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Le Rime di Girolamo Molin (1500-1569) e la poesia veneziana del Cinquecento. Edizione critica e commento

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CLASSE DI LETTERE E FILOSOFIA

CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN LETTERATURA, ARTE E STORIA DELL’EUROPA MEDIOEVALE E MODERNA

TESI DI PERFEZIONAMENTO

L

E

R

IME DI

G

IROLAMO

M

OLIN

(1500-1569)

E LA POESIA VENEZIANA DEL

C

INQUECENTO

.

EDIZIONE CRITICA E COMMENTO

CANDIDATA MARTINA DAL CENGIO RELATORI ANDREA TORRE CORRADO BOLOGNA ANNO ACCADEMICO 2019/2020

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(3)

I

NDICE

Premessa e ringraziamenti LE RIME DI GIROLAMO MOLIN E LA POESIA VENEZIANA DEL CINQUECENTO

7

I.PER LA BIOGRAFIA: UNO STUDIO DOCUMENTARIO 13

APP. 1: Albero genealogico 28

APP. 2: Testamento 29

APP.3:Licenze di stampa: Giulio Camillo e Bernardo Tasso 33

APP.4:Decimo costituto di Endimio Calandra 34

APP. 5: Lettere di Pietro Lauro 36

II.GIROLAMO MOLIN E VENEZIA: AMICI, CENACOLI E ACCADEMIE 37 III. UNO SGUARDO POLIFONICO:

INTRECCI TRA POESIA E MUSICA NELLA VENEZIA DI METÀ CINQUECENTO 69 III.1 Il circolo Venier e la musica: un connubio felice 72

III.2 Girolamo Molin, «gentilhuomo amator de i virtuosi» 80

III.3 La messa in musica delle sue rime 85

APP.: La tradizione in musica dei testi di Molin 98

IV. LA STRUTTURA DELL’OPERA 103

IV.1 Dal “Canzoniere” al libro di rime 103

IV.2 La novità della ripartizione per argomento: le Rime di Girolamo Molin (1573) 108

IV.3 Il caso problematico dei canzonieri postumi 115

IV.4 Stabilire l’autorialità dell’allestimento 117

V.UNO SGUARDO RAVVICINATO ALLE SEZIONI 1)LA SEZIONE AMOROSA

127 127

1.1La presenza di un sonetto proemiale 129

1.2«Strano e superbo mostro». Per una lirica della gelosia 132

1.3Scorci sensuali 142

1.4 L’importanza del carpe diem 155

1.5 L’amore senile: «turpe senex miles, turpe senilis amor»? 159

2)LA SEZIONE MORALE 171

2.1 Il ciclo agreste 171

2.2 La canzone contesa: uno sguardo alla n. 142 182

2.3 Tra Carità e Ambizione 184

3) LA SEZIONE “IN MATERIA DI STATO” 189

3.1 I fatti storici e la loro ricezione letteraria 190

3.2 Raccontare il conflitto musulmano prima di Lepanto 198

3.3 Un ciclo unitario? Intorno ad alcune ricorrenze 206

3.4 Il culto veneziano per Carlo V: Molin e dintorni 207

3.5 Il mito di Venezia 211

(4)

4) LA SEZIONE “IN MORTE” 227

4.1 Una sezione distinta 227

4.2 Dire la Morte 229

4.3 I destinatari 237

4.4 Strategie di consolazione 249

4.5 Uno sguardo alle forme 254

5)LA SEZIONE SPIRITUALE 259

5.1 Uno scenario complesso 259

5.2 «Le infinite mie colpe»: la linea penitenziale 263

5.3 Tra malinconia e vecchiaia 266

5.4 Il silenzio riformistico 270

5.5 Tra monache e predicatori 273

5.6 Ancora uno sguardo alle forme 279

6) LA SEZIONE “IN VARI SOGGETTI” 283

6.1 I silenzi editoriali 284

6.2 La rete di amicizie 291

6.3 Il trittico Della Rovere 298

6.4 Il ciclo romano: i sonetti 216-222 301

6.5 Aggiunti in corso d’opera:il caso dei sonetti 239-244 305

6.6 «Nessun tardando di goderti aspetti»: versi morali nella sezione “In vari soggetti” 306

6.7 La rete politico-religiosa 307

6.8 Le memorie epigrammatiche dei madrigali 247-248 312

7) LA SEZIONE DI CORRISPONDENZA 317

VI. METRICA E STILE: QUALCHE CONSIDERAZIONE FORMALE 323

VI.1 Appunti intorno al modulo correlativo 325

VI.2Il fascino delle origini 332

VI.3Sperimentalismo metrico 343

3.1Il ballo in una ballata: un gioco di specchi 343

3.2La sestina tripla (n. 94) 346

VI.4Una nota a margine: primi sondaggi per uno studio sui sonetti continui ‘identici’ 350

VII.NOTA AL TESTO 361

VII.1Descrizione dei testimoni 361

APP. 1: Prospetto della tradizione 404

APP. 2: Mappatura delle varianti di stato degli esemplari di Rime 1573 407

VII.2 Criteri della presente edizione 411

VII.3Errori, interventi correttivi, problemi attributivi 414

LE RIME DI GIROLAMO MOLIN 433

Prefatoria di Celio Magno 435

La Vita del Clarissimo M. Girolamo Molino di Gian Mario Verdizzotti 438

Le Rime

Sezione amorosa (nn. 1-130) 443

Sezione morale (nn. 131-143) 629

Sezione “in materia di stato” (nn. 144-154) 656

Sezione “in morte” (nn. 155-180) 689

Sezione spirituale (nn. 181-198) 731

Sezione “in vari soggetti” (nn. 199-248) 772

(5)

Appendice epicedica 849

TAVOLA METRICA 865

INDICE DEI CAPOVERSI 871

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Premessa e ringraziamenti

Il poeta e politico veneziano Girolamo Molin (1500 – 1569) rappresenta una delle voci protagoniste del panorama lirico della Venezia del XVI secolo. Amico di Domenico Venier, in contatto con pressoché tutti i principali interpreti dello scenario letterario italiano del XVI secolo e vicino all’esperienza dell’Accademia della Fama, Molin godette in vita di un ragguardevole prestigio intellettuale. Le sue Rime, interessanti per i contenuti e per gli sperimentalismi formali che le innervano, furono pubblicate solo postume, nel 1573, per le cure di alcuni degli amici più intimi del defunto, ossia Domenico Venier, Celio Magno e Gian Mario Verdizzotti, quest’ultimo autore della biografia di Molin posta in apertura del volume. L’opera raccoglie duecento cinquantuno componimenti ripartiti tematicamente (amorosi, morali, politici, funebri, spirituali, in vari soggetti, di corrispondenza) e metricamente (si annoverano sonetti, canzoni, sestine, ballate, canzonette, madrigali, capitoli). L’edizione si compone anche di una prefatoria firmata da Celio Magno e, in conclusione, di una corposa appendice epicedica fra i cui testi è opportuno segnalare almeno i componimenti di Domenico Venier, Celio Magno, Pietro e Giorgio Gradenigo. Le Rime di Molin non conobbero altre edizioni oltre alla princeps e, nonostante la popolarità di cui godettero nel XVI secolo, vennero progressivamente dimenticate. Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, gli studi di Elisa Greggio e Antonio Pilot contribuirono alla riscoperta del suo profilo culturale e della sua produzione letteraria, capace di destare successivamente l’attenzione di Carlo Dionisotti, Francesco Erspamer, Edoardo Taddeo e, in tempi più recenti, Franco Tomasi, Jacopo Galavotti, Valeria Di Iasio. Il mio lavoro dottorale intende proporre un’edizione critica e commentata dell’intera produzione lirica del poeta, senza omettere di storicizzarne la scrittura sullo sfondo del dinamico e complesso contesto veneziano del XVI secolo. Alla base dell’articolazione della tesi – che si vedrà essere sostanzialmente bipartita – vi è infatti la radicata convinzione che la “sola” edizione critica dei testi non sarebbe stata capace di restituire adeguatamente l’importanza e il ruolo di Molin all’interno della stagione lirica veneziana del Cinquecento, da riscoprire in termini corali. Infatti, quasi in un’ottica orizzontale, l’esperienza poetica dell’autore deve essere indagata in relazione al fervente scenario lagunare, contraddistinto da un insieme di accademie e sodalizi privati, in cui era prassi ragionare intorno ai propri testi per il tramite di una condivisione, manoscritta o orale, che quasi sempre si tradusse in una comunanza di motivi tematici, pretesti d’occasione ed analoghi escamotages formali. Ridare voce a Molin, dunque, significa mettere in luce un’intera fase della nostra storia letteraria, da Bembo a Torquato Tasso, difficilmente riducibile alla sola replicazione del canone petrarchesco, ma altresì intenzionata a sperimentare e innovare in direzioni altre, che si è cercato di valorizzare volta per volta. La tesi si compone quindi di due parti, in dialogo reciproco: un saggio volto ad approfondire il ruolo e la personalità di Girolamo Molin all’interno del contesto veneziano cinquecentesco; e l’edizione critica commentata delle Rime. Quest’ultima, in assenza di autografi, si fonda principalmente sulla princeps, unico testimone completo delle Rime e da ritenersi discretamente affidabile, a fronte soprattutto della vicinanza dei curatori all’autore. Una recensio dell’editio princeps ha portato a individuare settantasette esemplari, distribuiti sul piano nazionale e internazionale, riuscendo a consultarne in prima persona sessantaquattro (alcuni tramite riproduzione digitale). Un’operazione di collatio ha permesso di riconoscere varianti di stato che attestano due emissioni, da intendere come testimonianza di due diversi momenti di impressione della medesima stampa (e indicate come

