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Il Nesso tra Migrazione e Sviluppo nell'ordinamento dell'Unione Europea.

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INDICE

INTRODUZIONE . . . .. . . . . . 1

CAPITOLO I

FENOMENI MIGRATORI E SVILUPPO NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

1. La migrazione internazionale: dimensione del fenomeno

e prime osservazioni……… .. …… 12 2. Il ruolo svolto dalle Nazioni Unite nell’analisi e nella gestione del fenomeno migratorio. . . ... . . .. . . .. . 16 3. Gli atti normativi promossi dalle Nazioni Unite: in particolare, la

Convenzione internazionale sulla Protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. . . . . . .. . . 20 4. Gli organismi istituzionali: in particolare, la Commissione Globale sulla Migrazione Internazionale, Gruppo Globale per la Migrazione

e l’Organizzazione Internazione per la Migrazione. . . . . . .. . 22 5. I “Dialoghi di alto livello” sulla migrazione e lo sviluppo . . . . . . 26 6. Il Global Forum su migrazione e sviluppo. . . .. .. . . 30 7. Prime osservazioni di sintesi in merito al nesso tra migrazione

e sviluppo: il c.d. co-sviluppo Triple win. . . .. . . 32

CAPITOLO II

MIGRAZIONE E SVILUPPO NELLE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA

1. Le politiche dell’Unione Europea in tema di migrazione. . . … 36 2. La comunicazione della Commissione al Parlamento e al Consiglio del 2 dicembre 2002 . . . . . . . . . … 50

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3. Segue. Le rimesse dei migranti e circolazione dei cervelli nella

Comunicazione della Commissione del 2 dicembre 2002. . . . .. . . ………...55 4. Il programma dell’Aia del novembre 2004 . . . .. . . 61 5. Luci e ombre della politica europea più recente

in tema di migrazione e sviluppo . . . .. . . ..63 6. La normativa italiana in materia di cooperazione, migrazione e sviluppo. . .68

CAPITOLO III

GLI STRUMENTI DI “GESTIONE”DELLE MIGRAZIONI

1. Le mobility partnership . . . ... . . 72 2. Gli accordi di riammissione. . . . . . 78

3. La direttiva sui lavoratori stagionali e la così detta Carta Blu. . . 83 4. Le rimesse. . . ... . 91

5. La gestione delle migrazioni nei più recenti documenti dell’Unione Europea.. 98

CONCLUSIONI. . . …... …….... . . .100

(3)

I

NTRODUZIONE

Il fenomeno migratorio è antichissimo. È quasi scontato infatti sottolineare che appartiene alla storia dell’uomo il proposito di soggetti singoli, e di gruppi più estesi, di abbandonare il luogo di nascita, nel tentativo di sopravvivere scappando da situazioni di pericolo; o, comunque, di conquistare una esistenza migliore per sé e per la propria famiglia.

Come si avrà modo di illustrare più ampiamente nel corso del lavoro, l’analisi del fenomeno migratorio è stata per lungo tempo caratterizzata da approcci di tipo pessimistico.

In questa ottica, la migrazione è vista come un fenomeno causato dalla estrema povertà ed incapace di generare effetti positivi o, comunque, di generare uno sviluppo dei paesi coinvolti.

Questa interpretazione del fenomeno migratorio è stata così accompagnata dalla considerazione soprattutto dei problemi attinenti alla sicurezza e all’ordine pubblico scaturenti dalla migrazione e, dunque, dalla predisposizione di politiche rivolte prevalentemente a gestire i flussi

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2 migratori, al fine di contrastare l’immigrazione legale o, comunque, al fine di arginare la migrazione nel suo complesso.

Secondo un approccio, appunto, più “pessimista”1, la

migrazione altro non sarebbe che un fenomeno causato dalla povertà creata dal sistema capitalistico, nonché una delle cause dell’aumento delle ineguaglianze e del sottosviluppo.

Secondo questi indirizzi, tramite le migrazioni il paese d’origine viene privato dei lavoratori più qualificati che potrebbero contribuire al suo sviluppo, e la cui partenza contribuisce a quello che viene definito brain-drain (fuga di cervelli)2.

In questa logica, anche le c.d. rimesse di denaro dei migranti – delle quali si parlerà più diffusamente nel capitolo terzo – non assumono un ruolo decisivo.

Ed infatti, le rimesse potrebbero contribuire allo sviluppo del paese di origine là dove il denaro fosse utilizzato per investimenti sull’economia locale;

1 J.E. Taylor, The N ew E conomics of L abour M igration and the Role of

Remittances in the M igration Process, International M igration, 1999, p. 63 ss.

2 Sul tem a della fuga dei cervelli si tornerà più avanti. C on l’espressione

si è soliti indicare la m igrazione di persone altam ente qualificate che, form atesi in un paese, di trasferiscono e lavorare in un altro. Tale espressione fu coniata nel secondo dopoguerra in Inghilterra, per riferirsi all’esodo di scienziati e ricercatori verso gli Stati U niti: per altri approfondim enti su questo argom ento si veda L. Beltram e, G lobalizzazione e fuga dei cervelli, in Rassegna italiana di sociologia, 2008, 2, p. 277 ss.

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3 diversamente, nel caso in cui le rimesse siano utilizzate per la soddisfazione di esigenze quotidiane e fondamentali delle famiglie dei migranti esse non potrebbero determinare alcun influsso positivo sullo sviluppo.

Al contrario, utilizzate in questo modo, le rimesse avrebbero l’effetto di contribuire all’aumento delle disparità sociali, giacché soltanto i componenti delle famiglie dei migranti potrebbero beneficiare degli effetti positivi delle rimesse.

In questo contesto, le rimesse finirebbero allora per contribuire all’aumento del flusso migratorio, poiché spingerebbero altri soggetti ad intraprendere la migrazione per consentire, appunto attraverso le rimesse, un miglioramento delle condizioni di vita essenziali dei propri familiari3.

In questa stessa ottica, conseguenza delle rimesse sarebbe anche il rafforzamento della dipendenza dei paesi più poveri nei confronti di quelli più ricchi.

Agli effetti negativi sotto il profilo economico, farebbero seguito, inoltre, effetti sfavorevoli anche sotto il profilo sociale4.

Ed infatti, alcuni commentatori hanno evidenziato che le migrazioni internazionali spesso determinano un

3 M . Lipton, M igration from Rural A reas of Poor Countries: The Impact on

Rural Productivity and Income D istribution, World D evelopment, 1980, p. 2 ss.

4 L. H eering, R. V an D er E rf, L. V an W issen, The Role of Family N etworks

and M igration Culture in the Continuation of M oroccan Emigration: A G ender Perspective, in Journal of E thnic and M igration Studies, 2004, p. 323 ss.

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4 sovvertimento dei tradizionali valori familiari dei popoli, testimoniato anche dalla rivoluzione dei ruoli tradizionalmente svolti dai componenti delle famiglie.

In alcuni casi, in particolare, è stato osservato che l’incremento della migrazione femminile e, dunque, l’allontanamento delle donne/madri dai nuclei familiari determina l’impossibilità di una crescita armoniosa dei figli5.

Secondo questi autori, solo una forte politica pubblica potrebbe limitare questi effetti negativi.

Ancora nei nostri giorni si registra, per la verità, l’ostilità, più o meno evidente, di parte dell’opinione pubblica verso migranti di diversa provenienza e appartenenza, rifugiati, rom o nomadi, la quale, come hanno evidenziato alcuni autori, è il prodotto di una “macchina tautologica della paura”, alimentata, oltre che dal discorso politico e dalle cronache dei media, da un “diritto

speciale” riservato ai migranti, ovvero da una produzione

normativa che spesso sembra racchiudere in categorie specifiche e particolari le persone straniere, non nazionali o “extracomunitarie”.

