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Dottor Antonio MARINI, Procuratore Generale f.f. presso la Corte d’appello di Roma

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Academic year: 2022

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Dottor Antonio MARINI, Procuratore Generale f.f. presso la Corte d’appello di Roma – Cercherò di rispettare gli 8 minuti, anche perché sono stato citato più volte dal Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, a questo proposito riprendo le parole del Sottosegretario per dire che noi, almeno la magistratura o almeno io che da quarant'anni faccio antiterrorismo, è dal 1978 cioè dopo la strage di via Fani e il sequestro e l'omicidio dell'onorevole Moro che aspettavamo la istituzione di una Procura Nazionale Antiterrorismo, quando ancora non si parlava affatto di Procura Nazionale Antimafia. Io mi ricordo che subito dopo il rapimento Moro il Procuratore De Matteo, io all'epoca ero alla Procura della Repubblica, mi incaricò con una delega di andare a fare il giro di tutte le Procure d'Italia per vedere quali procedimenti pendevano, cominciando soprattutto, mi ricordo, dalla Procura di Torino con Caselli, quali procedimenti pendevano sul terrorismo perché una Procura agiva senza sapere che cosa faceva l'altra, e da allora noi abbiamo cercato di innestare questo coordinamento che è stato chiamato coordinamento spontaneo e siamo andati avanti. Siamo andati avanti però senza avere quel coordinamento nazionale che noi richiedevano. Si è dovuto aspettare il 1992 quando si è istituita poi la Procura Nazionale Antimafia e io mi ricordo, se posso dirlo, che proprio su indicazione del mio amico Giovanni Falcone io feci la domanda alla Procura Nazionale Antimafia pur non avendo mai fatto processi di mafia qui a Roma ma soltanto processi di terrorismo perché Falcone, che all'epoca era già direttore al Ministero, mi disse in un convegno di Ustica che molto probabilmente si sarebbe istituita una Procura Nazionale Antimafia non autonoma come volevamo noi ma affiancata alla Procura Nazionale Antimafia che si stava per istituire, e infatti io, Nitto Palma e De Ficchy che pure avevamo fatto soltanto antiterrorismo facemmo la domanda al Consiglio Superiore della Magistratura e fummo fra i nominati alla Procura Nazionale Antimafia. Poi a Falcone sapete come è andata, io me ne sono andato dalla Procura Nazionale Antimafia e sono ritornato a fare l’antiterrorismo, ottenendo per la prima volta nella storia del Consiglio Superiore della Magistratura una revoca della delibera che mi aveva assegnato alla Procura Nazionale Antimafia per ritornare a fare antiterrorismo alla Procura della Repubblica di Roma, perché nel frattempo si era individuato il famoso quarto uomo di via Montalcini che si credeva che fosse uno dei servizi segreti e invece altri non era che un brigatista irregolare col nome di Germano Maccari e il famoso braccio destro di Mehmet Ali Ağca, attentatore del Papa, era stato individuato dai nostri servizi in un carcere di Versailles in Francia sotto falso nome, per cui io ritornai a fare antiterrorismo. Quindi è chiaro che adesso insieme con il Sottosegretario Minniti io sono favorevolissimo naturalmente a questa istituzione della Procura Nazionale Antiterrorismo, anche se mi rendo conto che con i problemi e i fatti che sono stati indicati mi rendo conto e vi dovrete rendere conto anche voi che i due fenomeni di terrorismo e mafia sono due fenomeni ben

