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L'affidamento condiviso dei figli nella famiglia in crisi

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Academic year: 2022

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Università degli Studi di Parma

Facoltà di Scienze Politiche

L'affidamento condiviso dei figli nella famiglia in crisi

di Martina Zonca

Relatore:

Prof.ssa Cristina Coppola

A. A. 2010-11

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I

NDICE

CAPITOLO I:IRIFLESSI DELLA CRISI CONIUGALE NEL RAPPORTO FRA GENITORI E FIGLI.

Premessa p. 1

1. La famiglia nell’originaria formulazione del Codice civile e il modello familiare riconosciuto e garantito dalla Carta Costituzionale. p. 3 2. La Riforma del 1975: un nuovo modo di concepire il diritto di famiglia. p. 9 3. Dissolubilità del rapporto coniugale e indissolubilità del rapporto genitoriale. p. 13 4. Il diritto del minore alla “bigenitorialità”. p. 17 5. La tutela della prole nelle crisi familiari: le disposizioni dei Patti internazionali e l’importanza

del diritto all’ascolto del minore. p. 21 6. Evoluzione del quadro normativo riguardante i provvedimenti indirizzati alla prole nelle

situazioni di crisi familiare: la disciplina previgente e i suoi limiti. p. 28

CAPITOLO II:LA RIFORMA DELLAFFIDAMENTO: DALLAFFIDAMENTO ESCLUSIVO A QUELLO CONDIVISO.

Premessa p. 37

1. La disciplina previgente e la volontà di ovviare alle lacune normative presenti al suo interno:

l’importanza della Riforma del 2006. p. 39 2. La Riforma dell’affidamento. Dall’affidamento esclusivo all’affidamento condiviso. p. 46 3. L’affidamento bigenitoriale e la collocazione della prole minorenne. p. 53

4. L’esercizio della potestà nell’affidamento condiviso. p. 59

5. Il mantenimento dei figli. p. 67

6. Affidamento ad un solo genitore e opposizione all’affido condiviso: il nuovo art. 155- bis c. c p. 74

7. Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli. p. 82

8. L’assegnazione della casa familiare nell’affidamento condiviso. p. 85

9. Le disposizioni in favore dei figli maggiorenni. p. 94

10. Poteri del giudice e ascolto del minore. p.100 11. Osservazioni conclusive. p.110

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CAPITOLO III: LAFFIDAMENTO CONDIVISO: UNA PROSPETTIVA EUROPEA

Premessa p. 115

1. Le Nazioni Unite e la Convenzione sui diritti del minore. p. 117

2. Conferenza di diritto internazionale privato dell’Aja e diritto di famiglia. p. 120

3. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali: la

più importante fonte internazionale del diritto di famiglia. p. 122

4. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. p. 128

5. Unione Europea e diritto di famiglia. p. 131

6. I diritti dei minori nella famiglia. p. 134

7. La prima pietra per la costruzione di un diritto europeo delle relazioni familiari: il

Regolamento n. 1347/2000. p. 140 8. Il percorso che ha portato all’adozione del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio

dell'Unione Europea. p. 147 9. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003: profili generali. p. 151

10. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003: l’analisi contenutistica. p. 154

11. I riflessi delle nozioni e degli istituti del Regolamento nel nostro sistema. p. 163

12. Alcune considerazioni generali sul Reg. n. 2201/2003. p. 168

Conclusioni p. 175

Bibliografia p. 181

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1 CAPITOLO I

IRIFLESSI DELLA CRISI CONIUGALE NEL RAPPORTO FRA GENITORI E FIGLI.

Premessa.

Nel corso dell’analisi che verrà proposta all’interno del presente capitolo si cercherà di disegnare, concentrandosi sugli aspetti che maggiormente caratterizzano l’oggetto dell’indagine, i modelli di struttura familiare ravvisabili nel contesto sociale attuale. In particolar modo nella prime pagine, l’obiettivo sarà quello di tentare di rispondere al quesito riguardante l’esistenza o la mancanza di un unico modello di riferimento, al quale poter ricondurre le varie configurazioni relazionali facenti parte, per il fatto di possedere delle qualità comuni, all’insieme di quei rapporti definiti familiari. In seguito, si procederà alla descrizione delle relazioni che nascono all’interno del nucleo domestico, facendo particolare riferimento alla distinzione fra rapporto coniugale e rapporto genitoriale. Ci si concentrerà soprattutto, essendo la crisi della famiglia e i provvedimenti riguardanti la prole a seguito della sua disgregazione, gli oggetti principi della seguente ricerca, sui possibili effetti negativi che la traumatica cancellazione della quotidianità delle relazioni di coppia potrebbe provocare nei confronti dei figli minori.

L’obiettivo sarà quello di sottolineare la dissolubilità del rapporto matrimoniale in contrapposizione alla indissolubilità del rapporto genitore- figlio, relazione diretta conseguenza, non della circostanza della nascita di quest’ultimo in costanza di matrimonio, ma della procreazione.

Nella parte centrale del capitolo si procederà alla definizione di quello che ha rappresentato per il legislatore uno dei principii guida, cui ha fatto riferimento nell’elaborazione della legge di riforma riguardante i provvedimenti relativi alla prole nelle situazioni di disgregazione familiare: il diritto del minore alla bigenitorialità. In particolare, verranno citati i documenti di rilevanza internazionale ai quali il nostro ordinamento si è dovuto uniformare modificando i provvedimenti vigenti in funzione delle mutate esigenze sociali.

Si tratterà poi del problema riguardante l’individuazione di una soluzione uniforme capace di dare una risposta concreta a quelle situazioni di disgregazione della cellula sociale famiglia, al cui interno i minori risultano gli individui sottoposti maggiormente ai danni conseguenti la fine della convivenza fra coniugi.

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2 Le pagine finali della presente trattazione si concentreranno sulla descrizione di quelle che sono state, nel corso dei decenni e fino alla recente riforma del 2006, le misure riguardanti i provvedimenti indirizzati ai figli minori nelle situazioni di dissolvimento del legame coniugale inteso sia come separazione personale fra coniugi sia come scioglimento del rapporto fra questi ultimi.

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3 1. La famiglia nell’originaria formulazione del Codice civile e il modello

familiare riconosciuto e garantito dalla Carta Costituzionale.

A partire dagli ultimi decenni del Secolo scorso la dottrina civilistica, tenuto conto delle diverse domande che la società civile è andata progressivamente proponendo, si è interrogata se, nell’ambito dell’ordinamento giuridico vigente sia configurabile un modello unitario ed unico di famiglia o se non si debba, piuttosto, pervenire ad una diversa rappresentazione di questo aggregato sociale fondamentale, identificandosi essa con una molteplicità di categorie che, pur riconducibili ad un’unica denominazione, siano espressione di realtà diverse sotto il profilo sociale e, di conseguenza, diversamente qualificate dall’ordinamento.1 Da una parte, si è affermata una cultura riduzionista, intenta a salvaguardare l’idea di famiglia come unità naturale imperniata su valori forti, ma rigidi, dall’altra, ha trovato la sua collocazione nel dibattito anche una cultura progressista che invece pare incapace di proporre un qualsiasi disegno di famiglia contemporanea, evidenziando la fatica ad uscire dall’empasse che considera la famiglia alternativamente, da una parte come luogo sovraccaricato di simboli (la famiglia come iperluogo), dall’altra come luogo vuoto (la famiglia come assenza).2 È indispensabile affermare che, all’interno delle discussioni, riguardanti l’individuazione di un potenziale modello familiare capace di inglobare in sé quella moltitudine di conformazioni sociali aventi caratteristiche analoghe all’aggregato collettivo fondamentale tradizionale, si fronteggiano due distinti orientamenti. Il primo indirizzo, strettamente correlato alla tradizione, soprattutto del Mondo occidentale, e connesso a particolari norme consolidate all’interno delle Carte Costituzionali del secondo dopoguerra, perviene alla riaffermazione della unitarietà del modello di famiglia, intesa, secondo i dettami della nostra Carta Fondamentale, come società naturale fondata sul matrimonio; il secondo filone indicato, al contrario, assumendo come determinante il dato proveniente dalla società civile, estende la portata dei precetti ordinamentali, rilevando che, lungo le linee da essi tracciate, è consentito all’interprete recepire le istanze emergenti e, di conseguenza, delineare una molteplicità di modelli tutti riconducibili alla generale e onnicomprensiva categoria di famiglia.3