Una nuova fase nell’evoluzione delle teorie sulla relazione tra migrazione e sviluppo inizia negli anni 1990, a

5 F. Baggio, op. cit., p. 226.

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5 seguito della diversificazione degli studi su questo tema6. I

“nuovi” indirizzi riscoprono l’eterogeneità dei fattori economici, politici, sociali e culturali che influenzano la relazione tra sviluppo e migrazione.

Questi “nuovi” approcci hanno messo in luce le potenzialità connesse con la migrazione e, in particolare, hanno evidenziato gli effetti positivi che possono derivare dalla migrazione per tutti i soggetti coinvolti dalla migrazione.

Per citarne qui soltanto alcuni (oltre a quelli che saranno menzionati nel corso del lavoro ed in particolare nelle Conclusioni), con riferimento al paese di accoglienza è stato evidenziato che l’inserimento di lavoratori stranieri porta con sé anche l’ampliamento dei confini del mercato internazionale, in virtù delle relazioni transazionali che i migranti, inevitabilmente, portano con sé.

I vantaggi per le società di origine sono stati invece analizzati soprattutto alla luce degli effetti delle rimesse di

6 S. Lavenex e R. K unz, op. cit., p. 441, scrivono che “at the heart of this

new paradigm lies a major shift in thinking about migration and development. Traditionally, there was a tendency to perceive migration as either a c ompletely distinct area of concern from development, or the outcome of lacking or failed development. For a long time, this conventional view was the mainstream approach within the international community, adopted by states and international institutions alike. In the late 1990s, a new view emerged, whereby the two areas of migration and development became linked in the socalled migration–development nexus. M igration is no longer seen as a problem, but as a tool for development. W ithin this approach, migrat ion is taken as a fact and the aim is to manage migration and harness migration and remittances in such a way as to increase their impact on development in the countries of origin”.

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6 denaro da parte dei migranti, le quali, come abbiamo visto, erano, secondo una diversa impostazione teorica, ritenute foriere di conseguenze decisamente negative.

Sotto questo profilo gli approcci positivi hanno evidenziato che il denaro inviato dai migranti spesso è capace di creare occupazione e contribuire allo sviluppo del mercato locale, ad esempio con l’impiego di manodopera o l’acquisto di materiali soprattutto per la costruzione di case.

Inoltre, le rimesse, anche se non sono considerate come il mezzo ultimo e sufficiente per superare i vincoli strutturali dello sviluppo, servono, in un contesto di difficoltà, a sopperire in parte all’insufficienza delle politiche sociali7. Ad esempio, l’aumento del potere di

acquisto scaturente dalle rimesse favorisce la mobilità delle famiglie e, con essa, anche le possibilità per i figli di acquisire fuori dal contesto di origine una istruzione di qualità.

E tuttavia, talune ragioni di perplessità permangono, specialmente sotto il profilo macroeconomico, in conseguenza del fatto che le rimesse sono spesso indirizzate a gruppi sociali più poveri, o ai paesi meno sviluppati. Ciò nonostante, esse sembrano comunque avere un’influenza sulla società d’origine in termini di aumento dei salari, dei prezzi e dell’occupazione.

7 J.E . Taylor, op. cit., p. 65 ss.

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7 È stato comunque osservato che la relazione tra la migrazione e l’aumento delle disparità rimane ambigua: se è vero che i primi emigranti provenivano dalle classi meno povere della popolazione, il loro trasferimento all’estero ha, sul lungo termine, contribuito alla creazione di reti che permettono, grazie a legami di solidarietà e alla circolazione di informazioni, la possibilità di partire anche ai ceti sociali meno abbienti.

È poi necessario evidenziare che ad incidere sul fenomeno migratorio è anche la politica concretamente adottata dai paesi coinvolti dalla migrazione e, dunque, tanto dai paesi di origine quanto da quelli di destinazione.

Ed infatti come evidenziato da parte della dottrina, la variazione della politica sociale, dovrebbe aumentare la probabilità di migrazione da Stati con regole più stringenti e benefici inferiori, a Stati con norme meno severe e maggiori benefici 8.

In altri termini, è ragionevole immaginare che una severità maggiore nei livelli delle possibilità di ottenere prestazioni statali e, dunque, un adeguato livello di welfare, incoraggerà più emigrazione.

E tuttavia, la più recente analisi scientifica sulle migrazioni, forse anche sulla base della ormai incessante, e secondo i più, inarrestabile crescita dei flussi migratori

8 L. K urekova, The role of welfare systems in affectingout-migration. The case of

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8 sembra impegnata soprattutto nel tentativo di analizzare il fenomeno migratorio anche in relazione alle possibilità di sviluppo da esso scaturenti.

Uno sviluppo che, si badi, sembrerebbe poter coinvolgere tutti gli “attori” del fenomeno migratorio, e legato non soltanto al profilo economico strettamente inteso.

Più precisamente, negli atti ufficiali predisposti dalle istituzioni preposte allo studio ed alla gestione delle migrazioni si ritrova frequentemente la esaltazione delle potenzialità di sviluppo legate ad una politica di gestione efficace delle migrazioni; e, per dirla con una espressione ricorrente, le possibilità di co-sviluppo triple win (del migrante, del paese di origine e di quello di destinazione) connesse con il fenomeno migratorio.

Mobilità e migrazioni emergono allora, quantomeno nelle dichiarazioni di principio, come fattori chiave per l’integrazione dell’economia globale e per il perseguimento di dinamiche di crescita positive e sostenute.

La questione dello sviluppo legato alla migrazione è così letta in termini di global policy issue, divenendo oggetto di strategie e politiche di governance da parte delle Istituzioni Internazionali e, tra queste, soprattutto da parte dell’Unione Europea.

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9 Questo mutato approccio è stato salutato da alcuni come una sorta di ritorno ciclico; l’antropologo olandese Hein de Haas nel 2008 ha scritto che “i dibattiti accademici e

politici su migrazione e sviluppo hanno mostrato una tendenza a oscillare avanti e indietro come un pendolo, dall’ottimismo sviluppista negli anni ‘50 e ‘60, al pessimismo e scetticismo strutturalista e neomarxista negli anni ‘70 e ‘80, a visioni più moderate, che furono influenzate dalle nuove economie della migrazione per ragioni di lavoro, dagli approcci che considerano i mezzi di sussistenza (livelihood) e dalla svolta transnazionale negli studi migratori negli anni ‘90. Dal 2000 si è verificata un’improvvisa rinascita delle visioni ottimistiche, particolarmente nel dibattito politico, assieme ad un boom del lavoro empirico su migrazione e sviluppo”.

Il mutato approccio e le dichiarazioni di principio solennemente enunciate dagli Organismi internazionali, complessivamente intesi, si confrontano tuttavia con le iniziative e le politiche in concreto predisposte al fine di tentare una mediazione reale tra, appunto, la migrazione e lo sviluppo, capace di contribuire al progresso dei popoli e degli Stati.

Proprio al rapporto tra migrazione e sviluppo è dedicato questo lavoro di tesi, il quale si propone innanzitutto di inquadrare il fenomeno migratorio nella sua reale portata e poi, soprattutto, di illustrare le modalità mediante le quali il fenomeno è stato affrontato e messo in

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10 correlazione con lo sviluppo, tanto nell’ambito internazionale, quanto nell’ambito Europeo.

