al “mercato” della sanità e la responsabilizzazione delle regioni. In particolare con l’aziendalizzazione le USL si trasformano in ASL (Aziende Sanitarie Locali) ed acquisiscono personalità giuridica ed organi di rappresentanza quali il direttore generale (incaricato del buon andamento economico-amministrativo e tecnico-funzionale) e il collegio dei revisori (che si occupa degli aspetti contabili dell’amministrazione); il mercato libero prevede che le aziende vengano pagate per paziente (d); la responsabilizzazione delle regioni fa sì che queste ultime si facciano carico -almeno in parte- dei costi sostenuti dalle ASL per il finanziamento e la copertura dei disavanzi. Fra i molti cambiamenti di questa riforma vi è l’istituzione dei dipartimenti, ossia delle federazioni di reparti affini o

complementari secondo un settore specialistico o specifico bisogno del paziente (d) che mirano a migliorare l’organizzazione delle risorse per implementare la qualità dei servizi ed abbassare i costi.

D’altra parte, negli anni si è potuto assistere anche ad una vera e propria “evoluzione” del paziente, sempre più informato ed esigente, ma anche -spesso- pluripatologico, oggetto -o soggetto- dell’interesse di un’ampia gamma di figure professionali sia

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18 appartenenti al mondo prettamente sanitario che non: intorno a lui si sviluppa un sistema tanto complesso che la ricerca del fattore economico non può essere più legata alla singola attività: si deve iniziare a costruire un percorso assistenziale attraverso un processo di costo (job order costing)²², che cercando di individuare le patologie e scandendo i vari livelli di assistenza erogati per assistito esegue un vero livello di

programmazione sui reali bisogni degli assistiti: si passa, in pratica, dal modello per

intensità di cure a quello per processi assistenziali

In quest’ottica di ri-organizzazione della Sanità e organizzazione e del lavoro, ciascuna realtà ospedaliera ha cercato il modello organizzativo più adatto alle proprie esigenze, a livello sia di macrostruttura che -talvolta- di dipartimento: i professionisti, ed in particolare nel nostro caso il personale infermieristico, hanno trovato e messo in atto diversi modelli organizzativi.

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Capitolo 2: I modelli organizzativi attuali dell’assistenza

infermieristica

Lo scenario infermieristico nazionale ed internazionale vede intervenire – al momento - una grande varietà di modelli organizzativi relativi all’assistenza infermieristica. I sistemi organizzativi assistenziali sono tradizionalmente centrati sul paziente; tuttavia nell’ultimo decennio se ne sono sviluppati altri che pongono la loro attenzione sul professionista e sui suoi rapporti con l’organizzazione e che si differenziano da quelli tradizionali per il grado di autonomia e tipologia di attività di ciascun infermiere in base all’esperienza maturata, il livello di autogestione degli infermieri o l’autonomia gestionale del coordinatore, il grado di coinvolgimento dell’equipe²³.

2.1: i modelli centrati sul paziente (care delivery models).

 Team/ Functional Nursing: si sviluppano entrambi in momenti di grande carenza di personale. Il Team Nursing nasce negli anni ’70 e prevede il lavoro di un’equipe composta da infermieri e altri operatori di supporto sotto la guida di un infermiere esperto che elabora i piani di assistenza, coordina il gruppo, risolve i problemi in collaborazione con altre figure e valuta con l’equipe l’efficacia dell’assistenza. Principalmente, il grande limite di questo modello è il poco tempo che il capo equipe trascorre con il paziente, lasciando spesso gran parte dell’assistenza agli operatori di supporto; tuttavia ci sono molti vantaggi quali la collaborazione tra i componenti del gruppo e l’elevata autonomia del capo-equipe.

Il Functional Nursing nasce con la seconda guerra mondiale in un momento di carenza di infermieri, e si centra sul compito: gli infermieri si dividono i compiti in base alle qualifiche e alle abilità di ciascuno, diventando molti competenti in quello che fanno secondo un principio tayloristico, tuttavia mancano la continuità assistenziale e la visione globale del paziente e si rischia una meccanicizzazione dell’assistenza. Sono state condotte ricerche³¹ da cui è emerso che è ormai necessario applicare modelli organizzativi nell’ottica di un’assistenza infermieristica non più funzionale, ma modulare (che prevede, cioè, una combinazione di aspetti tipici dell’assistenza di gruppo e del primary

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20 nursing, quando quest’ultimo non è attuabile per scarsità di risorse: moduli di 10-12 pazienti dislocati in camere di degenza vicine, ciascuno assegnato ad un piccolo gruppo di operatori a capo del quale c’è un infermiere che non si limita a dirigere, ma interviene direttamente con l’aiuto dell’equipe).

