Una delle principali variazioni all’ortodossia petrarchista della sezione amorosa delle Rime di Molin coincide con la rivendicazione da parte del poeta di poter continuare ad amare (pure carnalmente) anche in tarda età, senza che un simile sentimento debba risultare vergognoso o biasimevole. Prima di soffermarsi sui singoli testi in questione, è opportuno collocare la tematica nell’orizzonte letterario (e culturale) del XVI secolo, al fine di evidenziare con più efficacia la portata dello scarto proposto da Molin.150 Per una valutazione positiva dell’amore
senile sarà del tutto inutile ricorrere ai modelli classici dal momento che gli antichi nutrirono un irremovibile disprezzo per la vecchiaia, concepita come prefigurazione della morte.
promesse […] Come ha notato il De Robertis, questo esito rappresenta un unicum che non ha tradizione e non farà testo» (cit. da RABITTI Introduzione a ZANE Rime, pp. 51-52).
148 Ne riporto un passo: «Vola il tempo veloce, e l’ore intanto / sen vanno, e portan seco i mesi e gli anni, / né san più ritornar scorse una volta. / Breve la nostra vita indrizza i vanni / verso il suo fin né, sorda e fera, ascota / Morte uman prego, uman sospiro o pianto. / Quanto s’inganna e quanto / chi non conosce il dì corto e fugace, / e quanto ha ’l suo pensier vano e fallace, / chi lunghi troppo i giorni si promette, / e lunga speme mette / e desir lunghi in frale mortal cosa, / ch’a l’alba nasce, ed a la sera è ascosa / […] / Quanto poco di viver che n’avanza / lieti godiam, Signor, senza partirci / da l’onde patrie più, dai patrii lidi; / vil desio, bassa voglia d’arricchirci / più non ne mova: i nostri vecchi nidi / sien nostro fermo albergo e ferma stanza» (ZANE Rime 170, 14-26 e 53-58).
149 La citazione di Ovidio è tratta da OVIDIO Amores I 9, 4.
150 Per una contestualizzazione generale della vecchiaia sul piano pubblico e sociale rimane ancora valido lo studio di MINOIS 1988 (soprattutto il cap. IX Il secolo XVI: l’umanista e l’uomo di corte contro la vecchiaia, pp. 270-307).
Evidentemente, un simile sdegno va di pari passo con la loro estetica della bellezza e il loro radicato culto per la giovinezza, entrambe quasi sempre associate all’esperienza amorosa. Inoltre dal pensiero classico prende forma pure la canonica opposizione – condivisa poi dai moderni – tra l’accettazione delle frenetiche passioni giovanili e invece l’auspicio di una senile calma interiore, augurio che esclude categoricamente la possibilità di perseguire alcuna passione carnale in età avanzata.151 Sempre con gli antichi incomincia a delinearsi pure la
convinzione, condivisa anche nel Cinquecento, che si possa amare solo ciò che è gradevole alla vista. Di conseguenza, il progressivo sfiorire della bellezza dovuto al trascorrere del tempo costituisce un evidente ostacolo alla possibilità di innamorarsi realmente di un anziano. Il convinto rifiuto dei classici per un amore senile, soprattutto se femminile,152 è talmente
radicato da trovare come unica manifestazione letteraria una sua derisione comico-grottesca propria della tradizione epigrammatica e teatrale.153 Un analogo svilimento burlesco della figura
del vecchio innamorato si avverte, a distanza di secoli, anche nella novellistica moderna (soprattutto di Matteo Bandello)154 e nel teatro rinascimentale.155 Per rimanere in area veneta,
Ruzante nel secondo Dialogo rustico (1526-1528) mette in scena un vecchio lussurioso, responsabile di aver rapito una giovane ragazza, la quale non tarda a manifestare il proprio disgusto:
DINA:Se Dio m’ai, a’ no me stento gnian tropo ben. S’a’ volí che ve dighe vero, a’ son meza stifa de sto vecio, mi.