1 G.GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, in Dir. Fam., 2006, p. 1219.

2 A.BONOMI, Agire nella zona grigia della famiglia delle moltitudini, Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e la Famiglia, XXVIII Convegno Nazionale “Infanzia e diritti al tempo della Crisi: verso una nuova giustizia per i minori e la famiglia”, Milano 13- 14 nov. 2009, in www.minoriefamiglia.it.

3 G.GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, cit., p.1219.

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4 Lo scopo della trattazione seguente è quello di cercare di descrivere il percorso formativo attraversato dalla “agenzia educativa” fondamentale, la famiglia, a partire dalla codificazione del secondo dopoguerra fino ai giorni nostri, in particolar modo soffermandosi sulle misure legislative prescritte per l’affidamento della prole minorenne nei casi di separazione personale o di scioglimento del vincolo coniugale fra i genitori.

A tale fine risulta indispensabile, nonché utile per la comprensione dei meccanismi di interazione presenti oggigiorno all’interno dei varii nuclei sociali primarii, ripercorrere l’iter formativo della categoria giuridica denominata famiglia. Quest’ultima, quale società naturale così definita dall’art. 29 Cost., è una comunità essenziale allo sviluppo della personalità individuale e, in quanto tale, “diritto inviolabile” dell’uomo. Come situazione esistenziale, l’aggregato familiare assume connotazioni particolari per il suo porsi come situazione inalienabile e, al contempo, quale strumento essa stessa di realizzazione della persona. Nata dal reciproco sentimento di due individui, la famiglia trova i suoi elementi qualificanti negli legami e nei rapporti umani che la contraddistinguono.4 Nonostante gli aspetti affettivo- relazionali siano quelli che maggiormente caratterizzano l’unione familiare, risulta importante descrivere le modalità attraverso le quali tali rapporti sono stati riconosciuti dall’ordinamento giuridico per mezzo di specifiche disposizioni normative. È necessario evidenziare che si è assistito ad una evoluzione del concetto di famiglia, la quale, a partire dalla metà del Secolo scorso ad oggi, è mutata non solo a causa dei cambiamenti inerenti le competenze di ciascun membro, ma anche di conseguenza alle rivoluzioni intervenute all’interno dell’organizzazione statuale. Occorre ricordare che la famiglia è indubbiamente anche un luogo di contesa nell’arena politica, nella quale si sono scontrate e ancora si scontrano, in modo anche aspro, visioni che faticano a misurarsi con la complessità delle relazioni umane in divenire.5

La codificazione del 1942, si caratterizza per aver delineato una nozione di famiglia ancorata a principii rigorosamente gerarchici, espressivi di una concezione autoritaria della struttura familiare orientati in primo luogo alla conservazione del patrimonio del nucleo primario all’interno di esso, con esclusione di ogni apertura verso l’esterno. I principii che caratterizzano tale disciplina determinano una realtà ordinamentale che si riflette nella concreta operatività delle singole cellule sociali. Il marito è posto nella posizione di capo della famiglia e rappresenta il soggetto preposto alla salvaguardia

4 F.RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, in Il Diritto Privato Oggi, a cura di P.

CENDON, Milano, 2002, p. 7.

5A.BONOMI, Agire nella zona grigia della famiglia delle moltitudini , cit., p. 1.

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5 dell’unitarietà del nucleo familiare e al mantenimento di una linea comune di indirizzo per gli aspetti che interessano il funzionamento ordinario e eccezionale dell’aggregato.

Dalla lettura delle norme del Codice civile, è possibile individuare un modello di famiglia caratterizzato dal vincolo tra un uomo e una donna, indissolubile, orientato alla prole, definito in un contesto socio economico espressivo dell’unitarietà, anche sotto il profilo patrimoniale, del nucleo familiare. È importante sottolineare il dettato dell’art.

143 c.c., che impone ad entrambi i coniugi l’obbligo reciproco della coabitazione, fedeltà e mutua assistenza. L’articolo citato definisce le posizioni soggettive dei componenti della coppia utilizzando la categoria dell’obbligo senza individuare la corrispondente categoria del diritto soggettivo. Si tratta di una particolare concezione del vincolo coniugale, nel quadro dei vincoli familiari, nella quale il profilo della doverosità risulta preminente rispetto a quello del diritto.6

È necessario evidenziare come, nell’originaria formulazione del Codice, a differenza di quanto indicato nella Costituzione repubblicana, non sia presente una scelta effettiva in ordine al modello di famiglia che il legislatore dell’epoca ha acquisito. Necessario al fine della chiarezza del discorso, è in particolare, ricordare che per lungo tempo l’orientamento dottrinale prevalente circa la rilevanza giuridica della famiglia è rimasto suggestionato dall’idea che l’assenza nel Codice civile di una definizione di famiglia fosse dovuta non a mera casualità o dimenticanza del legislatore, ma derivasse da una precisa scelta, quella, cioè, di rinunciare a definire “un istituto che è pregiuridico, che è sorto prima che il concetto di diritto si isolasse da altri concetti affini, un istituto che non è suo, che esso non può dominare, del quale può soltanto regolare certi aspetti”.7

A prescindere dalle conclusioni che è possibile trarre analizzando le disposizioni codicistiche, è innegabile che un modello di famiglia, anche se non esplicitamente delineato, era ben presente ai codificatori, i quali ne hanno tradotto i contenuti in specifiche disposizioni di legge. Riprendendo l’affermazione inerente la determinazione paritetica degli obblighi coniugali è naturale connettervi il sistema normativo attinente alle modalità di attuazione del rapporto fra coniugi e successivamente, quello relativo al rapporto genitori- figli. È evidente come, all’interno delle “misure operative” preposte alla regolazione delle relazioni appena citate, sia presente una precisa visione di famiglia, alla quale il legislatore sembra voler essere fedele. Si tratta di una concezione al cui interno il marito è posto in una posizione di supremazia sia rispetto alla moglie,

6 G.GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, cit., pp. 1221- 1222.

7 F.PROSPERI, La famiglia nell’ordinamento giuridico, in Dir. Fam., 2008, p. 791 ss.

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6 sia nei confronti della prole. L’espressione “capo della famiglia” presuppone l’esistenza di una organizzazione complessa, i cui fini debbono essere definiti da colui al quale la posizione di supremazia è attribuita. La posizione di soggezione della moglie rispetto al marito è sancita dall’art. 144 c.c., il quale, già nella sua intitolazione “Potestà maritale”, definisce la condizione giuridica della donna. Quest’ultima perde la sua identità personale, assume il cognome del marito, e non ha capacità di determinazione in ordine alla definizione della vita familiare. Un altro aspetto meritevole di analisi, per definire l’operatività della preminenza del marito nella determinazione dell’indirizzo di vita familiare, si riscontra nel rapporto genitoriale. Secondo il Codice civile del ’42, il rapporto di filiazione all’interno del matrimonio, impone ad entrambi i coniugi l’obbligo di istruire, di mantenere e di educare i figli. Tuttavia, per quanto concerne la disciplina della potestà esercitata sui figli minori emerge ancora una volta la posizione di supremazia del marito. Pur essendo esplicitata la dissociazione fra titolarità ed esercizio della potestà genitoriale (titolarità in capo ad entrambi i coniugi ed esercizio prerogativa del capo della famiglia), tale distinzione risulta priva di rilevanza, il marito è sempre in una posizione preminente rispetto alla moglie. Anche per quanto riguarda la separazione fra coniugi (il vincolo matrimoniale è considerato ancora indissolubile) la posizione del coniuge maschio risulta maggiormente tutelata.

