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DECIMO COSTITUTO DI ENDIMIO CALANDRA Mantova, 24 agosto

L ETTERE DI P IETRO L AURO

(A

PP

.5)

Meglio è beneficiare huomini ingrati Paradoso.

AL M.CO MESSER GIERONIMO MOLINO.

[

c. 13v] Perché udiamo sovente molti a ramaricarsi dell’ingratitudine de quelle persone alle quali havendo fatto beneficio ò che non sono da quelle ricompensati overo che ne ricevono qualche desastro o danno, parendo loro c’havendo giovato ad altri, doverebbono riceverne il guidardone. Io adunque che sono di parer diverso, voglio manifestarlo à Vostra Sign. accioché se le parerà di potersi dolere di alcuno ingrato, udendo questo mio aviso, se ne possa servire. Dico adunque che li è cosa manifesta esser meglio che l’huomo sia creditore, che debitore, cioè che il beneficiante, che è veramente il creditore brami più tosto di non esser ricompensato della sua cortesia, che di riceverne il cambio. Perché se gli è somma felicità qua giù il signoreggiare à gli huomini, colui che tiene molti huomini con suoi benefici obligati, si doverebbe contentare, che non mai uscisseno di debito, gli ingrati, anzi giudi- | [c. 14r] cherei, che l’huomo d’animo Signorile doverebbe attendere a fare benefici a più gente, acciochè riuscendo come si vede, la maggior parte ingrati, egli havesse più huomini obligati, si che facendo in questo modo venirebbe co ’l tempo ad haver un dominio largo sopra la gente beneficiata. Vi si aggionge che il beneficiante può con la faccia levata comandare alcune cose a di questi ingrati, i quali se non haveranno totalmente perduto la verecondia non la sapranno negare. Alcuni poi alquanto più civili, si daranno a credere di non essere tenuti ingrati quando con farti alcuno piacere, quasi pagano l’utile di quel debito. Altri che sono peggiori fuggono a lor potere la presentia del creditore, et questi ancora si possono pigliare di sorte, che vi mangano più obligati facendogli qualche picciolo beneficio, co ’l quale egli venga a vedere, che il beneficiante lo ami, si che venga spontaneamente ad amare: et da un tale si riceverà maggior comodi rimanendo lui debitore, che s’havendo pagato non havesse così buona occasione di amarti. Dirò bene che quando uno con moltiplicati benefici, doventasse più ingrato overo se rendesse malificii, non è convenenvole di portarsi tanto avanti nella cortesia che quella sia per nuocere all’huomo cortese. Ho narrato il mio parere cerca gli ingrati come io giudico più ragionevole et utile, ma chi non contenta di prestare i benefici senza rihaverli, attenda pure a riscuoterli a rimarcarsi de tristi pa-|[c. 14v] gatori. Si che Vostra M. può vedere che si può con ingegno contravenire alle comuni opinioni mostrando che il contrario sia ancora ragionevole: et con questo a lei mi raccomando.126

II

. G

IROLAMO

M

OLIN E

V

ENEZIA

:

AMICI

,

CENACOLI E ACCADEMIE

Il nome di Girolamo Molin è oggi per lo più dimenticato. Assente dalle principali antologie otto-novecentesche dedicate alla lirica del XVI secolo e poco considerato dalla critica, sul poeta veneziano grava un ingombrante anonimato che non trova ragion d’essere né a fronte della qualità della sua scrittura – capace se non altro di distinguersi all’interno della rimeria cinquecentesca – né del prestigio di cui godette in vita. Carlo Dionisotti riconobbe in lui l’esponente più brillante della stagione lirica veneziana,1 e, a mio avviso, Molin incarna pure

un’importante figura di transizione tra la sensibilità poetica di primo e secondo Cinquecento in quanto, allievo di Bembo e Trissino, venne a sua volta assunto a modello, per temi e gusti metrici, dai massimi autori veneziani di fine secolo.2