(8)

A e B). Uno studio ravvicinato dell’esemplare a stampa attesta altresì l’inserimento in corso d’opera di due cartesini, presenti sia in A sia in B, e contenenti componimenti di Molin fino a quel momento esclusi per ragioni ignote. Si è provveduto a emendare il testimone laddove si sono individuati errori, per lo più refusi di ordine tipografico. Ovviamente è stato preliminarmente condotto, presso biblioteche nazionali ed estere, un meticoloso censimento relativo ai testimoni manoscritti e a stampa di componimenti di Molin. L’indagine ha permesso di individuare altri diciassette testimoni manoscritti e cinque testimoni a stampa, sempre parziali. Un raffronto paleografico tra le testimonianze manoscritte e l’unica testimonianza autografa di Molin, il testamento, ha autorizzato ad escludere l’ipotesi di manoscritti autografi. Si è, inoltre, provveduto a verificare la presenza di componimenti moliniani nell’editoria musicale del XVI secolo, operazione di recensio che ha portato a individuare trentadue stampati musicali contenenti, nel complesso, sessantacinque componimenti di Molin (sulle varianti testuali attestate negli stampati musicali si è ragionato nel capitolo III, di cui si dirà più avanti). Il censimento delle sue Rime, per interessi connessi più alla storia della ricezione dell’autore che per necessità ecdotiche, è stato esteso fino al XXI secolo.

Nell’edizione dei testi ogni componimento – sul cui assetto testuale e sulla cui punteggiatura si è provveduto a intervenire come opportunamente dichiarato nella Nota al testo – è introdotto da un cappello introduttivo, teso a inquadrare brevemente l’occasione di scrittura e le specificità tematico-formali del componimento; dopo di che, laddove possibile, è fornita una proposta di datazione del testo, ricavabile da indizi interni o da ragioni di tradizione testuale. Seguono eventuali riferimenti alla tradizione del componimento (tutti i testimoni – letterari e musicali, a stampa e manoscritti – che attestano la poesia in analisi) e, successivamente, eventuali rinvii bibliografici, circoscritti a quei soli studi che citano, commentano o analizzano il componimento in questione. A seguito di ogni testo, è proposta un’analisi metrico-rimica e, infine, trova spazio un commento esplicativo ed esegetico, comprensivo di riferimenti intertestuali e infratestuali. Si è fornita una parafrasi solo in coincidenza di passaggi semanticamente oscuri o ambigui. I cinquantasei componimenti delle Rime di Molin che godono di una tradizione testuale esterna alla princeps sono corredati da un apparato critico di varianti (laddove ne presentino). Gli interventi di emendatio sono stati invece opportunamente segnalati in un elenco riassuntivo ed esplicativo, posto al termine della Nota al testo, luogo critico a cui si è rimandato anche per la discussione di congetture più articolate e per la variantistica che si ha ragione di ritenere redazionale.

La prima metà della tesi presenta, invece, un andamento saggistico e si prefigge di indagare il ruolo di Molin all’interno della rimeria veneziana del tempo, di discutere più opportunamente questioni teoriche e di metodo, e di argomentare ipotesi di identificazioni che non avrebbero altrimenti trovato adeguato spazio nella sola edizione delle Rime. Lo studio si compone di sette capitoli, di cui si darà qui rapido conto. Il primo capitolo, Per la biografia: uno studio documentario, è l’esito di un soggiorno di ricerca condotto presso l’Archivio di Stato di Venezia ed è teso ad integrare, con nuovi basi documentarie, la voce biografica proposta da Franco Tomasi nel Dizionario Biografico degli Italiani. Il capitolo, corredato da cinque appendici, approfondisce questioni inedite come i presunti contatti del poeta con lo scenario eterodosso-protestante dell’Italia del tempo. Il secondo capitolo, Girolamo Molin e Venezia: amici, cenacoli e accademie,oltre a riepilogare lo stato dell’arte, intende indagare il ruolo centrale e la percezione di Molin nel contesto veneziano coevo. Particolare attenzione è stata data alla sua presenza all’interno dei milieux gravitanti attorno a Bembo e Aretino, all’amicizia con Speroni e Trissino, alla sua

(9)

appartenenza al cenacolo Ca’ Venier e alla vicinanza all’Accademia della Fama (di cui fu silenzioso promotore), all’influenza sui poeti di secondo Cinquecento (Torquato Tasso, Celio Magno, Orsatto Giustinian) e, per cenni, alla sua (mancata) ricezione tra XVII-XVIII secolo. Il terzo capitolo, Uno sguardo polifonico: intrecci tra poesia e musica nella Venezia di metà Cinquecento, a fronte della ricca tradizione in musica delle Rime di Molin e dei suoi ravvicinati contatti con illustri musicisti del tempo, si propone di affrontare un nodo cruciale, quanto trascurato, degli studi cinquecenteschi ovvero l’incontro tra musica e letteratura. Nel corso del capitolo, dopo aver evidenziato l’importanza della disciplina musicale per il circolo Ca’ Venier, ci si sofferma più specificatamente sul ruolo di Molin e sulla tradizione in musica (e per musica) della sua scrittura. Il quarto capitolo, La struttura dell’opera, è dedicato invece all’insolita architettura del libro di rime di Molin, ripartito tematicamente e metricamente, capace di anticipare sensibilmente noti volumi poetici di fine secolo (Chiabrera, Tasso, Marino e altri). Dopo aver proposto una sintetica ricostruzione dell’evoluzione della forma del libro di poesia nel corso del Cinquecento, in progressiva rottura con l’ipotesto petrarchesco, si è ragionato sui possibili modelli alla base dell’articolazione e sulle ragioni, storico-culturali, che possono aver concorso ad una simile evoluzione. Infine, trattandosi di un’edizione postuma, si è affrontato il problema dell’autorialità, o meno, dell’allestimento. Il quinto capitolo, Uno sguardo ravvicinato alle sezioni, è a sua volta ripartito in sette parti, ognuna delle quali approfondisce la rispettiva ripartizione tematica del corpus moliniano. Ogni blocco ospita un inquadramento della lirica di Molin all’interno della rimeria italiana del tempo, tenendo conto di volta in volta di eventuali influenze dello scenario veneziano, ma non solo. Allo stesso capitolo si è affidato il compito di discutere anche ipotesi di identificazione di destinatari dei testi e di analizzare adeguatamente alcune specificità proprie della scrittura dell’autore. Al sesto capitolo, Metrica e stile: qualche considerazione formale, si è rimandato invece per osservazioni di ordine metrico, necessarie per inquadrare adeguatamente un poeta connotato sia da una fedeltà al modello petrarchesco sia da una propensione ad un’audace innovazione formale. A fronte del recente lavoro dottorale di Jacopo Galavotti sulla metrica veneziana del XVI secolo, si è scelto di circoscrivere il discorso a quattro questioni fondamentali: l’uso di Molin del modulo correlativo (di ampia fortuna nel contesto veneziano di metà secolo); il fascino per le origini e le strategie di restituzione di una patina arcaizzante; i casi di maggiore sperimentalismo formale (tra cui una sestina tripla); e l’imporsi del gusto per i sonetti continui identici. Infine, segue la Nota al testo, comprensiva della descrizione dei testimoni, dell’esposizione dei criteri alla base dell’edizione, dell’elenco ragionato degli errori e degli interventi correttivi.

*

Sul punto di congedare questo lavoro, desidero ringraziare i molti professori che mi hanno sostenuta durante il percorso, sempre pronti ad accogliere il mio entusiasmo: Andrea Afribo, prima guida e senza il quale non mi sarei avvicinata a Girolamo Molin; Corrado Bologna, per aver creduto in me fin dall’inizio e per avermi sempre incoraggiata; Stefano Carrai, sempre generoso di suggerimenti e sostegno; e infine Andrea Torre, che ha accompagnato questa ricerca con raro altruismo e attenzione. Sono poi grata a tutti coloro che, nel discutere con me alcuni passaggi della tesi, mi hanno offerto preziosi consigli: Simone Albonico, Luigi Blasucci, Lina Bolzoni, Andrea Comboni, Alessio Cotugno, Massimo Danzi, Valeria Di Iasio, Federico Di Santo, Luca D’Onghia, Matteo Fadini, Marco Faini, Bernard Huss, Martin Korenjak, Chiara Lastraioli, Roberto Leporatti, Emilio Manzotti, Pedro Memelsdorff, Alessandro Metlica,

(10)

Stefania Pastore, Federica Pich, Fabio Pusterla, Stefano Prandi, Eugenio Refini, Matteo Residori, Emilio Russo, Beatrice Sica, Arnaldo Soldani, Sabrina Stroppa, Franco Tomasi, Francesco Venturi. Ho cercato di seguire al meglio tutti i loro suggerimenti. Un sentito ringraziamento va pure all’Italienzentrum della Freie Universität di Berlino, alla Fondation Barbier-Mueller di Ginevra, alla Scuola dottorale confederale in Civiltà italiana di Lugano e alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Un pensiero affettuoso spetta anche a tutti i colleghi che ho avuto la fortuna di incontrare: oltre ad avermi insegnato molto, hanno regalato a questi anni momenti di serena leggerezza. Un pensiero speciale va però a tutti gli amici che con cui ho condiviso il mio percorso in Normale. A ognuno di loro va il merito di aver reso la mia quotidianità a Pisa un momento privilegiato, di cui avrò sempre memoria. E ancora grazie di cuore alla mia famiglia e a Davide per esserci sempre. Infine, nel chiudere queste pagine ripenso, con sincera gratitudine, anche ai molti luoghi che ho avuto l’occasione di vivere, alla fortuna di essermi appassionata tanto a questa ricerca, ai continui spunti di crescita culturale e personale di cui ho goduto, ai molti momenti felici che ho trascorso con la brigata pisana. Quindi a tutti voi, con un sorriso, grazie.