 Primary nursing: si sviluppa negli anni ‘70 come alternativa ai suddetti modelli ed è orientato alla continuità dell’assistenza. L’infermiere, al momento dell’ammissione del paziente, si assume la responsabilità di alcuni pazienti di cui identifica i problemi, elabora il piano di assistenza definendo obiettivi ed indicatori di risultato e prescrive gli interventi infermieristici a cui possono attenersi i colleghi quando lui – Primary nurse- è assente. Se l’applicazione di questo modello, da un lato, riduce i ritardi terapeutici, migliora la collaborazione con altri professionisti, esalta l’autonomia professionale ed il rapporto con l’assistito, dall’altro lato non è esente da punti di debolezza quale ad esempio un rapporto costo-efficacia/efficienza non sempre vantaggioso. Negli studi condotti circa l’efficacia di questo modello³⁰, infermieri e coordinatori riferiscono un parere positivo

 Patient focused nursing: trova popolarità negli anni ’90, in piena fase di reingegnerizzazione degli ospedali, e descrive una modalità di cura centrata

non solo sulla malattia, ma soprattutto sull’esperienza del paziente, riconoscendo quest’ultima come il terreno di comune incontro tra pazienti e curanti.³² In quest’ottica, un gruppo di operatori di diverse professionalità si occupa di un gruppo di pazienti omogenei in un contesto di servizi strutturati per rispondere efficacemente alle richieste della collettività, cure decentrate, continuità assistenziale ed autonomia professionale. I principi ispiratori del Patient Focused Nursing sono la semplificazione dei processi, l’omogeneità dei pazienti, l’avvicinamento dei servizi ai pazienti e l’allargamento delle competenze del personale attraverso la formazione: ne consegue che non solo migliora la qualità dell’assistenza, ma l’ambiente di lavoro è attraente per gli operatori e i costi sono ridotti. È un modello che riconosce la palese importanza dei servizi di supporto all’assistenza quali il servizio farmacia, la lavanderia, il trasporto: conseguentemente, se questi servizi sono inadeguati, anche

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21 l’assistenza lo è. Alcuni studi²⁴ hanno osservato, oltre ad una generale soddisfazione diffusa sia nel personale sanitario che nei pazienti, una significativa riduzione del tempo di accettazione per il ricovero, che passa da un tempo medio di 448 minuti a uno di 23, la possibilità di ridurre del 9% il personale, la minor durata della degenza e l’aumento del tempo che l’infermiere può dedicare all’assistenza diretta; tuttavia emerge anche²⁵ che nonostante la riduzione degli errori in terapia non vi siano sostanziali differenze con il passato per quanto concerne le cadute e lo sviluppo di lesioni da decubito.

2.2: i modelli centrati sul professionista (nursing practice models): la filosofia

comune di questi modelli è coinvolgere e condividere le scelte con gli infermieri ²³, dal momento che risulta che negli ospedali dove vengono applicati tali modelli vi sono meno carenza di infermieri e minor tasso di turn-over²⁶.

 Nursing Case Management: controlla i costi dell’assistenza migliorando la qualità attraverso la collaborazione interdisciplinare: è rivolto ad una specifica popolazione di pazienti a cui garantisce la fluidità e continuità durante l’intero percorso di cura²³.

 Assistenza infermieristica differenziata in base alle competenze: si basa sulla divisione del lavoro ed è volta in primo luogo a soddisfare i bisogni assistenziali del paziente, ha come ulteriori obiettivi uso efficace delle limitate risorse, equo compenso, senso di appartenenza all’azienda, progressione di carriera e prestigio della professione. Gli studi pubblicati in merito evidenziano soddisfazione dei pazienti e degli infermieri e riduzione dei costi e delle giornate di degenza²⁷.

 Shared Governance: filosofia resa popolare da O’Grady²⁸, serve a creare strutture organizzative tali da ridurre il turnover e l’insoddisfazione del personale infermieristico attraverso un approccio partecipato e decentrato: gli infermieri partecipano alle decisioni circa il lavoro, l’ambiente organizzativo e lo sviluppo professionale, al contrario di quanto accade nella tradizionale

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22 gestione gerarchica e burocratica facente capo ad un solo individuo. Nonostante la maggiore soddisfazione degli infermieri, non è ancora stato dimostrato l’impatto di questo modello sugli esiti clinici.

 Advanced Practice Nursing: si basa su infermieri esperti con competenze cliniche specifiche, le cui competenze “core” sono l’esperienza clinica, la

collaborazione, la consulenza, l’educazione, la ricerca e l’attività di gestione²³

e che operano su pazienti critici o cronici, con aumento della qualità delle cure, prevenzione delle complicanze, miglioramento della collaborazione con i medici e riduzione di costi, durata della degenza e ricorso a test diagnostici non necessari²⁹.

Nonostante non sia ancora possibile desumere quale modello sia il migliore, è evidente -da quanto presente in letteratura- il legame direttamente proporzionale tra la qualità dell’assistenza ed il grado di soddisfazione di pazienti e personale sanitario, l’incremento di autonomia e soddisfazione degli infermieri e dei pazienti nei luoghi dove vengono applicati modelli orientati al paziente, il notevole riflesso che i modelli innovativi incentrati sul professionista hanno su costi, soddisfazione del paziente e coordinamento dell’assistenza; non è tanto importante -quindi- dedicarsi alla ricerca di un modello assistenziale ideale a priori, ma alla ricerca e all’applicazione delle diverse soluzioni da applicare ad un certo contesto, ad una determinata tipologia di assistiti e ad un particolare gruppo di professionisti. Nel nostro paese l’assistenza è erogata prevalentemente secondo i modelli classici, che dovrebbero essere invece essere arricchiti da modelli diversi che restituiscano agli infermieri l’autorità di partecipare attivamente alle scelte organizzative, distaccandosi dalla tipica struttura verticale del processo decisionale.