BILORA:A’ te ’l cherzo, mi, el no se può muoevre. E po zoene co vieci no s’avén. A’ s’avegnón miegio mi e ti.
DINA: Poh, l’è mezo amalò, tuta la note el sbòlsega, che ’l sona na piègora marza. Mè el no drome, d’agnora el me sta inroegiò a çerca e me ten sbasuzà, che ’l cre’ ben che abie gran desierio d’i suò basi. Se Diè m’ai’, che no ’l vorae mè veere, sí m’èlo vegnú in disgrazia.
151 Per questa visione ideologica è emblematico il De senectute di Cicerone, in cui è profilato il modello del senex sapiens, secondo il quale il vecchio deve coltivare il proprio ingegno e rinunciare ai piaceri sensuali (CICERONE De senectute, cap. XII). Infatti, secondo Cicerone: «Nihil autem magis cavendum est
senectuti quam ne languori se desidiaeque dedat; luxuria vero cum omni aetati turpis tum senectuti foedissima est» (CICERONE De officiis, I XXXIV 123).
152 In epoca moderna è altrettanto spietata anche la posizione misogina di Erasmo da Rotterdam nel suo Elogio della follia: «Ma non c’è niente di più spassoso di certe vecchie praticamente già morte tanto sono decrepite […] si imbellettano di continuo, stanno sempre allo specchio, si sfoltiscono i peli del pube, ostentano le vecchie mammelle avvizzite, sollecitano con tremuli mugulii il desiderio che vien meno, bevono, si inseriscono nelle danze delle fanciulle, scrivono bigliettini amorosi. Sono cose di cui tutti ridono come di indubbie follie» (cit. da ERASMO DA ROTTERDAM Elogio della follia, cap. XXXI, p. 35). 153 La commedia latina è costellata di maschere grottesche sul tema della vecchiaia quali il vecchio lubrico, il vecchio ubriacone, il vecchio avaro, la vecchia innamorata e la vecchia impicciona. Per la concezione dell’età senile nel mondo greco-romano cfr. BRANDT 2010. Non è un caso che il tema rimanga oggetto della tradizione satirica cinquecentesca, come nella satira in ottave di Paterno Sorgi, a che tardi più? Rimena il giorno, dedicata alla «Bionda degli Anselmi», in cui si invitano le donne a farsi amare solo dai vecchi (in Satire di cinque poeti illustri 1565, cc. H4r-H6v).
154 Per esempio in BANDELLO Novelle parte III novelle XXXIII e LVII.
155 Rappresentativa è la Clizia, edita nel 1537, di Machiavelli, di ispirazione plautina, destinata ad una vivace popolarità anche fra i suoi contemporanei. Nicomaco, un vecchio di 70 anni, si innamora di Clizia e per mantenere viva la propria sessualità sceglie di assumere un afrodisiaco. Il vecchio non tarda ad essere schernito nei fatti e a parole: «Brutta cosa è vedere uno vecchio soldato: bruttissima è vederlo innamorato» (atto I scena II) e «Quanto in cor giovenile è bello amore, / tanto si disconviene / in chi degli anni suoi passato ha il fiore» (canzone dell’atto II scena V, vv. 1-3). Per i passi e un commento cfr. rispettivamente MACHIAVELLI Clizia, pp. 268 e 284.
BILORA: Poh! El ghe spuza el fiò pí che no fa un leamaro, el sà da muorto da mile megia, e sí ha tanta vergogna al culo.156
Lo stesso motivo è osservabile anche in alcuni canovacci della commedia dell’arte in relazione alla maschera di Pantalone, nata proprio a Venezia nel Cinquecento e inizialmente tratteggiata come un vecchio vizioso e libidinoso intento a insidiare le giovani innamorate, le cortigiane e, più spesso, le servette della commedia in questione.