(11)

Venezia è una città così straordinaria che non è possibile farsene un’idea senza averla vista. Non bastano carte, piantine, modelli, descrizioni: bisogna proprio vederla. Tutte le città del mondo sono più o meno simili fra loro: Venezia non è simile ad alcun’altra.

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IME DI GIROLAMO

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OLIN E LA POESIA VENEZIANA DEL

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INQUECENTO

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P

ER LA BIOGRAFIA

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UNO STUDIO DOCUMENTARIO1

All’alba del XVI secolo nacque a Venezia il conte Girolamo Molin (15002 – 1569), figlio

primogenito di Pietro Molin e Chiara Cappello, nobili ben inseriti nello scenario politico-amministrativo veneziano del loro tempo. Pietro (1474 – 1552) fu l’unico figlio maschio di Giacomo Molin (1458 – † ante 1514), apprezzato dottore e senatore, e della veneziana Chiara Erizzo, della quale le informazioni biografiche sono pressoché nulle. Il padre del poeta si dedicò alla carriera politica senza raggiungere, però, incarichi di grande rilievo: nel dicembre 1525 fu eletto Provveditore sopra gli uffici e le cose del regno di Cipro;3 e nel dicembre 1527

fu Provveditore sopra gli Uffici.4 Poi, dal 7 maggio 1531 al 9 maggio 1532, fu responsabile del

Provveditorato alle pompe ovvero a capo della sorveglianza sull’applicazione delle leggi suntuarie.5 Nel 1498,6 poco più che ventenne, Pietro sposò la patrizia Chiara Cappello,7

esponente di una delle famiglie veneziane più prestigiose tra il XV e XVI secolo. Dalla loro unione matrimoniale nacquero almeno altri due figli, Nicolò (1501 circa – 1589) e Giacomo (1503 circa – 1536).Le date di nascita di questi ultimi non sono certe e si ricavano dalla loro candidatura coram advocatoribus della Repubblica, avanzata dal padre Pietro, in occasione del sorteggio previsto nel giorno di S. Barbara (4 dicembre), usanza che permetteva ai giovani nobili di accedere anticipatamente al Maggior Consiglio, acquistando così il diritto alle cariche

1 Il profilo biografico, in assenza di carteggi e di documentazione privata, si fonda sostanzialmente su fonti storico-archivistiche e letterarie. Ho quindi condotto una ricerca presso l’Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi ASVe) volta ad integrare, con nuovi basi documentarie, la voce biografica di TOMASI 2011. La definizione dell’albero genealogico della famiglia Molin è proposta nell’APP.1. Molte informazioni sulla vita del poeta sono ricavabili dal suo testamento autografo, redatto tra il 28 e il 30 maggio 1567 e depositato presso il notaio Cesare Ziliol. Del documento si allega una trascrizione completa al termine del capitolo e da qui in avanti verrà indicato come Testamento (APP.2). Per una

ricostruzione biografica, oltre alla preziosa testimonianza di Verdizzotti, si segnala l’accenno all’autore da parte di TIRABOSCHI 1833,p. 1157 e di ZILIOLI 1848, pp. 17-19.

2 L’anno di nascita è suggerito dalla testimonianza di Gian Mario Verdizzotti (cfr. Vita, c. ⸭7r), autore della biografia posta in apertura delle Rime, ma non trova conferma in documenti ufficiali. Infatti, i registri contenenti gli atti di nascita dei Patrizi veneziani, i cosiddetti Libri d’Oro, furono stabiliti con decreto del Consiglio dei Dieci a partire dal 31 agosto 1506. Elementi documentari, tuttavia, suggeriscono di anticipare l’anno di nascita al 1499 (si vedano le note 18 e 75).

3 Cfr. SANUTO I Diari, vol. XL, col. 398. 4 Cfr.SANUTO I Diari, vol. XLVI, col. 341.

5 Cfr. ASVe, Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio. Registri, Pezzo 1, c. 28 [già 25].

6 Per la datazione del matrimonio cfr. ASVe, Avogaria di comun. Matrimoni patrizi per nome di donna, 086/ter I, p. 102.

7 Chiara Cappello († 1506?) fu figlia del generale patrizio Nicolò Cappello e Francesca Loredan, nonché sorella del noto Vincenzo Cappello (1469 – 1541), capitano generale della marina della Repubblica Veneta (per lui rimando alla ricostruzione biografica di OLIVIERI 1975), e di Domenico Cappello († 1531), senatore veneziano. Per completezza si segnala che i tre fratelli Cappello furono cugini di Francesco Cappello (1479 – 1513), padre del noto poeta – e amico di Molin – Bernardo (1498 – 1565).

(14)

pubbliche:8 Nicolò Molin, presentato in data 17 novembre 1521, è detto avere vent’anni,

mentre la candidatura del fratello Giacomo (di cui però non si specifica l’età) è datata invece, poco dopo, al 24 dicembre 1521.9 Stranamente, non è attestata invece nessuna candidatura per

Girolamo: elemento anomalo soprattutto in virtù della sua natura di primogenito. Le congetture circa la sua assenza sono varie. Non si può escludere un precoce conflitto con il padre o che il giovane poeta non desiderasse partecipare al sorteggio pubblico, per quanto prassi consueta fra gli aristocratici veneziani dell’epoca, che concepivano il sorteggio come un debutto ufficiale nella vita pubblica. In alternativa, è forse più ragionevole pensare che non fosse a Venezia nel 1521. In ogni caso, non vi sono certezze. Elisa Greggio ipotizza, inoltre, l’esistenza anche di una sorella, che dice essere stata data in moglie al nobile veneziano Vincenzo Basadonna:10 l’idea non pare convincente perché se da un lato è effettivamente

certificato un matrimonio tra l’omonimo patrizio e una certa Margherita Molin, q. di Pietro, bisognerà altresì precisare che questa unione è datata al 12 aprile 1589 e quindi troppo tarda per risultare accettabile.11

A Venezia sono tuttora presenti numerosi palazzi Molin,12 legati ai vari rami della famiglia

nobiliare,13 ma la dimora del poeta è detta trovarsi nella contrada della Maddalena:14 Scritto in Vinitia in casa mia in contrada de la maddalena (Testamento, c. 3v)

Non è stato possibile identificare con esattezza la sua abitazione, per quanto sicuramente vicina alla Chiesa di Santa Maria Maddalena (Cannaregio), oggi sconsacrata, la cui fisionomia originaria fu stravolta da lavori di ricostruzione avvenuti nel XVIII secolo. Eppure vale la pena

8 L’ingresso al Maggior Consiglio, e quindi alla vita politica, poteva avvenire in due modalità: con il raggiungimento dei 25 anni o tramite estrazione entro il gruppo di trenta giovani aristocratici sorteggiati annualmente per accedere in consiglio anticipatamente, all’età di 20 anni.

9 Per entrambi cfr. ASVe, Avogaria di comun, Balla d’oro, Reg. 165 IV, c. 166r [già c. 162r]). Inoltre, il 12 novembre 1521 è certificato il nome di «Sier Jacomo Molin di sier Piero, q. sier Jacomo dotor» tra i nobili che versano 10 lire (= 10 ducati d’oro) per l’accesso al Consiglio dei Dieci (SANUTO I Diari, vol.

XXXII, col. 129), così come il nominativo è di nuovo attestato nell’elenco, del dicembre 1521, di «tutti quelli gentihomeni che hanno depositado per soi fioi e per loro per venir a Gran Consejo, avendo anni 18 habbino la prova di 20» (cit. da SANUTO I Diari, vol. XXXII, col. 314).

10 Cfr.GREGGIO 1894,I, p. 194.

11 Cfr. ASVe, Avogaria del comun, Matrimoni patrizi per nome di donna, 086 / ter I, p. 61.

12 Ad esempio: Palazzo Molin Cuoridoro (San Marco), Palazzo Molin a San Basegio (Dorsoduro), Palazzo Molin a San Fantin (San Marco), Palazzo Molin a San Maurizio (San Marco), Palazzo Molin a San Zulian (San Marco), Palazzo Molin Cappello a Sant’Aponal (San Polo), Villa Molin (Padova). 13 Per individuare il ramo familiare di Girolamo Molin: cfr. ASVe, Miscellanea codici I – Storia veneta (già miscell. Codd. 894), b. 20; M.BARBARO, Arbori de’ Patritii veneti, vol. V, 23, p. 221 e G.A.CAPPELLARI, Il campidoglio veneto, cc. 102v-111v, in particolare c. 104r (ms. Marc. It. VII, 17 [= 8306]). Segnalo che il nome di Molin Girolamo, affiancato dalla data 1505, compare nel cod. Cic. 3434 (Biblioteca Correr) a c. 334r, elenco di esponenti delle famiglie patrizie del XVI secolo.