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Capitolo 3: L’attuale realtà della gestione per processi

3.1: la Clinical Governance, alla base della gestione per processi: il concetto di

“Clinical Governance” nasce nel Regno Unito al termine degli anni ’90. L'idea alla base consiste nell'avvio di un programma sanitario che, attraverso una serie di azioni conseguenti -un processo, appunto-, riesca ad assicurare omogeneamente ai pazienti un’assistenza di qualità quanto più possibile elevata, in contrasto con l’osservata variabilità di comportamenti nei confronti di specifici problemi di salute adottata da parte di diverse strutture sanitarie e dei singoli professionisti³³. Una delle cause principali di questa gestione eterogenea è legata al processo di aziendalizzazione: nonostante il tentativo di portare in primo piano i bisogni di salute, le tensioni sui temi economico-finanziari, contemporanee alle riforme, hanno fatto sì che gli strumenti di gestione fossero orientati al governo della spesa sanitaria, tralasciando la dimensione professionale e la misurazione e valutazione dei risultati non monetari delle aziende stesse. La Clinical Governance assume quindi i tratti di uno strumento di correzione

del sistema sottolineando gli aspetti professionali e non monetari delle organizzazioni sanitarie; tuttavia senza allontanarsi dal modello aziendale, ma integrandolo con strumenti più vicini alla mission dell’azienda stessa: unisce sulla base comune dell’organizzazione due aspetti -quello economico finanziario e quello qualitativo professionale- inizialmente ritenuti inconciliabili. Come descritto da Casati³³ “la

Clinical Governance parte dall'assunto che i risultati di un'organizzazione sanitaria non possono essere misurati solo sotto il profilo economico-finanziario, per quanto tale dimensione possa essere considerata rilevante, ma anche sulla base della capacità dell'organizzazione stessa di rispondere, quantitativamente e qualitativamente, ai bisogni e alla domanda di prestazioni sanitarie. Allo scopo di rispondere alle attese, […], l'azienda deve sviluppare i propri processi produttivi, ossia deve essere gestita, secondo principi di appropriatezza ed efficienza e deve essere organizzata in base ad approcci coerenti a tale scopo.” Formulando gli

standard qualitativi necessari alla valutazione, pertanto, si gettano le basi per il governo clinico. Caratteristica fondamentale delle aziende sanitarie è l’elevatissimo contenuto professionale, perciò lo sviluppo professionale continuo tipico della Clinical

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Governance assume un grande importanza e, di conseguenza, è evidente l’elemento centrale della gestione aziendale: i processi produttivi specifici. ³³

3.2: la gestione per processi: ad oggi, la gestione per processi si configura come

l’unico strumento in grado di orientare un sistema a più dimensioni verso il perseguimento dei risultati attesi. Se da un lato ridisegna le modalità di trattamento di uno specifico problema, dall’altro pone nuove problematiche circa l’assetto organizzativo, le responsabilità, gli aspetti tecnologici e logistici: ciò conduce alla creazione di entità organizzative polispecialistiche che gestiscono i processi produttivi nel complesso (es: quelle per livelli di assistenza) ³³. Questa tipologia gestionale

incentra l’analisi, la valutazione e la programmazione dell’organizzazione aziendale su insiemi di attività interrelate le quali conducono a determinati risultati¹⁹ attraverso una catena che dal fornitore arriva all’utente finale, dove da ogni attività scaturisce un output di prodotti e informazioni che rappresentano l’input di una attività successiva (Day to Day Management o Daily Routine Work). Si rende necessario, perciò, individuare clienti e fornitori appartenenti a ciascuna attività; il responsabile di ciascuna fase dovrebbe poi chiarire cosa è richiesto al fornitore (attore dell’input) e tenere presenti i bisogni del cliente successivo e di quello finale.²⁰ Come già affermato, la gestione per processi si configura in un contesto polispecialistico nel quale la multidisciplinarietà è una caratteristica tipica del percorso di diagnosi e trattamento di una patologia²¹, e si può ben immaginare che all’aumentare delle varietà e della specializzazione dei contributi aumentano le interfacce fra organizzazioni e -di conseguenza- il rischio di mancata continuità ed integrazione: si riconosce in questo momento, dunque, l’utilità della gestione per processi, che diventa così uno strumento fondamentale di coordinamento e orientamento poiché può essere utile ad implementare la congruità fra attività svolte e mission aziendale¹⁹.