Schivo e appartato, evitò puntualmente di partecipare alle iniziative editoriali coordinate da amici e sodali e non si preoccupò di dare ai torchi le proprie Rime, edite postume nel 1573.3

All’interno della vasta produzione cinquecentesca, la sua poesia si segnala per raffinate scelte metrico-tematiche, non esenti da audaci sperimentalismi, e per l’insolita modalità di organizzare il materiale lirico.4 Nella scrittura di Molin, come si avrà modo di approfondire nei

prossimi capitoli, il canone petrarchesco convive con una malinconica riflessione esistenziale, i cui echi gravi ricordano alcuni scritti dellacasiani. La centralità di temi quali la meditazione sulle illusioni umane e sulla svanita giovinezza rende Molin uno dei principali interpreti del «filone austero e meditativo della lirica veneziana»,5 i cui epigoni si manifestano soprattutto in

Celio Magno, il migliore compositore lagunare della seconda metà del secolo. Approfondire la personalità di Girolamo Molin significa, dunque, immergersi nel pieno della stagione poetica veneta cinquecentesca, epicentro di una letteratura eclettica e poliedrica, alla quale il nostro prese parte come protagonista. Per poter comprendere la sua scrittura è necessario ricostruire le trame di influenza e scambi che hanno intrecciato la vita letteraria lagunare dell’epoca, vero e proprio mosaico di tipografie e accademie, cenacoli e ridotti tra i più significativi d’Italia e d’Europa.6 In effetti, per approcciare adeguatamente la lirica veneziana cinquecentesca

occorrerà adottare una prospettiva plurale, intesa come sguardo d’insieme capace di affiancare

1 In DIONISOTTI 1999, p. 216. Per la lirica veneziana del XVI secolo segnalo alcuni utili spunti bibliografici per una ricostruzione di contesto:ZAJA 2004; VIANELLO 1988;PADOAN 1978 eID.1976;

BRANCA 1967e LAZZARINI 1960.

2 Inoltre in relazione alla composizione delle Rime de gli Accademici eterei (1567), meritevoli di dare alle stampe i giovanili risultati lirici di Gian Battista Guarini, Scipione Gonzaga e Torquato Tasso, afferma Antonio Daniele che «qualche debito di derivazione lirica deve essere segnalato anche nei confronti di Domenico Venier e di Girolamo Molino […] e quindi all’ambito di petrarchismo raffinato che ha nei poeti dell’Accademia veneziana i suoi maggiori campioni» (cit. da A.DANIELE, Introduzione in Rime de gli Accademici eterei, pp. 3-38: 20).

3 Significativa è un’indicazione paratestuale di Atanagi attestata nella Tavola delle Rime in coincidenza ad un sonetto celiano dedicato a Molin: «A M. Hieronimo Molino, valoroso, et honorato gentilhuomo Venetiano, et grande poeta toscano, se bene egli per troppa modestia non ne fa professione» (Rime di diversi 1565, vol. II, c. 123r); per il sonetto cfr. MAGNO Rime 11.

4 Per la fisionomia del canzoniere cfr. cap. IV La struttura dell’opera, pp. 104-126.

5 Cit. da ERSPAMER 1983,p. 220; per una rassegna della lirica veneziana rimane imprescindibile anche TADDEO 1974.

6 Per una panoramica generale del fenomeno accademico nel XVI secolo rimando ai recenti lavori di EVERSON –REIDY –SAMPSON 2016 e TESTA 2015.

al valore intrinseco del singolo componimento anche il ruolo del dialogo che (nella maggior parte dei casi) intercorre con la coeva produzione lirica locale.

I testi circolavano soprattutto in forma manoscritta o venivano declamati nei salotti di case private; così come l’occasione compositiva era generalmente condivisa fra gli amici, i primi veri destinatari degli sforzi creativi. Solo una prospettiva “orizzontale” permette, dunque, di individuare le opportune connessioni infra-testuali all’interno di un coro di voci poetiche, consapevolmente compatto e unito, come fu quello che si animò intorno al poeta e patrizio Domenico Venier.