14 Nel sestiere di Cannaregio, vicino a campo della Maddalena, erano presenti molteplici Palazzi Molin, tra cui: l’attuale Palazzo Molin Erizzo, di proprietà dei Molin fino al 1650, l’attuale Palazzo Marcello (acquisito dai Marcello nel 1517 tramite dote), il Palazzo Molin Gaspari e il Palazzo Molin Querini (appartenuto sicuramente ai Molin della Maddalena). Per uno studio generale sui palazzi della famiglia cfr.CANATO –PASQUALINI CANATO 2015 e BRUSEGAN 2017. Mario Canato identifica l’abitazione di Domenico Molin (1515 – 1595), q. Marco, pittore in contatto con Aretino, Tintoretto e Tiziano (con il quale collaborò per la realizzazione del vestibolo della Biblioteca di San Marco nell’attuale Palazzo Soranzo Piovene), nella contrada della Maddalena e lasciato in eredità a Marco Antonio Marcello (1545 – 1606), nominato suo commissario ed erede universale (per questo cfr. CANATO 2014, p. 26).

(15)

ricordare, per lo meno, la testimonianza di Pietro Aretino che, in una lettera rivolta all’amico, scrive:15

Io, dottissimo amico, determinai otto dì sono di venir questo giorno proprio non pur a godermi l’architettura e la vista della bellissima e comoda casa vostra ma la magnificenza dell’ottimo M. Pietro, di cui voi e lo eloquente M. Nicolò siete onorati figliuoli […]

(Venezia, 16 dicembre 1537)

L’eleganza del palazzo e l’allusione alla bellezza della vista alimentano il sospetto che la dimora nobiliare si affacciasse su Canal Grande, come riservato alle abitazioni patrizie di maggior prestigio. In assenza di materiale d’archivio, tuttavia, bisognerà sospendere l’identificazione.16

Secondo le aspettative familiari, Molin intraprese probabilmente studi di diritto finalizzati ad una carriera interna alla Serenissima. I fratelli si indirizzarono all’attività forense: per Nicolò il primo incarico attestato è del 7 novembre 1529 in qualità di Advocatus per omnes Curias, mentre Giacomo è menzionato nel settembre 1527 tra i dieci giudici di un caso giudiziario.17 Per

Girolamo, la documentazione rileva solo mansioni minori, evidentemente indizio dello scarso interesse del poeta nei confronti della vita pubblica. Nel 1524 svolse il mandato di Ufficiale tabulae introytus,18 nel 1526 è riportato come «Uno V di la paxe, senza oblation»,19 nel 1527

diventa Ufficiale alla Tavola delle entrate,20 nel marzo 1528 è indicato come Pregado,21 come

Ufficiale alle Beccherie nel 153022 e poi come Ufficiale al Frumento a S. Marco nel 1535.23

Negli stessi anni fu chiamato a sostituire nei suoi compiti il capitano Giovanni Erizzo24 e a

esprimere pareri per la concessione dei diritti di stampa da parte della Repubblica (APP.3): nel 1533, insieme a Bernardo Navagero (1507 – 1565), a favore del commento di Giulio Camillo

15 ARETINO Lettere, vol. I, n. 294, pp. 405-406: 405.

16 Per le proprietà familiari è possibile anche affidarsi alla redecima del 1514 (redatta dalla nonna Chiara Erizzo il 15 agosto 1514) in cui si dichiara «Una caxa da stacio posta in la contra’ de la maddalena in ne la qual io abito estimada per ducati 40 val ducati 40» (ASVe, Savi decime, 1514, b. 46, S. Maria Maddalena, 23, c. 1r). Ho verificato le condizioni di decima del 1514 (APP.4); quelle del 1537 e del 1566, nonostante

le ricerche e le richieste d’ufficio agli archivisti, non sono state rintracciate. 17 Cfr. SANUTO I Diarii, vol. XLVI, p. 6.

18 ASVe, Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio. Registri, Pezzo 7, c. 62v, con nomina il 23 settembre 1524. Il fatto che Molin abbia svolto nel 1524 la prima carica politica confermerebbe il suo aver conseguito 25 anni. Questo porterebbe ad anticipare l’anno di nascita al 1499.

19 Insieme a Lorenzo Tagliapietra q. Nicolò, Paolo Contarini q. Zuan Matio e Piero Contarini q. Matio (cfr. SANUTO I Diarii, vol. XLIII, col. 217).

20 Nell’ottobre 1527 «Sier Hieronimo da Molin fo a la Taola de l’Intrade, di sier Piero» (cfr. SANUTO I Diarii, vol. XLVI, col. 168).

21 La sua candidatura è accompagnata da quelle dei fratelli e del padre (cfr. SANUTO I Diarii, vol. XLVII, coll. 55-56). I Pregadi erano i membri di un Senato consultivo, in materia politica, economica e militare, con la presidenza del Doge.

22 Responsabile dell’approvvigionamento di carne della città di Venezia. Fu in carica dal 16 settembre 1530 fino al 15 gennaio 1532 (ASVe, Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio. Registri, Pezzo 1, c. 76 [già c. 73]).

23 Responsabile dell’approvvigionamento, della conservazione e distribuzione dei cereali in città. Fu in carica dal 2 maggio 1535 fino al 2 settembre 1536 (ASVe, Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio. Registri, Pezzo 1, c. 54 [già c. 51]).

24 Gennaio 1530: «Fu posto, per li Consilieri, dar licentia a sier Zuan Erizo capitanio de Raspo, de poter venir in questa terra per zorni 15 a curar la egritudine sua, lassando in loco suo sier Hieronimo da Molin di sier Piero, un in parte. Fu presa.» (cfr. SANUTO I Diarii, vol. LII, col. 493).

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alle Rime di Petrarca25 (poi non andato a stampa per motivi sconosciuti) e nel 1534 a favore del

primo libro degli Amori di Bernardo Tasso.26

Nel corso degli anni Cinquanta Girolamo continuò a rivestire ruoli minori nell’ambito dell’amministrazione: nel 1553 fu Provveditore sul Cottimo di Alessandria27 e nel 1556 sul

Cottimo di Damasco.28 La scelta del poeta di non impegnarsi attivamente nella politica

veneziana non raccolse il favore di alcuni dei suoi amici, come Bernardo Tasso o Pietro Massolo, che non mancarono di esortarlo ripetutamente ad una maggiore partecipazione alla vita pubblica, rimproverandolo altresì di non sfruttare adeguatamente la propria saggezza per un bene collettivo.29 Franco Tomasi suggerisce che il rifiuto di Molin per la carriera politica

abbia contribuito a inasprire i rapporti con il padre e abbia comportato una fragile condizione economica, come dimostrano le notizie di debiti contratti con amici e sodali.30 D’altra parte né

Nicolò né Giacomo (morto troppo giovane) conseguirono posizioni di più alto prestigio politico; anzi, dalla documentazione d’archivio risulta, a ben guardare, che fu proprio Girolamo a rivestire il maggior numero di cariche pubbliche. Dunque un’ulteriore causa di tensione si potrebbe riconoscere, forse, anche nel rifiuto del primogenito di contrarre un matrimonio che avrebbe certamente garantito rilievo sociale e supporto economico alla famiglia. Questa infatti sembra essere la principale differenza che intercorre tra Girolamo e Nicolò, sposatosi invece con Marcella Marcello nel febbraio del 1540 (more veneto), dalla cui unione nacquero però solo figlie femmine.31

Il poeta fu coinvolto dal fratello Nicolò in un prolungato contenzioso giudiziario per la suddivisione dei beni e per la gestione del patrimonio della zia paterna, Elena, con la quale il

25 Inoltre, come osserva Sanuto, l’8 marzo fu concesso, dal governo veneziano, un privilegio decennale per la stampa di un Petrarca novo con l’artificio [di] Julio Camillo (cfr. SANUTO I Diarii, vol. LVIII, col. 115). Per Camillo commentatore delle Rime di Petrarca cfr. ZAJA 2003e, per l’opera, CAMILLO Chiose, a cura

sempre di Paolo Zaja.

26 Da identificare, probabilmente, nel Libro primo degli Amori di Bernardo Tasso, Venezia, per Giovanni Antonio da Sabbio, settembre 1534, con dedica al Principe di Salerno. Molin, probabilmente in coincidenza della pubblicazione, compose il sonetto Rime 204 in lode sia di Tasso sia di Ferrante Sanseverino.