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distinti, per cui sarà molto difficile far marciare la lotta al terrorismo da un'unica struttura come quella che oggi è stata indicata dal decreto-legge perché mi rendo conto anche che attualmente quella era la possibilità forse più urgente rispetto a una istituzione di una figura autonoma, però io resto convinto, resto sempre convinto che una figura autonoma, una struttura antiterrorismo sarebbe stata più opportuna senza collegarla con la struttura nazionale antimafia. Perché? Per le ragioni che poi sono state indicate, per esempio quando si dice che al Procuratore Generale sono state date determinate funzioni come quella per esempio che riguarda le intercettazioni preventive e quella dei colloqui, è perché si è voluto tenere distinta, come si è detto più volte, la prevenzione cioè l'attività di prevenzione e di intelligence rispetto poi all'attività di repressione che invece è della magistratura, e quindi proprio con riferimento al Procuratore Nazionale Antimafia. Vedo che il Sottosegretario Minniti è anche lui d'accordo su questa tesi perché la scelta legislativa è una scelta secondo me oculata rispetto a questo problema, poi naturalmente bisogna instaurare un coordinamento fra il Procuratore Nazionale Antimafia, e Antiterrorismo attualmente, e il Procuratore Generale presso la Corte d’appello che dà le autorizzazioni preventive e che autorizza i colloqui, ma questo lo possiamo fare anche perché già l'abbiamo fatto perché sono stati citati due casi, Generale Esposito, sono stati citati due casi, quello di Catania e quello di Milano, io ho parlato con entrambi i Procuratori di Milano e di Catania e abbiamo deciso di privilegiare l'attività di polizia giudiziaria, tanto è vero che ho indicato anche i nominativi degli enti di polizia giudiziaria che si interessavano alla Procura Nazionale in modo da dire “Privilegiamo le intercettazioni della polizia giudiziaria rispetto a quelle preventive”, anche perché quelle possono essere poi utilizzate, utilizzate nel processo e quindi in base anche a questa considerazione noi abbiamo fatto quel coordinamento necessario che è stato richiesto. Quindi io ritengo, e chiudo il mio intervento, che tanto la scelta legislativa della autonomia, quanto la scelta del Procuratore Generale sia una scelta oculata, anche se sono ancora convinto, resto convinto che sarebbe stato meglio fare una Procura Nazionale Antiterrorismo, anzi resto anche convinto, visto che il fenomeno terrorismo è internazionale, che sarebbe necessaria una Procura Nazionale europea Antiterrorismo. Grazie.

Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – Grazie al Procuratore Marini.

La parola al Procuratore di Catania Giovanni Salvi e poi l'intervento successivo sarà del Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia, consigliere Melillo.

Dottor Giovanni SALVI, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania – Vi ringrazio molto per avermi consentito di essere oggi presente qui e di rappresentare la Procura di Catania e anche l'esperienza di ormai purtroppo trent'anni di lavoro e di riflessione su questo tema.

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Ieri infatti non sono potuto venire perché ero a Vienna dove mi è stato chiesto l'utilizzo che abbiamo fatto a Catania della convenzione di Palermo nel contrasto del traffico dei migranti ed è emerso anche il tema del rapporto col terrorismo. Ieri abbiamo diffuso un nostro documento della Procura di Catania in cui si tratta anche di questo con una nota successiva all'entrata in vigore del decreto- legge e quindi io mi rimetto a quelle valutazioni che però vedo non essere difformi da quello che emerge qui oggi. Vedete, nel dibattito al Ministero della Giustizia richiamato poco fa dall'onorevole Minniti è emerso un orientamento non solo per la creazione di una Procura Nazionale Antiterrorismo, ma anche perché questa fosse all'interno della Procura Nazionale Antimafia, ma che avesse quella diversa articolazione sul territorio dipendente esclusivamente da una ragione, che è quella della grande rigidità che fu immaginata per le direzioni distrettuali antimafia e che probabilmente sul territorio creerebbe invece un problema per le direzioni antiterrorismo, che richiedono invece una maggiore flessibilità. Però questo non deve in alcun modo incidere a mio parere sui poteri di coordinamento del Procuratore Nazionale Antimafia, perché se di questo si trattasse sarebbe un grave errore. Il Procuratore Nazionale Antimafia ha dimostrato nel contrasto al crimine organizzato di tipo mafioso di essere in grado di operare non solo un efficace coordinamento ma anche un'attività di impulso e in qualche raro caso anche di esercitare poteri sostitutivi rispetto a momenti di inerzia. Quindi questi poteri rispetto all’autorità giudiziaria, al pubblico ministero delle distrettuali, a mio parere devono rimanere e nel decreto-legge restano anche se non c'è la strutturazione della direzione distrettuale antiterrorismo, con però la grave eccezione che il Procuratore ha messo in rilievo ma credo che ormai se non ho capito male si vada formando consenso su questo, noi lo avevamo scritto anche nel documento che abbiamo rassegnato l'altro giorno, riteniamo che il Procuratore Nazionale debba avvalersi dei servizi centrali di polizia giudiziaria perché non deve esserci una gelosia delle informazioni, come giustamente ha detto.