In contrasto con la scarsa notorietà di oggi, Molin godette in vita di non pochi riconoscimenti intellettuali e strinse rapporti d’affetto con pressoché tutti i massimi interpreti dello scenario lagunare. In questo capitolo ci si prefigge, dunque, di mettere in luce la sua fortuna cinquecentesca, riconducibile non al mezzo tipografico bensì (evidentemente) alla sua partecipazione attiva alla vita culturale e alla verosimile circolazione locale dei suoi scritti. In altri termini, si intende qui ragionare intorno ai legami intellettuali che lo hanno visto coinvolto, riflettendo un poco su come è stata tratteggiata la sua personalità pubblica da parte dell’intellighentia veneziana. Infatti, è opinione di chi scrive che la messa a fuoco della percezione cinquecentesca di Molin sia parte integrante – se non doverosa – di un più generale processo di riscoperta dell’autore, angolatura critica ovviamente da affiancare alle considerazioni sui singoli testi, demandate ai prossimi capitoli.

È Gian Mario Verdizzotti a fornirci qualche notizia preziosa sulla formazione letteraria del giovane Molin:

Per questo essendo nel tempo della sua gioventù in fior di valore e di dottrina M. Pietro Bembo il Cardinale e M. Trifon Gabrieli, gentiluomini Vinitiani, e M. Giovan Giorgio Trissino, gentiluomo Vicentino, cercò di farsi loro intrinseco e intimo amico. E tanto frequentava la loro prattica che si può dire che quei tre gran gentil’uomini siano stati i suoi precettori e specialmente nelle cose della poesia della quale sommamente era vago, sì come egli spesse fiate raccontava a me e ad altri ragionando della sua fanciullezza. (Vita, cc. ⸭ 7v-8r)

Per un giovane poeta di inizio secolo, in fondo, l’inclusione di Bembo tra i modelli lirici di riferimento pare quasi scontata. Il cardinale, che diede alle stampe le proprie Rime nel 1530, rappresenta un maestro imprescindibile per tutti gli esponenti veneti di metà Cinquecento e non è superfluo ricordare che due tra i più intimi amici di Molin, Domenico Venier e Bernardo Cappello,7 se ne dichiararono seguaci. La cerchia di cantori raccolti intorno agli insegnamenti

di Bembo è ben tratteggiata dalle parole di Pietro Aretino e Nicolò Franco, i quali non omisero di precisare pure la presenza del nostro. In una famosa lettera di Aretino a Gianiacopo Lionardi, del 6 dicembre 1537, è descritto l’immaginario viaggio in una sorta di Parnaso letterario, dove a Bembo è riservato un posto d’eccezione e Molin è annoverato fra gli adepti.8

Di toni simili è l’altrettanto famosa epistola della Lucerna di Nicolò Franco, datata 1538. Con 7 Fra le Rime di Cappello, edite recentemente per le cure di Irene Tani, segnalo l’affettuoso sonetto n. 53, in lode di Molin.

8 «Egli [= Bembo] sedendo in cima col diadema de la gloria in capo, avea intorno una corona di spirti sacri; v’era il Iovio, il Trifone, il Molza, Nicolò Tiepolo, Girolamo Querino, l’Alemanno, il Tasso, lo Sperone, il Fortunio, il Guidiccione, il Varchi, Vittor Fausto, il Contarin Pier Francesco, il Trissino, il Capello, il Molino, il Fracastoro, il Bevazzano, il Navaier Bernardo, il Dolce, il Fausto Longiano, il Lion Maffio» (cit. da ARETINO Lettere, vol. I, n. 280, pp. 383-390: 387-388); per uno studio si veda C.CAIRNS, The dream of Parnassus, Aretino’s heritage and the “poligrafi” in CAIRNS 1985,pp. 231-249.

un’evidente memoria del precedente aristofaneo, nella lettera il poeta concede la parola direttamente ad una lampada, responsabile di illuminare le menti dei più brillanti veneziani, così da offrire al lettore un originale ritratto del panorama intellettuale lagunare. Dopo aver polemizzato sugli eccessivi furti al Petrarca da parte dei contemporanei e sulle castrazioni subite dal Boccaccio, non si manca di enumerare i protagonisti della vita letteraria coeva:9