27 Magistratura istituita per controllare la gestione finanziaria dei consolati in Egitto, con riguardo nei confronti dei cottimi ovvero l’imposta applicata alle merci esportate dai mercanti veneziani e destinata a sostenere le spese consolari. Fu in carica, per 5 mesi al posto di 16, dal 9 novembre 1553 fino al 3 marzo 1554 (ASVe, Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio. Registri, Pezzo 3, c. 31 [già 27]). 28 Come per il Provveditorato sul Cottimo di Alessandria (vd. n. 27), questa magistratura è relativa invece ai consolati in Siria. Fu in carica dal primo agosto 1556 fino al 7 novembre 1557 (ASVe, Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio. Registri, Pezzo 3, c. 32 [già 28]).

29 Merita di essere ricordato un sonetto di Pietro Massolo di rimprovero a Molin: «Girolamo se ’l vostro alto Molino / a la patria potea tornar la Madre, / che gl’havean tolto le nimiche squadre, / sol co ’l vivace ingegno alto, et divino, // ond’è, che voi, cui il lontano e ’l vicino, / del saper, et del dir chiamano il padre, / di colui non seguite il bel camino / che de’ rei spense l’empie voglie et ladre? // Nulla giova il saper, s’ei non s’adopra / et vana è l’eloquenza senza il frutto. / Il qual si coglie da metterla in opra; // dunque a la patria, che sì v’ama et cole, / huop’è Signor, che vi doniate tutto, / et sarete a Noi polo novo, et sole» (in MASSOLO Rime, IV, cc. 228v-229r); per il disappunto di Tasso cfr. TASSO Lettere, vol.

I, n. CLXXXVI, p. 157 [329].

30 Segnalo che il nome di «Hieronomo Molin q. sier Piero» è detto risanare il proprio debito di 1000 ducati con il banchiere Mafio Bernardo nell’ottobre del 1532 (cfr. SANUTO I Diarii, vol. LVII, col. 34). 31 L’unione fu celebrata in San Biagio della Giudecca nel febbraio 1540 (more veneto), ma notificata il 19 maggio 1541; cfr. ASVe, Avogaria di comun, Matrimoni patrizi per nome di donna, vol. I, p. 41.

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nostro risiedeva.32 Nel proprio testamento Girolamo data l’inizio della contesa al 1543,33 ma è

dopo la morte del padre, nel 1552, che i rapporti fra i fratelli si inasprirono sensibilmente. Per sentenza arbitrata da Gian Battista Contaremo e Marino de Silvestri, la villa di Roncavolo (Arzerello, Piove di Sacco) e i campi connessi, fino al sopraggiungere della morte della zia avrebbero dovuto mantenersi indivisi tra i due fratelli. Con il venir meno della parente, in qualità di primogenito, Girolamo reclamò il pieno controllo dell’eredità, chiedendo la restituzione dei territori al fratello, che però si oppose. Il poeta, appellatosi ai Giudici del Proprio in data 14 ottobre 1554, ottenne la condanna di Nicolò.34 Quest’ultimo si rifiutò

comunque di ottemperare alla sentenza e i Giudici del Proprio ordinarono, con una lettera del 2 aprile 1555, che venissero eletti due (tre in caso di discordia) periti per confermare la decisione presa in precedenza. Il fratello si oppose nuovamente e il 14 novembre 1557 fece appello alla Quarantia Civil Vecchia chiedendo che fossero annullate le imposizioni precedenti. Dopo tre giorni, il ricorso venne definitivamente respinto.35 Un altro motivo di tensione è

datato al 15 gennaio 1555, quando Girolamo presentò al Proprio un ulteriore ricorso perché fosse garantito l’adempimento della volontà materna. Quest’ultima aveva lasciato come esecutori testamentari il marito Pietro, la suocera Chiara Erizzo, i fratelli di lei e, nel caso tutti loro fossero morti, Filippo Bono, Antonio Cappello, Vittore Grimani e i loro successori procuratori di San Marco. Il ricorso di Girolamo lascia intendere il tentativo del fratello Nicolò

32 Colgo l’occasione per segnalare un paio di errori attestati nello studio City Culture and the Madrigal at Venice (Berkeley-Los Angeles 1995) di Martha Feldman. In un elenco di materiale documentario relativo a Girolamo Molin, la studiosa indica il ms. Cicogna 1099 [in realtà ms. Correr 1099], riferendo che esso contiene la difesa del poeta davanti al Consiglio dei Dieci. In effetti il manoscritto alle cc. 119r-142r contiene quanto detto, ma si riferisce a fatti del 1722 ed è dunque da ricondurre all’omonimo Girolamo Ascanio Molin, patrizio e intellettuale veneziano del XVIII secolo.

33 Testamento, c. 1v.

34 Per la testimonianza cfr. ASVe, Giudici del Proprio, Sentenze a legge e giudice delegato, 1364 – 1797, reg. 17 (orig. 50), cc. 93r-94v.

35 A margine segnalo di aver rinvenuto, presso la Biblioteca Correr di Venezia, un faldone contenente il «CONTO DE M. FRANCESCO DI PRIOLI | PRESENTATO CONTRA LA HE-|REDITA DEL Q. M. GIRO-|LAMO DA MOLIN, | ET LA COM-|MISSARIA DEL Q. MAG. M. PIETRO | DA MOLIN DEL M.D.L.V. | AL PETITION» (cod. MS P. D. 509 – c/I). Il faldone ospita un computo compilato da Francesco Priuli, datato all’11 dicembre 1555. Il fascicolo, di 31 pagine, ospita una trascrizione precisa di spese e conti sostenuti da Pietro e Girolamo Molin a partire dall’anno 1544 fino al 1546. Lo spoglio registra minuziosamente le attività commerciali della famiglia, sempre sotto il controllo dei «m.ci ms. Ier.mo e P.ro da Molin». Negli elenchi si attestano frequenti contatti con Alessandria per il commercio di generiche «spezierie», tra cui zenzero, cannella, garofano e pepe, con Bassano per l’acquisto di preziosi «panni» e, senza indicare un luogo di provenienza, il ripetuto commercio di «ambra lavorada per conto del magn.co Mafio Bernardo», non identificato. Sono riportati acquisti anche «da Cataro», commercio di «caffe st. p(er) portar in barcha», la compravendita di «cime di rocha» e «bande larghe». Sono trascritte le «spese di sementia» e di «mercanzia», commerci con ebrei di nome Abram Sanzo Hebreo e probabilmente, dati i nomi, Samuel Bonano, David Zamero, Jacob, Simon de Zuane, Gilaf Moro. Nell’ultima pagina, p. 31, si legge: «Li m.ci Ms. Ier.mo e P.ro da Molin dieno dar p(er) nostro de questo co(n)to trato da driedo con risservatio di ogni st. qualunque error». Alla dichiarazione segue, in grafia diversa, la postilla: «Hieronymus landriano (?) cum petionum exemplavi et alio producto in offi.o V. N. domini Francesco de Priulis sub die Xi xembris 1555». Dallo studio del testo, reso però difficoltoso da una grafia particolarmente ostica, pare che a Francesco Priuli, forse un notaio, sia stato dato il compito di conteggiare i resoconti finanziari della famiglia, apparentemente solo per l’arco cronologico indicato, così da poter supportare o meno l’eredità di Girolamo Molin (il termine contra infatti, oltre al significato facilior, ammette anche il valore di ‘in risposta a’).

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di esercitare un controllo eccessivo pure sul lascito della madre.36 Una lettera del 1558 all’amico

Bernardo Tasso testimonia, però, la propria soddisfazione di Girolamo per l’esito vittorioso dello scontro legale contro il fratello:37

Hora per gratia di Dio son di questi miei continui, et gravosi travagli in gran parte uscito fuori; percioche oltra i tanti giudicii per l’adietro sempre seguiti a favor mio, et contra mio fratello, et mio insieme durissimo aversario, n’è ultimamente seguito uno nella Quarantia civil vecchia di sorte delle mie giustitissime ragioni informato, che uditi gli Avocati d’una parte, et l’altra con tutte le ballotte consentienti, ch’erano trenta dua, senza haverne per una ne contraria, ne non sincera, il che non è più mai per ricordo d’huomini occorso a Venetia, massimamente in laudo d’una sententia, come fu la mia, largamente mi diede compiuta vittoria, il che ho voluto scrivervi per consolation vostra.

(22 gennaio 1558)

In realtà, il conflitto legale proseguirà anche dopo la morte del poeta, interessando il successore di quest’ultimo, Antonio. Infatti, il 25 febbraio 1569 (more veneto), Nicolò si presentò ai Giudici del Proprio rivendicando il presunto ruolo di vero «haeredis et residuariae mag. Hieronimis». In data 16 marzo 1570 è testimoniata una supplica ai giudici di Antonio, nominato erede da Girolamo in persona, e che ha inizio con le seguenti parole:38

Fiero proponimento è quello del mag. M. Nicolò Molin e ingiustosissimo disegno perché senza ragione alcuna tenta ogni hora nove liti contro la tenue eredità del q. cl.mo m. Hier. suo fratello sperando, che si come la vita di quello con tal mezzo ha veduto finire, così medesimamente li pochi beni a me poverino Antonio Molino servitore di V.re Sign.rie Cl.me Sig. Giudici Proprio siano o in palazzo consumati o a lui per disperazione lasciati, ma sia certo che sieno che ne l’uno ne l’altro gli riuscirà mediamente la buona giustitia.

La sentenza definitiva, emessa in data 27 maggio 1570, concesse a Nicolò Molin il pieno controllo sulla proprietà di Roncavolo (Arzerello, Piove di Sacco).