Allo stesso tempo, la tesi ha l’ambizione di illustrare le diverse tecniche di intervento e di verificare se quelle più diffusamente utilizzate siano in grado di contribuire realmente alla promozione di una relazione proficua tra migrazione e sviluppo.

In questa logica, il primo capitolo propone un inquadramento del fenomeno migratorio all’interno del quadro internazionale, nell’ambito del quale si è inteso dare risalto ai diversi soggetti istituzionali costituiti al fine di affrontare le tematiche connesse alla migrazione e, allo stesso tempo, alle molteplici iniziative di tipo intergovernativo poste in essere su iniziativa delle Nazioni Unite.

Nel secondo capitolo, il medesimo approccio è stato utilizzato per inquadrare il fenomeno migratorio all’interno del contesto europeo.

L’analisi dei documenti predisposti dalle istituzioni europee ha consentito di verificare innanzitutto un mutamento delle politiche in tema di immigrazione, là dove gli atti istitutivi originari della CEE non avevano in realtà previsto una competenza della Comunità in materia di immigrazione, la quale è invece stata riconosciuta

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11 all’Unione soltanto successivamente, come si avrà ampiamente modo di illustrare in seguito.

Allo stesso tempo, è emerso che il panorama europeo è connotato anche da alcuni profili di ambiguità, là dove non sempre le azioni in concreto poste in essere sembrano corrispondere e dare effettiva attuazione alle pur importanti dichiarazioni di principio contenute, soprattutto, nei preamboli che accompagnano ciascun atto e documento predisposto dalle Istituzioni europee.

Ed infine, nel terzo capitolo si è dato specifico spazio alle modalità di intervento adoperate, sin qui, nell’approccio del rapporto tra migrazione e sviluppo, le quali sono state analizzate tentando di offrire anche taluni spunti di riflessione critica, espressi nelle conclusioni del lavoro.

(14)

12

C

APITOLO I

FENOMENI MIGRATORI E SVILUPPO NEL

CONTESTO INTERNAZIONALE

1. La migrazione internazionale: dimensione del fenomeno e prime osservazioni.

Una indagine in tema di migrazione incentrata sul rapporto tra migrazione e sviluppo, non può prescindere da un preliminare inquadramento del fenomeno della migrazione, sotto il profilo della sua origine e della sua attuale dimensione e portata.

A tal fine è necessario innanzitutto esaminare il quadro socio-giuridico-economico internazionale, giacché il fenomeno della migrazione è sempre stato un fenomeno globale.

Pur se il fenomeno migratorio è molto risalente nel tempo, non si può però fare a meno di sottolineare che la stratificazione delle realtà socio economiche esistenti nei diversi territori, moltiplicatasi nel corso del XX secolo, ha contribuito in misura decisiva alla moltiplicazione dei flussi migratori.

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13 Ed infatti, le opportunità per gli uomini che ambiscono a migliorare le proprie condizioni di vita sono oggi certamente più numerose che nel passato, anche in ragione della più agevole mobilità internazionale.

E così si comprende il perché negli atti della Commissione Globale sulla Migrazione Internazionale – sulla quale si tornerà più avanti – si legge che “la mobilità umana è diventata una componente integrale dell’economia globale”9.

Questa considerazione sembra del resto confermata in pieno dai dati statistici.

Ed infatti, i recenti studi hanno dimostrato che il numero dei migranti internazionali assomma, nel mondo, a ben oltre 200 milioni di individui, pari al 3% della popolazione mondiale; si che se tutti i migranti fossero idealmente riuniti in uno stesso e solo paese, questo sarebbe il quinto paese più popolato del pianeta10.

L’ingigantimento delle dimensioni del fenomeno è peraltro accompagnato da una sorta di “mutamento” del

9 V . G lobal Com m ission for International M igration, M igration in an

Interconnected W orld N ew D irections for A ction. G inevra 2005. p. 5, consultabile su http://www.gcim .org/attachem ents/gcim -com plete-report-2005.pdf.

10 I dati sono riportati in F. Baggio, M igrazione e sviluppo: l’eticizzazione del

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14 fenomeno migratorio, il quale sta cambiando parallelamente alla globalizzazione dei mercati del lavoro e della società.

Ed infatti, come dimostrato dagli studi delle istituzioni internazionali interessate al fenomeno della migrazione, i migranti spesso non si separano più dalle loro famiglie e comunità in modo così netto come accadeva in passato.

Allo stesso tempo, non accade più che la grande maggioranza di essi si stabilisca nella ristretta minoranza dei paesi sviluppati: più o meno un terzo dei migranti nel mondo si sono trasferiti da un paese in via di sviluppo ad un altro, mentre un’uguale proporzione si è mossa dal mondo in via di sviluppo a quello industrializzato.

Ed ancora, non è più del tutto vero che i migranti sono prettamente impegnati in attività umili. Circa metà dell’aumento nel numero di migranti internazionali dai 25 anni in su nei Paesi facenti parte dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD)11 durante

gli anni ‘90 consisteva di persone altamente qualificate12.

11 Istituita il 14 dicem bre 1960 con la stipula dell’om onim a Convenzione,

firm ata da 18 stati europei, più C anada e Stati U niti, ed entrata in vigore il 30 settem bre 1961.

12 Q uesti argom enti sono trattati da G . Z ozzini, M igrazioni di ieri e di oggi – U na storia comparata, M ilano, 2005, p. 11 ss. e U . M elotti, M igrazioni internazionali. G lobalizzazione e culture politiche, M ilano, 2004, p. 5 ss.

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15 È sempre la Commissione Globale sulla Migrazione Internazionale a riconoscere che “i migranti non sono solo impiegati nei lavori che i nazionali disdegnano, ma sono anche impegnati in attività di alto valore che la popolazione locale non è in grado di realizzare”.13

In tempi recenti il processo di globalizzazione ha poi determinato anche una “femminilizzazione” della composizione dei flussi migratori: le donne costituiscono la metà dei migranti internazionali e il loro numero sta crescendo. Emigrano, spesso da sole, nell’intento di assicurare migliori condizioni di vita a sé stesse e alle proprie famiglie. In maggioranza in Nord America, Europa e Medio Oriente e con flusso più cospicuo da molti paesi dell’Asia e dell’America Latina, le donne migranti restano invisibili a causa della scarsità di dati specifici e al fatto che si tratta talvolta di immigrate irregolari, come sottolinea

The International Confederation of Free Trade Unions.

L’eterogeneità dei fenomeni migratori ha dunque spinto parte degli autori14 ad evidenziare che i tradizionali

fattori di spinta dell’emigrazione non bastano più, da soli, a giustificare gli attuali flussi migratori, i quali pertanto si

13 V . il D ocum ento citato alla nota 1.

14 M . M antovan, L’organizzazione internazionale per le migrazioni e la strategia

M ID A : quali obiettivi nell’area M igrazioni e sviluppo?, in M igrazione e sviluppo: una relazione da riconsiderare, in M igrazioni e sviluppo: una nuova relazione. Contributi dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni , Rom a, 2012, p. 182.

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16 devono analizzare ed interpretare alla luce di moltissimi fattori; e tra questi, l’instabilità macroeconomica globale, i cambiamenti climatici, l’accesso conteso ai beni primari etc.15

2. Il ruolo svolto dalle Nazioni Unite nell’analisi e nella gestione del fenomeno migratorio.

Per la sua attitudine ad interessare il mondo complessivamente inteso, la migrazione ha suscitato l’interesse innanzitutto delle Nazioni Unite, le quali ormai più tempo si occupano della migrazione internazionale come fenomeno globale in continua crescita, relativamente alla sua dimensione, complessità ed impatto.