Quello che emerge in definitiva dalle norme del Codice civile nella sua formulazione originaria è una concezione di famiglia, secondo la quale l’esigenza di tutela dell’ambito familiare è destinata a prevalere rispetto alla garanzia dei diritti fondamentali della persona umana.8 Vedere l’aggregato familiare collocato in una posizione di dominanza rispetto alle esigenze dei singoli componenti della famiglia comporta necessariamente un confronto con gli orientamenti che si sono andati affermando attraverso le riforme attuate dal legislatore nei decenni successivi all’entrata in vigore del Codice. All’importanza attribuita all’ambito familiare si è sostituita una concezione di famiglia, nella quale ciò che è importante è la tutela dei diritti dei membri che vivono al suo interno, con particolare riguardo al rispetto dei diritti di coloro che sono più deboli (prole minorenne).9

La fonte normativa indispensabile, alla quale far rifermento, per rispondere al quesito riguardante l’esistenza o l’assenza di un unico modello di famiglia, ravvisabile per

8 G.GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, cit., pp. 1222-1227.

9 Relativamente alla tutela della posizione dei figli si tratterà in seguito.

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7 mezzo della lettura e dell’interpretazione delle disposizioni legislative del nostro ordinamento, è la Costituzione Repubblicana del 1948.

L’art. 29, comma 1, Cost., riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Secondo una vasta corrente di opinione, la formula non soltanto fornirebbe una definizione di carattere generale della famiglia, ma impegnerebbe altresì il legislatore ordinario a non consentire altri modelli familiari.10 In questa sede non sembra opportuno disquisire riguardo alle diverse interpretazioni dei contenuti normativi in esame, ma pare opportuno sottolineare l’impossibilità di considerare il riconoscimento costituzionale dei diritti della famiglia fondata sul matrimonio come una sorta di limite invalicabile, oltre il quale non possono essere meritevoli di tutela altre forme di aggregazione sociale aventi caratteristiche affettivo- relazionali analoghe alla famiglia legittima. Occorre sottolineare non la volontà dei Costituenti di disegnare un modello rigido all’interno del quale devono necessariamente rientrare tutte le forme di aggregazione di tipo familiare, ma la loro intenzione di dipingere la famiglia come un punto di riferimento fondamentale per la garanzia dei diritti inviolabili dell’essere umano. La determinazione dei Costituenti nel voler portare a compimento uno schema costituzionale, nel quale i diritti fondamentali dei cittadini fossero garantiti anche all’interno delle formazioni sociali entro le quali hanno luogo le loro scelte di vita, è ben presente all’interno dell’art. 2 Cost. Quest’ultimo, appartiene a quell’insieme di disposizioni che paiono essere state utilizzate dal legislatore per delineare la prospettiva, nella quale si colloca la disciplina costituzionale della famiglia, ed alle quali il legislatore ordinario deve ritenersi inevitabilmente vincolato. La norma in esame, nel garantire e riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, ne proietta la configurazione non soltanto riguardo all’individualità del soggetto , ma anche alla sua proiezione sociale, in primo luogo a quelle formazioni al cui interno la personalità dell’individuo si forma e si proietta. Il contenuto di questa norma costituzionale, pur non facendo parte del gruppo di quegli articoli dedicati specificatamente alla famiglia inseriti nel titolo relativo ai rapporti etico- sociali, rappresenta perfettamente l’orientamento dei redattori della

10 Tuttavia, che la Carta Fondamentale affermi la rilevanza esclusiva della famiglia fondata sul

matrimonio non trovava concordi neppure i costituenti. È stato infatti di recente ricordato che i resoconti dei lavori dell’Assemblea Costituente riportano la dichiarazione di Costantino Mortati, secondo cui il riconoscimento dei diritti della famiglia legittima come società naturale fondata sul matrimonio doveva essere inteso come rivolto non a fornire una definizione esclusiva di famiglia, ma a garantire a

quest’ultima una sfera di autonomia rispetto ai poteri dello Stato. In questo stesso senso si esprimeva anche Aldo Moro, il quale esplicitamente affermava, sempre secondo quanto riferito dai resoconti dell’Assemblea Costituente, che l’art. 29, comma 1 Cost. non esprime una definizione ma una determinazione di limiti. Cfr., sul punto, F.PROSPERI, La Famiglia nell’ordinamento giuridico, cit., p.796.

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8 nostra Carta fondamentale; la famiglia assume nell’ordine sociale una funzione essenziale, è per mezzo della famiglia, intesa come formazione sociale, che si esplica la personalità dell’individuo.

L’attenzione del Costituente riguardo ai rapporti familiari ravvisabile dalla interpretazione dell’articolo 2 Cost., trova una ulteriore specificazione negli artt. 29 , 30 e 31, attraverso i quali viene definito quel modello di famiglia che assume il ruolo di inderogabile norma precettiva, cioè di disposizione costituzionale nei confronti della quale il legislatore ordinario deve sentirsi vincolato. L’art 29 Cost., mentre “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” stabilisce che “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. Il primo comma, da un lato, sarà il fondamento di gran parte della legislazione a favore della famiglia, dall’altro diverrà uno dei punti di forza delle argomentazioni contrarie al riconoscimento dei modelli di aggregazione sociale aventi caratteristiche analoghe alla cellula primaria famiglia ma privi degli elementi giuridici necessarii al fine di poterli qualificare come meritevoli delle tutele previste dalla nostra Carta Fondamentale. Il secondo comma è invece alla base di tutta la legislazione a favore della parità fra marito e moglie in merito ai loro diritti e ai loro doveri, sia reciproci sia nei confronti della prole. Il sostegno alla famiglia viene ulteriormente approfondito agli artt. 30 e 31 Cost., in particolare il primo tratta degli obblighi e delle prerogative che sorgono in capo alle figure genitoriali nei confronti figli; questi ultimi, siano essi nati al di fuori del matrimonio o in costanza di esso, vengono tutelati sia sul piano dei bisogni materiali che su quello della formazione della personalità, e vengono previsti interventi speciali a favore dei minori i cui genitori versano in situazioni indigenti. L’art. 31 Cost., in seguito, enuncia una sorta di impegno da parte dell’istituzione statale nell’agevolare, attraverso le opportune misure economiche e provvidenziali, la formazione della famiglia e nel favorire l’adempimento da parte dei genitori dei compiti relativi all’organizzazione e alla conduzione del nucleo sociale fondamentale.11