Come anticipato, Girolamo non si sposò, secondo l’idealizzazione di Gian Mario Verdizzotti per non distrarsi dallo studio, ma fu coinvolto in intrecci amorosi con donne veneziane per lo più non identificabili. Ebbe, molto probabilmente, un legame importante con l’aristocratica vicentina Taddea Revese, della quale non ci sono pervenute notizie, e che lo soccorse economicamente in più occasioni, come Molin puntualizza dettagliatamente nel testamento. Non ebbe figli, ma dal novembre del 1553 fu tutore di un giovane di nome Girolamo affidatogli dal capitano e amico Lombardino Tetrico da Zara († 1555).39 Nel 36 Cfr. ASVe, Giudici del Proprio, Sentenze a legge e giudice delegato, 1364 – 1797, reg. 17 (orig. 50), cc. 145v-146r. Il testamento della madre è datato al 29 luglio 1506.

37 Per la lettera di Girolamo Molin a Bernardo Tasso in TASSO Lettere, vol. II, n. CXL, pp. 451-452. 38 Per entrambe le testimonianze cfr. ASVe, Giudici del Proprio, Sentenze a legge e giudice delegato, 1364 – 1797, reg. 25 (orig. 63), cc. 189r-192r.

39 Il capitano di ventura, figlio di Giovanni Detrico di Zara (condottiero a servizio per la Serenissima dal 1500 al 1521), incominciò il suo servizio militare per Venezia probabilmente dopo la morte del padre, nel 1521, come confermano i Diarii di Sanuto. È segnato a capo di 24 stradioti (soldati dalmati e albanesi) e al servizio dei Veneziani nel dicembre 1527 (cfr. SANUTO I Diarii, vol. XLVI, col. 429), nel febbraio del 1528 (cfr. SANUTO I Diarii, vol. XLVI, col. 624) e nel settembre 1528 (SANUTO I Diarii, vol. XLVII, coll. 443 e 496). Nel suo testamento Molin accenna a come pare essere avvenuta la loro

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testamento Molin non manca di insistere sull’impegno economico richiesto per il mantenimento del giovane, dipinto come spesso indisciplinato e ingrato.

Con la seconda metà degli anni Cinquanta, il poeta intraprese un viaggio a Roma, probabilmente per piacere e finanziato dall’amico Giulio Contarini, procuratore di San Marco.40 Della trasferta sono conservate tracce sia nel testamento41 sia in una serie di

componimenti in vari soggetti tràditi nelle Rime (nn. 216-217 e 219-222). Durante il soggiorno romano Girolamo fu ospite dell’amico Bernardo Navagero,42 diplomatico veneziano presso la

Santa Sede nel periodo compreso tra settembre 1555 e marzo 1558, lasso di tempo entro cui si deve collocare anche il viaggio del poeta. Il dato si ricava dalla testimonianza offerta dal Dialogo di Gian Maria Memmo (Venezia, Giolito, 1563).43 Nell’introduzione dell’opera,

articolata in tre partizioni, l’autore racconta di essersi recato a Roma nel maggio del 1556 e di aver preso parte alle discussioni filosofiche del cenacolo culturale gravitante attorno a Navagero, avente sede nell’allora palazzo dell’ambasciata veneziana, vicino alla Basilica di Santa Maria sopra Minerva, dove nel 1547 era stato sepolto Pietro Bembo.44 Le parole di conoscenza: «havendo io scosso molti anni li provision sue sì alla camera di Vicenza come in questa terra al offitio sopra li camere feci saldo con lui» (Testamento, c. 1v).

40 Intimo amico di Molin (Verdizzotti nella Vita lo definisce «tra tutti gli altri il più antico et più caro […] che seco era cresciuto in amore indissolubile più di anni cinquanta continui», c. ⸭⸭3v) e parente acquisito (è indicato come genero di Marco Molin in Testamento, c. 3v). Giulio Contarini divenne prima senatore della Repubblica, nel 1526, poi procuratore di San Marco a partire dal 1537 e – secondo le parole di Celio Magno – collaborò per molti anni con la Santa Inquisizione (certamente ante 1572). Come Girolamo, anche Giulio Contarini (morto nel 1580) è sepolto presso la Chiesa di Santa Maria del Giglio, che Verdizzotti precisa essere stata la parrocchia più vicina alla sua dimora (Vita, c. ⸭⸭3v). Pietro Massolo gli dedicò il sonetto Se Roma hebbe i Fabritii, e i Ciceroni, che Francesco Sansonvino, autore del commento alle Rime di Massolo, chiosò così: «Celebra l’integrità et la molta sufficientia di M. Giulio Contarini Procurator di san Marco, il quale essendo huomo eloquente, et di molto spirito, orava spesso nelle materie publiche et di stato, con grande utile della Repub. et somigliandolo il P.[oeta] à gli antichi Senatori di Roma et d’Athene, dice, che spende quei rari doni che ha avuti dalla natura, per servitio della patria sua. Onde verrà tempo, che potrà manifestamente mostrare con l’attione quello ch’esso teneva nel cuore, cio è ’l desiderio di spenger il Turco, si come esso veramente mostrò spesso in Senato con molta sua lode, nella occasione della guerra passata l’anno 1571» (per il testo e il commento cfr. MASSOLO Rime [1583], III, c. 197r-v).

41 «Al Cl.mo ms. Giulio Contarini mio Comissario son debitore di ducati ducento, questo appar per istrumento del Savina Nodaro, alla sua procuratia, li qual denari spesi quasi tutti quando andai a Roma et in vistirmi et in viaggi et altre spese» (Testamento, c. 1v).

42 Per il profilo biografico e studi bibliografici cfr. SANTARELLI 2013. Bernardo Navagero (Venezia 1507 – Verona 1565) fu prima ambasciatore presso Carlo V (1543 – 1546), quindi presso il sultano Solimano (1550 – 1552), e poi ambasciatore veneziano presso la Santa Sede dal settembre 1555 al marzo 1558. In seguito svolse il ruolo di ambasciatore straordinario presso l’imperatore Ferdinando I (1558) e re Francesco II di Francia (1559). Infine, nominato vescovo di Verona nel 1562, ritornò a Roma in qualità di cardinale in seguito alla nomina da parte di papa Pio IV nel 26 febbraio 1561. Morì a Verona il 13 aprile 1565 dopo aver raccomandato come successore al suo vescovado il nipote Agostino Valier, nonché suo biografo ufficiale.

43 L’opera è stata preceduta dai Ragionamenti di cose di governo – rimasti manoscritti e ambientati negli anni Quaranta nel palazzo veneziano di Giovanni Corner – tra il cardinale Niccolò Ridolfi, il vescovo Fiesole Baccio Martelli, Gian Giorgio Trissino, Hurtado de Mendoza, il patriarca d’Aquileia Giovanni Grimani, il vescovo di Torcello Gerolamo Foscari, l’abate Francesco Loredan, il cavaliere gerosolimitano Giustiniano Giustinian. Per uno studio sul Dialogo del 1563 si veda MEMMO Dialogo politico, recentemente

edito per le cure di Luigi Robuschi.

44 La localizzazione del palazzo non è certa. La vicinanza alla Chiesa della Minerva è, ancora una volta, suggerita da Memmo: «Passata la notte, in cui ciascun havea preso il natural riposo, la matina poi per tempo levatosi dal letto il clarissimo Ambasciator Navagero, e vestitosi, sì come era il suo costume, per far esercizio si avviò a piedi alla Chiesa della Minerva, per udire ivi la messa; et accompagnato dal suo

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Memmo riferiscono le discussioni filosofico-politiche avvenute tra importanti interpreti del panorama veneziano a Roma, di cui furono protagonisti i fratelli cardinali Luigi e Federico Corner, Monsignor Giovanni Grimani, Monsignor Girolamo Foscari Vescovo di Torcello, Bernardo Salviati priore di Roma, Monsignor Zaccaria Delfino Vescovo di Liesena. A questi si aggiungono anche Girolamo Molin e lo storico Pietro Giustinian (Venezia 1497 – 1576):45

Ora avvenne un giorno fra gli altri che in così bel ridotto si trovassero [...] m. Girolamo Molino e m. Pietro Giustiniano nobili venitiani i quali dopo aver pranzato dal Navagero per passare il tempo si posero a ragionare qual per comun openione fosse la migliore, più oscura e felice vita, che potesse far l’huomo in questo mondano peregrinaggio.

