• Non ci sono risultati.

IV 2 La novità della ripartizione per argomento: le Rime di Girolamo Molin (1573)

È in questo sfaccettato contesto editoriale-librario che nel 1573 vennero alla luce le Rime di Girolamo Molin in una veste macrostrutturale per nulla sovrapponibile al modello petrarchesco: non sono bipartite, non si riconosce una parabola amorosa con esito penitenziale, manca la fedeltà amoroso-letteraria ad una sola donna-Musa e non si riscontra un’attenzione metrica simile a quella attuata da Petrarca nei Fragmenta. Le Rime di Molin si articolano in sette sezioni tematiche (Amorose, Morali, In materia di stato, In morte, Spirituali, In vari soggetti, Di corrispondenza), ognuna delle quali presenta ulteriori sotto ripartizioni metriche.36

Inoltre il volume è corredato da una prefatoria iniziale a cura di Celio Magno,37 seguita dalla

Vita di Girolamo Molino,38 e si conclude con un’appendice di Rime di diversi in morte dell’autore:

aspetti, questi ultimi, su cui torneremo a tempo debito.

Prendiamo innanzitutto in considerazione l’organizzazione tematica della raccolta, rilevante per la sua novità macrostrutturale e ideologica, e a ben guardare ulteriore e cruciale superamento rispetto a quanto illustrato nel paragrafo precedente. La fisionomia del volume non coincide, infatti, né con quella dei modelli più prossimi (quali Bembo e Trissino), né con quella degli interpreti della sua più vicina koiné di riferimento (Parabosco, Corso, B. Tasso, Beaziano, Massolo). Al contrario, la ripartizione per argomento risponde piuttosto ad un gusto compositivo attestato soprattutto tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, e di cui Gabriello Chiabrera, Torquato Tasso e Gian Battista Marino sono solo gli esponenti più illustri.39 Il dato è già significativo in sé e per sé in quanto ci ribadisce la rilevanza di Molin 36 La struttura delle Rime di Molin mi pare legittimi in sé stessa la scelta, messa in atto all’interno del mio lavoro dottorale, di fornire un’introduzione ad ogni singola sezione del volume, prospettiva multipla che a mio parere permette di contestualizzare più adeguatamente la poesia (e il pensiero) di Molin nelle sue poliedriche sfumature. Si ricordi, per quanto forse marginale nel nostro discorso, che il sette ha un significato rilevante nella numerologia cabalistica tanto cara al veneziano Giulio Camillo, frequentatore di Trifon Gabriele.

37 Datata 20 ottobre 1572, la lettera dedica l’opera a Giulio Contarini. Si tratta dell’unica dedicatoria celiana di cui ho conoscenza. Per una bibliografia sulla dedicatoria nel corso del XVI secolo cfr. GENETTE 1989, pp. 158-226; MATT 2005 (soprattutto il cap. 6 La lettera dedicatoria, pp. 161-176); PAOLI

2009; TOMASI 2012 (cap. La lettera prefatoria, pp. 102-130). Vale la pena ricordare anche il progetto sulle dediche coordinato da Maria Antonietta Terzoli presso l’Università di Basilea (vedi

http://www.margini.unibas.ch/start.html) e in parte esposto in TERZOLI 2012.

38 A cura di Gian Mario Verdizzotti, lo scritto biografico-commemorativo rappresenta una preziosa miniera di informazioni, ma non è esente da un’idealizzazione filosofica del personaggio (elevato a classico del proprio tempo), motivo per cui sarà doveroso dubitare dell’effettiva veridicità di alcune affermazioni. Per uno studio cfr. TOMASI 2014. Inoltre, Monica Bianco ha dimostrato quanto le vite di