Compresa l’importanza che hanno inteso attribuire i Costituenti alla formazione sociale famiglia risulta opportuno sottolineare come, attraverso la lettura delle disposizioni analizzate, sia possibile delineare quel modello primario di aggregazione sociale del quale è risultato privo il codice originario. La garanzia costituzionale che risulta

11 P.UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia 1796- 1975, Bologna, 2002, nuova edizione, pp. 240- 241.

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9 riservata in modo esclusivo alla società naturale fondata sul matrimonio comporta necessariamente l’allontanamento di ogni altro diverso modello di famiglia da quell’insieme di tutele riservate esclusivamente a coloro che sono uniti in virtù del vincolo coniugale. L’esistenza di un organico complesso di norme e principii che impegna il legislatore ordinario nell’attuazione, attraverso il Codice civile, delle protezioni che la Costituzione assegna alla famiglia formatasi come conseguenza del rapporto matrimoniale, non esclude tuttavia che a tipi di convivenza diversi da quello definito dalla Carta Fondamentale possano essere applicate discipline che siano dirette a definirne effetti giuridici che siano, a seconda delle circostanze, ritenuti meritevoli di realizzazione sul piano dei rapporti sociali.12

2. La Riforma del 1975: un nuovo modo di concepire il diritto di famiglia.

Dopo aver citato e brevemente analizzato le disposizioni che nel secondo dopoguerra hanno avuto il ruolo di delineare, dal punto di vista giuridico, un sistema familiare capace di rappresentare al meglio il modo tradizionale di concepire la molecola sociale primaria, è essenziale delineare le evoluzioni che sono susseguite alla codificazione del

’42 e ai dettami costituzionali del ’48. Esaminando le principali novità intervenute nel nostro ordinamento a seguito della riforma del diritto di famiglia, approvata definitivamente nell’aprile del 1975, la linea di indirizzo percorsa dalle Commissioni Parlamentari dell’epoca appare chiara: ci si impegnò per trasformare le disposizioni del Codice in funzione dei cambiamenti intervenuti all’interno dell’organizzazione familiare; si cercò di disegnare i nuovi ruoli che avrebbero occupato i membri della famiglia rispettando i contenuti delle disposizioni costituzionali ritenute inequivocabilmente intangibili. Le modificazioni intervenute a seguito della riforma, appunto, hanno consentito di veder finalmente consolidate, anche all’interno della disciplina codicistica, le scelte costituzionali in ordine al modello unitario di famiglia tutelato dalla Carta Fondamentale.

Occorre in merito sottolineare come l’evoluzione del diritto di famiglia abbia risentito non poco del cambiamento della società italiana, che a partire dal boom economico degli anni Sessanta, passando per i grandi mutamenti nei costumi giovanili avvenuti intorno al cosiddetto ’68, fino al referendum sul divorzio del 1974, aveva chiaramente

12 G.GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, cit., pp. 1226- 1231.

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10 mostrato di essersi avviata nella direzione della secolarizzazione e del superamento della concezione patriarcale della famiglia. Il legislatore si trovò impegnato su due fronti: quello dell’adempimento del dettato costituzionale, da un lato; quello dell’adeguamento del diritto di famiglia alla nuova realtà sociale e culturale che era venuta crescendo nel paese, dall’altro. Fu un nuovo concetto di famiglia quello che si andò affermando in quegli anni. Un concetto fondato sul principio di “responsabilità”. Il legislatore si preoccupò, infatti, di dare una maggiore solidità all’istituto familiare attraverso una maggiore responsabilizzazione delle scelte poste a fondamento sia della nascita che della vita del nucleo primario.13

Per quanto concerne i rapporti fra sposi, fu pienamente abbandonato lo schema che si riassumeva nella figura del marito- capofamiglia, attraverso la concreta realizzazione del principio di eguaglianza fra coniugi, divenuto poi il fulcro dell’intera operazione di rilettura del diritto di famiglia. “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri”: così l’art 143 c.c., nel nuovo testo, definì il rapporto coniugale in termini di assoluta parificazione, sottolineando la dicotomia diritto- dovere che caratterizza il detto rapporto.14 I principii dell’unità e dell’eguaglianza, rapportati alle relazioni familiari, e precedentemente sanciti all’interno del dettato costituzionale, si affermarono anche nella disciplina codicistica sottolineando l’importanza, anche per il legislatore ordinario, delle prerogative facenti capo, in egual misura, a entrambi i coniugi. Nell’indicato contesto, che sottolineò i profili personali della nuova articolazione, secondo l’orientamento civilistico, dei rapporti familiari, assunse una ulteriore connotazione il profilo di ordine patrimoniale, che emerge dall’ultimo comma dell’art. 143 c.c., secondo il quale, in una visione unitaria dei rapporti che sorgono all’interno del nucleo primario, entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia. E’ da evidenziare l’equiparazione del lavoro professionale al lavoro casalingo; quest’ultimo aspetto concorse a sottolineare la scelta del modello familiare che, conformemente con il sistema costituzionale, fu adottata anche dal legislatore ordinario. In realtà, la disposizione cui ci si è riferiti rappresenta una sorta di norma di chiusura che segnò il definitivo superamento delle disparità di trattamento all’interno della famiglia, in una visione unitaria del modello familiare riassuntivo, nella unitarietà che lo caratterizza, dei diritti e degli obblighi che,

13 P.UNGARI, Storia del diritto di famiglia in Italia 1796- 1975,cit., p. 248.

14 G.CASSANO, Evoluzione sociale e regime normativo della famiglia. Brevi cenni per le riforme del terzo millennio, in Dir. Fam., n. 3, 2001, p. 1160 ss.

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11 pariteticamente, si riferiscono alla condizione giuridica di ciascuno dei suoi componenti.15

Ai fini della presente trattazione merita di essere menzionato anche l’art. 144 c.c., al cui interno l’unitarietà dei rapporti familiari si esprime attribuendo il potere di indirizzo della vita della famiglia ad entrambi i coniugi. Attraverso questa disposizione, oltre all’abolizione della gerarchia previgente, venne implicitamente previsto che marito e moglie avessero entrambi il diritto di decidere riguardo alle scelte ordinarie ed eccezionali non solo inerenti l’abituale conduzione della vita dell’aggregato, ma anche riguardo, in concordanza con l’art. 147c.c., all’educazione dei figli che sarebbero nati in costanza di matrimonio.

Abbandonando per un istante l’analisi dei profili strettamente correlati alla relazione coniugale, risulta opportuno concentrarsi sulle principali novità inerenti le norme indirizzate alla regolamentazione del rapporto genitoriale. Nella tradizione civilistica, il legame genitore- figlio è stato sempre considerato sotto il profilo del potere- dovere; in tal modo, ritenendosi che il genitore avesse un potere di supremazia nei confronti del figlio allo scopo di adempiere ai doveri di istruirlo, educalo e mantenerlo. Nell’art. 30 comma 1, Cost., si afferma che il rapporto derivante dalla procreazione, oltre che nel profilo del dovere, si concretizza anche in quello del diritto. La posizione del genitore nei confronti del figlio non è più solamente di preminenza, in funzione dell’attuazione di un dovere, ma un vero e proprio diritto, cioè un interesse proprio del genitore ad istruire, educare e mantenere i figli. A fronte di ciò, esiste il diritto dei figli all’attuazione dei tre poteri, indipendentemente dall’essere, essi stessi, nati in costanza di matrimonio ovvero in sua assenza.16 Coerentemente con gli indicati principii, il nuovo testo dell’art. 147 c.c., definendo l’obbligo che deriva dal rapporto procreativo nell’ambito della famiglia legittima, sottolinea l’emergere di un profilo che risultava trascurato nel diverso modello di vita familiare che caratterizzava l’originaria disciplina codicistica. Si tratta dell’esigenza di garantire, nei confronti della prole, la tutela dei diritti involabili dell’uomo, secondo il modello normativo indicato all’art. 2 Cost., che si proietta anche nella regolamentazione dei rapporti fra genitori e figli. Peraltro questa disciplina propone una molteplicità di problemi che la qualificazione originaria del

15 G.GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, cit. pp. 1240- 1241.

16 G.GIACOBBE,G.FREZZA, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, in Trattato di Diritto di Famiglia, diretto da P.ZATTI, a cura di G.FERRANDO,M.FORTINO,F.RUSCELLO, (vol. I, tomo II Separazione e Divorzio), Milano, 2004 , p. 1303.