15 L’esaltazione dei m utam enti che hanno interessato il fenom eno

m igratorio è costante da parte di tutti i com m entatori. A d esem pio, I. Caruso e B. V enditto, I flussi migratori L e migrazioni di transito nel M editerraneo, 2007, p. 1 ss. scrivono “che nel panorama dei flussi migratori internazionali si sono verificate, nell’ultimo decennio, rilevanti trasformazioni. M olti dei paesi interessati dalle migrazioni sono diventati allo stesso tempo paesi di origine e di destinazione di migranti. Il permanere e spesso l’acutizzarsi delle cause che generano i flussi, ha fatto sì, inoltre, che, anche il modo nel quale le migrazioni si erano manifestate in precedenza cambiasse. In particolare, nel corso degli anni, accanto alla tradizionale figura del migrante che si muoveva direttamente dal paese di origine a quello di destinazione alla ricerca di lavoro, è emersa e si è diffusa una nuova categoria di persone che, per raggiungere la meta prestabilita del loro percorso, passano per diversi territori, generando nel corso di ques to viaggio una serie di relazioni, più o meno legali, con i paesi nei quali sono transitati. Tutto ciò ha reso le migrazioni, in particolare quelle di transito, un tema di analisi complesso e prioritario, di grande interesse per la comunità internazionale e sul quale sono chiamati a confrontarsi in misura crescente anche i singoli Stati”.

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17 I molteplici aspetti del fenomeno migratorio si sono nel tempo rivelati tutti di grande interesse per le Nazioni Unite, tanto che anche la Banca Mondiale, anche se soltanto a partire dal 2003, si è interessata del fenomeno migratorio e, in particolare, del rapporto tra migrazione e sviluppo16.

Le Nazioni unite hanno così promosso, nello svolgimento dei propri compiti istituzionali, una serie di “iniziative” volte appunto ad affrontare tutti (o almeno i più importanti) i problemi connessi con il fenomeno migratorio.

Non si può negare che, probabilmente, il primo e più immediato problema postosi all’attenzione delle istituzioni internazionali è stato quello del rispetto dei diritti umani, spesso messo in discussione dalle modalità con le quali il fenomeno migratorio è stato attuato.

Tuttavia di questo aspetto si darà qui conto soltanto incidentalmente, giacché l’argomento fondamentale di

16 Su questo argom ento si vedano S. Lavenex e R. K unz, The M igration– D evelopment N exus in E U External Relations, Journal of European Integration , 2008, p. 447: “before 2003, migration and development issues were of relatively minor concern to the W orld Bank. This changed with the publication of the G lobal D evelopment Finance A nnual Report in 2003, entitled “W orker’s Remittances: A n Important and Stable Source of E xternal D evelopment Finance”, where the W orld Bank adopted the new paradigm by taking formal notice of remittances as a source of external development finance”.

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18 questa tesi è quello del rapporto tra migrazione e sviluppo17.

La complessità della questione relativa al rapporto tra migrazione e sviluppo è alimentata dalla difficoltà di intendere esattamente quale sia il significato da attribuire al concetto di sviluppo.

Ed infatti, se il concetto di “migrazione”, pur differenziato nelle sue diverse accezioni temporali ed economiche, sembra non essere particolarmente difficile da inquadrare, non lo stesso può dirsi per il concetto di sviluppo, il quale in verità pare essere ancora al centro di un’accesa discussione caratterizzata da una grande varietà di approcci18.

17 In m erito all’origine del concetto di m igrazione e sviluppo si veda la

pagina 441 dell’articolo citato alla nota precedente, nella quale si legge che essa norm alm ente si fa risalire all’articolo di N .N . Sørensen, N . van H ear e P. E ngberg Pedersen, The migration–development nexus: evidence and policy options, International M igration, 2002, 40(5), p. 49 ss.

18 Secondo alcuni autori la successione storica degli orientam enti rispetto

al rapporto tra m igrazione e sviluppo si potrebbe distinguere in quattro diversi periodi: il prim o fino al 1973, dom inato dalle teorie della m odernizzazione e neoclassica, caratterizzato da un sostanziale ottim ism o rispetto alla relazione m igrazione-sviluppo; il secondo, dal 1973 al 1990, contrassegnato invece dalla diffusione delle teorie strutturaliste e neom arxiste, e da un sostanziale pessim ism o; il terzo, dal 1990 al 2001, che vede ancora un pessim ism o persistente e la rielaborazione delle politiche di im m igrazione; il quarto, dal 2001 in poi, caratterizzato da un nuovo ottim ism o, in seguito al boom di studi condotti nel solco di nuovi approcci (com e quello della N E LM ) e di un cam bio di paradigm a: su questo argom ento v. A . Corrado, M igrazioni per lo sviluppo. M odelli di cooperazione e politiche di co-sviluppo, in C. Buscem a, A . Corrado, M . D ’A gostino, Frontiere migratorie. G overnance della mobilità e trasformazioni della cittadinanza, N apoli, 2009, p. 54

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19 Già da qualche anno le Nazioni Unite hanno adottato19

la definizione elaborata dal rinomato economista pachistano Mahbub ul Haq, che fu uno dei fondatori della teoria dello sviluppo umano (human development theory): “lo

scopo essenziale dello sviluppo è di ampliare la possibilità di scelta delle persone. A livello di principio, queste scelte possono essere infinite e possono cambiare con il tempo. Spesso la gente apprezza traguardi che non si manifestano assolutamente, o non immediatamente, in termini di reddito o crescita economica: accesso maggiore all’istruzione, migliore nutrizione e servizi sanitari, mezzi di sussistenza sicuri, sicurezza contro il crimine e la violenza fisica, possibilità di godere momenti di divertimento, libertà politiche e culturali e senso di partecipazione nelle attività comunitarie. Lo scopo dello sviluppo è di creare un ambiente appropriato affinché la gente possa godere una vita lunga, sana e creativa” 20.

Questa interpretazione del concetto di sviluppo, che senza dubbio ha il merito di considerare lo sviluppo non soltanto sotto il profilo strettamente economico21 è tuttavia

criticata da alcuni commentatori, i quali hanno evidenziato che esso in ogni caso risulta essere parziale, giacché si fonda su un concetto individualista del benessere, senza

19 F. Baggio, op. cit., p. 214.

20 M . ul H aq, H uman D evelopment Paradigm for South A sia. The second D .T.

Lakdawala memorial lecture. N ew D elhi: Institute of Social Sciences, 1996.

21 Per alcuni riferim enti sul concetto di sviluppo v. S. Sequella e S.

V olpicelli, M igrazione e sviluppo: una relazione da riconsiderare, in M igrazioni e sviluppo: una nuova relazione. Contributi dell’O rganizzazione internazionale per le migrazioni, Rom a, 2012, p. 31 ss.

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20 tener sufficientemente conto della dimensione relazionale dell’essere umano.

Da questa premessa, questi stessi autori propongono una rivisitazione etica della nozione di sviluppo22, la quale

secondo questi autori, potrebbe contribuire a colmare alcune serie lacune di tipo concettuale presenti nella definizione adottata dalle Nazioni Unite.

3. Gli atti normativi promossi dalle Nazioni Unite: in particolare, la C o n v e n z i o n e i n t e r n a z i o n a l e s u l l a P r o t e z i o n e d e i d i r i t t i d e i l a v o r a t o r i m i g r a n t i e d e i m e m b r i d e l l e l o r o f a m i g l i e .

Passando a considerare le “attività” poste in essere dalle Nazioni Unite, occorre sin da subito sottolineare che negli atti normativi prodotti sembra emergere che un elemento decisivo della promozione del nesso tra migrazione e sviluppo è costituito dalla tutela del lavoro svolto dai migranti.

