Già Franco Tomasi ha riconosciuto nella poesia amorosa di Molin la sporadica «incursione in territori di più spinto sensualismo».72 È noto che l’erotismo lirico – e quindi i baci, le notti
d’amore, l’ammissibilità di un amore carnale – non trova spazio nei Fragmenta petrarcheschi, laddove la sensualità è per lo più bandita a favore di una sublimazione dell’amata, irraggiungibile e intangibile.73 Ciò nonostante sulla scorta dei riscoperti poeti provenzali,74 della
lirica latina e della poesia neolatina,75 l’elemento erotico (nelle sue sfumature anche oscene)
conobbe nel Cinquecento una ragguardevole fortuna letteraria destinata a trovare il proprio culmine nella sensualità di fine secolo.76 Pur con le differenze costitutive dei generi, il filone
erotico coinvolse indistintamente ogni tipologia letteraria, dalla prosa all’epica, dalla poesia comico-burlesca alla lirica ‘alta’.77
Prima di soffermarci sugli scritti di Molin, potrebbe essere significativo contestualizzarne, per cenni, l’operazione letteraria sullo sfondo culturale della Venezia del tempo. Quest’ultima si dimostrò, infatti, un terreno fertile per una letteratura di argomento licenzioso, forse anche in virtù del carattere libertino che da sempre contraddistinse la Serenissima e della minore pressione censoria esercitata dalla Controriforma in terra veneta. Nella città con il più alto numero di prostitute d’Europa,78 furono molti gli intellettuali (e amici) di Molin a dedicarsi ad
una letteratura erotico-oscena, con cortigiane spesso protagoniste dei loro scritti. Il fatto che molti interpreti della lirica ‘alta’ del tempo si siano cimentati con poesie di maliziosa sensualità ci suggerisce, per lo meno, che l’argomento erotico non fosse percepito troppo infamante o 72 Cit. da TOMASI 2011, p. 362.
73 «[Non] che sia del tutto assente una pulsione erotica in senso stretto nel Canzoniere, non che manchino pagine di più aperto sensualismo, ma ciò che conta è che esse paiono confinate in un rarefatto paesaggio mentale in cui vengono ‘virati’ gli approdi di matrice realistica e sensuale» (cit. da TOMASI 2014bis, p. 9). Gli unici sconfinamenti, come li definisce sempre Tomasi, si limitano all’espressione di un desiderio che non si compie e trovano significativamente spazio solo nelle sestine (Rvf 22, 31-36 e 237, 31-36). Petrarca deve aver avuto bene a mente gli insegnamenti della lirica petrosa dantesca (per esempio Così nel mio parlar voglio esser aspro, dove il poeta fantastica una violenza carnale poi censurata) e soprattutto gli ambigui e maliziosi versi finali della sestina Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra (vv. 34-36). Sul loro significato ci si è dedicato da ultimo BRUGNOLO 2013. Per uno studio dei successivi sviluppi erotici nella poesia del XV secolo cfr. BARTOLOMEO 2012.
74 La poesia provenzale non è aliena da incursioni di pronunciato erotismo. A titolo esemplificativo riporto un passo da Doutz braitz e critz di Arnaut Daniel: «voilla q’ensems eu e midons jagam / en la cambra on amdui nos mandem / uns rics covens don tan gran joi atendi / que ’l sieu bel cors baisanm rizen descobra / e que ’l remir contra ’l lum de la lampa» (canz. XII vv. 36-40). Traduzione libera: «voglia che insieme io e la mia signora giacciamo nella camera in cui entrambi ci scambiammo le promesse, da cui attendo una gioia così grande, di scoprire baciando e ridendo il suo bel corpo e di ammirarlo contro la luce della lampada».
75 Particolarmente importante per l’erotismo lirico cinquecentesco fu l’esperienza poetica di Giovanni Pontano nei cui Carmina sono avvertibili vene erotiche, talvolta anche oscene, di matrice classica. A titolo esemplificativo, in un sogno il poeta ricorda il piacere degli amplessi con la defunta moglie Arianna (Lyra IX “Uxorem in somnis alloquitur’’, 1-9 in PONTANO Carmina).