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12 rapporto non faceva emergere. Si tratta dei limiti che il diritto- dovere dei genitori di istruire ed educare i figli incontra nell’esigenza di garanzia dei diritti involabili dell’uomo che rientrano anche nella titolarità dei soggetti minori.17

Il collegamento fra quanto prescritto dall’art. 30 Cost. e quanto stabilito dall’art. 147 c.c. esprime non solo il favor costituzionale per la famiglia fondata sul matrimonio e per la conseguente cura della prole nell’ambito di un sistema stabile supportato dall’assunzione di un impegno coniugale formalmente e pubblicamente assunto, ma anche l’intenzione di garantire a tutti coloro che si trovano a ricoprire il ruolo di figlio, la tutela di prerogative ritenute essenziali al sano sviluppo dell’essere umano. La Costituzione pone al vertice dei valori la tutela della persona e non delle formazioni sociali. Considerazione, questa, che impone di intendere il limite di compatibilità con le esigenze della famiglia legittima non come posto a protezione generica della famiglia in quanto istituzione sociale o politica, ma invece, come diretto a salvaguardare i diritti di coloro che compongono la molecola sociale primaria.18

Sulla base di quanto enunciato finora, la volontà innovativa di coloro che hanno apportato le necessarie modifiche all’originario testo civilistico, si è espressa sia dal punto di vista delle relazioni coniugali (proclamando la sostanziale uguaglianza fra marito e moglie), sia riguardo ai “nuovi diritti” riconosciuti ai figli. Resta da individuare il significato tecnico del contenuto dei tre verbi: mantenere, istruire ed educare la prole, obblighi sanciti all’interno dell’art. 147 c.c.. Il verbo “mantenere” indica l’adempimento di un dovere, il quale si traduce nel fornire ai figli i mezzi economici necessarii, affinché essi possano realizzare e acquisire un grado di cultura personale e professionale e quindi autonomia nella vita sociale. Il verbo “istruire” indica una attività diretta a far acquisire al soggetto una capacità tecnico- professionale. La definizione ed individuazione dei contenuti precettivi espressi con il verbo “educare” non appare affatto agevole in quanto essa è propria di una considerazione di ordine morale: in sé il verbo significa attribuire al soggetto valori etici, per la realizzazione della personalità del minore. Tale interpretazione è direttamente collegata all’art. 2 Cost., il quale tutela i diritti involabili della persona umana, considerata singolarmente e all’interno delle formazioni sociali. Ebbene, la famiglia rappresenta la prima delle formazioni sociali ove si sviluppa la personalità del singolo e del minore attraverso l’esercizio della potestà genitoria. In tal ordine di idee il minore rappresenta non già il soggetto passivo del

17 G.GIACOBBE, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale?, cit., pp. 1242- 1243.

18 F.PROSPERI, La famiglia nell’ordinamento giuridico, cit., pp. 807- 808.

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13 rapporto educativo nell’ambito della famiglia, ma piuttosto il soggetto attivo, in quanto persona umana titolare di diritti inviolabili.19

Per quanto riguarda i contenuti della nuova potestà genitoriale disegnata dei riformatori, è necessario non trascurare l’affermazione di un percorso educativo, al cui interno le scelte operate dai genitori a favore dei figli devono avvenire tenendo conto principalmente delle inclinazioni e delle attitudini del soggetto debole del rapporto.

Quest’ultima previsione è importante non solo per quanto riguarda il normale svolgimento delle interazioni genitori- figli nel corso della quotidianità familiare, ma risulta di rilievo soprattutto nei casi in cui la normale convivenza fra i genitori sia interrotta e sopraggiunga una vera e propria disgregazione della struttura familiare. Il contenuto delle disposizioni inerenti l’educazione e l’istruzione della prole nei casi di dissolvimento del rapporto coniugale, dovranno ispirarsi esclusivamente all’interesse morale e materiale della stessa, in particolare favorendo la valorizzazione diretta del temperamento e della dignità umana del minore, secondo il principio costituzionale di solidarietà.

3. Dissolubilità del rapporto coniugale e indissolubilità del rapporto genitoriale.

Una novità trascurata nelle pagine precedenti, ma che merita di essere menzionata, ai fini della comprensione dei meccanismi che si innescano all’interno del nucleo familiare a seguito della sua crisi, riguarda l’introduzione, precedente alla riforma del 1975, dell’istituto del divorzio nell’ordinamento giuridico italiano. All’interno del nostro sistema normativo, che per lungo tempo ha accolto il postulato canonico dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale, è contemplato, fin dal 1970, un complesso di norme relative al divorzio. Questa terminologia è assente nella nostra disciplina legislativa, che ricorre alle espressioni “scioglimento del matrimonio” e “cessazione degli effetti civili del matrimonio”; con la prima si riferisce al matrimonio civile; con la seconda, invece, al matrimonio concordatario, che non si può sciogliere, dato il principio di indissolubilità, riguardo al quale, il giudice civile può pronunciarne solamente la cessazione degli effetti civili. La normativa sul divorzio è racchiusa nella l.

n. 898/1970, ritoccata con la l. n. 436/1978 e ampiamente riveduta con la l. n. 74/1987.

19G.GIACOBBE,G.FREZZA, Ipotesi di disciplina comune nella separazione e nel divorzio, cit., pp. 1304- 1305.

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14 La stabilità del vincolo matrimoniale ha dunque perduto il carattere dell’assolutezza:

con il riconoscimento del divorzio, si prende atto dell’impossibilità di imporne la permanenza, ove sia venuto a mancare il legame di affetto che univa marito e moglie. Il principio secolare dell’indissolubilità del matrimonio risulta spezzato da una legge che è stata preceduta da un acceso dibattito politico- ideologico, proseguito dopo la sua promulgazione e sfociato nella richiesta di consultazione referendaria, il cui esito abrogativo fu deluso dai risultati del referendum popolare che, a larga maggioranza, confermò la permanenza della l. n. 898/1970. Quel dibattito appare oggi dimenticato, tant’è vero che è radicata nella coscienza sociale la convinzione che la permanenza forzata del vincolo coniugale non giovi all’unità della famiglia, ma soprattutto non sia di beneficio ad un sereno sviluppo dei minori nati a seguito dell’unione matrimoniale.

Al valore del mantenimento della stabilità del vincolo si è preferito quello della libertà dei coniugi. Riguardo alla prole può esservi migliore tutela con lo scioglimento del vincolo coniugale fra i genitori, piuttosto che con la sua surrettizia permanenza.