Veggio nel sommo loro il BEMBO, il quale, come ottimo, e massimo Duce di tutti gli altri, si sta dando ordeni, e leggi con lo scettro de la scienza, minacciando di prigion d’infamia, e morte di nome a chi non osserva i giusti decreti della sua penna. Gli veggo appresso i due GIROLAMI, l’un QUIRINO, e l’altro MOLINO. Veggioci i DUE BERNARDI, l’un NAVIERO e l’altro CAPPELLO. Questi non mai satii di star con riverenza innanzi la Maestà del venerando Vecchio, tuttavia attentamente esseguiscono ciò che egli ordina di sua bocca. Veggo anche nel medemo Collegio

IL MOLZA, IL FORTUNIO, LO SPIRONE, IL BEVAZZANO, IL GRATIA, IL TASSO, L’ALEMANNO, IL VARCHI. Veggioci il mio EPICURO, IL ROTA, IL TANSILLO.

Dunque la presenza di ‘bembismi’, intenzionali o meno, permea senza sorpresa la scrittura di Molin, tanto nei topoi quanto nell’impianto linguistico-lessicale. Se il modus scribendi dell’autore tradisce perciò un’evidente mediazione bembiana nell’assimilazione petrarchesca, è anche vero che il nostro seppe spingersi ben oltre ai confini dei dettami del maestro. L’eredità di Bembo viene infatti puntualmente contaminata con influenze di altri (come Trissino e Sannazaro), recuperando anche spunti di epoca pre-petrarchesca e divertendosi a variare il canone metrico imposto dai Fragmenta. Simili alterazioni non costituiscono un caso isolato in quanto l’intera produzione poetica successiva al cardinale è connotata dall’affermarsi di molteplici tendenze innovatrici.10 Inoltre, bisogna ammettere che nelle Rime di Molin non si profila una vera e

propria “mitizzazione” del cardinale, avvertita invece nel repertorio poetico di scrittori e amici coevi. Gli unici riferimenti espliciti a Bembo coincidono con i due sonetti epicedici in suo onore, i nn. 155-156, redatti su esortazione dell’amico Venier e mai pubblicati in vita.11 La

conoscenza diretta tra Molin e Pietro Bembo non ha però bisogno di essere argomentata, tanto più che il nostro fu molto amico di Pietro Gradenigo, genero del cardinale.12 Quest’ultimo ci

informa, per esempio, del comune soggiorno romano, nel 1556, di Molin e Torquato Bembo;13

e non è trascurabile precisare che proprio Molin fu scelto quale padrino di battesimo di Alvise Gradenigo, secondo nipote di Pietro Bembo.14 Nessuna lettera inclusa nell’epistolario 9 FRANCO Pistole vulgari, n. CCXXXVII, cc. 186r-202v: c. 195r. La trascrizione è diplomatica.

10 «Non che nella prima metà del secolo fossero mancati esperimenti eterodossi [...] (si ricordi, ad esempio, la famosa polemica con Antonio Brocardo); ma è dopo gli anni Cinquanta che le diverse istanze innovatrici riuscirono a farsi largo e a proporre alternative alla vulgata bembiana [...]. E che Torquato Tasso sia stato fortemente influenzato nelle sue prime prove liriche dall’ambiente veneto è di per sè indizio della qualità di quei dibattiti e di quella esperienza lirica» (cit. da ZAJA 2004, pp. 646-647). 11 I sonetti di Molin non riscossero l’apprezzamento dell’amico, insoddisfatto dal risultato poco elogiativo nei confronti di Bembo e non in linea con l’entusiasmo epicedico auspicato da Venier; per i testi e l’operazione di commemorazione, si veda qui cap. V. 3. 4 I destinatari, pp. 237-238 e rimandi. 12 Pietro Gradenigo, personalità centrale nella Venezia del tempo, è oggi pressoché sconosciuto agli studi. Le sue Rime, date ai torchi a Venezia nel 1583 con la supervisione di Francesco Sansovino, sono ancora prive di un’edizione moderna.