Inoltre, a conferma del viaggio romano di Molin nel 1556, si ricordi anche la testimonianza di una lettera, redatta lo stesso anno (ma senza indicazione del mese), da parte dell’amico Pietro Gradenigo (Venezia 1517 – 1580), genero di Pietro Bembo. La missiva è diretta al cognato Torquato Bembo (Padova 1525 – 1595),46 che aveva nel frattempo abbracciato la carriera

ecclesiastica. Gradenigo esorta il giovanissimo cardinale ad allontanarsi da Roma perché «nuova Babilionia» e luogo di perdizione, premendo per un suo ritorno immediato a Venezia o, in alternativa, a Padova. Nella lettera si allude ad un loro precedente scambio epistolare (oggi non pervenuto) in cui il giovane Torquato si sarebbe impegnato a risalire in Veneto insieme proprio a Girolamo Molin. Invece, il poeta fece ritorno a Venezia da solo, con grande dispiacere di Gradenigo che manifestò così il proprio disappunto:47

Con sommo disiderio et infinita allegrezza era aspettata va.sa. di qui, non pur da sua sorella [= Elena Bembo] et da me, ma da tutti gli altri parenti, et amici suoi parimente con ferma openione et credenza, ch’ella divesse venir col nostro ms. Girolamo Mulino sì come da lei et da altri costì per lettere s’intese. Ma risapendosi poi che la sua era mutata di cotal suo buon volere et che più non veniva tanto era il disiderio nostro et la aspettatione che ci giovava di sperar ancora la venuta sua. Ma giunto poi che fu il Mulino di qui tutto solo cademmo di cotal speranza et ne restammo oltre ad ogni nostra stima ingannati et dolenti che se ci fosse avvenuto qualche gran disaventura. (Di Vinigia 1556)

La testimonianza epistolare, dunque, comprova l’effettiva permanenza del nostro poeta a Roma per almeno qualche mese, probabilmente fra la primavera e l’estate del 1556, dato che il primo agosto di quello stesso anno Molin fu eletto Provveditore sul Cottimo di Damasco ed è molto plausibile che a quell’altezza cronologica fosse già rientrato a Venezia.

Nel corso degli anni Sessanta, Molin attirò l’attenzione della Sacra Inquisizione e fu coinvolto nel processo contro Endimio Calandra (1507 – 1583),48 noto per i suoi contatti con

uomini legati al dissenso religioso e che all’epoca trovavano facilmente asilo tra Venezia e

secretario, M. Antonio Milledone, da M. Pietro Giustiniano et da M. Girolamo Molino» (MEMMO Dialogo politico, p. 58). La residenza di Navagero non si deve confondere con l’attuale Palazzo Venezia (Roma), ceduto da papa Pio IV alla Serenissima solo nel 1564, anno in cui vi si trasferì l’ambasciata veneziana. 45 MEMMO Dialogo politico, p. 44.

46 Fratello maggiore di Elena Bembo (Padova 1528 – Venezia …), moglie di Pietro Gradenigo. 47 Cfr. ms. Marc. It. X, 23 (= 6526), c. 56r.

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Padova.49 Tra gli intellettuali che Calandra ebbe modo di frequentare, e che più attirarono

l’attenzione degli inquisitori, oltre a Molin, si annoverano anche personalità tacciate di eresia quali Andrea Da Ponte e Giovanni Donà.50 In occasione di una fase del processo, svoltasi a

Mantova il 24 agosto 1568, l’inquisitore Camillo Campeggi51 rivolse a Calandra alcune

domande a proposito dei suoi rapporti con il poeta. Le risposte, di cui ci è pervenuta testimonianza (APP. 4), sono utili per ricostruire le relazioni di Molin con alcune note personalità veneziane coeve. Il fatto stesso che l’inquisitore abbia rivolto un interrogativo così diretto, e di questa natura, all’inquisito rende necessario chiedersi per quale motivo il poeta avesse attirato su di sé i sospetti dell’Inquisizione romana, interessata ad indagare le sue relazioni con una precisa rete di fondamentali figure tacciate di eresia. Rispondendo alla domanda postagli, Calandra puntualizza dapprincipio che Molin fosse solito frequentare lo stampatore Michele Tramezzino, all’epoca sospettato di simpatizzare per posizioni eterodosse.52 Ai fini della nostra indagine non può passare inosservato che fu proprio

Tramezzino lo stampatore delle Lettere di Pietro Lauro,53 opera in due volumi edita a Venezia

49 Venezia, in virtù soprattutto della sua vivacità tipografica, si affermò fin da subito quale “porta” per la diffusione dell’eresia in Italia. Per esempio, proprio a Venezia il tipografo Lucantonio Giunta impresse la traduzione del Nuovo Testamento promossa da Antonio Brucioli, seguita l’anno successivo dalla sua traduzione dei Salmi e nel 1532 dell’intera Scrittura. Salvatore Caponetto definì i lavori di Brucioli «uno dei più efficaci veicoli di divulgazione delle dottrine della Riforma», per la loro capacità di rendere accessibile anche ai ceti subalterni il testo sacro (cfr. CAPONETTO 1997, p. 41). Per l’eresia di Brucioli

cfr.DEL COL 1980. Soprattutto, a Venezia venne stampato per la prima volta, in forma anonima, il Beneficio di Cristo (Bindoni 1543), testo riconosciuto come fondamentale per la Riforma italiana (CAPONETTO 1997, p. 95). Padova rappresentò a sua volta un vivace centro di posizioni eterodosse, complici i numerosi studenti tedeschi presenti presso la prestigiosa università; parimenti anche a Vicenza le famiglie più influenti aderirono alle posizioni della Riforma (per questo cfr. OLIVIERI 1992). Per Venezia “porta della Riforma” e il contesto filo luterano rimando soprattutto agli studi di FIRPO 2001 (soprattutto pp. 37-166) e FIRPO 2009, pp. 11-28; così come STELLA 1984. Per una panoramica sul radicamento delle posizioni eterodosse nel patriziato veneziano cfr. anche SEIDEL MENCHI 1990 e

CARGNONI –ZOVATTO 2002. Per uno studio sul rapporto tra stampa e controllo controriformistico

cfr. INFELISE 1998,FRAGNITO 1997eFRAGNITO 2005.

50 Per le dinamiche del processo Calandra cfr. PAGANO 1991 (per Molin in particolare cfr. p. 130). Andrea Da Ponte (Venezia 1508 – Ginevra 1585 ca.) costituì un caso clamoroso nella storia politica-religiosa della Venezia del tempo: fratello di Nicolò Da Ponte (doge dal 1578 al 1585), dopo aver aderito alla Riforma protestante fu costretto a fuggire a Ginevra e la sua famiglia condannata alla damnatio memoriae. Per Giovanni Donà, che «faceva professione particolare d’esser inimico delli preti» (cit. da PAGANO 1991, p. 257), è utile la voce biografica GULLINO 1991.

51 Per Camillo Campeggi (Pavia, inizi del XVI sec. – Sutri 1569), frate domenicano e inquisitore a partire dal 1554 (a Mantova negli anni 1567-1568), rimando alla biografia proposta da MARCHETTI 1974 e

PROSPERI 2010.

52 Per sospetti inquisitoriali nei confronti di Tramezzino cfr. GRENDLER 1977 (soprattutto p. 118). Per una panoramica sulla questione cfr. anche DE FREDE 1969. Inoltre, il nome di Tramezzino compare tra i testimoni presentati da Giovanni Morone (Milano 1509 – Roma 1580) in occasione del suo processo: cfr. FIRPO –MARCATTO 2013, vol. II, p. 217.

53 Per l’autore e i suoi rapporti culturali rimando alla voce enciclopedica a cura di DINI 2005. Quest’ultimo identifica lo stampatore delle Lettere in Comin da Trino, ipotesi da respingere per la non corrispondenza della marca tipografica. Michele Tramezzino figura anche come uno dei destinatari delle Lettere di Lauro (vol. I, p. 231). La collaborazione fra i due ha inizio almeno dal 1543, anno in cui l’editore chiese proprio a Lauro la curatela di un’opera di materia astronomica in latino del tedesco J. Carion. Una pressoché uguale operazione si ripropose l’anno dopo con il volgarizzamento del Catalogo de gli anni et Principi de la creatione de l’huomo sin al 1540 dal nascere di Christo di Valerio Raid (1543), de I fatti del Magno Alessandro re di Macedonia di Arriano (1544) e de L’Historia d’Egesippo di Giuseppe Flavio (1544). Presso il medesimo editore Lauro pubblicò anche l’Historia del valorosissimo cavallier della Croce (1544).

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tra il 1553 e il 1560.54 Lauro fu oggetto di minacciose attenzioni inquisitoriali per presunti

contatti con l’eresia settentrionale, aggravati dalle imputazioni di Ambrogio Cavalli, che lo accusò di simpatizzare per Lutero, e di Ettore Donati che in occasione di un processo dichiarò: «In Venetia ho sentito dire che messer Lauro era infetto».55 Nel secondo libro delle citate Lettere

una missiva si rivolge proprio a Girolamo Molin (APP. 5), dettaglio che potrebbe aver alimentato sospetti circa l’integrità religiosa del poeta. Tra i destinatari delle epistole si annoverano anche personalità intellettuali di spicco quali Nicolò Da Ponte, Jacopo Zane, Giorgio Gradenigo, Sebastiano Erizzo, Luca Contile,56 Bernardin Loredan57 e, soprattutto,

Domenico Venier, tra i più sospettati di simpatizzare per le correnti riformistiche.58 Calandra

affermò che Molin praticasse la bottega di Tramezzino, scelta lessicale che induce a supporre che ne fosse sia un cliente abituale sia che vi svolgesse un ruolo attivo, forse nella veste di collaboratore culturale.59 Inoltre, nel Dialogo politico (1563) di Gian Maria Memmo, Molin è

descritto mentre discute e si intrattiene a Roma alla fine degli anni Cinquanta con Giovanni Grimani (1506 – 1593), anche lui accusato successivamente di aver aderito alle posizioni luterane, motivo per cui fu processato sempre nel 1563.60 In più, non passi inosservato che

l’edizione del Diamerone di Valerio Marcellino – ambientato presso la dimora di Domenico Venier e che vede tra i suoi personaggi protagonisti proprio Molin – fu stampata a Venezia presso Giolito nel 1565 e presenta una prefazione firmata da Alessandro Citolini (datata 10 luglio 1564), rivolta a Luigi Corner. Ancora una volta il dettaglio non è indifferente in quanto Citolini (Serravalle 1500 – Londra 1582) fu costretto a fuggire in Inghilterra nel 1565, quando fu mosso contro di lui un processo per eresia.61 Inoltre, secondo gli studi di Federica 54 Quasi la metà delle Lettere si rivolgono a stranieri, soprattutto tedeschi, a conferma della vicinanza con l’ambiente protestante. I contenuti delle epistole spaziano da temi morali a politici, dall’economia alla società.