L’esperienza successiva all’entrata in vigore della l. n. 898/1970 ha mostrato come l’impiego del divorzio non abbia portato all’utilizzo improprio dell’istituto e non abbia messo in pericolo i valori posti alla base del tradizionale modello di famiglia costituzionalmente garantito.20

È sembrato opportuno citare la legislazione relativa allo scioglimento del vincolo fra coniugi, allo scopo di sottolineare l’esistenza di una scelta sottostante la permanenza o la disgregazione del rapporto matrimoniale. Si vogliono porre in risalto le profonde divergenze esistenti fra la relazione costruita volontariamente da coloro i quali hanno successivamente deciso di porre fine all’unità familiare e il rapporto che invece è derivato dalla procreazione. Il rapporto genitore- figlio in realtà rappresenta una relazione avente natura diversa rispetto alla fattispecie coniugale. Il diritto- dovere del genitore di avere cura dei propri figli non è delineabile come una scelta ma come una responsabilità sancita dal testo costituzionale. Risulta quindi fondamentale l’elaborazione di una disciplina legislativa capace di rispondere nel modo migliore alle istanze provenienti dagli attori principali dei suddetti rapporti. In particolare, il legame che avrà bisogno di maggiori garanzie sarà quello che permarrà anche in caso di disgregazione dell’unità familiare.

20 G.BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2010, p. 208 ss.

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15 Nel momento in cui i coniugi decidono di terminare la loro vita insieme, i figli rappresentano i soggetti, nei confronti dei quali si riversano gli esiti più disparati in grado di influire negativamente sullo sviluppo della loro personalità. È per questo motivo che, in un momento qual è quello della crisi coniugale, nel quale i conflitti fra coniugi rischiano di ripercuotersi negativamente sullo sviluppo del temperamento dei figli, la preoccupazione di qualsiasi legislatore è, o almeno dovrebbe essere, quella di predisporre una disciplina mirante a diminuire il più possibile gli effetti negativi derivanti da quella crisi. Il problema riguarda le modalità, attraverso le quali realizzare questo scopo, si da contemperare l’esigenza dei coniugi di interrompere quell’esperienza reputata ormai non più adeguata alle proprie aspettative e la necessità di far vivere questa decisione nel modo meno traumatico a chi, per la situazione di particolare debolezza nella quale si trova e per essere sentimentalmente legato a entrambi i soggetti coinvolti, ha bisogno di una tutela specifica.21

Il venir meno dell’affectio coniugalis, tuttavia, può trovare rimedio non solo per mezzo dello scioglimento del rapporto fra consorti; la separazione personale, istituto giuridico che non comporta la cessazione del legame coniugale, ma solamente la sua quiescenza, rappresenta l’esito procedimentale conseguente l’affermazione dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza da parte degli sposi. La separazione determina, ex nunc, la cessazione della comunione di vita fra marito e moglie, comporta una riduzione del vincolo coniugale e decreta la legale sospensione dei doveri coniugali reciproci, eccetto quello di assistenza. Non estinguendo il vincolo matrimoniale, i coniugi non possono contrarre nuovo matrimonio, permanendo l’impegno infatti, con la separazione personale non viene meno lo status di coniuge.22

Dopo aver menzionato gli istituti giuridici previsti dal nostro ordinamento, al fine di porre una soluzione al venir meno del legame affettivo fra coniugi, occorre sottolineare gli effetti potenzialmente dannosi che potrebbero ripercuotersi negativamente sui figli minori nati in costanza di quell’unione ormai dissolta. Non si può dimenticare che, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga attraverso la separazione personale o il divorzio, la cessazione della convivenza fra coniugi e quindi della comunione di vita familiare comporta per i figli l’inserimento all’interno di un nuovo schema esistenziale al cui interno coloro che figuravano la coppia di riferimento ora sono distaccati ma entrambi intenzionati a trasmettere il loro patrimonio di esperienze alla prole.

21 F.RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., pp. 12- 13.

22 G.BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, cit., p.177 ss.

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“Quando avviene la separazione fra i genitori, il bambino si trova di fronte non più a una realtà emotiva vissuta e condivisa, in modo più o meno conflittuale, da entrambi i partner, ma a due realtà separate e in violento contrasto. Il bambino tende a sperimentare questa realtà esterna come divisa in una parte totalmente buona e in una totalmente cattiva. Accetta pertanto, alternativamente, ora l’una ora l’altra delle verità proposte dai genitori, in una oscillazione emotiva che genera confusione nella mente del bambino e ne diminuisce la capacità di utilizzare le esperienze reali per comprendere gli avvenimenti. Tale stato mentale di confusione e di impossibilità a discriminare le esperienze buone da quelle cattive secondo criterii di realtà, è gravemente psicopatogenetico”. 23

Il passo citato risulta utile per la comprensione dei danni inevitabilmente provocati dalla disgregazione della coppia nei confronti dei minori. È importante sottolineare che il legislatore, delineando gli opportuni provvedimenti indirizzati alla prole nel caso di disgregazione della comunione di vita familiare, non fa differenze riguardo al fatto che i figli siano nati a seguito dell’unione matrimoniale oppure siano stati generati da genitori non coniugati. La particolare attenzione del legislatore nei confronti del mantenimento del legame biologico, affettivo ed educativo fra genitori e figli ha fatto sì che l’attuale ordinamento possieda al suo interno disposizioni di legge in cui, riguardo all’affidamento dei figli minori nei casi di dissolvimento del rapporto di coppia fra i genitori, il principio guida capace di indirizzare le decisioni del giudice sia quello della tutela dell’interesse del minore. L’espressione “affidamento” rinvia all’idea della responsabilità connessa al compito genitoriale di crescere il minore e di curarne la formazione della personalità. La legge n. 54/2006 ha interamente riscritto la disciplina dell’affidamento dei figli minori nei procedimenti di separazione, di divorzio e nei procedimenti relativi ai figli naturali; tale normativa riconosce il diritto del minore alla bigenitorialità, riconoscendo ai genitori una pari dignità nella condivisione delle responsabilità per l’esercizio congiunto della potestà e dell’amministrazione e nel processo educativo dei figli.24 Appare chiara l’attenzione del legislatore indirizzata al mantenimento di quel legame fra genitori e figli che non trova un termine nella cessazione della vita di coppia. Il rapporto di filiazione non è dissolubile, garantire ai figli la possibilità di crescere serenamente nonostante il distacco fra i genitori è

23 F.RUSCELLO, La tutela del minore nella crisi coniugale, cit., pp. 10-11.

24 A.SCALISI, Il diritto del minore alla “bigenitorialità” dopo la crisi o la disgregazione del nucleo familiare, in Fam. e Dir., 2007, p. 520.

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17 considerato nell’ordinamento italiano un principio inalienabile connesso ai diritti inviolabili dell’essere umano, figlio legittimo e naturale.

4. Il diritto del minore alla “bigenitorialità”.

Già da alcuni decenni, gli studi di psicologia giuridica hanno evidenziato l’importanza della presenza, del sostegno e dell’affetto di entrambi i genitori nelle situazioni successive alla separazione coniugale, fattori fondamentali ai fini della limitazione dei danni e delle difficoltà conseguenti all’esperienza di lutto che si determina nei figli in correlazione al vissuto di perdita e all’assenza reale di una delle due figure parentali, nella maggior parte dei casi il padre.25 Analizzando le novità legislative, ed in particolare il testo della legge “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, approvato definitivamente dalle Camere il 24.1.2006, è possibile notare l’affermazione della necessità di far sì che la coppia coniugale resti comunque, nonostante la fine del legame fra i suoi componenti, una coppia genitoriale.