Credo che sia emerso anche con chiarezza quello che senza nasconderci dietro un dito è il vero problema, e cioè rapporto con l’intelligence per tante diverse ragioni, la prima è che in questo settore in maniera totalmente diversa rispetto al passato l'attività di intelligence è centrale ai fini della prevenzione, e lo è perché gran parte delle attività preparatorie e dei collegamenti si svolgono non solo all'estero ma si svolgono in luoghi dove non è possibile avere cooperazione giudiziaria, dove non è nemmeno immaginabile, io lo sto verificando con le indagini sui processi in materia di immigrazione, non è immaginabile avere rapporti di tipo giurisdizionale. Ne abbiamo con l'Egitto con grande difficoltà e con esiti positivi, ma per il resto non abbiamo alcuna possibilità di interloquire e anzi questo costituisce il principale problema che ci troviamo di fronte nel momento in cui le rotte si spostano e raggiungono luoghi di partenza e luoghi di transito che non sono da noi attingibili attraverso gli ordinari strumenti del processo. Allora se questa è la situazione è chiaro che

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non solo è indispensabile che vi sia una attività efficace delle agenzie di informazione, ma è indispensabile che queste agenzie siano poste in grado di operare a livello internazionale, il che vuol dire che devono costruire la fiducia, perché se non vi è la fiducia degli operatori dell'intelligence non vi è nemmeno la raccolta delle informazioni, quindi noi dobbiamo essere in grado di far sì che le garanzie funzionali operino effettivamente. È un terreno sul quale sarà difficile, non sarà facile al di là delle soluzioni che noi oggi possiamo trovare, la ragione di frizione c’è ed è vera, è reale, è una ragione di frizione insuperabile. La legge del 2007 ha previsto un meccanismo di separazione che fino a questo momento si è rivelato abbastanza efficace, facendo anche superare diffidenze reciproche che certamente vi sono state e che sono state basate anche su fatti reali anche recenti, anche lontani nel tempo. Allora io credo che, condividendo in questo totalmente quello che ha anche ribadito il Procuratore Nazionale, la separazione è fondamentale, la separazione non è facile anche questa da realizzare, per questo io trovo giusta la scelta di concentrare nel Procuratore Nazionale Antimafia tutti gli elementi conoscitivi che non riguardino l'intelligence perché l'intelligence deve pervenire all'autorità giudiziaria, al pubblico ministero e quindi anche al Procuratore Nazionale Antimafia, attraverso i meccanismi di selezione che sono previsti dalla riforma del 2007. Per eliminare questi profili di frizione o per ridurli io credo che anche quello che sta emergendo adesso di possibili collegamenti fra i diversi momenti di queste attività ma che siano rispettosi di questa separazione anche nell'interesse della giurisdizione, non soltanto nell'interesse dell'intelligence, anche nel nostro interesse, sia fondamentale perché altrimenti noi non riusciremo a ricostruire quella credibilità internazionale degli apparati di intelligence alla quale abbiamo diritto e non riusciremo a travasare nel processo penale in maniera utilizzabile nel processo gli elementi di prevenzione raccolti dalle attività di intelligence che sono invece fondamentali.

Vi ringrazio ancora una volta per avermi consentito di essere qui, sono un po' eccentrico rispetto al livello degli interlocutori però a volte la sfortuna di non poter partecipare si trasforma in fortuna e quindi oggi sono qui con voi.

Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – Grazie al Procuratore di Catania anche per il rispetto dei tempi, è stato puntualissimo. La parola al consigliere Melillo, Capo di Gabinetto del Ministero della Giustizia. Prego.

Dottor Giovanni MELILLO, Capo di Gabinetto Ministero della Giustizia – Naturalmente assicuro l’impegno, anzi assumo obbligazione di risultato rispetto al limite degli 8 minuti. Intanto approfitterei dell'occasione per dare da un lato notizia che il Ministero della Giustizia ha richiesto formalmente il parere del Consiglio Superiore della Magistratura sul decreto-legge del quale ci