3.1.1: le tipologie di processo e la metodologia di gestione. La gestione per processi permette di mettere in evidenza i processi su cui intervenire e operare per migliorarli senza modificare l’organigramma aziendale, identificando 5 tipologie di processi (e):

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25 2. Processi di supporto: garantiscono l’operatività, l’efficienza e l’efficacia dei

processi primari;

3. Processi di business: influiscono sul risultato operativo e strategico dell’azienda;

4. Processi critici: svolti con qualità insoddisfacente;

5. Processi prioritari: critici, con alto impatto sul risultato del business.

La gestione per processi vede, quindi, i processi stessi come una catena di fornitori e clienti, si allinea continuamente ai bisogni di questi ultimi, mantiene sotto controllo le prestazioni del processo, interviene secondo priorità scegliendo i processi, studia e attua i cambiamenti gestendoli nel tempo per mantenere gli standard. Scegliere i processi primari è profondamente legato agli obiettivi strategici che l’organizzazione si è prefissata e alle prestazioni attuali dei processi, ed è possibile attraverso riunioni fra il management e i responsabili delle principali funzioni aziendali volte ad individuare il nesso fra gli obiettivi strategici di medio periodo e i processi interni necessari a raggiungerli (e).

3.1.2 L’analisi di processo. Dopo la scelta dei processi primari e la loro mappatura

(cioè una descrizione sequenziale e dettagliata delle fasi del processo e dei suoi aspetti intrinseci) è possibile procedere con l’analisi di processo. Quest’ultima è uno strumento che, attraverso una sequenza logica, permette di conoscere il processo, identificarne e analizzarne tutti gli elementi con attenzione a criticità e punti di forza, definire le priorità di intervento in base al risultato atteso. Consente inoltre di scongiurare non conformità e quindi accerta che ogni dettaglio concorra al successo(f). Nell’analisi si insiste in modo particolare sulla catena interna Fornitore-Cliente (applicando ai “clienti interni” la logica della customer satisfaction rivolta al destinatario esterno di un prodotto o servizio e, perciò, identificando ciascuna attività come un processo a sé stante); sull’identificazione delle finalità attraverso la flow chart del processo; sull’identificazione degli indicatori di qualità, degli obiettivi e dei limiti di controllo, tutti fattori volti a misurare la qualità dell’output (e). Nel nostro caso, l'analisi dei processi produttivi sanitari serve a chiarire i criteri di tipo clinico e socio-assistenziale per cui un paziente ha seguito un determinato processo per venire

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incontro ai propri bisogni e palesare i risultati raggiunti combinando le diverse attività, ma anche ad evidenziare i risultati che non sono stati perseguiti e gli aspetti critici che si sono scostati dal processo previsto, e in quale momento del processo sono subentrati³³.

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Capitolo 4: Il Lean Healthcare

L’attuale situazione economica richiede di ripensare la gestione delle organizzazioni in un’ottica di riduzione degli sprechi e aumento di competitività e produttività. Questa condizione non è estranea neppure alle aziende sanitarie, colpite da una vera e propria epidemia di cattiva organizzazione fatta di liste di attesa interminabili, disorganizzazione nella gestione dei pazienti, eccessivo numero di prestazioni inutili erogate³⁴. È proprio su questi sprechi – di risorse materiali, ma anche di tempo- che la lean organization pone il proprio fulcro al fine di intervenire sui processi, osservarli, analizzarli e modificarli per tendere al meglio³⁵.

4.1: origini e principi della filosofia lean: tutto nasce con il Toyota Production

System, che scardina i capisaldi dell’organizzazione industriale del secolo scorso e porta Toyota, negli anni, da entità marginale nel panorama dei produttori di auto a società leader nel mercato mondiale partendo da una filosofia che impone di fare di

più con meno di tutto: meno spazio, meno persone, meno macchinari, meno magazzini e di conseguenza meno capitali….ovvero in modo snello (g): in antitesi con i concetti

produttivi di massa derivanti dal modello Fordista (ciclo continuo) la linea di produzione Toyota si fermava ogni qual volta vi era un difetto, analizzandolo e risolvendolo, ed infine evitandone, di conseguenza, il ripetersi: questo diminuiva ulteriori fermi macchina e quindi faceva sì che la linea restasse ferma per il minor tempo possibile, evitando sprechi di tempo e risorse. La ragione di questa accanita lotta agli sprechi è da ricercare nel fatto che nella cultura giapponese in cui nasce e si sviluppa il Toyota Production System, il concetto di spreco assume dal punto di vista etico un significato sovrapponibile a quello del peccato nel mondo occidentale³⁶. Inoltre, questa filosofia riconosce l’importanza del fattore umano rendendo l’operaio elemento cardine del miglioramento continuo, influendo di conseguenza sulla motivazione e sulla produttività dello stesso (g). L’estensione di questo pensiero a realtà extra industriali si ha con l’ideazione, negli anni ’90, del termine lean production (produzione snella) da parte dei ricercatori Womack e Jones, che illustrano la realtà Toyota nel libro “The machine that changed the world”: migliaia di organizzazioni, da quel momento, adotteranno il modello lean applicandolo a tutti i processi operativi. In

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pratica, “la produzione snella (lean production) è un insieme di principi, metodi e

tecniche per la gestione dei processi operativi, che mira ad aumentare il valore percepito dal cliente finale e a ridurre sistematicamente gli sprechi. Questo è possibile solo con il coinvolgimento di persone motivate al miglioramento continuo.”³⁶

Il fatto che si parli, in generale, di Lean Thinking evidenzia come il lean sia prima di tutto una forma mentis, e poi un metodo.