76 Per alcuni saggi generali sull’erotismo lirico in epoca rinascimentale cfr. GLENISSON –ROCHON – FABRIZIO-COSTA 1986;FRATANI –LARIVAILLE-FABRIZIO-COSTA 1988;BOILLET –LASTRAIOLI 2010;
LASTRAIOLI 2011;
e il già menzionato TOMASI 2014bis (e l’intero n. XVII di «Italique»). Segnalo anche l’utile antologia della poesia erotica italiana: ALMANSI –BARBOLINI 1986.
77 Per uno sguardo sulla tradizione comico-burlesca oscena rimando al volume monografico di «Italique» n. XVI (2013) curato da Chiara Lastraioli.
incompatibile con una letteratura di altro registro. Oltre al celebre caso dell’anonima e audace Venexiana (1536-1537), commedia in una koiné dialettale veneto-lombarda,79 nel nostro
discorso sono ineludibili anche gli scritti erotici del nipote di Domenico Venier, Maffio, che scelse il dialetto veneziano per comporre un centinaio di testi di spiccato realismo e di non pochi riferimenti sessuali.80 Il ricorso al dialetto, soprattutto nel caso di Maffio, non vuole
affatto essere una scelta comico-realistica. O per lo meno non solo. Al contrario, l’operazione propose una vera e propria trasposizione del petrarchismo toscano in lingua veneziana con il doppio proposito di dare nobiltà anche alla mediocrità del quotidiano e dimostrare la pari dignità letteraria della propria lingua natale.81 Già suo padre, Lorenzo Venier, aveva raggiunto
la popolarità soprattutto con Il trentuno della Zaffetta (1532 ca.), poemetto dedicato allo stupro di una cortigiana di nome Angela del Moro,82 dove la materia sessuale è trattata con crudo
realismo. Anche il più famoso fratello Domenico non si ritrasse da simili operazioni letterarie. Con Benedetto Corner egli intrattenne uno scambio lirico, sempre in dialetto, dedicato alla cortigiana veneziana Elena Artusa, amante dell’amico Giacomo Zane, raccontata in termini osceni e denigratori nella sua attività di prostituta.83 Sempre gravitante attorno a Ca’ Venier
andranno menzionati anche gli scritti di Veronica Franco, cortigiana attiva proprio in Campo Santa Maria Formosa, nella cui scrittura non manca un realismo erotico quotidiano. Allargando lo sguardo, a tematiche oscene si dedicarono anche molti altri sodali di Molin tra cui soprattutto Pietro Aretino, autore dei celeberrimi Sonetti sopra ai XIV modi, e Nicolò Franco che, in risposta alla provocazione aretiniana, nel 1541 diede alle stampe a Venezia i Sonetti lussuriosi e satirici con la Priapea. Nell’elenco andranno annoverati anche Francesco Maria Molza, Lodovico Dolce, Giovanni Della Casa e Francesco Sansovino, tutti autori di capitoli burleschi a tema erotico editi in più occasioni nel corso del Cinquecento.84
Non si vogliono individuare improprie connessioni tra l’esperienza poetica di Molin e i casi appena citati riconducibili piuttosto alla coeva letteratura dialettale e burlesca. Tuttavia, ritengo che non sia secondario collocare l’erotismo lirico di Molin in un contesto che non perse occasione per frequentare anche i temi più licenziosi. Limitatamente alla poesia lirica ‘alta’ rinascimentale, e dunque con registri e contenuti lontani da quelli finora menzionati, suggerisco di riconoscere principalmente tre canali di espressione di un soggetto licenzioso: il sogno erotico,85 la riscrittura o la rielaborazione dell’exemplum classico (con debiti soprattutto dagli
elegiaci latini) e il ricorso all’esperienza volgare extrapetrarchesca della poesia pastorale. A quest’ultima tipologia è riconducibile il madrigale La pastorella mia, l’altr’ier mirando (n. 79 Si veda l’edizione a cura di Giorgio Padoan (qui PADOAN 1994).
80 Cfr.VENIER Sonetti e canzoni.
81 Theodor Elwert riconobbe le ragioni di quest’operazione nel forte orgoglio nazionale dei veneziani e nell’attitudine all’innovazione, declinata in questo caso allo stesso codice lirico, innovato nella lingua e nei contenuti (per questo cfr. THEODOR ELWERT 1958, p. 160).