Il modello di affidamento, previsto nella nuova disciplina, risponde alla volontà del legislatore di dare concreta attuazione al principio, secondo il quale ogni figlio coinvolto in una crisi familiare ha il diritto di mantenere una legame genitoriale stabile con ciascuno dei genitori; in altri termini, “Il modello dell’affidamento bigenitoriale dovrebbe far sì che nei genitori emergesse la consapevolezza del compito al quale sono chiamati dall’ordinamento giuridico e dalla società, evitando le disparità. Dovrebbe inoltre essere capace soprattutto di mantenere vivo il diritto delle relazioni che i figli minori devono continuare ad avere con il padre e la madre, anche quando si assiste alla disgregazione della famiglia”.26

Non è possibile parlare di separazioni indolori, così come non si può affermare che le separazioni diano luogo in ogni caso ad effetti distruttivi; però, di certo, la continuità della relazione del figlio con entrambi i soggetti genitoriali e un nuovo assetto stabile, che garantisca un adeguato mantenimento delle interazioni, ne migliorano l’esperienza.27 Consolidata la convinzione, secondo la quale il minore mantiene, nonostante la convivenza con entrambi i genitori sia terminata, il diritto a soggiornare in un ambiente familiare armonioso all’interno del quale entrambi i genitori collaborano

25 M.C.PALMA, Bigenitorialità e nuova cultura della paternità, in Dir. Fam., 2007, p. 963.

26 E.AVELLA, La tutela della paternità durante la separazione, in Trattato della responsabilità civile e penale in famiglia, vol. X, a cura di P.CENDON, Padova, 2004, p. 2334.

27 M.C.PALMA, Bigenitorialità e nuova cultura della paternità, cit. p. 963.

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18 insieme alla cura, all’istruzione e all’educazione della prole, risulta illegittimo nonché impossibile, da parte del legislatore, prefigurare “soluzioni universali” per le controversie familiari, da applicare sempre e comunque. “Il minore ha diritto di crescere nella propria famiglia”, si dice; ma non si pensa al fatto che una famiglia non è costituita dalla semplice coabitazione fra più persone, quanto piuttosto dai rapporti vigenti fra essi, da una comunità di vita e di intenti: la famiglia è in questo senso un organismo molto più articolato e ricco della semplice somma dei suoi individui. Ha quindi carattere illusorio il pur ottimo intento di “ricreare una famiglia per il minore”

attraverso l’imposizione per legge di un apposita tipologia di affidamento. È un nuovo equilibrio quello che va cercato, dei nuovi rapporti, una nuova unità: “una nuova famiglia”.28

Dopo aver ribadito che i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli non subiscono mutazioni a seguito di una pronuncia di separazione o di divorzio è doveroso sottolineare il cambiamento di veduta ravvisabile attraverso la lettura delle nuove disposizioni di legge relative all’affidamento (l. n. 54/2006). La vera novità di questa normativa è rappresentata dal ribaltamento della prospettiva con cui guardare il rapporto fra genitori e figli: non più secondo l’ottica dei doveri dei genitori nei confronti della prole, ma, piuttosto, in ragione del diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi, anche nelle ipotesi di elevata conflittualità fra padre e madre, e anche dopo lo sfaldamento dei legami familiari.29 È proprio il diritto del minore alla bigenitorialità l’aspetto più innovativo di questa nuova legge, l’intero complesso di norme è indirizzato alla tutela di questa prerogativa e in esso sono contenuti gli strumenti atti a consentire che questo diritto abbia realmente attuazione.

Alla luce dell’attuale disciplina, quello che appare difficile è la corretta applicazione dei principii sopra esposti. La famiglia sotto il profilo sociologico è cambiata, la normativa è mutata, ma tuttavia insieme a sentenze illuminate, che rendono effettiva l’applicazione della nuova norma, con un’equa presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli, troviamo anche sentenze che reiterano gli schemi di affidamento monogenitoriali, con

28 E.MARONGIU, “Genitore dei doveri” e “genitore dello svago”: problemi in tema di affidamento della prole, in Fam., Pers. Succ., 2006, p. 316.

29 S.GOVERNATORI, Il diritto del minore alla bigenitorialità: riflessioni sull’affidamento congiunto e sul cammino verso l’affidamento condiviso, in Il Foro Toscano Toscana Giurisprudenza, 2004, p. 417 ss.

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19 una limitazione a poche ore la settimana dei tempi di permanenza dei figli con uno dei due genitori, solitamente il padre.

In questa sede, proprio in connessione alla descrizione dei contenuti del principio di bigenitorialità, è sembrato inevitabile rilevare come lo stereotipo della famiglia matricentrica ostacoli tutt’oggi l’affermazione di una nuova cultura della paternità. La perpetuazione di schemi di affidamento al cui interno il ruolo del padre viene relegato a momenti circoscritti prevalentemente coincidenti con il fine settimana o i giorni festivi, potrebbe dare luogo ad una situazione di svuotamento di senso delle funzioni paterne.30 Si è inoltre discusso riguardo agli effetti derivanti dalla mancata interiorizzazione di entrambi i codici educativi genitoriali da parte dei minori. In particolar modo, è stato sottolineato come una squilibrata strutturazione degli orari di permanenza dei figli presso ciascun genitore possa generare disfunzioni inerenti l’identificazione di padre e madre in particolari modelli genitoriali. Il genitore, con il quale i figli trascorrono il fine settimana o i periodi di vacanza, potrebbe essere definito come “genitore dello svago”(in genere il padre), mentre quello con cui trascorrono la quotidianità, fatta anche da impegni lavorativi o scolastici, come “genitore dei doveri”(nella maggior parte dei casi la madre). Si è arrivati a parlare di sdoppiamento e contrasto tra le due figure genitoriali, cui non può che seguire uno sdoppiamento e un contrasto nella sfera psichico affettiva della prole, che è quasi implicita e consequenziale ad una frattura traumatica del nucleo primario.31 Forse bisognerebbe riflettere sui criterii di base che dovrebbero indicare la giusta misura dei regimi di affidamento; criterii che dovrebbero avere come obiettivi di fondo, da una parte, la salvaguardia della stabilità del minore e, dall’altra, il rispetto del suo diritto di godere parimenti della presenza di entrambi i genitori. Un nuovo principio guida in tutti gli affidamenti predisposti alla luce della nuova normativa dovrebbe essere una distribuzione dei tempi di permanenza dei figli, che non svuoti di significato l’una o l’altra figura genitoriale.32

Alla luce di quanto esposto, sembra evidente che la concretizzazione del diritto del minore alla conservazione di una relazione affettivo- educativa con entrambe le figure parentali ricopra un ruolo fondamentale all’interno della nuova normativa. Nonostante questo, però, occorre sottolineare che questa prerogativa, che coinvolge non solo la

30 M.C.PALMA, Bigenitorialità e nuova cultura della paternità ,cit., pp. 964- 965.

31 E.MARONGIU,”Genitore dei doveri” e “genitore dello svago”: problemi in tema di affidamento della prole, cit., p. 308 ss.