I 5 principi di base del Lean Thinking sono:

1. Valore (Value): si parte dalla definizione del valore secondo la prospettiva del cliente. Valore è solo quello che il cliente è disposto a pagare; tutto il

resto è spreco, e va eliminato³⁶.

2. Mappatura (Mapping): riguarda il flusso del valore e serve a eliminare gli sprechi: si delineano tutte le attività del processo distinguendo tra quelle a valore aggiunto e quelle non a valore aggiunto.

3. Flusso (Flow): Il processo di creazione del valore è visto come un flusso, che deve scorrere in modo continuo, con relativa riduzione dei tempi di attraversamento (lead time) del materiale.

4. Produzione “tirata” (Pull) dal cliente: produrre solo quello che vuole, solo

quando lo vuole e solo quanto ne vuole.

5. Perfezione (Perfection): l’obiettivo a cui tendere attraverso il

miglioramento continuo, corrisponde alla totale eliminazione degli sprechi, cioè tutto ciò che consuma risorse, in termini di costo e tempo, senza però

creare valore per il cliente³⁶.

4.2: applicare il Lean Thinking in sanità: Lean Healthcare. Vi sono numerosi

fattori (l’allungamento della vita media dei pazienti ed i crescenti costi che riguardano il personale sanitario, l’acquisto di farmaci innovativi, macchine e attrezzature, le ristrutturazioni delle strutture ospedaliere, i costi assicurativi) che determinano una grande pressione sulle Aziende Sanitarie affinché queste riducano i costi e, allo stesso tempo, migliorino le prestazioni offerte ai cittadini ricorrendo a specializzazioni sempre più spinte e focalizzate sul paziente(h). La spesa ospedaliera in Italia è, come ci ricorda Rosa³⁵, una delle voci di bilancio più consistenti della spesa sanitaria totale

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(41,1% della spesa sanitaria pubblica totale secondo il rapporto Ceis). Si rende necessario, perciò, individure un metodo che possa implementare i servizi mantenendone inalterata la qualità senza richiedere ulteriori risorse: lo stesso Rosa³⁴ ci suggerisce che questo metodo risolutivo sia la strategia Lean. Cambiare in questo senso significa, pertanto, porre il paziente al centro e coinvolgere ogni singolo operatore, al fine di ridurre i tempi di attesa, elevare la qualità delle prestazioni, ridurre i rischi di un cattivo governo clinico, aumentare la competitività, rendere misurabili e contenibili i rischi per i pazienti e per il personale, attraverso la lotta agli sprechi e alle inefficienze: lean healthcare management consiste proprio nel recupero dell’efficienza in sanità (h). Attraverso un approccio lean il lavoro fluisce più velocemente, riducendo al minimo gli sprechi e aumentando il valore per il paziente nello stesso tempo, e perciò è necessario distinguere tra le attività che apportano valore e quelle che non lo apportano o che lo apportano ma non sono necessarie a sviluppare altre attività³⁵; tuttavia questo è un cambiamento complesso che richiede una profonda flessibilità da parte dell’organizzazione per adattarsi alla continua evoluzione dei valori. Inoltre, il percorso di cura del paziente investe spesso più strutture organizzative e ciò fa sì che il lavoro dell’una dipenda da quello di un’altra: è chiaro che le attività dovranno basarsi sul lavoro di un gruppo multidisciplinare che abbia obiettivi chiari e ben definiti e riesca a portare a termine le attività di cura utilizzando gli strumenti più idonei a perseguire gli obiettivi di una gestione lean, che in tal caso impone di “allineare le

strutture organizzative lungo i flussi di cura del paziente, piuttosto che il contrario, ristrutturando gli ospedali per "linee di attività".” (h). Questa metodologia deve essere

introdotta in modo graduale per evitare le eventuali resistenze al cambiamento che conseguono al tentativo di trasformazione dell’assetto organizzativo, prima fra tutte la difficoltà di accettare la sfida del cambiamento³⁵: quando tutti gli operatori coinvolti sentiranno in sé la necessità e la spinta al cambiamento, sarà davvero possibile riprogettare la sanità in un’ottica di facilitazione del percorso di cura, di implementazione di sicurezza e qualità, di riduzione dei costi e di miglioramento della soddisfazione di pazienti e sanitari, con un metodo vincente volto a creare “un circolo virtuoso piuttosto che perpetuare quello vizioso”³⁶.

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Capitolo 5: Uno strumento del Lean come modello organizzativo: il

Cell Design.