55 Per queste cfr. SEIDEL MENCHI 1987, p. 412 n. 18.

56 Luca Contile manifestò una certa stima, in materia religiosa, per Domenico Venier (CONTILE Rime, parte terza, c. 79v, sonetto Poi che simili a Dio creati siamo), notoriamente “in odore di eresia”. Inoltre, frequentò attivamente l’ambiente della Accademia della Fama, come confermato dal suo epistolario (per le missive demando a RONCHINI 1872, III, pp. 87-119, 311-380 e IV, pp. 133-148 e 289-336). 57 Bibliotecario della Libreria di San Marco dal 1558 e frequentatore del circolo Ca’ Venier.

58 Per il legame tra Venier e il dissenso religioso cfr. AMBROSINI 1999 (soprattutto pp. 208-211). Per la diffusione dell’eterodossia fra gli aristocratici di Venezia cfr. AMBROSINI 1990 e AMBROSINI 1991. 59 Ho studiato il volume di TINTO 1968, molto utile anche per la ricostruzione biografica e dei rapporti culturali dell’editore (che fu, per esempio, tra i più intimi amici di Paolo Manuzio), con lo scopo di verificare un eventuale contributo da parte di Molin all’attività tipografica di Tramezzino. Il catalogo, che propone opere del genere più vario (soprattutto testi di materia classica e di interesse storico), non attesta la presenza di Molin né nella forma di dedicatario né di collaboratore. Segnalo, però, che a Domenico Venier sono dedicati più volumi: [n. 48 e 89] Aviso de favoriti di Antonio de Guevara (1544 e 1549), [n. 76] Le tre Vite di Marsilio Ficino (1548), [n. 85] Opera utilissima nuova di conservare la sanità di Arnaldo di Villanova (1549), [n. 88] Delli mezzi che si possono tenere per conservarci la sanità di Galeno (1549). I numeri fra parentesi quadre si riferiscono all’ordinamento del catalogo di Tinto.

60 Molin non fu coinvolto all’interno di questo processo. Le accuse mosse verso il patriarca, dovute probabilmente alla sua frequentazione con Bernardino Ochino e Pier Paolo Vergerio, si risolsero con l’assoluzione completa promossa da una commissione di prelati del concilio di Trento, presieduta dal cardinale Giovanni Morone nel settembre del 1563. Per una ricostruzione dei fatti che hanno coinvolto Grimani si demanda a BENZONI –BORTOLOTTI 2002; FIRPO 2005 (il cui contributo è stato poi riedito

in FIRPO 2010, pp. 119-171); e DEL COL 2008. Per Vergerio cfr. JACOBSON SCHUTTE 1988.

61 Allievo di Camillo e amico di Aretino, Flaminio, Tolomei, Trissino e Caro, Citolini è probabilmente uno dei massimi grammatici del XVI secolo. Fu autore anche della Tipocosmia (1561) nella quale si riconosce un «atteggiamento profondamente critico verso le istituzioni e le idee cattoliche, esposte a tutti gli effetti ironici e corrosivi di un confronto col modello di una ideale chiesa primitiva» (cit. da

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Ambrosini, sarebbe pure riduttivo giustificare la fine dell’esperienza dell’Accademia della Fama – alla quale Molin fu legato in maniera ufficiosa e su cui ritorneremo – a soli motivi economici, in quanto potrebbero aver concorso anche tensioni religiose.62

Oltre a questa rete di relazioni che già avvicinano sensibilmente il poeta a numerose personalità dalle posizioni non ortodosse, nel corso del processo a Calandra l’inquisitore proseguì chiedendo informazioni circa la familiarità tra il patrizio e quattro precisi protagonisti dei più noti processi inquisitoriali della metà del Cinquecento. Nel dettaglio si interessò all’eventuale connessione tra Molin e Guido da Fano (ovvero Guido Giannetti) – che trovò rifugio a Venezia tra il 1546 e il 1547 e vi fece ritorno dopo un breve periodo in Inghilterra nel 1553 –, Vittore Soranzo63 – processato nel 1551 e nel 1557 per esplicita volontà di papa Paolo IV–,64

Pietro Carnesecchi – accusato di eresia dal 1546 in virtù delle sue frequentazioni con Pole, Soranzo e Priuli, e che fu consegnato all’Inquisizione da Cosimo I, presso il quale l’umanista aveva cercato rifugio nel 1565 –65 e Pero – vicino a Carnesecchi e Soranzo, dopo aver abiurato

nel 1550, fuggì dall’Italia nel 1561.66 In nessuno dei processi mossi nei loro confronti compare

il nome di Girolamo Molin: dunque la ragione alla base della precisa domanda di Campeggi non sarà da riconoscere in precedenti denunce o ammissioni emerse in quelle precise sedi inquisitoriali. Non ci sono pervenuti documenti che comprovino un’eventuale frequentazione tra Molin e i personaggi presi in considerazione, quasi tutti però attivi a Venezia per almeno un periodo. Tuttavia è forte la tentazione di intendere proprio la domanda dell’inquisitore

PROSPERI 1969, p. 268). Protagonisti della Tipocosmia sono proprio Domenico Venier e Valerio

Marcellino. Per l’intellettuale cfr. FIRPO 1982.

62 Per questo cfr. AMBROSINI 1999, p. 210; ma prima ancoraPAGAN 1974,pp.366-373. Le ragioni si devono probabilmente ricondurre ai forti legami che l’accademia stipulò con la Germania (e in particolare con letterati di Francoforte e Augusta), come dimostrano i due cataloghi delle opere che l’Accademia aveva deciso di inviare alla fiera di Francoforte (Libri, che in varie scienze, et arti nella latina lingua, e nella volgare ha nuovamente mandato l’Academia Venetiana alla fiera di Francfort, In Academia Veneta 1559 e Libri quos variis in scientiis et artibus conscriptos nuper edidit, et ad nundinas Francfordianas misit Academia Veneta, In Academia Veneta 1559). Eloquente in questa direzione è anche la Risposta degli studiosi delle buone Arti, che sono in Germania, all’Accademia Venetiana (impressa ad Augusta nel 1559), che Cicogna interpretò come uno scritto di Pier Paolo Vergerio (cfr. CICOGNA 1824-1853,vol.VI, pp. 771-772). La Risposta conserva feroci critiche contro l’attività inquisitoriale e le censure promosse da coloro che vengono chiamati «maschere cappucciate» (in riferimento ai frati), così come il papato è accusato di spargere al volgo ogni tipo di falsità. Inoltre, l’Accademia promosse la pubblicazione dell’Oratione del cardinal Polo in materia di pace a Carlo Quinto (Venezia 1558), ad un’altezza cronologica in cui i sospetti di eresia su Pole erano già stati sollevati.

63 Non è secondario ricordare che Girolamo Fenarolo compose il sonetto Ov’è Soranzo mio gita la luce, per commemorarne la scomparsa, avvenuta nel maggio del 1558 (FENAROLO Rime, c. 39v). Il dato

suggerisce la familiarità della figura del vescovo nel contesto veneziano di Campo Santa Maria Formosa. 64 Il contesto culturale veneziano frequentato da Soranzo coincide perfettamente con quello moliniano, vantando entrambi amicizie con Gabriele, Bembo, Navagero, Speroni e Aretino. In occasione del processo, non è attestato il nome di Molin né da parte della accusa né della difesa, così come non compare il tipografo Tramezzino.

65 Dopo un lungo processo, svoltosi a Roma tra il 1566 e 1567, fu condannato a morte per decapitazione e, a seguire, fu ordinata l’arsura del suo corpo. Negli atti del processo nei suoi confronti non compare il nome di Molin.

66 Pietro Gelido, noto come Pero, al servizio prima di Ippolito d’Este e poi di Cosimo de’ Medici, si accostò alle posizioni valdestante, probabilmente per il tramite di Carnesecchi e Pole. Visse a Venezia come segretario di Cosimo de’ Medici dal 1552 al 1561, anno della sua fuga dall’Italia per i sospetti di eresia. Qui ebbe modo di avvicinarsi a circoli eterodossi animati da personalità veneziane come Agostino Tiepolo, Carlo Corner, Marcantonio Canal e Bernardino Loredan, presso il cui gruppo pare che lui e Carnesecchi si alternassero nel tenere lezioni di sacra scrittura (ASVe, Sant’Ufficio, b. 11, f. Andreas de Ugobonis, cc. 20v-21r).

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