82 Nota anche per essere stata modella per Paris Bordon e Tiziano, è ricordata anche da Pietro Aretino nella commedia della Cortigiana (Atto IV, scena 8) in ARETINO Teatro comico.
83 Rimando a AGOSTINI NORDIO 1991 e ROSSI 2010. 84 Antologizzati e studiati inMARZO 1999.
85 Per questo è fondamentale il lavoro di MILBURN 2014. La studiosa affianca alle considerazioni teoriche un ricco apparato di testi. Tra questi meritano di essere menzionati alcuni esempi di marcata vis erotica: il sonetto O notte, o vision dolce e gioiosa di Angelo di Costanzo (in cui il poeta immagina di possedere l’amata in sogno) e il sonetto O sonno, o reliquie, e tregua de gli affanni di Jacopo Sannazaro (in cui, sempre in sogno, il poeta immagina di vendicarsi della crudeltà dell’amata facendole violenza); per i testi e un commento cfr. MILBURN 2014, pp. 24-25.
114), unico caso all’interno del corpus moliniano ad affrontare un topos agreste in una prospettiva erotica.86 Il componimento descrive la maliziosa lotta tra il poeta e una pastorella (preceduta
dallo scontro dei rispettivi animali), conclusasi con la loro languida caduta sul prato che lascia intuire l’esito sessuale dello scontro. Alla sensualità della situazione concorrono più fattori: l’ambientazione agreste di memoria pastorale, la fisicità del contatto tra i corpi, l’allusione erotica della lotta amorosa quale prefigurazione dell’amplesso, la suggerita equivalenza tra i gesti dei pastori e quelli dei loro rispettivi animali («col mio capro cozzar la sua cervetta», v. 2)87 e, infine, l’andamento languido e malizioso della donna («ver me mosse in dolci atti», v. 4).
Alla base del testo è avvertibile un’articolata sovrapposizione di precedenti letterari, a partire dalla tradizione della pastorella medievale provenzale, connotata dal protagonismo del desiderio carnale maschile.88 Questa tipologia lirica fu riproposta in Italia da Guido Cavalcanti
e Franco Sacchetti tra XIII e XIV secolo, a loro volta riscoperti nella prima metà del Cinquecento e con fortunato seguito nel circolo veniero.89 Nella memoria di Molin potrebbe
aver agito anche Rvf 52, madrigale di schema dissimile, ma in cui al v. 4 si rileva la presenza di una pastorella («ch’a me la pastorella alpestra et cruda») – per quanto in Petrarca sia assente ogni sfumatura maliziosa, allusa invece in Molin dal doppio senso osceno del capro e della cervetta. La struttura metrica del testo di Molin, madrigale a schema ABCABDD, coincide perfettamente con Rvf 106 e risponde dunque al profilo madrigalesco di stampo trecentesco. Questo rigore formale di gusto antiquario nella scrittura e il dialogo con una sensualità pastorale di tradizione medioevale alimentano il dubbio che si tratti di uno degli esperimenti arcaizzanti propri della scrittura moliniana.90 D’altra parte, il contesto veneziano coevo non è
affatto alieno da componimenti di soggetto pastorale, declinati sempre in una prospettiva erotico-maliziosa. È il caso ad esempio di Lodovico Dolce, autore di un ciclo di diciotto sonetti licenziosi di ambientazione bucolica, dove l’amata figura nelle vesti di una leggiadra e bella pastorella.91 Ma negli stessi anni, simili risultati lirici si attestano anche negli scritti di Bernardo
Tasso, Pietro Gradenigo, Lodovico Domenichi, Erasmo di Valvasone, Orsatto Giustinian e Celio Magno (del quale segnalo soprattutto Rime 95-96).92 Per concludere, a causa della non
databilità del testo moliniano, è impossibile stabilire con precisione in quale rapporto si ponga con altri due madrigali, di pressoché uguale soggetto lirico e assai simili nell’andamento metrico, pubblicati a Venezia nei decenni centrali del XVI secolo: La pastorella mia, che mi innamora di Girolamo Fracastoro e La pastorella mia, veggio talora di Lodovico Paterno, entrambi poeti noti e vicini al nostro.93
86 Molto distanti sono i sonetti di ambientazione bucolica costitutivi della sezione morale (MOLIN Rime 131-141).
87 Il termine capro (ma anche caprone, montone) ha spesso nella letteratura erotica del tempo una valenza allusivamente sessuale; per altre occorrenze rimando al commento di madr. 114.
