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Walter Benjamin è certamente un autore eclettico e anti-accademico. Non riconducibile ad alcuna scuola filosofica, egli si situa “al di là di tutte le correnti e al crocevia di tutte le strade”

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INTRODUZIONE

Walter Benjamin è certamente un autore eclettico e anti-accademico. Non riconducibile ad alcuna scuola filosofica, egli si situa “al di là di tutte le correnti e al crocevia di tutte le strade”

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. La sua prosa ambigua ha fatto sì che fosse interpretato nei più modi differenti persino dai suoi stessi amici, che hanno visto in lui chi un mistico del linguaggio, chi un pensatore materialista.

Per quanto riguarda la ricezione italiana, Benjamin ha goduto di una certa notorietà tra gli anni ’70 e gli ’80 quale esponente di un certo marxismo eterodosso “un po’ francofortese e molto nietzschiano”

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e, benché non manchi chi lo ha assimilato alla filosofia d’ispirazione heideggeriana e anti- razionalista, è oggi ricordato principalmente quale autore de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, uno dei saggi più marxiani che Benjamin abbia mai scritto.

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Con l’edizione italiana delle opere complete di Benjamin, iniziata nel 1982 per opera di Giorgio Agamben, ripresa nel 2000 da Enrico Ganni e a oggi quasi completata, diventa possibile restituire al pensiero di Benjamin tutta la

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Cfr. M. Löwy Al di fuori di tutte le correnti e al crocevia di tutte le strade, in Redenzione e utopia. Figure della cultura ebraica mitteleuropea, Bollati Borighieri, Torino, 1992.

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Cfr. G. De Michele, Tiri mancini: Walter Benjamin nella critica italiana, Mimesis, Milano 2000, p. 14.

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È oggi provato che il saggio subì degli “aggiustamenti” da parte dell’Institut für

Sozialforschung.

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complessità e la problematicità che le sono proprie, favorendo lo sviluppo di approcci interpretativi diversificati. Tra questi, il linguaggio come prospettiva attraverso cui guardare all’opera di Benjamin si rivela uno dei più validi. D’altra parte, esso è stato fatto proprio già negli anni ’80 da Giorgio Agamben per essere poi ripreso recentemente sia da studiosi del calibro di Gianni Carchia, sia da giovanissimi ricercatori quali Davide Saraniti e Cristina Guarnieri.

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Il presente lavoro, pur nella sua parzialità, intende fare propria questa corrente interpretativa per cercare di tracciare un filo conduttore tra le diverse “costellazioni di pensiero” che compongono l’opera benjaminiana:

dai saggi più spiccatamente filosofici a quelli dal taglio più sociologico fino ai lavori di critica letteraria. La prospettiva sul linguaggio permette inoltre di dare ragione della coesistenza di categorie di derivazione teologica accanto ad altre provenienti dalla tradizione materialista di stampo anarchico e marxista.

Seguendo l’andamento tortuoso proprio della produzione benjaminiana – nonché della sua stessa biografia – e prendendo atto della complessità che la

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Cfr. G. Agamben, Lingua e storia. Categorie linguistiche e categorie storiche nel pensiero di Benjamin, in Belloi L. e Lotti L. (a cura di), Walter Benjamin. Tempo, storia, linguaggio, Editori Riuniti, Roma 1983, pp. 65- 82; G. Carchia %ome e immagine: saggio su Walter Benjamin, Quodlibet, Macerata 2009; D. Saraniti, Messianismo e traduzione. Benjamin e Derrida, Casini editore, Roma 2009; C.

Guarnieri, Il linguaggio allo specchio. Walter Benjamin e il primo romanticismo

tedesco, ed. Mimesis, Milano-Udine, 2009.

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contraddistingue, il presente lavoro si struttura secondo tre capitoli, ognuno dei quali riflette un determinato interesse del filosofo berlinese.

Nel primo capitolo viene proposta un’analisi dei principali saggi filosofici dedicati esclusivamente al tema del linguaggio, alcuni dei quali rimasti inediti fino alla morte dell’autore. Dalle riflessioni in stile misticheggiante di Sulla lingua in generale e la lingua dell’uomo, composto nel 1916, si arriva alle considerazioni sull’origine onomatopeica del linguaggio contenute nel saggio Sulla facoltà mimetica (1933), non alieno da considerazioni materialiste.

Alla produzione elaborata in qualità di critico letterario, attività cui Benjamin si dedicò dopo il tentativo fallito di intraprendere la carriera universitaria, è dedicato il secondo capitolo. Accanto a un’analisi di testi quali Il narratore.

Considerazioni sull’opera di Nicolaj Leskov e l’importante saggio Karl Kraus, viene proposta un’analisi della teoria della critica messa in pratica in questi lavori, elaborata ne Il concetto di critica nel Romanticismo tedesco.

Tra gli autori su cui Benjamin concentra l’attività di critica letteraria il più

importante è sicuramente Franz Kafka, dove le riflessioni su narrazione e

memoria, già al centro del lavoro su Leskov, si uniscono a quelle su

linguaggio e giustizia affrontate nel testo su Klaus, che ha come sfondo

teorico il saggio Per la critica della violenza. Il terzo capitolo tratta

dettagliatamente delle riflessioni di Benjamin sull’opera Kafka,

soffermandosi in particolare sul retroterra ebraico da cui entrambi

provengono.

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Il rapporto tra linguaggio e giustizia trova come suo centro il concetto di

giudizio, inteso da Benjamin sia in senso logico che giuridico e presente in

diversi testi, dai saggi giovanili fino alle Tesi di filosofia della storia, dove il

giudizio – l’ultimo Giudizio – si inserisce in un orizzonte di tipo storico-

messianico, orizzonte che raccoglie in sé tutte le costellazioni dell’universo

benjaminiano.

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