La turpitudine dell’amore senile rappresenta, quindi, un topos letterario antico che conobbe nel Rinascimento uno dei momenti di più convinta adesione, favorita anche dall’imporsi di una preponderante concezione filosofica neo-platonica che esalta l’amore ideale (e quindi non fisico) come l’unico a cui tendere. La radicata convinzione che l’uomo debba compiere un percorso terreno di progressivo allontanamento dalla carnalità amorosa, giustificabile solo alla luce dell’inesperienza della giovane età, a vantaggio di un’elevazione spirituale trova supporto, ovviamente, nel modello petrarchesco e, in termini generali, nel pensiero cristiano.157 Non
sorprende, dunque, che nel corso del Cinquecento anche l’exemplum di Petrarca, responsabile di aver progressivamente sconfessato il proprio amore per Laura, venga riletto alla luce dell’insegnamento morale dei classici. Questa prospettiva ideologica risulta evidente considerando, ad esempio, un passo del commento di Vellutello al primo sonetto dei Rvf:158
Ultimamente quello, perché non biasmo, ma somma lode merita, si è che non come molti sono, i quali qua(n)to più nel vitio invecchiano, tanto più de la me(n)te divengon insani; ma essendo a la sua matura età pervenuto mostra, come detto habbiamo, da ogni lascivia essersi rimosso, conoscendo il vitio ne l’età senile tanto esser da vituperare, qua(n)to nel la gioventù da esser tollerato. Onde Ovidio: «Quae bello est habilis, Veneri quoque convenit aetas, / turpe senex miles, turpe senilis amor».
La liceità di amare una volta sfiorita la giovinezza è affrontata di rado nella trattatistica d’amore del XVI secolo, ma le sue sporadiche occorrenze si allineano senz’altro alle posizioni classicheggianti di cui si è già dato conto. Eloquente è l’opinione di Enea Silvio Piccolomini:159
156 A seguire un volgarizzamento: «DINA:Che Dio m’aiuti, non mi sento neanche troppo bene. Se volete che vi dica il vero, sono mezza stufa di questo vecchio, io.BILORA:Lo credo bene, io, non si può muovere. E poi giovani con vecchi non s’intendono. Ci intendiamo meglio io e te. DINA: Poi è mezzo
ammalato, tutta la notte tossisce come una pecora marcia. Mai non dorme, ogni momento mi sta stretto addosso, mi sbaciucchia e crede proprio che abbia un gran desiderio dei suoi baci. Che Dio m’aiuti, non vorrei più vederlo, tanto mi è venuto in disgrazia. BILORA: Puah! Gli puzza il fiato peggio di un letamaio,
sa di morte lontano mille miglia, e ha tanta vergogna al culo […]». Per il passo cfr. RUZANTE Dialogo secondo, atto I scena III, pp. 64-65.
157 Si rende però necessaria un’opportuna precisazione. Una delle novità sostanziali dei Fragmenta petrarcheschi è la rivendicazione da parte dell’io lirico del proprio amore per Laura nonostante l’appassimento della sua originaria bellezza (celebre è il caso di Rvf 90). Tuttavia, in una prospettiva generale, il sentimento senile che Petrarca nutre per la donna è sempre rigorosamente casto e, soprattutto, sfuma in un amore spirituale per la vergine Maria. Per un utile studio dedicato alla tematica della vecchiaia nel pensiero petrarchesco, di evidente influenza ciceroniana, rimando a STROPPA 2014,
comprensivo di tre interventi: S.STROPPA, Senectus e meditazione allo specchio: su Rvf 361 (pp. 117-140), A. MACRÌ, Senes fieri volunt omnes, senex esse vult nemo: il tema della vecchiaia nel De remediis utriusque fortune (pp. 141-158) e R. GENTILE, La bella senectus nella visione petrarchesca: lettura di Sen. VIII 2 (pp. 159-172). 158 Per il passo cfr. VELLUTELLO Il Petrarcha, c. 1r (la trascrizione è diplomatica).