Sono numerosi gli strumenti che il Lean Thinking mette a disposizione per migliorare i processi insieme -ovviamente- a politiche di sensibilizzazione e formazione del personale; tra di essi spicca il Cellular Design. Attualmente l’organizzazione dei reparti di produzione si basa sulla divisione per funzioni, e l’erogazione del servizio transita attraverso vari reparti spesso lontani fra loro (con conseguenti problemi di comunicazione e coordinamento), formando code all’entrata ciascuno di essi. ³⁹ Con il Cell Design si intende abbattere questo concetto di erogazione frammentata arrivando a costruire un processo fluido, povero di sprechi e ricco di valore aggiunto per l’utenza. Questa metodologia di erogazione di servizi (o prodotti) prevede, infatti, un flusso continuo tra le aree di processo che crea delle aree ad alto valore aggiunto.³⁷ In questo modo l’organizzazione del layout delle aree eroganti prestazioni è frutto del collegamento in sequenza continua delle operazioni a valore aggiunto volte a realizzare un prodotto/servizio, con l’ottimizzazione di tutte le risorse disponibili, la scissione del legame uomo-macchina e la minimizzazione degli sprechi³⁸: si impronta così il sistema ad un modello produttivo di tipo one piece flow, (cioè flusso a pezzo singolo, i cui pezzi da lavorare fluiscono singolarmente tra i vari punti di processo). Ciascuna delle cellule di erogazione, elemento di base e fondamentale del Cell Design, composta dall’insieme degli strumenti e delle risorse umane e materiali erogherà servizi simili, ovvero in ciascuna di esse si raggrupperanno processi simili per fasi e risorse utilizzate 37,38.

Per fare ciò si pianifica la miglior gestione degli spazi di lavoro, ottenendo un’organizzazione che massimizzi la resa ed inneschi una produzione a flusso basata sulla sincronizzazione del ritmo di erogazione con quello delle richieste dell’utente (takt time). ³⁸

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Galgano³⁸ ci ricorda i tre punti chiave del cell design:

 Individuare le famiglie di prodotti, raggruppando in un’unica cella quei prodotti/servizi aventi fasi e risorse utilizzate simili

 Analizzare la situazione attuale attraverso la mappatura del processo di erogazione esistente, da effettuarsi sul campo tramite il disegno della disposizione delle risorse e il loro collegamento secondo l’ordine delle fasi di erogazione del servizio.

 Individuare e rimuovere le attività non a valore aggiunto, secondo un ordine

decrescente di impatto sul processo di lavorazione.

5.1: progettazione del cell design.

La cellula, unità base del Cell Design, si configura come un'unità di lavoro ben definita e delimitata, di solito è costituita da 3 a 12 addetti, con un numero di stazioni di lavoro che varia da 5 a 15 e, idealmente, consente di produrre il più alto numero di prodotti simili, contenendo tutte le attrezzature, impianti e risorse umane necessarie(i) . Osservando la Figura 5 si può desumere che, organizzando l’area di lavoro in modo tale da avvicinare persone e processi, si eliminano molti tempi morti e molta

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frustrazione dei lavoratori; inoltre si favorisce la cooperazione, portando spesso alla riduzione del numero di lavoratori necessari.

Figura 5: confronto tra organizzazione per reparti (tradizionale, in alto) e cell design (in basso)

Perrella ³⁹ evidenzia i passi fondamentali per l’introduzione di un layout a celle:

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1. Identificare i prodotti/servizi a cui è dedicata la cella, con particolare attenzione a progettare il processo in termini di tempo uomo, attrezzature, setup, movimentazione, manutenzione ecc in modo da determinare numero di addetti nella cella e di postazioni lavoro e attrezzature, dimensioni dei lotti, takt time, scheduling, modalità di supervisione e comunicazione

2. Progettare il layout fisico della cella, con disposizione delle stazioni di lavoro in base allo spazio, ergonomicità e funzionalità, e applicando i principi 5S: concentrandosi, in particolare, sullo spazio di lavoro si può affermare che quest’ultimo, se ben utilizzato, consente di concentrarsi sul flusso del valore e sul servizio erogato; se ben progettata, l’organizzazione a celle ottimizza il flusso di lavoro attuando i vari processi in uno spazio minimo.

5.1.1: creare un layout a celle

Spesso si parla di “progettare l’area di lavoro” riferendosi all’implementazione delle celle di lavoro, tuttavia Perrella³⁹ tiene a precisare che è più corretto parlare di ristrutturazione dell’area fisica di lavoro. Inizialmente non è semplice far accettare il nuovo assetto organizzativo, ma, non appena ciascun lavoratore si renderà conto del guadagno in termini di benessere ed efficienza, i cambiamenti saranno accolti sotto nuova luce.

Ancora secondo Perrella³⁹ , i principi del cambiamento del layout sono: disporre i processi in sequenza e in modo che il lavoro scorra in senso antiorario, ed i computer e le apparecchiature (di dimensioni tali da poter essere disposte sulle scrivanie dei lavoratori) in modo che seguano la sequenza del processo; posizionare l’ultimo processo il più vicino possibile al primo ed attivare un flusso FIFO ( First In First Out,

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principio per il quale i materiali arrivati per primi devono essere utilizzati per primi per evitarne l’obsolescenza).