molti interpreti del circolo legato a Domenico Venier siano state modellate su quelle dei filosofi pitagorici, con il doppio fine di illustrare l’uso poetico di rifuggire il clamore della società civile e d’altro canto giustificare la presenza di una poesia morale e impegnata (per lo studio cfr. BIANCO 2012bis). 39 Gabriello Chiabrera articolò il primo volume delle sue Canzoni (Genova, Bartoli, 1586) in Eroiche, Lugubri, Sagre e Morali. Torquato Tasso diede alla luce le Rime amorose (Brescia, Marchetti, 1591), Rime encomiastiche (Brescia, Marchetti, 1583) e postume le Rime spirituali (Bergamo, Comin Ventura, 1597). Nella Rime di Marino (Venezia, Ciotti, 1602) si riconoscono molteplici livelli di ripartizione interna, così scandito: tra la Prima parte di soli sonetti (Amorose, Marittime, Boscherecce, Heroiche, Lugubri, Morali, Sacre, Varie, Proposte et Risposte), la Seconda parte di soli canzoni e madrigali (Amorose, Marittime, Boscherecce, Heroiche, Lugubri, Morali, Sacre, Varie, Proposte et Risposte) e la Terza parte suddivisa in Amorose, Lodi, Lagrime, Divotioni, Capricci, Poesie di diversi al cavalier Marino. Oltre ai casi più illustri vale la pena ricordare almeno gli esempi delle: Rime di Gaspare Murtola (Venezia, Miglietti, 1604), scandite in Sonetti, Gli occhi, Le lacrime, I pallori, I nei, I baci, Le Veneri, Gli Amori; le Rime di Tommaso Stigliani (Venezia, Gio. Batt. Ciotti, 1608), scandite in Amori civili, Amori Pastorali, Amori Marinareschi, Amori Giocosi, Soggetti Heroici,

come figura poetica di transizione tra la sensibilità lirica di primo Cinquecento e quella della seconda metà del secolo. Lungi dal voler ipotizzare una discendenza in qualche modo diretta tra l’esemplare moliniano e i più vicini risultati di Chiabrera e Tasso,40 sarà comunque

necessario riconoscere all’opera dello scrittore veneziano il merito di aver anticipato una prassi successiva, innovando e superando sensibilmente l’uso compositivo più diffuso. Una simile articolazione testimonia la «lacerazione evidente di ogni unità del romanzo lirico»,41 motivo

per cui è opportuno osservare più da vicino la natura di questa variazione strutturale.

La presenza di un’esplicita scansione metrica all’interno delle Rime di Molin – distinte tra sonetti, canzoni, ballate, sestine, canzonette, madrigali, stanze e capitoli in terza rima –42

ribadisce lo sperimentalismo metrico dell’autore ma non costituisce una vera e propria sorpresa a metà del XVI secolo.43 A quest’altezza temporale è già ben attestato l’uso di accostare

tipograficamente uguali forme metriche così da definire ordinati ‘blocchi lirici’. In più, nell’editoria del tempo non mancano nemmeno indicazioni metriche a livello di paratesto o di tavola delle rime.44 Gli esempi citabili sarebbero molti. Eloquente nel nostro discorso, per

esempio, è l’edizione postuma delle Rime di Lodovico Ariosto (Venezia 1546), metricamente ripartita da note paratestuali.45 Nella successiva edizione del 1560, curata da Dolce,

l’articolazione si fa ancora più esplicita: «Rime di M. Lodovico Ariosto, cioè sonetti, canzoni, madriali, stanze, e capitoli» (cc. 4r-25r); «Capitoli amorosi del medesimo» (cc. 25r-41v), «Stanze di M. Lodovico Ariosto le quali dal medesimo furono poste nel canto trentatre del Furioso e da lui rifiutate» (cc. 42r-54r); «Le satire» (cc. 55r-87v). Ritornando a Molin, risulta forse più interessante provare a ragionare intorno alla scelta dell’ordine metrico-dispositivo delle forme, ad un occhio attento non coincidente con un preciso dettame poetico-teorico del tempo;46

nonostante sia una sequenza che trova riscontro – per quanto non in modo dirimente – in altre stampe dell’epoca. Scorrendo i testi, si dovranno escludere ragioni legate alla lunghezza Soggetti Morali, Soggetti Funebri, Soggetti Famigliari; le Rime di Ludovico Rota (Venezia, Deuchino, 1612), scandite in Amorose, Lugubri e Varie; le Rime di Francesco Balducci (Roma, G. Facciotti, 1630), scandite in Amorose, Eroiche, Lugubri, Morali, Sacre, Famigliari, Proposte e risposte; Poesie sacre, morali e spirituali di monsignor Petrucci (Venezia, Hertz, 1686) dove alla ripartizione tematica se ne sovrappone una metrica: Sonetti, Canzoni, Ottave, Madrigali, Canzonette, Cantate, Idilli, et Oratorii. Per il canzoniere nel XVII rimando a MONTAGNANI 2008.