Rem petis haud convenientem etati mee, tue vero et adversam et repugnantem. Quid enim est, quod vel me iam pene quadragenarium scribere, vel te quinquagenarium de amore conveniat audire? […] Nec quicquam senectute est deformius, que Venerem affectat sine viribus. Invenies tamen et aliquos amantes senes, amatum nullum.
A questo punto di vista si allineò, qualche anno dopo, Baldassarre Castiglione nel suo Cortigiano, dove un’analoga tesi viene sostenuta in più passi del trattato; tra questi:160
non si conviene et dispiace assai veder un omo di qualche grado, vecchio, canuto e senza denti, pien di rughe, con una viola in braccio sonando, cantare in mezzo d’una compagnia di donne, avenga ancor che mediocremente lo facesse, e questo, perché il più delle volte cantando si dicon parole amorose e ne’ vecchi l’amor è cosa riducula.
E soprattutto nel seguente:161
e quando non son più nella età giovenile, in tutto l’abbandonino, allontanandosi da questo sensual desiderio, come dal più basso grado della scala per la qual si po ascendere al vero amore. Ma se ancor, poi che son vecchi, nel freddo core conservano il foco degli appetiti e sottopongon la ragion gagliarda al senso debile, non si po dir quanto siano da biasmare; ché, come insensati, meritano con perpetua infamia esser connumerati tra gli animali irracionali, perché i pensieri e i modi dell’amor sensuale son troppo disconvenienti alla età matura.
Sempre in termini fortemente sfavorevoli si pone anche Girolamo Parabosco in una lettera rivolta a Bernardino Daniello, dedicata proprio alla possibilità di amare in tarda età. Secondo Parabosco l’innamoramento senile è una dimostrazione di pazzia:162
[…] molti i quali dicono tutti d’accordo, che la maggior pazzia non potrebbono eglino fare che innamorarsi in vecchiezza: ecco adunque, che sapendo il vecchio mostrarsi pazzo; di qui non può trarre speranza alcuna.
Un’analoga condanna verso un amore senile è condivisa anche da Francesco Sansovino nel Ragionamento nel quale brevemente s’insegna a’ giovani uomini la bella arte d’amare (Venezia 1545), dedicato a Gaspara Stampa. Nel trattatello Silio chiede di essere ammaestrato in materia d’amore da Panfilo, cui si rivolge con domande che consentono a Sansovino di illustrare l’intero codice amoroso di matrice alta sia nei temi sia nel linguaggio. Una delle prime questioni ad essere posta trae spunto della novella I 10 del Decameron,163 laddove i dialoganti si chiedono
se sia consono amare durante la vecchiaia. Sulla base di un parallelismo – di matrice ovidiana – tra la milizia amorosa e bellica, l’autore arriva alla conclusione che l’uomo anziano sia 160 CASTIGLIONE Cortigiano, II.XIII, p. 139.
161 CASTIGLIONE Cortigiano, IV.LIV, p. 420.
162 PARABOSCO Quattro libri delle lettere amorose, I, pp. 125-129: 127. La trascrizione è diplomatica. 163 Protagonista della novella, narrata da Pampinea, è un medico bolognese di nome Alberto de’ Zancari che, quasi settantenne, si infiammò di passione amorosa per una giovane vedova di nome Malgherida de’ Ghisolieri. Di qualche interesse sono le parole con cui l’anziano cerca di persuadere la donna ad accettare le proprie avances: «Madonna, che io ami, questo non dee esser maraviglia ad alcun savio […]. E come che agli antichi sieno naturalmente tolte le forze le quali agli amorosi esercizi si richieggiono, non è per ciò lor tolta la buona volontà né lo intendere quello che sia da essere amato, ma tanto più dalla natura conosciuto, quanto essi hanno più di conoscimento che i giovani» (BOCCACCIO Decameron I 10, p. 81).
assolutamente inadatto perché non più in grado di fronteggiare fisicamente la vis erotica e la fatica che comporta. A partire dai cinquant’anni, infatti, il corpo subisce un indebolimento fisico progressivo che ammette una sola conclusione:164
Conchiudo per questo: che ne’ vecchi non può cader l’amor corporale né le fatiche che si hanno per quello.