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stiamo occupando, e in secondo luogo che mentre stiamo discutendo il quadro normativo sta evolvendosi a livello internazionale perché presso il Consiglio d'Europa sono in corso i lavori, i negoziati per giungere nel giro di non più di un mese all'apertura, alla sottoscrizione di un protocollo addizionale alla convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione del terrorismo stipulata nel 2005 e che l'Italia ancora non ha ratificato, questo a dimostrazione del fatto che la materia della quale ci stiamo occupando ha una sua storia della quale occorre tener conto. Detto questo, lo sottolineo perché la discussione che sta avvenendo a Strasburgo ha immediati riflessi anche sulle valutazioni che il Parlamento è chiamato a fare in sede di conversione sui confini, obiettivi delle nuove fattispecie incriminatrici perché, soltanto per dare un esempio, in questo momento la maggioranza delle delegazioni è per tenere una descrizione della condotta di viaggio a scopo di terrorismo rigidamente ancorata alla risoluzione 2178 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e quindi molto lontana, votata un po' alla rarefazione degli elementi che noi consideriamo classicamente necessari per garantire sufficiente determinatezza alle fattispecie incriminatrici. Detto ciò, io credo che sia importante considerare il punto dal quale siamo partiti, nel senso che siamo partiti dall'esigenza di trovare rapidamente un punto di equilibrio intorno a un tema che aveva ormai una sua consolidata vocazione a dividere anziché ad unire. L'equilibrio è stato cercato innanzitutto intorno all'idea che il decreto-legge dovesse consentire una crescita complessiva della funzionalità del sistema di prevenzione e di repressione, quindi dovesse crescere l'effettività della funzione giurisdizionale ovviamente chiamata a svolgersi in questa materia, ma nel contempo dovesse crescere anche il rilievo, anche dal punto di vista della percezione esterna, delle funzioni di polizia giudiziaria e delle funzioni del sistema di intelligence, e credo che questa scelta sia stata feconda perché senza adottare una prospettiva di questo tipo sarebbero riprodotte le divisioni, le contrapposizioni e le diffidenze almeno del passato.

Sul piano più strettamente legato all'organizzazione giudiziaria e al sistema di regolazione delle prerogative processuali dell'autorità giudiziaria vanno dette alcune cose. È stato già ricordato dall'autorità delegata al sistema di intelligence la riunione che il Ministro della Giustizia congiuntamente al Ministro dell'Interno ha convocato prima che il Consiglio dei Ministri fosse chiamato all'esame del disegno di legge proposto congiuntamente dai due Ministri. Lì si è svolto, credo con valutazione unanime, il tentativo di chiudere le linee di tendenziale divaricazione che da tempo si producevano proprio all'interno dell'organizzazione giudiziaria. Da questo punto di vista il punto di equilibrio è stato trovato intorno da un lato al superamento di ogni diffidenza, di ogni ritrosia ad affidare alla Procura Nazionale Antimafia, titolare di un'esperienza assolutamente consolidata e per certi versi insostituibile, di una funzione di coordinamento in questa materia.

Dall'altro lato si è scelto di assicurare alle direzioni e alle Procure distrettuali quel grado di

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flessibilità organizzativa per avviso diffuso, per sentire diffuso fra i Procuratori distrettuali, necessario per assicurare adeguatamente l'efficienza dei modelli organizzativi locali. In secondo luogo si trattava in generale di trovare un punto di equilibrio nel rapporto fra funzione giurisdizionale e funzione di prevenzione. Questo punto di equilibrio, è stato già ricordato, è volto alla protezione di entrambe, quindi è un punto di equilibrio finalizzato alla reciproca protezione dell’in sé dell'una e dell'altra funzione, da un lato perché è del tutto evidente il rischio di una immissione senza necessarie cautele dell'autorità giudiziaria nelle funzioni di prevenzione tipiche dell'intelligence, dall'altro lato perché la stessa intelligence nel momento in cui entra in contatto con il sistema di regolazione normativo che regola l'esercizio della giurisdizione si imbatte in istanze che non sono esattamente corrispondenti alle funzionalità di intelligence. Basti pensare all'esigenza di documentazione delle attività propriamente e prettamente, tipicamente processuali investigative e ai rischi che correrebbe anche di perdita di credibilità del sistema di intelligence. Naturalmente non sfuggiva, non sfugge, non potrebbe sfuggire la pratica anche impossibilità di distinguere fra funzioni di repressione e funzione di prevenzione dei reati, tanto più in questa materia. Parliamo di organizzazioni criminali, lo ricordava Giovanni Conso più di vent'anni fa, davanti a organizzazioni criminali noi abbiamo necessariamente da un lato un problema di repressione perché il reato si è già consumato nel momento in cui si è instaurata una entità criminale, e dall’altro lato abbiamo un problema di prevenzione perché la struttura è votata alla commissione di una serie indeterminata di reati. Non vi è dubbio che questa inscindibilità logica delle funzioni chiami l'intero sistema a una prova di responsabilità straordinaria e da questo punto di vista il testo del decreto-legge non ha fatto nient'altro che registrare il quadro di condivisione, verrebbe da dire il minimo comune denominatore, ma in realtà non si tratta del minimo comune denominatore perché a definirlo così si perderebbe di vista l'importanza del passaggio che si è realizzato con l'adozione del decreto-legge.