40 È certo, però, che Chiabrera trascorse un periodo a Venezia dopo il 1576, dove ebbe modo di frequentare Andrea Gabrieli, coinvolto in prima persona nelle iniziative del cenacolo di Venier e tra i compositori ad aver musicato più testi di Molin. Invece la conoscenza, e soprattutto l’apprezzamento, di Torquato Tasso per Molin è cosa nota.

41 Cit. da RUSSO 2008, p. 58 (in merito alla fisionomia delle Rime di Marino).

42 Una doverosa precisazione: l’ordine di apparizione è costante, ma non in tutti i blocchi tematici si attestano tutte le forme metriche elencate.

43 Rilevante, per esempio, è il caso delle Rime del fiorentino Francesco Cei, edite a Venezia per i tipi di Ioanni Tacuino da Trino intorno al 1515 (ma la data è solo supposta), e rigidamente scandite in blocchi metrici: sonetti (96), capitoli (8), canzoni (9), sestine (3), stanze (20) e strambotti (17). Per uno studio sulla struttura dei canzonieri d’autore, da Petrarca a Sannazaro, in rapporto alla metrica rimando a BALDASSARI 2018.

44 Come, per esempio, già nelle Rime di Gandolfo Porrino (Venezia, Michele Tramezzino, 1551). 45 Le Rime di Ariosto, non organizzate dall’autore in un canzoniere organico e mai edite dal poeta in vita, videro la loro prima pubblicazione per le cure di Iacopo Coppa nel 1546.

46 Per esempio non corrisponde all’ordine proposto dalla Poetica di Trissino (sonetti, ballate, canzoni, sestine, madrigali, serventesi), dalle Osservationi di Dolce (sonetti, canzoni, madrigali, ballate, sestine, terza rima, ottava rima, versi sciolti), dal Modo di comporre i versi di Ruscelli (stanze in ottava rima, terza rima, madrigali, ballate, canzoni [e sestine], sonetto, delle risposte).

progressiva del componimento o al tradizionale prestigio formale. Dietro all’ordinamento dispositivo delle sue Rime sembra valido scorgere quasi un compromesso tra la volontà di privilegiare dapprincipio le forme più canoniche (sonetti e canzoni) – a cui seguono le meno scontate, seppur diffuse, forme brevi (come ballate, canzonette e madrigali) – e tra la necessità, in termini pratici, di tenere conto di un aspetto quantitativo, andando così a favorire la prima posizione per le tipologie metriche più numerose: 188 sonetti, 19 canzoni, 17 ballate, 2 sestine, 6 canzonette, 16 madrigali, 1 stanza, 2 capitoli ternari. Ciò nonostante, salta all’occhio l’arbitrarietà non rigorosa dell’ordinamento laddove, a titolo esemplificativo, la scelta di porre in ultima posizione il capitolo in terza rima non si giustifica né per ragioni di lunghezza metrica né di numero di attestazioni in Molin.

La prassi di esplicitare in elenco le tipologie metriche incluse nelle raccolte è documentata già nei titoli primo-cinquecenteschi, come nei casi delle Rime di Antonio Tebaldeo, Serafino Aquilano e dell’Opera Nova di Pietro Aretino.47 Sarei portata a credere che un simile gusto per

la precisione metrico-terminologica si debba mettere in relazione anche con il successo della trattatistica poetico-metrica che nei decenni centrali del secolo ebbe proprio a Venezia il suo epicentro.48 Quest’interesse teorico si affianca alla volontà di gran parte dei poeti del

Cinquecento di cimentarsi, nella prassi, in variegati esercizi metrici, talvolta veri e propri arditi sperimentalismi. Non sorprende, quindi, imbattersi nella sempre più diffusa inclusione di forme metriche altre, escluse dai Rvf, ma perfettamente lecite in qualunque volume cinquecentesco (si pensi ai capitoli, canzonette, strambotti, egloghe e alla sempre più ingombrante presenza madrigalesca). Per concludere, Franco Tomasi suggerisce che il successo di alcune forme metriche, in particolare del madrigale, possa essere inteso come concausa del frantumarsi del modello petrarchesco di libro di poesia in quanto si tratta di «un metro che trascina con sé modalità di diffusione, forme di fruizione e, conseguentemente, di organizzazione dei materiali particolarmente autonome e indipendenti».49 In ogni caso,

l’imporsi sempre più radicato di una scansione metrica quale criterio organizzatore interno delle sillogi rappresenta in sé un ulteriore e fondamentale allontanamento dal modello petrarchesco, nella cui coesione interna convivono invece varie forme metriche senza demarcazioni tipografiche.