Sansovino ritiene oggetto di riprovazione anche il caso dell’unione tra vecchi e tra giovani donne e viceversa; per quanto lo ritenga contro natura, ammette però che simili unioni possano soddisfare interessi pratici e non esclude la possibilità di un’eventuale «affezione» verso un anziano motivata da ragioni di prestigio sociale (ma non viceversa). Il trattato di Sansovino si allinea alle osservazioni esposte nel Dialogo della bella creanza de le donne di Alessandro Piccolomini, edito per la prima volta a Venezia nel 1539, ma dalla fortunata tradizione editoriale. L’opera consiste in un dialogo in cui la protagonista Raffaella impartisce alla giovane Margherita lezioni di vita coniugale. L’eventualità di un amore senile è respinta con dure parole:165
Che, posto caso, il che è impossibile, che fosser segreti, savi, accorti, buone lingue ed avesser tutte le virtù de l’animo che si possono avere, che vuol far per questo una giovane bella de l’amore d’un vecchio canuto, bavoso, lercio, moccicone, fastidioso, novellaio, col fiato puzzolente, e mille altri mancamenti da dar vomito ai canti e da far penitenza senza peccato?
Qualche anno dopo identiche considerazioni saranno riproposte, con toni assai simili, pure dal piacentino Bartolomeo Gottifredi, in contatto con molti poligrafi veneziani, nello Specchio d’amore dialogo nel quale alle giovani s’insegna innamorarsi (Firenze 1547):166
Un vecchio, Maddalena, non è amabile per più cause. Prima egli non si sodisfa ai sensi dell’amante giovane con l’obietto dello amato vecchio: conciosiaché, non trovando l’occhio, nel guardare la luce degli occhi, la vivezza dei colori ed il lustro della pelle; la mano, palpando, la morbidezza che la carne in gioventù soleva avere; gli orecchi, ascoltando, la soavità della voce e la chiarezza delle parole; e gli altri sensi, i suoi effetti operando, la dolcezza e la vivacità dei loro obietti, tosto se ne saziano e ne restano schifi. Senza che la vecchiezza è sopra tutte le altre gelosa e poco atta ai piaceri amorosi.
In netto contrasto con le posizioni ideologiche prevalenti alla metà del XVI secolo, di cui si è dato finora un rapido conto,167 Girolamo Molin rivendica per sé stesso la legittimità di un
amore senile nel ciclo di sonetti nn. 75-83, accumunati tutti dal motivo dell’amore congiunto all’invecchiamento. Non è secondario evidenziare fin da subito la compattezza del corpus lirico in questione, espressione quasi di un ragionamento unico. Gli stessi testi, per quanto con diverso ordine di apparizione, figurano anche nel ms. Marc. It. IX, 272 (= 6645) [qui ms. C]
164 SANSOVINO Ragionamento, c. 3v.
165 PICCOLOMINI La Raffaella, p. 90. Rimando al commento di Giancarlo Alfano per una più adeguata contestualizzazione letteraria.
166 B.GOTTIFREDI Specchio d’amore in ZONTA 1967, p. 586.
167 L’ostilità verso gli anziani innamorati conosce un suo riscontro anche in ambito lirico. A titolo rappresentativo basti il celebre sonetto di Guarini Pur si trovò chi con sublime ingegno esplicitamente rivolto «Contra i vecchi che s’innamorano» (GUARINI Rime Sonetti in GUARINI Opere, son. LXIV, p. 231).