I layout a celle possono avere forma di “U”, “C”, oppure “L”: ‘importante è tenere presente che la configurazione scelta impatterà sulla mappa del flusso del lavoro. In generale si preferisce la forma ad U. Nella progettazione del layout ad U, si devono tenere in considerazione i seguenti fattori: (i)

 Le celle ad "U" sono predisposte per operatori in piedi, e presentano sul pavimento dei tappetini imbottiti per ridurre la fatica dell'operatore  Le postazioni di lavoro devono essere realizzate con criteri ergonomici e

consentire movimenti brevi, coordinati e facili.

 Le postazioni di lavoro devono avere dei supporti per almeno due contenitori

standard per ogni parte utilizzata.

 Ciascuna scatola deve contenere materiale per almeno 30 minuti.

 Devono essere altresì previsti supporti per contenitori vuoti.

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35 5.2: ambiti di applicazione del Cell Design in Sanità.

Burroni³⁷, nel trasporre il Cell Design all’ambito sanitario, lo abbina ad un contesto ambulatoriale dove si erogano servizi simili oppure a laboratori dove si processano gli stessi tipi di campioni biologici che richiedono le stesse procedure, gli stessi macchinari e le stesse risorse; tuttavia non esclude che possa essere preso come punto di riferimento anche nei reparti di degenza in cui si vogliano riorganizzare le stanze ponendovi all’interno i presupposti per erogare servizi assistenziali ai pazienti. Il modello assistenziale idoneo ad essere applicato in un contesto sanitario basato sul layout a celle è il modello per piccole equipe multiprofessionali, che garantisce al paziente risposte specifiche e una forte personalizzazione dell’assistenza.

5.3: i vantaggi del Cell Design

Introdurre il Cell Design porta con sé numerosi vantaggi³⁷,³⁸, (j):

 Riduzione del lead time e del work in process: organizzare gli spazi di lavoro

per celle di erogazione porta ad avvicinare le postazioni di lavoro, a razionalizzare la disposizione degli strumenti e dei materiali seguendo il flusso del prodotto/servizio, e ad abbassare significativamente il lead time.

 Utilizzo di minor spazio: naturalmente si riducono anche i percorsi compiuti

da personale e prodotti: fattore, quest’ultimo, strettamente connesso alla riduzione del lead time.

 Semplificazione del processo di erogazione: in ogni cella sono raggruppate solo sequenze di lavoro tra loro affini, minimizzando complessità, onerose movimentazioni e work in process.

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 Maggior flessibilità e affidabilità dei piani di produzione: il tempo di lavoro e il numero degli operatori, il numero e il mix di prodotti/servizi realizzabili in una determinata cella, il numero di celle che realizzano un certo prodotto o famiglie di prodotti e la loro capacità produttiva sono modulati in base alle richieste del cliente. La flessibilità e la rapidità nella risposta al cliente costituiscono il beneficio principale, come sottolineato nell’opera di Perrella ³⁹  Migliore qualità e maggiore produttività: l’omogeneità dei processi e delle

attrezzature consente di operare senza soluzione di continuità fra operazioni simili, incrementando la produttività e riducendo gli scarti. La produzione one

piece flow, inoltre, evidenzia tempestivamente problemi di qualità al fine di

intervenire per eliminare le cause dei difetti.

 aumento del numero di prestazioni erogate nell’unità di tempo;

 semplificazione della programmazione e riduzione scorte;

 aumento del coordinamento e comunicazione.

 miglior uso della contabilità per attività (ABC);

In particolare, soffermandoci sulle celle configurate ad U, possiamo vedere tra i vantaggi(i)

 Linea continua con flusso a pezzo unico

Basso lead time

 Bassa giacenze di semilavorati

Elevata flessibilità. Facilità di regolazione al variare del takt time

 Minore necessità di spazio

 Ambiente più salubre (Gli operatori si muovono costantemente nella cella)

 Elevato controllo e gestione della produzione.

In conclusione, riprendendo Burroni³⁷ si può affermare che la produzione a cella (cell design) sia la soluzione ideale per andare incontro al drastico abbattimento degli sprechi riconducibili al work in process, minimizzando i movimenti inutili grazie alla ridistribuzione intelligente delle attrezzature con conseguente miglioramento

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dell’ergonomia e riduzione del lead time. Il Cell Design è, perciò, il modo più elegante

per implementare una sana produzione a flusso ed avanzare rapidamente verso efficaci traguardi Lean.³

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Conclusioni

Negli anni, la Sanità pubblica si è trovata a fronteggiare le difficoltà relative allo scarto che si è prodotto tra la scarsa disponibilità economica e i bisogni di un paziente sempre più complesso ed esigente, circondato da figure attinenti a più discipline che, necessariamente, devono integrarsi fra di loro da un punto di vista professionale. I professionisti della salute, ed in modo particolare gli infermieri, hanno perciò adottato varie strategie organizzative per meglio adattarsi alle diverse realtà che si sono proposte loro e cercare di fornire assistenza nel modo più congeniale al contesto di riferimento. Ancora oggi l’obiettivo principale è fornire ai cittadini una Sanità d’eccellenza che risponda a tutte le esigenze, pur attingendo a risorse sempre più limitate: a fianco delle varie strategie che possono essere adottate a livello della singola realtà lavorativa è certamente necessario un cambiamento radicale della filosofia di fondo, che cancelli una mentalità secondo cui “più è meglio”, ristrutturando i processi di prevenzione, diagnosi, terapia ed assistenza e limitando i costi di prestazioni inutili in favore di più investimenti per ciò che davvero ha valore per il paziente: rapido accesso a cure di qualità. Un Sistema Sanitario Nazionale come il nostro, già avanti nel campo della tecnica, può fare ancora grandi passi avanti attraverso una riorganizzazione mirata dei propri processi di assistenza e di produzione di salute per i cittadini.