13 Cfr. cap. I Per la biografia, p. 20.

14 Le informazioni provengono dall’epistolario manoscritto di Pietro Gradenigo, conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia con segnatura ms. Marc. It. X, 23 (= 6526): per i riferimenti rimando rispettivamente a c. 56r (lettera compilata a Venezia nel 1556) e c. 10r (lettera compilata a Venezia il 29 agosto 1545). Segnalo anche una lettera, del 10 ottobre 1559, rivolta alla poetessa Lucia Albani Avigadro

bembiano è direttamente rivolta al nostro, ma è verosimile che a lui si riferisca il cardinale nelle richieste di saluti che, non di rado, concludono le epistole destinate a Gradenigo e Venier.

I rapporti tra il nostro e Trissino devono essere stati invece particolarmente stretti, come suggeriscono una certa affinità di ordine metrico-letterario, su cui si dirà più avanti, ed alcuni elementi documentari. A questo proposito, non andrà taciuta la scelta del vicentino di indicare proprio Molin quale esecutore testamentario e usufruttuario di ogni sua proprietà nel caso il figlio Ciro fosse morto senza eredi maschi; queste sono le parole leggibili nel testamento di Trissino, redatto di suo pugno in data 11 ottobre 1543:15

[…] Il resto poi de le entrade di tutta l’altra mia facultà si divida in tre parti e se ne dia una per ciascuno de li tre Procuratori di San Marco vecchi e primarii, cioè uno per procurantia, secondo che di tempo in tempo nel detto Officio e Magistrato si troveranno; dinotando però, che, quando intervenisse tal caso, voglio che della Casa, Decima, Possessioni e fitti di Quarnientia siano usufruttuari tutto il tempo delle loro vite li SS: M. Marc’Antonio da Mulla fu de M. Francesco, et M. Girolamo da Molin de M. Piero, miei Commissari infrascritti, et dopo le loro morti tornino a li predetti Signori tre Procuratori primarii. […] E voglio, che siano miei Commissarii et essecutori di essa il Remo et Ill.mo Sign. Cardinale Rodolfi Episcopo Vicentino, et li prefati Ill.mi M. Marc’Antonio Mulla, et M. Girolamo Molin, miei Signori e cordialissimi Amici, e voglio che ciascuno d’essi habbia pienissima libertà d’esseguire e far esseguire tutte le predette cose, di far vendere quella parte de li miei beni mobili et immobili, che a loro parerà per esseguirle […].

Il nome di Trissino è strettamente connesso al cosiddetto circolo di Murano, isola prediletta da gran parte della nobiltà veneziana e, nei decenni centrali del XVI secolo, elevata a luogo di ritiro intellettuale.16 Non è un caso che l’isola fu scelta come sfondo per l’ambientazione delle

Piacevoli notti (Venezia 1550) di Straparola, raccolta di novelle che incontrò un enorme successo di pubblico.17 Trissino si stanziò sull’isola dal 1540 e il suo salotto divenne presto sede di

incontri per personalità come Marcantonio da Mula, Gian Maria Memmo e Diego Hurtado de Mendoza. Sempre a Murano, lo stesso Trissino animò pure le iniziative intellettuali proposte da Trifon Gabriele, anch’egli alla ricerca di un isolamento esistenziale sull’isola.18 Qui il filosofo (Brescia 1534 – 1568), in cui Gradenigo la informa degli apprezzamenti letterari pronunciati da Molin, Venier e Dolce: «Non potrei isprimere con parole le gran lodi che glie ha date ms. Ludovico Dolce, ne quanto ella sia piaciuta a ms. Girolamo da Molino, et a ms. Domenico Veniero, et a diversi altri gentili spiriti che l’hanno veduta et altro modo commendata, ne quali è nato quasi un commune disiderio di veder vostra signoria et di conoscerla personalmente, tutti infiammati dalle sue rari virtù, per il buon saggio, ch’ella ha dato di sé ad ogniuno con questa sua bella et elegante epistola» (ms. Marc. It. X, 23 [= 6526], c. 74r). La trascrizione proposta è diplomatica.