Risulta maggiormente problematico giustificare la scelta di scandire l’opera in capitoli tematici. La presenza di semplici corpora, compatti per soggetto lirico e con spie di connessione intertestuale, permea qualunque canzoniere cinquecentesco ed è quindi superfluo annoverarne esempi. Più significativo invece, in quanto indizio del radicamento di una tematizzazione della scrittura lirica, è l’uso sempre più avvertito di qualificare nel titolo l’argomento (e quindi la tipologia) delle Rime. Questo meccanismo è valido soprattutto per la generica categoria delle

47 A titolo esemplificativo: Opere de miser Antonio Thibladeo da Ferrara. Dialoghi, disperata, epistole, egloghe, capitoli (Venezia, Sessa, 1514); Opere dello elegante poeta Seraphino Aquilano. Sonetti, egloghe, epistole, capitoli, strambotti, barzellette (Venezia, Guglielmo da Fontaneto, 1519) e Opera nova del fecundissimo giovene Pietro pictore Arretino zoè Strambotti Sonetti Capitoli Epistole Barzellete e una Desperata (Venezia, Zoppino, 1512). 48 Senza elencare tutti i trattati di poetica e di metrica a cui Molin potrebbe aver avuto accesso, basti ricordare che il poeta fu sicuramente in contatto con Gian Giorgio Trissino, Giulio Camillo, Bernardino Daniello, Nicolò Franco, Lodovico Dolce, Francesco Sansovino e, forse, Antonio Minturno (di cui conobbe però quasi certamente l’opera).

Rime amorose e delle Rime spirituali,50 ma si annoverano anche corrispettivi morali e lugubri.51

Non si deve certo commettere l’errore di intendere alla lettera simili intitolazioni poiché la materia poetica corrispondente non è quasi mai esente da deviazioni d’argomento;52 ciò

nonostante questa prassi costituisce il substrato su cui collocare anche il caso moliniano, in qualche modo collettore, in unico volume, dell’intero ventaglio tematico affrontato dalla lirica del tempo.

È ovviamente da respingere la rivendicazione di Marino, in contesa con Stigliani, di aver inventato l’articolazione per blocchi di argomento.53 In un’ipotetica storia della forma

editoriale, Molin pare il terzo autore ad esservisi dedicato dopo due fondamentali precedenti pubblicati sempre a Venezia:54

- le Egloghe del Muzio Iustinopolitano (Giolito 1550), scandite in Amorose, Marchesane, Illustri, Lugubri, Varie;

- le Nuove Fiamme di Lodovico Paterno (Valvassori 1561), articolate in cinque libri (con un’appendice di corrispondenza): Di Sonetti, et Canzoni Pastorali (I); Di stanze (II); Di Elegie (III); Di Egloghe Marittime, Amorose, Lugubri, Illustri e Varie (IV) e Di Nenie, et Tumuli (V) – nella cui struttura si riconosce una doppia articolazione metrico-formale e tematica.

La popolarità degli autori e degli editori è già ragione sufficiente per ammettere una loro conoscenza da parte di Molin. Tuttavia, si potrà aggiungere che Paterno, per quanto attivo principalmente a Napoli, intrattenne contatti, tra gli altri, con Domenico Venier, Lodovico Dolce e Lodovico Domenichi, a ognuno dei quali dedicò almeno un sonetto.55 Soprattutto,

Paterno dimostrò una profonda familiarità con l’ambiente lirico veneziano nel sonetto Adria, ch’in mezo l’onde Italia honora, meritevole nelle terzine di delineare con precisione il circolo di Campo Santa Maria Formosa.56 Per quanto non sia documentato un soggiorno di Paterno a

Venezia, si dovrà comunque rilevare l’avvicinamento almeno intellettuale del napoletano alla