22 F. Baggio, op. cit., p. 216 ss.; dello stesso autore si veda anche M igrants on Sale in East and Southeast A sia: A n U rgent Call for the Ethicization of M igration Policies, in M .C. Caloz-Tschopp e P. D asen, M ondialisation, migration et droits de l’homme: un nouveau paradigme pour la recherche et la citoyenneté. G lobalization, migration and human rights: a new paradigm for research and citizenship, Bruxelles, 2007.

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21 Ed infatti, uno dei primi atti nei quali è possibile rintracciare un legame tra migrazione e sviluppo è probabilmente costituito dalla Convenzione internazionale sulla Protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, la quale è stata approvata, dopo un lungo percorso,

il 18 dicembre 1990 ed è entrata in vigore nel 2003, poiché soltanto allora è stata raggiunta la soglia minima di 20 ratifiche, previste perché potesse entrare in vigore quale strumento giuridico.

Questa convenzione, oltre che sancire una serie di importanti prerogative in tema di non discriminazione, parità di trattamento e tutela in vario senso del migrante ha espressamente previsto, innanzitutto, all’art. 32, il diritto dei lavoratori migranti di trasferire, al termine del loro soggiorno nello Stato di arrivo, i loro guadagni e i loro beni nello stato di origine od in altro stato.

Il riconoscimento di tale insopprimibile diritto è certamente interpretabile come uno strumento per garantire delle possibilità di sviluppo, tanto per il lavoratore singolarmente inteso, tanto per il Paese che può beneficiare della “ricchezza” ri-trasferita dal lavoratore migrante al termine del proprio soggiorno.

Allo stesso tempo, negli artt. 64 e segg. la predetta Convenzione ha espressamente previsto l’obbligo degli stati interessati di Promuovere condizioni giuste, eque, umane e legali in connessione all’emigrazione internazionale di lavoratori e dei membri delle loro famiglie.

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22 In tale quadro, la Convenzione prevede non soltanto la tutela del lavoratore migrante individualmente inteso, quanto anche la necessità di considerare le conseguenze di tale immigrazione per le comunità interessate e di attuare delle politiche interstatali per garantire una cooperazione tra Stati nella gestione delle politiche del lavoro.

E tuttavia, nonostante le importanti indicazioni di principio contenute nella Convenzione, essa allo stato attuale non è stata ancora ratificata da molti stati e, peraltro, da nessuno degli Stati membri dell’Unione europea.

Tale ultima circostanza ha indotto taluni ad affermare, probabilmente a ragione, il “sostanziale fallimento della “Convenzione”, e pertanto a sollecitare la ricerca di ulteriori e più efficaci strumenti23.

4. Gli organismi istituzionali: in particolare, la Commissione Globale sulla Migrazione Internazionale, il Gruppo Globale per la Migrazione e l’Organizzazione Internazione per la Migrazione.

Alla fine del 2003, l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, assieme ad alcuni governi nazionali ha lanciato un’iniziativa denominata Commissione Globale sulla Migrazione Internazionale (GCIM).

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23 Tale Commissione venne incaricata del compito di analizzare il fenomeno migratorio internazionale al fine di fornire un chiaro quadro di riferimento per la formulazione di una risposta coerente, comprensiva e globale al problema della migrazione internazionale.

Nell’ottobre 2005 la Commissione ha poi presentato il suo rapporto finale, nel quale l’Organismo ha preso espressamente posizione in merito al rapporto sussistente tra la migrazione e lo sviluppo.

Ed infatti, nel documento finale predisposto dalla Commissione si legge espressamente che “il ruolo che i

migranti giocano nella promozione dello sviluppo e nella riduzione della povertà nei paesi d’origine congiuntamente al contributo da essi apportato alla prosperità dei paesi di destino devono essere riconosciuti e potenziati. La migrazione internazionale deve diventare una parte integrale delle strategie nazionali, regionali e globali per la crescita economica tanto nel mondo in via di sviluppo quanto in quello sviluppato”24.

In risposta alla raccomandazione della Commissione Globale sulla migrazione internazionale, nel 2006 è stato dunque istituito il Global Migration Group (GMG).

Il GMG è un gruppo interistituzionale di alto livello formato da agenzie la cui attività riguarda le migrazioni.

24 V . G LO BA L CO M M ISSIO N FO R IN TE RN A TIO N A L M IG RA TIO N – G CIM . M igration in an Interconnected W orld N ew D irections for A ction. G inevra 2005, p. 4, consultabile su http://www.gcim .org/attachem ents/gcim -com plete-report-2005.pdf.

(26)

24 Attualmente ne fanno parte 18 istituzioni, tra cui l’ILO, l’IOM-OIM, l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani (OHCHR), l’UNICEF, l’UNESCO e l’UNHCR. Il gruppo si riunisce una volta ogni anno ed è presieduto da un’organizzazione diversa ogni sei mesi a rotazione tra i suoi membri.

Il GMG promuove l’applicazione più ampia dei trattati concernenti la migrazione ed incoraggia l’adozione di un approccio alle migrazioni internazionali più coerente ed efficacemente coordinato.

Tra i suoi compiti vi sono:

• fare considerazioni strategiche e politiche;

• promuovere l’applicazione delle norme internazionali e i principi di gestione della migrazione internazionale, formulando e migliorando le politiche vigenti;

• portare le questioni relative alla migrazione all’attenzione del Segretario Generale delle Nazioni Unite e degli Stati membri.

Il GMG ha poi a sua volta costituito altri Working

Groups.

Tra questi occorre menzionare innanzitutto il Working

Group on Data and Research, il quale è incaricato di ricercare

ed analizzare i dati e di migliorare i programmi per le politiche migratorie.

Il “Gruppo” è entrato in funzione nel 2011 ed è supportato da altri importanti organismi delle Nazioni

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25 Unite, tra i quali bisogna citate soprattutto l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (I.O.M.).

Quest’ultimo, fondato nel 1951, ha lo status di osservatore all’Assemblea delle Nazioni Unite ed è impegnato in un ruolo di primo piano nel campo della analisi e della gestione del fenomeno migratorio, si può considerare un pioniere del cambiamento nell’approccio al tema del nesso tra migrazione e sviluppo25.

Sempre nell’ambito delle Nazioni Unite opera poi il

Working Group on Migration, Human rights and Gender.

Questo altro “Gruppo” ha quale compito principale quello di attuare i principi presentati dal GMG nel 2012 e di valorizzare il contributo dei migranti al benessere delle società e delle comunità locali. In definitiva, la sua funzione è quella di esplicitare il ruolo della migrazione nella promozione dello sviluppo, inteso nella accezione sopra ricordata.

Inoltre, esistono due Task forces che operano nell’ambito della comunità internazionale.

Una di esse è dedicata al Capacity Development: in sostanza, questo organismo cerca di migliorare la sinergia

25 S. Lavenex e Rahel K unz, op. cit., p. 446: “linking migration to

development and focusing on the positive linkages have been part of IOM ’s mission right from the start and came to the fore in the launch of its M igration for D evelopment programmes in 1964, and in the 1974 Return of Talent Programme for L atin A mericans residing abroad”. G li stessi autori rilevano poi com e questi ultim o siano stati però delle iniziative isolate: “however, within the broader international community, these were rather isolated efforts to link migration to development”.

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26 tra i diversi soggetti che, nell’ambito delle Nazioni Unite, si occupano appunto di migrazione.

L’altra Task force è quella per il Decent work, la quale è incaricata di trovare ed attuare gli opportuni collegamenti tra diritti umani ed aspetti economici della migrazione, intesa nel suo aspetto dinamico, cioè considerata in quanto fenomeno in espansione.