32 M.C.PALMA, Bigenitorialità e nuova cultura della paternità, cit., p. 967.

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20 prole ma anche gli interessi degli ex congiunti/conviventi, è destinata a soggiacere nei casi in cui l’interesse del minore risulti in contrasto con il mantenimento del legame fra quest’ultimo ed entrambi i genitori. È infatti osservabile che, nonostante nell’intento dei redattori della l. n. 54/2006, una delle architravi della nuova disciplina fosse introdurre la bigenitorialità come regola generale anche nella crisi familiare, pure nell’impianto di detta legge, sia stato riservato, come accadeva nella disciplina previgente, un ruolo assolutamente centrale all’interesse morale e materiale della prole. Ciò è aspetto di importanza cardinale, poiché anche la regola della bigenitorialità dovrà cedere di fronte ad un eventuale diverso interesse della prole; ad un interesse, vale a dire che, nel caso concreto, potrebbe trovare maggior tutela non nell’affidamento condiviso, ma in quello monogenitoriale.33 Una scelta univoca, immutabile e di principio tra forme di affidamento monogenitoriali e bigenitoriali non è quindi ammissibile: entrambe richiedono diverse condizioni e raggiungono differenti scopi. Avendo a disposizione la più ampia gamma di strumenti normativi, sarà onere del giudice individuare la forma di tutela migliore nel caso concreto, senza “forzare la legge”, per adattarla alla fattispecie reale.34

Analizzare gli effetti derivanti dalla preservazione dei legami con entrambe le figure genitoriali non risulta in tutti i casi agevole, ma soprattutto non pare facile connettere questi esiti all’interesse del minore; una delle difficoltà maggiori per l’attività del giudice, infatti, riguarda proprio il bilanciamento fra “interesse morale e materiale della prole” ed esigenze concrete di affidamento.

Sicuramente ridurre al minimo lo sbilanciamento disfunzionale delle relazioni familiari rappresenta un obiettivo principe delle disposizioni in questione; i provvedimenti riguardanti la prole dovranno appunto essere indirizzati ad aiutare il bambino nel suo processo di crescita e di individuazione facendo in modo che egli possa interiorizzare i codici formativo/ educativi impartiti dal padre e dalla madre. Inoltre, sempre compatibilmente ad un sereno sviluppo del minore, riposizionare la figura paterna all’interno della “nuova famiglia” rappresenta un obiettivo a cui la nuova normativa dovrà necessariamente dare attuazione. Si deve ricordare che la presenza di entrambi i genitori, nella maggior parte delle situazioni, non solo promuove una armonica

33 G.F.BASINI, Affidamento congiunto dei figli. L’affidamento ad un solo genitore prevale ancora sull’affidamento “condiviso”, se così impone l’esclusivo interesse della prole, in Fam. Pers. Succ., 2006, p. 781.

34 E.MARONGIU, “Genitore dei doveri” e “genitore dello svago”: problemi in tema di affidamento della prole, cit., pp. 315- 316.

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21 evoluzione del soggetto, ma favorisce la prevenzione rispetto al rischio di una futura società nella quale possono riscontrarsi fenomeni di devianza dovuti essenzialmente al vuoto di modelli maschili positivi.35

5. La tutela della prole nelle crisi familiari: le disposizioni dei Patti internazionali e l’importanza del diritto all’ascolto del minore.

Nelle pagine che seguono si delineerà il quadro normativo internazionale, dal quale il nostro legislatore ha tratto le dovute linee di indirizzo nella formulazione delle disposizioni inerenti la garanzia dei diritti minorili nei casi di disgregazione familiare. Il rilievo sempre più accentuato che la condizione del soggetto in formazione ha ricevuto all’interno delle Convenzioni internazionali, ha infatti promosso, anche nell’ordinamento italiano, l’inizio di una attività rivolta alla costruzione di provvedimenti legislativi idonei alla traduzione dei contenuti delle disposizioni sovrastatali anche nel complesso di norme interno.

Ai fini della nostra ricerca è opportuno dare brevemente una descrizione dei contenuti delle principali Convenzioni internazionali (quella dell’ONU del 1989 e quella europea di Strasburgo del 1996) proprio per agevolare la comprensione delle misure di legge, in termini di procedimenti di affidamento dei minori, previste oggi dal nostro sistema.

La Convenzione dell’ONU o di New York del 20 novembre 1989, composta da un preambolo e da 54 articoli, pone in essere un vero e proprio statuto dei diritti dei minori, con riflessi considerevoli sugli ordinamenti degli Stati contraenti. Nel patto in parola c’è una dichiarazione chiara dei diritti dell’infanzia, quali: il diritto alla vita (art. 6), al nome, all’identità, alla nazionalità (art. 7); il diritto alla famiglia (art. 8), il diritto di esprimere la propria opinione su ogni questione che interessi il minore capace di discernimento (art. 12); il diritto alla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione (artt. 13 e 14); il diritto alla libertà di associazione (art. 15); il diritto alla salute (art. 34). La Convenzione proclama solennemente: il principio di eguaglianza tra minori contro ogni discriminazione connessa alla razza, al colore della pelle, al sesso, alla lingua, alla religione e all’opinione politica (art. 2 comma 1); e l’altro principio della preminente tutela dell’interesse del fanciullo, postulato enunciato nell’art. 3, che recita

“in tutte le decisioni relative ai fanciulli di competenza delle Istituzioni pubbliche o

35 M.C.PALMA, Bigenitorialità e nuova cultura della paternità, cit., p. 968 ss.

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22 private o di assistenza sociale, dei Tribunali, delle Autorità amministrative e degli Organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere nella considerazione preminente”; e nell’art. 21, che afferma “l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia di adozione da parte di stati che l’ammettono e/o l’autorizzano”.36

La Convenzione sui diritti dell’infanzia rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di promozione e tutela dei diritti di coloro che, a causa della loro minor età, sono considerati soggetti più vulnerabili. Il testo contempla l’intera gamma dei diritti e delle libertà attribuiti anche agli adulti (diritti civili, politici, sociali, economici e culturali); costituisce uno strumento giuridico vincolante per gli Stati che lo ratificano, oltre ad offrire un quadro di riferimento organico, all’interno del quale collocare tutti gli sforzi compiuti in cinquant’anni a difesa dei diritti dei bambini. Il Trattato è stato approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 a New York ed è entrato in vigore il 2 settembre 1990. La Carta è stata recepita in Italia il 27 maggio 1991con la legge n. 176 e a tutt’oggi 193 stati, un numero addirittura assai superiore a quello degli Stati membri dell’ONU, sono parte della Convenzione. In quanto dotato di valenza obbligatoria e vincolante il Trattato obbliga gli Stati aderenti ad uniformare le norme di diritto interno a quelle dell’Accordo e ad attuare tutti i provvedimenti necessarii ad assistere i genitori e le istituzioni nell’adempimento dei loro obblighi nei confronti dei minori. Di fondamentale importanza è il meccanismo di monitoraggio previsto dall’art. 44: tutti gli Stati che hanno preso parte al Concordato sono infatti sottoposti all’obbligo di presentare al Comitato dei Diritti dell’Infanzia un rapporto periodico sull’attuazione, nel loro rispettivo territorio di competenza, dei diritti proclamati dalla Convenzione.37

Un ruolo importante all’interno del panorama pattizio internazionale è rivestito inoltre dalla Convenzione Europea firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti del fanciulli. Il contenuto del Trattato in questione è stato recepito dal nostro ordinamento e reso esecutivo con la legge del 20 marzo 2003 n. 77 in vigore dal 18 aprile 2003. L’oggetto espresso e le formalità perseguite dall’Accordo riguardano essenzialmente: la promozione, nell’interesse superiore di coloro che non hanno ancora raggiunto la maggior età, dei diritti degli stessi; la concessione, in loro favore, dei diritti

36 G.MORANI, La tutela della prole nelle crisi familiari: soluzioni e rimedi dei patti internazionali e del sistema normativo interno, in Dir. Fam., 2009, p. 1985 ss.

37 www.unicef.it

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