88 Per un’indagine sulla pastorella nella poesia provenzale rimane ancora valido AUDIAU 1973. 89 Penso, ad esempio, alle ballate In un boschetto trova’ pasturella di Guido Cavalcanti (CAVALCANTI Rime 46) e O vaghe montanine pastorelle di Franco Sacchetti (SACCHETTI Rime 131).
90 È di questo parere anche GALAVOTTI 2018, p. 351: «Si potrebbe fare per 114 un discorso simile a quello fatto per la ballata 93 e leggerlo, cioè, come un tentativo filologico-arcaizzante di adattamento su base etimologica del metro al tema».
91 In Rime di diversi 1545, vol. I, pp. 307-315.
92 Di quest’ultimo segnalo soprattutto MAGNO Rime 95-96 e le considerazioni di COMIATI 2014, pp. 103-140.
93 Il primo pubblicato nelle Rime di diversi 1545, vol. I, p. 306; il secondo in PATERNO Nuove Fiamme, c. 52r. Come possibile prodromo, non sfugga il madrigale Avara pastorella di Luigi Da Porto (DA PORTO Rime 33).
Tuttavia nel corso del Cinquecento il racconto di un soggetto erotico, tanto in poesia quanto nell’arte figurativa, si affida soprattutto al medium greco-latino. Una prima ragione risiede nella pressoché inesauribile ricchezza di spunti narrativi offerti dal patrimonio mitologico classico; e non è certo necessario dimostrare in questa sede quanto il dialogo con la classicità letteraria abbia rappresentato, nel Rinascimento, un’imprescindibile fonte di ispirazione sia per opere poetiche originali sia per numerosi volgarizzamenti di epoca moderna (per lo più di poemi epici, ma non sono affatto infrequenti nemmeno riscritture di componimenti elegiaci).94 In più, il ricorso ai classici autorizzava soprattutto gli artisti ad
affrontare soggetti lascivi e licenziosi che altrimenti sarebbero stati incompatibili con la rigidità della Controriforma.95 Non solo era possibile raccontare l’erotismo degli antichi, ma era lecito
anche assumerlo a criterio di paragone con il proprio vissuto. In altri termini la mitologia classica funge da prodromo legittimante alle pulsioni erotiche, trasgressive e carnali, raccontate dalla lirica moderna. Un esempio del meccanismo è offerto dal sonetto Marte, perché sì pertinace e fero (n. 32) delle Rime di Molin. L’innamorato è intenzionato a ritardare il più possibile la separazione dall’amata, posticipando i propri obblighi militari. Per giustificare il proprio diniego si appella alle vicende erotiche di Venere e Marte, giacché il dio della guerra per primo non rispettò gli ordini di Giove in nome della propria passione amorosa. Intenzionato a imitarne la trasgressione, il poeta vede nell’audacia di disubbidire al proprio superiore, attuata da Marte, una fonte di legittimazione alla propria pulsione erotico-carnale. Una situazione identica – e a dir la verità abbastanza comune nella lirica del periodo – è riproposta dall’autore anche nella canzone Tre volte avea l’augel nuncio del giorno (n. 85), su cui torneremo più avanti, e nella canzone Io vo’ contando i mesi e i giorni e l’ore (n. 87), dedicata ancora al motivo della separazione dall’amata per ragioni militari. Nel tentativo di persuadere a suo favore l’ignoto signore a capo della propria spedizione,96 l’innamorato fa ancora una volta appello al
precedente di Marte con la promessa di tornare sul campo di battaglia in primavera:
Signor, che mi chiamaste al sommo impero del bel regno famoso
ch’Adria commette al vostro alto governo, consentite per Dio, se non ch’io pero
del desir amoroso, ch’io me ne vada a lei mentr’aspro verno
fa scorno a l’armi e scherno,
ch’anco Marte al suo Amor ritornar suole,
94 È il caso, per esempio, di Baciami, ed ogni bacio duri quanto di Giacomo Zane (son. 30 delle sue Rime estravaganti), Godianci amando, o mia diletta Flora di Orsatto Giustinian (GIUSTINIAN Rime 53) e Viviamo, amiamci, o mia diletta Jelle di Torquato Tasso (T.TASSO Rime 380), tutti ispirati a Catullo Carm. V. Tracce di simili riscritture liriche si avvertono anche in Molin, senza mai interessare però argomenti di esplicita materia erotica.