50 Interessante per il nostro discorso è l’edizione giolitina delle Rime di Vittoria Colonna, per le cure di Dolce e con dedica a Giorgio Gradenigo, andata a stampa nel 1552: l’opera presenta un’esplicita ripartizione metrica interna (con distinzione tra sonetti, canzoni, capitoli e stanze) e una bipartizione tematica (il primo libro conserva le rime amorose e d’occasione, il secondo solo quelle spirituali). 51 Per citare solo alcuni casi area veneziana: Rime amorose di Georgio Bizantio Catharense (Venezia, Dal Borgo, 1532) e Le amorose rime di Ascanio Centorio caualier di san Iacopo dalla Spada (Venezia, Pagan, 1559); Le Rime spirituali della illustrissima signora Vittoria Colonna (Venezia, Valgrisi, 1548); le Rime spirituali di Giulio Bonnunzio (Venezia, Pagan, 1558); Sonetti morali di Pietro Massolo (Bologna, Antonio Manuzio, 1558); Lettera consolatoria, orazione e rime diuerse funebri di Vincenzo Cardini (Venezia, Comin da Trino, 1561). 52 Mi riferisco, ad esempio, al fatto che nei citati Sonetti morali di Pietro Massolo si attestano numerosi componimenti di materia spirituale e d’occasione.

53 Cfr. RUSSO 2008, p. 58 n. 39.

54 Deve essere ricordato tuttavia il canzoniere manoscritto di Giovan Battista Nicolucci, meglio noto come il Pigna, tràdito in ms. 2136 della Biblioteca Corsiniana di Roma. La silloge è scandita in tre ripartizioni tematiche, intitolate Rime pastorali, Eroiche e Divine, come esplicitato anche dal sonetto di apertura: «Le rime che tra sé disgiunte sono / e varie, e sparse in lode ed in amori / di Dio, di cavalieri, e di pastori, / si cantan de la lira al dolce suono» (PIGNA Rime 1, 1-4). Il canzoniere è ascrivibile alla

seconda metà degli anni Cinquanta, ma non è nota la sua circolazione nella scena culturale di area veneta. Il precedente del Pigna è già segnalato in TOMASI 2015, pp. 25-26.

55 Ovvero il sonetto Venier, che mentre del gran Bembo alzate; il sonetto Dolce, il cui dolce canto a l’Indo, al Mauro e il sonetto Domenichi, del ciel lumi benigni (rispettivamente in PATERNO Rime, pp. 358, 438 e 448). 56 PATERNO Rime, p. 469; per un commento più dettagliato cfr. cap. V. 3. 5 Il mito di Venezia, pp. 216- 217.

koiné veneziana, portato avanti negli stessi anni anche dai conterranei Tansillo e Rota, verosimilmente facilitato dalla mediazione tassiana.

Ad oggi il primato cronologico spetta al citato volume di Girolamo Muzio, autore di una dedicatoria molto rilevante nell’economia del nostro discorso. Dopo aver espresso il desiderio di garantire al proprio destinatario, il capitano genovese Antonio Doria, una lettura di argomento eterogeneo così da poter venire incontro alla pluralità degli stati d’animo e degli interessi umani, afferma:57

Et vi menerò io per boschi di mirti, di allori, di cedri, di cipressi et di diverse maniere d’alberi. Et di questo piacere goder potrete voi di ogni stagione, et à tutte le hore, et in casa standovi in riposo […]. Or sono questi boschetti alcuni miei boscarecci scritti, i quali ho io comparti in maniera, che ne ho formata quella varietà, la quale vi ho di sopra descritta. Ché in cinque libri ho compartite trentacinque mie Egloghe con un tal ordine.

In altri termini, alla base dell’innovazione vi sarebbe la volontà di esplicitare la diversità di soggetto dei propri scritti, così da esser sicuro di appagare il desiderio di varietas del lettore.58

Non ci sono pervenuti documenti che comprovino un possibile contatto tra Molin e Muzio, figura centrale nello scenario veneto di metà XVI secolo. Ciò nonostante, il poeta patavino non mancò di dimostrare un certo apprezzamento intellettuale per Domenico Venier59 e di

segnalare Molin quale esempio di stile poetico nel XIV capitolo delle Battaglie per difesa dell’italica lingua.60 Alla luce di questi elementi, e della prestigiosa edizione giolitina delle Egloghe

(parzialmente dedicate a Tullia d’Aragona), è fuor di dubbio che queste ultime fossero familiari al nostro.