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Parte terza: La realtà del Dipartimento Cardiotoracovascolare

dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana: ci può essere un

cambiamento?

1: Introduzione; 2: L’attuale configurazione strutturale del Dipartimento

Cardiotoracovascolare; 3: Le Unità Operative del Dipartimento: setting

organizzativo clinico e assistenziale; 4: Le procedure operative: capire

l’attualità per uniformare ed implementare 5: La riorganizzazione

dell’area medica; 6: La riorganizzazione dell’area chirurgica; 7: Aspetti

specifici delle varie figure infermieristiche: ruoli e formazione; 8:

Conclusioni

Capitolo 1: Introduzione

Il modello organizzativo dipartimentale è da molti anni quello di riferimento nel panorama italiano, poiché offre l’architettura organizzativa più idonea a rispondere alle esigenze della sanità: rappresenta il modello ordinario di gestione operativa delle

attività a cui fare riferimento in ogni ambito del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), con la finalità di assicurare la buona gestione amministrativa e finanziaria, nonché dare concreta attuazione alle politiche di governo clinico ⁴⁰. È, quindi, un’organizzazione integrata di diverse Unità Operative omogenee, affini o complementari che concorrono a perseguire comuni obiettivi di salute al di là degli obiettivi specifici di ognuna. Nell’ottica della Clinical Governance il dipartimento è un ente che mira ad integrare e coordinare le diverse figure professionali, valutare l’outcome, garantire la continuità delle cure attraverso i percorsi assistenziali, ottimizzare l’uso delle risorse, valorizzare e responsabilizzare i professionisti, orientarsi al paziente ed alla sua sicurezza ed infine implementare la pratica clinica e la ricerca.

Scopo di questa ricerca è individuare un modello organizzativo alternativo all’attuale impostazione della realtà ospedaliera pisana, sperimentandolo prendendo come

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riferimento le UU.OO. presenti all’interno del Dipartimento Cardiotoracovascolare locale.

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Capitolo 2: L’attuale configurazione strutturale del Dipartimento

Cardiotoracovascolare in AOUP

Il Dipartimento Cardiotoracovascolare dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana è dislocato tra gli edifici 10 (dove si trova la maggior parte delle sue Unità Operative) e 13 del presidio ospedaliero di Cisanello e l’edificio 12 del presidio di Santa Chiara. Al suo interno si svolgono attività di cura ed assistenza, ma anche di didattica e ricerca clinica. Il Dipartimento si occupa della diagnosi, cura e ricerca nelle malattie cardiovascolari e polmonari, di interesse medico e chirurgico.

2.1 Generale articolazione del Dipartimento Cardiotoracovascolare: la clinica e la didattica: il dipartimento si articola in varie Unità Operative e Sezioni, di cui 4

afferenti al settore cardiologico; 3 al settore polmonare (con particolare attenzione ai settori dell’oncologia, dell’asma, dell’embolia polmonare e della riabilitazione) e 3 di indirizzo chirurgico (Cardiochirurgia, Chirurgia Toracica- da ricordare per essere stata pioniera nell’utilizzo della chirurgia robotica a Pisa- e Chirurgia Vascolare), nonché di un laboratorio di emodinamica ed una sezione dipartimentale dedicata alla gestione ospedale-territorio del paziente con scompenso cardiaco. Inoltre, data la grande attenzione alla didattica e alla formazione del personale, il DAI Cardiotoracovascolare vanta al suo interno le scuole di specializzazione in Malattie dell’apparato cardiovascolare, Chirurgia toracica, Cardiochirurgia, Chirurgia vascolare, Malattie dell’apparato respiratorio, master universitari in Tecniche diagnostiche di ecografia cardiovascolare e corsi di formazione interni volti ad aggiornare costantemente il personale in materia di nuove linee guida operative e normative in materia sanitaria

2.2 La struttura fisica del dipartimento e la sua distribuzione nello spazio: le

UU.OO. del Dipartimento si collocano tra i due presidi ospedalieri pisani. L’Ospedale di Santa Chiara ospita, allo stato attuale, alcuni ambulatori delle UU.OO. Cardiologia 1 al piano terra dell’edificio 12. Presso l’ospedale di Cisanello le strutture si dislocano tra gli edifici 10- dove troviamo la maggior parte delle Unità afferenti al dipartimento- e 13: in quest’ultimo edificio si trovano, al primo piano, le degenze, la terapia sub-intensiva e la direzione dell’U.O. Pneumologia, dove si svolge attività assistenziale, di ricerca ed educazione ai pazienti affetti dalla grande maggioranza di patologie

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