95 La cauta intermediazione fornita dalla mitologia è evidente nel caso de I modi (1524) di Marcantonio Raimondi, una serie di sedici incisioni erotiche (su disegno di Giulio Romano) accompagnate poi da altrettanti sonetti di Pietro Aretino. Nonostante il successo commerciale, l’opera venne censurata e l’autore incarcerato. L’operazione fu riproposta nel 1526 dal ciclo di incisioni di Jacopo Caraglio Amori degli dei, su disegni di Perin del Vaga e con contributi di Rosso Fiorentino. La scelta di sostituire le persone comuni (come nei disegni di Romano) con gli dei dell’antichità permise all’opera di non subire il rigore della censura. Nel concreto, il risultato figurativo era senz’altro simile, ma ideologicamente molto distante.
poi giunto in Tauro il sole
pronto ritornarò, ch’onor mi sprona e stella e sangue a voi mi piega e dona. (vv. 56-66)
Nel XVI secolo scegliere di associare il proprio amore a quello di Venere e Marte significa sia ricondurlo all’unione amorosa per antonomasia della mitologica classica, ma altresì conferirgli di riflesso un’innegabile carnalità, coerente con la fisicità peculiare delle imprese erotiche degli dei (di cui Marte e Venere non fanno eccezione). Nella mente di Molin deve essere stata ben chiara la fittissima tradizione letteraria rivolta al loro amore adultero ai danni di Vulcano, raccontato da quasi tutti i massimi interpreti della classicità.97 In epoca medioevale l’episodio
aveva riscosso l’interesse soprattutto di Boccaccio che vi ci si dedicò principalmente nel Filocolo IV 46 e nella Teseida VII 22-26.98 Dopo le riscritture di Poliziano (Stanze I 119-123) e di Lorenzo
de’ Medici (Furtum Veneris et Martis), nel corso del XVI secolo l’episodio venne riproposto in coincidenza delle molteplici riscritture ovidiane di Niccolò degli Agostini, Lodovico Dolce e Giovanni dell’Anguillara.99 Parallelamente, tra gli anni Quaranta e Ottanta, la vicenda fu
oggetto anche di ispirazione per molti pittori del Rinascimento veneziano quali Paris Bordon, Tintoretto e Paolo Veronese.100
Il desiderio di rimanere fra le braccia dell’amata il più a lungo possibile, di solito nell’intimità di una camera da letto,101 costituisce uno dei motivi elegiaci di più ampia fortuna letteraria.
Questo spesso si accompagna ad un altro topos di pari successo lirico ossia il risveglio mattutino degli innamorati. L’alba, per antonomasia nemica degli amanti, pone fine alla loro passione notturna costringendoli ad un doloroso distacco.102 Dati gli interessi provenzaleggianti del
cenacolo veneziano il tema – senz’altro debitore, però, principalmente di OVIDIO Am. I 13 – 97 Tra i molti, ricordo: OMERO Odissea VIII 266-269; VIRGILIO Georgiche IV 345-347; PROPERZIO Elegie II 32; OVIDIO Ars Amatoria II 561-600; OVIDIO Metamof. IV 167-189; OVIDIO Am. I 9, 39-40; OVIDIO Tristia II 377-378; GIOVENALE Le Satire IV 10 310-314; MARZIALE Epigrammi V 7.
98 Il Filocolo conobbe una fortunata circolazione in epoca rinascimentale, anche grazie alle numerose edizioni a stampa. Solo in area veneziana si contano almeno 21 edizioni pubblicate tra il 1472 e il 1585. 99 Per uno studio sugli amori di Marte e Venere nelle principali opere in ottava del Cinquecento cfr. BARBERI SQUAROTTI 2006, pp. 7-34 (cap. Venere e Marte: le allegorie della pace).