Rimandando agli studi di Valeria Di Iasio il compito di individuare un possibile archetipo alla base della rivoluzione compositiva di Muzio,61 mi riservo di suggerire uno spunto.

Personalmente sono persuasa che non si debba trascurare il prodromo della già introdotta Antologia Planudea, di fortunata circolazione cinquecentesca anche nella sua traduzione in lingua latina (Florilegium diuersorum epigrammatum in septem libros). L’opera rappresenta un modello lirico franto in sette libri ripartiti per argomento, privi di qualunque continuità narrativa trasversale alle sezioni. Il radicato classicismo cinquecentesco, che vede nell’esperienza greco-latina un modello legittimante e alternativo a quello petrarchesco, potrebbe giustificare agilmente l’assunzione di una simile architettura tematica anche per la poesia volgare di metà XVI secolo. Inoltre, un altro fattore da considerare, poiché in un certo qual modo significativo nell’assetto del libro di rime cinquecentesco, coincide proprio con la stagione editoriale musicale. Oltre alla ovvia frammentazione dell’opera complessiva in un numero totale di libri pari alla quantità

57 MUZIO Egloghe, c. 2v.

58 Anche Lodovico Domenichi, nella dedica delle Rime di diversi 1545 a Hurtado de Mendoza, insiste parimenti sulla ricerca di variatio come cifra distintiva dell’operazione editoriale: «Et però co(n) giudicio vi dono i sudo-|ri di molti: che sì come le fatiche loro saranno grate per la diversità dei co(n)cetti, et per la varietà degli stili, così gradisce il mo(n)do, et premia Iddio la infinita delle virtù vostre» (pp. 7-8). 59 Dedicatario delle sue Rime (1551) e di alcune considerazioni incluse nelle sue Battaglie (Venezia, Dusinelli, 1582).

60 MUZIO Battaglie per difesa dell’italica lingua, p. 96.

61 La dott.ssa Valeria Di Iasio ha svolto un progetto di ricerca dal titolo Le forme del libro di poesia nella seconda metà del Cinquecento (supervisore Franco Tomasi); la fine era prevista per settembre 2019.

di voci polifoniche, anche le stampe musicali optarono sempre più per una ripartizione per temi.62

A fronte di un simile scarto rispetto al modello petrarchesco, è opportuno provare a riflettere ancora un poco sulla portata di un simile cambiamento laddove, evidentemente, una mutazione nella modalità di allestire le proprie liriche è indizio di uno spostamento di prospettiva teorica. La questione impone due ordini di ragionamento, fortemente interconnessi: quali fattori contestuali hanno concorso ad un simile passaggio disgregativo? E quali sono le principali conseguenze teoriche nella percezione stessa dell’esercizio lirico? A fronte della complessità dello scenario poetico cinquecentesco, costruito su un delicato equilibrio tra imitazione e rinnovamento, è arduo offrire una risposta esaustiva e univoca, ma è evidente che sia in atto una mutazione nella percezione che il poeta ha di sé e nella sua modalità di rappresentarsi a partire dall’(apparente) inattualità del modello del romanzo lirico. Innanzitutto, occorre rilevare che nel XVI secolo l’esperienza lirica perde sempre più una connotazione individuale a favore di una dimensione comunitaria.63 La presenza di una koiné,

intesa come un gruppo di sodali di riferimento, costituisce una delle cifre distintive della pratica letteraria cinquecentesca. Che si tratti di una corte, un’accademia o un circolo privato, è ben radicata la prassi di condividere – attraverso pubbliche letture e una circolazione manoscritta dei testi – i propri scritti con i propri sodali. Nel Cinquecento, a ben guardare, la composizione poetica diventa anche uno strumento utile ad autodefinire un gruppo intellettuale, interlocutore privilegiato (e implicito) al momento della propria scrittura.64 Ritengo, quindi,

che una cultura dal valore sempre più sociale, e che vede nella creazione di una rete di contatti (e scambi) la cifra essenziale, abbia comportato almeno due conseguenze principali:

1) L’aumento esponenziale di sonetti di corrispondenza e di appendici epicediche, loci strategici per la tessitura di relazioni che si vuole mettere in evidenza. Questa tipologia lirica richiedeva un proprio posizionamento all’interno dei libri di poesie, dagli anni

Documenti correlati