Anche questa Task force è collegata con altri organismi e, anch’essa, in particolare con la I.O.M.

5. I “Dialoghi di alto livello” sulla migrazione e lo sviluppo

Le indicazioni formulate dalla GCIM hanno costituito il nocciolo del primo Dialogo di alto livello sulla migrazione e lo

sviluppo realizzato nell’ambito dell’Assemblea generale

dell’ONU nel settembre 2006.

Il primo Dialogo di Alto Livello ha evidenziato il notevole impegno messo in campo dagli Stati, dalle agenzie delle Nazioni Unite, dalle organizzazioni non governative, della società civile in generale, al fine di esaminare le relazioni e le possibili sinergie tra la migrazione internazionale e lo sviluppo.

Nel Dialogo si è dato spazio a molteplici questioni: sotto un primo profilo, si è tentato di offrire una

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27 rappresentazione chiara delle cause dalle quali originano le migrazioni internazionali.

In questo ambito il Dialogo ha messo in luce, tra le altre, la povertà; i conflitti; le diffuse violazioni dei diritti umani; la debolezza dei governi, spesso incapaci di garantire tutela alle esigenze dei suoi cittadini; l’assenza di occupazione, che affliggono taluni paesi disagiati, soprattutto in alcune zone del mondo.

L’individuazione delle cause è stata poi accompagnata dall’esplicitazione delle conseguenze sociali delle migrazioni internazionali.

In particolare, è stato affrontato il tema dell’integrazione dei migranti stranieri nei paesi ospitanti, il quale impone l’adattamento reciproco da parte della società ospitante e degli stessi migranti, che può e deve essere perseguito combattendo i fenomeni di intolleranza verso i migranti.

Allo stesso tempo, il Dialogo ha sviscerato il tema dell’’invio di denaro da parte del migrante verso il paese di origine, le c.d. rimesse, il quale potrebbe incrementare il rapporto di dipendenza dei paesi in via di sviluppo anche se, in apparenza, potrebbe persino apparire privo di rilevanza, giacché si traduce sostanzialmente in una movimentazione di denaro tra privati.

Sul tema del rapporto tra migrazione e sviluppo, il

Dialogo ha poi sottolineato il potenziale delle comunità

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28 origine, soprattutto se analizzata sotto il profilo della della migrazione circolare di lavoratori ben qualificati.

Quanto alle iniziative da promuovere, il Dialogo ha inoltre avvertito della necessità di siglare accordi bilaterali tra Stati su particolari tematiche, con particolare riguardo agli aspetti connessi con la tutela, anche pensionistica, dei lavoratori migranti.

E ancora, nel Dialogo è stata sollecitato, lo sviluppo delle procedure di rimpatrio dei lavoratori qualificati nei paesi di origine, il quale dovrebbe essere realizzato mediante l’attivazione di specifici accordi di cooperazione in materia tra Stati.

Oltretutto, un’attenzione speciale è stata riservata alle donne, poiché, come già detto nel primo paragrafo, moltissimi tra i migranti sono donne in cerca del rafforzamento delle loro capacità e delle loro iniziative imprenditoriali, meritevoli di provvedimenti che disciplinino le particolari circostanze ed esperienze delle donne migranti e che riducano la loro vulnerabilità allo sfruttamento e all’abuso.

A tale ultima esigenza offre una innegabile conferma l’osservazione del problema delle donne vittime di traffici illeciti, le quali hanno diritto ad una protezione speciale.

Con una risoluzione del 2008 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha poi proseguito nella direzione

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29 intrapresa ed ha deciso di realizzare un secondo Dialogo di Alto Livello sulla Migrazione Internazionale e lo Sviluppo26.

Il tema preferito è stato quello di definire misure rivolte a rinvigorire la cooperazione degli Stati su tutti i livelli, al fine di riuscire a massimizzare i possibili benefici della migrazione internazionale.

Il concetto di sviluppo è stato qui analizzato con riferimento ai possibili benefici tanto per i migranti quanto anche per i Paesi coinvolti, così da sottolineare il nesso tra migrazione e lo sviluppo e ridimensionare gli svantaggi scaturenti, appunto, dalla migrazione.

Gli Stati partecipanti tuttavia sono giunti alla conclusione che la migrazione può sì produrre benefici sostanziali, ma anche determinare conseguenze negative, sia per le economie più sviluppate che per quelle in fase di sviluppo.

Ed infatti, nel Dialogo è stato dato ampio spazio ai possibili vantaggi che la migrazione può offrire sia ai paesi di origine che a quelli di destinazione (attraverso l’invio di denaro, i commerci, investimenti, creazione di imprese e il trasferimento di tecnologia, competenze e conoscenze).

Tuttavia, è stata espressa la preoccupazione relativa al fatto che l’emigrazione di “lavoratori altamente qualificati” può anche ostacolare il raggiungimento degli Obiettivi di

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30 Sviluppo del Millennio (MDGs)27, soprattutto nel caso di

piccoli paesi in via di sviluppo, dato che essa fa mancare personale qualificato e capace.

Gli Stati membri hanno dunque adottato una Dichiarazione nella quale è stato formulato un accorato invito al rispetto dei diritti umani e delle norme in tema di lavoro dignitoso ed è stato espresso il proposito di contrastare il traffico illecito di persone, oltre che una risoluta condanna contro ogni manifestazione di razzismo e intolleranza28.

6. Il Global Forum su migrazione e sviluppo

27 N el settem bre del 2000, al M illennium Sum m it delle N azioni U nite, i capi di stato e di governo di 189 Paesi hanno approvato la D ichiarazione del M illennio delle N azioni U nite, in cui vengono sottolineati com e valori fondam entali la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la tolleranza, il rispetto per la natura e la condivisione delle responsabilità. Su queste basi sono stati indicati obiettivi considerati con un significato particolare: 1) sradicare la povertà estrem a e la fam e nel m ondo; 2) rendere universale l’istruzione prim aria; 3) prom uovere la parità dei sessi e l’autonom ia delle donne; 4) ridurre la m ortalità infantile; 5) ridurre la m ortalità m aterna; 6) com battere l’H IV /A ID S, la m alaria e altre m alattie; 7) garantire la sostenibilità am bientale; 8) sviluppare un partenariato m ondiale per lo sviluppo.

28 V . sul punto N . Sergi, Il transnazionalismo degli immigrati per favorire la

cooperazione internazionale tra territori, relazione svolta al Convegno di Rom a dell’11 D icem bre 2015, intitolato Flussi m igratori, m ercato del lavoro, im presa e diritti um ani”, 2016, p. 3.

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31 Parallelamente e coerentemente con i punti chiave evidenziati durante il primo Dialogo di Alto Livello su migrazione e sviluppo è stato attivato a Bruxelles nel 2007 un Global Forum su migrazione e sviluppo.

Si tratta di un luogo di dialogo volontario, informale, non vincolante e presieduto dai governi, aperto a tutti gli Stati membri e gli Stati osservatori delle Nazioni Unite e finalizzato alla comprensione e alla cooperazione relativa all’interconnessione tra migrazione e sviluppo e per favorire risultati efficaci.

Questa iniziativa è stata costituita al fine di mettere in relazione le esperienze di tutte le regioni e i paesi per lo sviluppo economico, sociale e politico e ad essa partecipano i rappresentanti politici e amministrativi di vari ambiti, compresi i rappresentanti dei Ministeri e delle Direzioni di Immigrazione, Sviluppo, Lavoro, Affari esteri, Pari opportunità, Giustizia, Interno, Integrazione.