100 Mi riferisco a Paris Bordon (Marte e Venere sopresi da Vulcano, 1549-1554 – Gemäldegalerie, Berlin), Paolo Veronese (Venere e Marte legati da Amore, 1580 – Metropolitan Museum of Art di New York e Marte e Venere con Cupido, Galleria Sabauda) e Tintoretto (Venere, Vulcano e Marte, 1560 – Altepinakothek, Monaco). Di età precedente si dovrà ricordare: Sandro Botticelli, Venere e Marte, 1482-1483 – National Gallery di Londra. Per recenti indagini sull’intreccio tra letteratura e pittura intorno al mito di Marte e Venere segnalo i lavori di Massimiliano Simone (SIMONE 2017 e SIMONE 2018).
101 Per alcune camere da letto, sedi di godimento sensuali, si ricordi ad esempio DOMENICHI Rime 196, 14 e 9-11 «O dolce albergo al mio pensiero amaro, / e del mio travagliar fido riposo; / O cameretta, a cui scovrir sol oso / il mio concetto a nessuno altro chiaro; […] // O letticiul, mollissimo sostegno / del gioir di duo amanti, or di me solo / e del mio pianto asprissimo ricetto», debitore di ARIOSTO Rime 3, 9-11 «O caro albergo, o cameretta cara, / ch’in queste dolci tenebre mi servi / a goder d’ogni sol notte più chiara!»
102 Per la notte come momento privilegiato dell’espressione amorosa, nelle Rime di Molin andranno ricordati anche il son. 69 (dialogo notturno tra il poeta, Eco e un usignolo sui propri strazi d’amore), le canzoni 89 e 90 (nelle quali l’innamorato si rivolge alla Luna e concepisce la notte come l’unico momento adatto ad esprimere le proprie pene sentimentali). Per l’importanza del motivo, che affonda le radici nella poesia latina, cfr.: OVIDIO Am. I 13; TIBULLO Eleg. 2, 73-76; PROPERZIO Eleg. II 15, 1-12; MARZIALE Epigr. XI 104, 5-6. Sul topos cfr. BOUQUET 1996. Molto utile, e ricco di riferimenti testuali, è anche il saggio diMALINVERNI 2000,meritevole di ripercorrere la fortuna del motivo nella lirica volgare del secondo Quattrocento e primo Cinquecento.
potrebbe essere posto in relazione anche con la tradizione della chanson d’aube provenzale, sottogenere lirico dedicato alla descrizione del penoso allontanamento degli amanti clandestini.103 Molin affronta questo topos amoroso in due occasioni; in primo luogo, nel trittico
nn. 45-47, di fatto un’invettiva contro l’invidiosa Aurora, colpevole di essere arrivata troppo presto e aver costretto così l’io lirico a separarsi dal letto dell’amata.104 Senza sfumature
tragiche, l’allontanamento dalla donna è però solo provvisorio e il poeta non può che augurarsi che a sua volta anche il sole acceleri il proprio corso così da riportare la notte agli amanti.105
La triade moliniana, lontana dal petrarchismo più casto, si contraddistingue per una divertita sensualità legata alla situazione erotica sullo sfondo (il poeta giace con la propria amata dopo una notte di passione) e alle maliziose ipotesi sui rapporti carnali tra Aurora e il vecchio marito Titone. Infatti, in ogni sonetto del trittico l’innamorato suggerisce alcune proposte per ritardare l’arrivo della dea e poter così godere più a lungo dell’amplesso. Nel primo invita provocatoriamente Aurora a trovarsi un amante più giovane del vecchissimo marito, così da ottenerne un maggiore godimento sessuale che ne rallenti l’arrivo. Nel secondo, Molin esorta invece il decrepito Titone a tingersi i capelli e la barba nella speranza che camuffare la propria vecchiaia possa renderlo più appetibile agli occhi della moglie che, appagata, sarebbe più motivata a intrattenersi nel letto nuziale più a lungo. Nell’ultimo, il poeta insinua a Titone il