che ospita un florilegio in lode della nobildonna vicentina Cinzia Braccioduro, al cui allestimento contribuirono molteplici personalità del cenacolo Venier.168 Poco si conosce
riguardo la dedicataria e le motivazioni alla base dell’operazione, molto probabilmente ascrivibile agli anni Sessanta, e altrettanto sconosciute sono anche le ragioni per cui il volume rimase inedito. L’antologia marciana conserva otto sonetti moliniani, privi di espliciti riferimenti onomastici alla nobildonna vicentina (con la sola eccezione del son. 234), che possono essere letti quali un ragionamento lirico sulla liceità di un amore senile.169 Ogni sonetto
conserva, infatti, una propria argomentazione a sostegno della tesi. Nel son. 75 Molin, dichiaratosi da sempre fedele a Cupido, rivendica il (meritato) diritto di poter continuare a godere dei piaceri amorosi senza però più soffrire le pene d’amore. La consapevolezza dell’inadeguatezza delle proprie pulsioni amorose in tarda età, alla radice di una dolorosa crisi interiore tra ragione e istinto, è testimoniata nel son. 76:
non è già tanto in me la voglia morta, ch’io non gradissi il far teco soggiorno, ma la ragion col ver me ne sconforta, ch’altro ne l’amor suo d’un viso adorno sperar non può, chi vario il mento porta, che duol, sospetti e favoloso scorno. (vv. 9-14)
Il son. 77 ospita un cambio di registro giacché il poeta – per supportare l’idea (o la speranza) che la propria amata possa gradire le lusinghe di un uomo anziano – argomenta che una donna continui ad apprezzare un fiore anche se esiccato perché è ancora godibile il suo originario profumo:
Ma s’egli è ver ch’ella non sdegni e neghi ch’altri l’onori e, pur men fresco e vago,
non spiace fior che tien del primo odore (vv. 9-11)
Questa convinzione sprona dunque il poeta a perseverare nei propri slanci amorosi, nonostante l’età. Per legittimare ulteriormente la propria convinzione, nel son. 78 il poeta ricorre all’amore tra Aurora e Titone, noto per la propria vecchiaia. L’esempio mitologico intende dimostrare l’effettiva possibilità di un’unione tra amanti lontani per età e suggerisce anche che una donna possa essere sessualmente appagata a fronte delle capacità del proprio amante, anche se decrepito:
Mostrale ancor la giovanetta altera, guida del sol, che l’universo alluma e pur col vecchio suo si corca a sera,
168 Per una descrizione completa del testimone manoscritto, conservato presso la Biblioteca Marciana, e del progetto editoriale cfr. cap. VII Descrizione dei testimoni, pp. 376-377.
169 Rimando al commento per un’analisi più puntuale dei testi. La mia impressione è che tutti i testi di Molin fatti confluire nella silloge per Cinzia, con l’eccezione di MOLIN Rime 234, non sono stati originariamente composti per la Braccioduro. In questa prospettiva si annoti che solo il son. 234 risponde dichiaratamente al proposito encomiastico per la giovane; e soprattutto, in C1, si riconoscono ripetuti interventi da parte dell’anonimo allestitore funzionali ad adattare i testi di Molin al tema della raccolta. Tutte queste varianti, che è verosimile ritenere non d’autore, non si attestano in Rime 1573.
e non lo schifa e la sua bianca piuma lusinga, in uom d’età prova non vera,
com’anco anzi stagion spesso vien bruma. (vv. 9-14)
Un ricorso alla tradizione classica si avverte anche nel son. 79, costruito attorno all’immagine metaforica del reciproco sostegno tra vite e olmo.170 L’autunno della vita, infatti, «rende frutti
soavi in copia molta» (son. 79, 8) e un amante anziano non potrà che costituire un solido punto di riferimento per una giovane e fragile giovinetta. Nell’ultimo sonetto appartenente al ciclo per Cinzia, il n. 82, Molin ribadisce nuovamente di non poter evitare i lacci d’amore in età più matura e fa appello a tre similitudini. Nella prima quartina il poeta si affianca ad un guerriero che, non appena percepisce il tuono della tromba militare, si dice pronto alla battaglia; nella