Questa iniziativa è poi aperta alla partecipazione anche di altri soggetti, quali le organizzazioni non governative, i ricercatori e persino a società civile.

Gli obiettivi di questa iniziativa sono molteplici ed occorre ricordare tra questi:

1. costituire uno strumento di incontro tra amministratori e rappresentanti politici per discutere e le politiche rilevanti, le sfide pratiche e le opportunità del binomio migrazione – sviluppo, per un impegno con le altre parti interessate e, dunque, per far sì che essi possano

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32 ricevere sollecitazioni positive dal contributo delle organizzazioni non governative, degli esperti e le associazioni di migranti, soprattutto in una logica di raggiungimento di risultati concreti capaci di fronteggiare i problemi specifici connessi alla migrazione;

2. favorire lo scambio reciproco di opinioni in merito a buone prassi ed esperienze, così da fornire l’occasione di prendere a modello quelle più virtuose, per massimizzare i benefici allo sviluppo derivanti dalle migrazioni e i movimenti di persone;

3. individuare lacune informative, politiche e istituzionali e porvi rimedio per favorire le sinergie e le politiche maggiormente coerenti a livello interno, regionale e internazionale tra le politiche di migrazione e sviluppo;

4. definire le priorità internazionali e un programma su migrazione e sviluppo.

Il Forum ha invero proseguito incessantemente la propria attività sin dall’anno della sua istituzione e, ad oggi, ha tenuto 9 meetings internazionali, svoltisi in paesi diversi, a cominciare dal Belgio, nel 2007, sino alla ultima edizione 2016, nel Bangladesh.

7. Prime osservazioni di sintesi in merito al nesso tra migrazione e sviluppo: il c.d. sviluppo Triple win.

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33 Le numerose attività ed iniziative, di vario genere, poste in essere dalla comunità internazionale29 e le esplicite

dichiarazioni espresse dagli attori del quadro internazionale, consentono ora di comprendere e convenire in ordine all’idea che l’opportunità di sviluppo connessa ad una efficace gestione delle politiche di immigrazione sia potenzialmente in grado di esprimersi sotto molteplici profili.

In particolare, è ormai diffusa l’opinione secondo la quale lo sviluppo potenzialmente connesso con il fenomeno migratorio sia in realtà un co-sviluppo30 a triplice

29 S. Lavenex e R. K unz, op. cit., p. 448, sottolineano che diversi incontri

e conferenze internazionali hanno illustrato il diverso m odo di concepire il nesso tra m igrazione e sviluppo: “a number of international meetings and conferences illustrate the competition between these different ways of framing the migration– development nexus. In 2003, the first international meeting focusing entirely on migrant remittances — entitled International Conference on M igrant Remittances: D evelopment Impact, O pportunities for the Financial Sector and Future Prospects — took place in London, organized jointly by D fID and the W orld Bank in collaboration with the International M igration Policy Programme (IM P).The objective of the conference was to bring together concerned stakeholders and strengthen the development impact of remittances. A s revealed in the title and the Concluding Remarks, this conference emphasized the role of remittances in the migration–development nexus, which illustrates its rather narrow frame. In M arch 2006 the Conference on M igration and D evelopment took place in Brussels, jointly organized by the Belgium government, the IO M , the W orld Bank and the E uropean Commission. The purpose of the conference was to discuss how migration and related policies can contribute to economic development in countries of origin or transit, and how development policies in turn can address root causes of migration such as poverty and lack of socio-economic prospects, and ease the pressures on people to emigrate unwillingly ”.

30 Il concetto di co-sviluppo fu introdotto in Francia nel corso degli anni

(36)

34 vantaggio; o, per dirla con la formula solitamente utilizzata, un co-sviluppo, triple win: dei migranti e dei due paesi collegati dalla loro presenza31.

Tale scenario è invero condiviso da tutte le organizzazioni internazionali (ed anche dall’Unione Europea, come si dirà nel prossimo capitolo) le quali ritengono appunto che, se ben governata, la migrazione possa contribuire allo sviluppo umano del migrante e la sua famiglia, del paese di accoglimento e di quello di origine.

Sebbene tale descrizione sia senza dubbio suggestiva, e descriva efficacemente le potenzialità connesse con il fenomeno migratorio, occorre tuttavia considerare che l’esaltazione della c.d. Triple win non può in ogni caso dimenticare che essa deve fare i conti con i differenti interessi propri di ciascuno dei soggetti e su ben diverse concezioni della migrazione, della mobilità e del ritorno.

Sotto un primo profilo, è agevole sottolineare che la positività della migrazione per i paesi di accoglienza dei migranti è legata dal controllo degli ingressi, oltre che, come è stato giustamente osservato, all’impiego della manodopera necessaria per le esigenze dell’economia.

l’obiettivo di queste politiche è stato quello di ridurre la popolazione im m igrata stim olandone il ritorno – attraverso program m i di aiuto al ritorno e di aiuto al reinserim ento: in questi term ini v. A . Corrado, op. cit., p. 58.

31 È necessario tuttavia chiarire che il principio della “triplice vincita”

non è equiparabile al concetto sem plicistico di una politica arm onica, che non scontenti nessuno e che non è consapevole delle contraddizioni e dei dilem m i esistenti: F. Piperno, M igrazione e Sviluppo nelle politiche dell’U nione europea e dell’Italia: orientamenti per un approccio cosmopolitico , M ilano, 2014, p. 8.

(37)

35 Si intende, dunque, che per i paesi di destinazione vi sarà comunque un interesse ad escludere i migranti indesiderati.

Per altro verso, gli interessi dei paesi di provenienza dei migranti sono senza dubbio legati, in ragione della debolezza della propria economia, alla possibilità dello sviluppo nazionale, attraverso un ampliamento delle possibilità lavorative.

E così è stato osservato32 che a livello nazionale e

transnazionale, il conflitto tra gruppi portatori di interessi contrapposti è ineliminabile, ed ognuna delle politiche promosse in campo migratorio è soggetta a costi e criticità. La mobilità, in sé, è anche un costo per i paesi di origine e destinazione, è oggetto di competizione crescente tra paesi alla ricerca di risorse umane (specie qualificate), indispensabili per il proprio sviluppo, apre il fianco a nuovi orizzonti di concorrenza e conflitti sociali tra Stati. Non si tratta allora di negare il conflitto tra interessi divergenti, acuito da condizioni di potere differenti a livello globale. Si sottolinea, piuttosto, la necessità di gestire l’ineliminabile interdipendenza tra stati.

32 F. Piperno, op. cit., p. 9.

(38)

36

C

APITOLO II

MIGRAZIONE E SVILUPPO

NELLE POLITICHE

DELL’UNIONE EUROPEA

1. Le politiche dell’Unione Europea in tema di migrazione

L’approccio al tema del rapporto tra migrazione e sviluppo nel contesto europeo33 impone talune riflessioni

preliminari.

È sin troppo semplice rilevare, infatti che, in virtù della esplosione della migrazione di massa soprattutto dal

33 Indicazioni m olto am pie relativam ente all’approccio adottato dai

singoli stati m em bri si trovano nel volum e M igration and developmant polizie and practice, V ienna, 2013.

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37 continente africano, drammaticamente impostosi all’attenzione di tutti – e degli italiani in particolare - negli ultimi anni, la gestione dei flussi migratori e la promozione di una politica efficace di “governo” del fenomeno costituisca, oggi, un punto di snodo decisivo per la stessa tenuta del “sistema Europa”34.

Peraltro, il fenomeno migratorio con il quale l’Europa, da sempre ed oggi ancora di più, è costretta a confrontarsi origina da condizioni di estremo disagio sociale, le quali hanno senza dubbio influenzato in misura molto significativa la scelta in ordine alle politiche da attuare.