15 Il testamento, conservato presso l’Archivio dei Frari di Venezia, è trascritto da MORSOLIN 1894, doc. LXXIV, pp. 430-437: 433. Non è stato possibile consultarlo di persona.

16 Così è ricordata anche nel sonetto E’ voio tanto ben a quel Muran di Andrea Calmo (CALMO Rime 42, p. 91). Già a inizio secolo Murano aveva accolto Tommaso Giustiniani (1476 – 1528), ritiratosi presso l’isola per un’esperienza di studio e preghiera, e Paolo Canal (1481 – 1508), monaco presso San Michele di Murano.

17 La cornice narrativa trova ambientazione a Murano, presso il palazzo veneziano del vescovo di Lodi Ottaviano Maria Sforza e della figlia Lucrezia, gli ultimi giorni di carnevale. Protagonisti narratori sono Bembo, Evangelista Cittadini, Bernardo Cappello, Antonio Bembo, Benedetto Trevisano, Antonio Molino, Ferier Beltramo. Per l’opera, STRAPAROLA Le piacevoli notti, rimando alla recente edizione a cura di Donato Pirovano.

18 Trifone Gabriele fu una personalità molto ammirata nel contesto veneto del tempo ma, a scapito della sua celebrità, le informazioni a nostra disposizione oggi sono assai scarse. Noto per aver rifiutato la

– anche noto come “il Socrate veneziano” per la sua abitudine di non lasciare nulla per iscritto – promosse un cenacolo culturale dove era prassi discutere di autori coevi e greco-latini, ma anche di scienza e filosofia. Tra i principali allievi di Gabriele, si annoverano poeti come Brocardo,19 Giacomo Zane, Bernardo Tasso e Molin, segnalato da Emanuele Cicogna come

uno dei frequentatori più assidui.20 Per quanto sia fuori discussione la capacità di Gabriele di

attirare attorno a sé gran parte degli intelletti veneziani, si deve ammettere ancora una certa lacuna critica intorno al suo pensiero, mancanza che rende arduo circoscrivere con esattezza il suo ruolo all’interno della cultura volgare veneta e, conseguentemente, comprendere il peso della sua influenza sul pensiero di Molin. Proprio a Gabriele si rivolge Giulio Camillo nella dedica del suo Discorso in materia del suo theatro (1552), dove oltre a citare Bembo e a ricordare momenti di letture collettive di testi poetici e filosofici, accenna anche a conversazioni avute personalmente con Girolamo Molin.21 Tra coloro che più recepirono il pensiero di Camillo vi

furono senz’altro Giorgio Gradenigo22 e Gian Mario Verdizzotti, poeta coinvolto in pressoché

tutte le esperienze culturali veneziane della metà del XVI secolo, modello di riferimento epico per il giovane Torquato Tasso e, tra le varie cose, autore anche della biografia di Girolamo Molin posta in apertura delle sue Rime (1573).23 Proprio Verdizzotti, come si ripeterà più avanti,

promosse la riedizione nel 1560 della Topica di Camillo, testo che il curatore sostenne di aver ricevuto direttamente dall’autore.24

Nella cornice lagunare di metà Cinquecento, un posto d’eccezione spetta anche a Pietro Aretino, meritevole di aver animato una vivace cerchia intellettuale dagli spiccati interessi artistico-figurativi.25 Attivo a Venezia dal 1527, il poligrafo dimostrò una sincera ammirazione carriera politica a vantaggio di un otium filosofico-esistenziale, dell’intellettuale possediamo come unico autografo il testamento (ASVe, Notarile, Testamenti, Notaio Antonio Marsilio, b. 1214, n. 993), ma sono numerose le testimonianze di ammirazione da parte di sodali e allievi. Segnalo alcuni utili studi su

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