Sul tema delle politiche europee in tema di rapporto tra migrazione e sviluppo è opportuno innanzitutto segnalare che, come si vedrà, la definizione delle competenze in tema di migrazione è stata oggetto di una evoluzione normativa.

In particolare, il trattato di Lisbona, l’art. 208 del Trattato, contenuto nel Capo relativo ai rapporti tra cooperazione e sviluppo, afferma, con una disposizione di carattere generale che “la politica di cooperazione allo sviluppo

dell’Unione e quella degli Stati membri si completano e si rafforzano reciprocamente”.

Al contempo, la norma citata deve essere letta in combinato con altre norme del Trattato, le quali, ad

34 N el Pream bolo della C om unicazione della C om m issione al Parlam ento

e al Consiglio - CO M (2002) 703 final, 3.12.2002, si legge esplicitam ente che l’em igrazione rientra tra le priorità strategiche dell’U nione Europea.

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38 esempio l’art. 21, comma 2, lettera d) indica quale obiettivo prioritario e definitivo a lungo termine quello della eliminazione della povertà – “favorire lo sviluppo sostenibile dei

paesi in via di sviluppo sul piano economico, sociale e ambientale, con l’obiettivo primo di eliminare la povertà” - e, a tale fine,

promuove l’impegno dell’Unione ad assicurare “la coerenza

tra i vari settori dell'azione esterna e tra questi e le altre politiche. Il Consiglio e la Commissione, assistiti dall’alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, garantiscono tale coerenza e cooperano a questo fine” (art. 21,

comma 4, del Trattato).

Posta dunque l’obbligatorietà di un approccio sinergico da parte dell’Unione e degli Stati membri, il fenomeno migratorio deve essere inquadrato alla luce delle politiche in concreto adottata dalle istituzioni comunitarie, le quali nel corso del tempo sono più volte ritornate sul tema della migrazione e, in alcune occasioni, con riguardo proprio al tema del rapporto tra migrazione e sviluppo.

Volendo ripercorrere sinteticamente le tappe più importanti dell’evoluzione della politica comunitaria in tema di gestione delle migrazioni, occorre innanzitutto sottolineare che nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea, firmato a Roma il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il 14 gennaio 1958, nessuna disposizione attribuiva alle istituzioni europee competenze in materia di immigrazione.

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39 La disciplina della materia veniva pertanto lasciata alla discrezionalità degli Stati membri, senza alcun riferimento ad una politica comune, in conseguenza del fatto che la priorità dei primi anni della CEE era costituita dalla creazione di un mercato unico e la migrazione era principalmente intra-europea.

Successivamente, con il Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1° novembre 1993, il tema dell’immigrazione viene inserito nel cosiddetto terzo pilastro dell’Unione europea (relativo a “Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale”) che prevedeva la cooperazione intergovernativa nei settori considerati “questioni di interesse comune” ma senza ancora porre neppure in discussione il tema del rapporto tra migrazione e sviluppo.

Un punto di prima svolta nella politica europea si intravede con il Trattato di Amsterdam, il quale contiene innovazioni importanti: con l’introduzione nel Trattato Ce del titolo IV, denominato “visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la circolazione delle persone”, esso sancisce la competenza comunitaria in materia di immigrazione e asilo al fine di istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia35.

35 Le m odifiche introdotte dal Trattato di A m sterdam sono state am piam ente com m entate dagli studiosi. Tra questi C.F. Bergström nel suo articolo intitolato L’Europa oltre il mercato interno: commento al Trattato di

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40

A msterdam, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1998, p. 3 ss. afferm a che “gli emendamenti introdotti dal Trattato di A msterdam hanno come fine di attribuire un nuovo significato al mercato comune. G razie all’introduzione di disposizioni sui visti, l’asilo, l’immigrazione e altre politiche che riguardano la libera circolazione delle persone, ma soprattutto grazie agli impegni sociali si è cercato di sviluppare una dimensione che va al di là dei quattro settori della libera circolazione. L’intenzione di ampliare la cooperazione è rispecchiata dal chiarimento delle posizioni delle istituzioni e degli Stati membri. Il Consiglio dei ministri, la Commissione e il Parlamento europeo sono tutti stati dotati di responsabilità più evidenti e possono ora agire in migliori condizioni. In questo contesto è difficile valutare l’utilità del nuov o principio di cooperazione rafforzata. E ra all’inizio concepito per incoraggiare la cooperazione nel campo penale, ma va notato che la prospettiva di cooperazione rafforzata nell’ambito comunitario è stata circoscritta in maniera da coprire soltanto i settori dove la competenza è condivisa tra Comunità e Stati membri. Come abbiamo spiegato, questi sono anche i settori di cui si occupa il Trattato di A msterdam. Per quanto riguarda la Corte di giustizia, il suo ruolo centrale è stato confermato e notevolmente esteso per comprendere il compito di trasformare l’U nione in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. L e modifiche sostanziali e istituzionali sono completate da garanzie per il significato continuo del processo decisionale nazionale. La responsabilità della Comunità in nuovi settori è per questo stata formulata come coordinamento. In linea con questo, il Trattato di A msterdam ci consente di pensare che in futuro saranno creati un certo numero di organi più o meno autonomi per lo scambio e la valutazione delle opinioni degli esperti. Il Trattato di A msterdam, come anche il Trattato di M aastricht, è l’espressione di un compromesso politico piuttosto che di una regolamentazione giuridica. Questo non significa che il diritto comunitario perderà la sua im portanza. N ella misura in cui la natura della cooperazione sta cambiando, l’utilità del diritto comunitario che conosciamo sarà tuttavia marginalizzata. I principi di supremazia, gli effetti diretti sulla responsabilità degli Stati membri non sono sufficienti dal punto di vista giuridico per un tipo nuovo di cooperazione. Il problema è illustrato dalle nuove procedure giudiziali e dai nuovi tipi di atti giuridici. Q uesto non ci deve sorprendere. La flessibilità rispetto alle domande di cambiamento sono il destino del diritto comunitario. Questo è allo stesso tempo una sfida per noi. Per poter capire e prevedere con successo il nuovo diritto comunitario, il Trattato di A msterdam ci costringe ancora una volta a dare libero corso alle idee”.

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41 A partire dunque dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, la Comunità Europea ha inserito le questioni migratorie tra le priorità della sua azione materia di politica estera e ha dato l’avvio alla prassi della programmazione quinquennale delle azioni strategiche da condurre in collaborazione con i Paesi terzi di origine o di transito.

Le novità introdotte con il Trattato di Amsterdam sono state poi sviluppate nell’ambito del Consiglio di Tampere del 15-16 ottobre 1999, che ha segnato una tappa fondamentale nello sviluppo di una politica di migrazione europea.

Ed anzi il programma di Tampere è da tutti considerato come il momento nel quale l’Unione europea, per la prima volta, assume una posizione nuova riguardo le politiche dell’immigrazione36.

Nel documento finale del Consiglio di Tampere vengono presentati i quattro punti fondamentali che, secondo l’Unione, dovrebbero essere posti alla base delle politiche e delle azioni in tema di immigrazione:

1. partnership con i paesi di origine dei migranti

2. un sistema comune di norme in tema di diritto di asilo37

36 S. Lavenex e R. K unz, op. cit., p. 446.

37 In tem a di diritto di asilo occorre evidenziare che già a partire dalla m età degli anni Settanta l’U nione europea ha tentato di costruire una politica com une europea in m ateria di asilo, il quale è stato sem pre cons iderato quale

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