Naturalmente sono sempre possibili integrazioni, perfezionamenti, adeguamenti normativi anche in materia di coordinamento delle indagini di criminalità organizzata, lo statuto normativo della Procura Nazionale Antimafia oggi non è esattamente quello che c'era nel 1991, nel novembre del

‘91 quando fu adottato ancora una volta non per caso un decreto legge per superare le diffidenze e le resistenze dell'epoca. Naturalmente quindi molti di questi passaggi evolutivi sono assolutamente opportuni, alcuni sembrano obiettivamente necessari, alcuni probabilmente, spero ma è una mia valutazione personale quindi vale quel che vale, potranno realizzarsi già in sede di conversione.

Però vorrei sottolineare due cose, la prima, che non tutto quello che si indica come necessario o anche semplicemente utile necessariamente richiede l'intervento del legislatore. In secondo luogo che non tutti i modelli organizzativi, non tutte le metodologie, non tutte le prassi, persino le abitudini ma in senso buono, cresciute, costruite nell'azione di contrasto del crimine organizzato

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mafioso possono essere automaticamente meccanicamente asserite nel contrasto del terrorismo di matrice internazionale. E anche da questo punto di vista vorrei dire che forse il caso dei colloqui investigativi lo rivela più di ogni altro perché è stato proprio questo il caso in cui si è riconosciuta comunemente la necessità di far crescere il profilo istituzionale ma anche la dimensione legislativa delle attività di intelligence rispetto a un fenomeno che altrimenti ne sarebbe stato privo, non soltanto norma a tempo e quindi per ciò solo eccezionale ma la norma ha, credo, una sua facilmente riconoscibile attitudine ad essere inserita nel sistema, a cominciare dai meccanismi che sono espressamente richiamati che fanno obbligo ai servizi di informazione che richiedono e ottengono l'autorizzazione allo svolgimento di colloqui in carcere di trasferire qualsivoglia elemento informativo che abbia attitudine a costruire una notizia di reato a trasferirlo immediatamente ai servizi di polizia giudiziaria perché si attivi poi il meccanismo di comunicazione delle notizie di reato.

È inutile dire, e concludo, che davvero molte delle questioni esaminate troveranno inevitabilmente riflesso nella lavori parlamentari di conversione del decreto legge, ma da questo punto di vista farei anche attenzione a non caricare il percorso parlamentare del decreto-legge di un peso eccessivo. Alcune questioni possono trovare naturalmente mezzo espressivo altrove, per esempio le logiche della cooperazione internazionale vanno sollevate dal peso di una inazione politico parlamentare che ormai dura da 15 anni. Bene, il Governo su questo ha presentato un disegno di legge che modifica radicalmente il sistema della cooperazione così come oggi è raffigurato nel libro XI del codice di procedura penale, e da questo punto di vista non è un caso che ne risultino rafforzate notevolmente le prerogative dei Procuratori distrettuali in luogo di quelle tradizionali dei Procuratori Generali presso le Corti d'appello, perché in materia di cooperazione noi paghiamo anche la mancanza di allineamento fra chi opera sul versante attivo della cooperazione giudiziaria, vale a dire i Procuratori, e chi invece è chiamato ad assicurare l'offerta di cooperazione italiana. L'avanzamento parlamentare del cammino di questo disegno di legge consentirà di recepire molte di quelle istanze, dalle squadre investigative comuni al perfezionamento dei meccanismi del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Ho concluso mi pare in sette minuti e mezzo.

Consigliere LEGNINI, Vice Presidente CSM – A questo punto vi propongo 10 minuti di pausa caffè, il Sottosegretario Minniti ci lascia e lo ringrazio davvero per la presenza e per il contributo, dopodiché vi prego di rimanere per fare in modo che tutti gli interessati possano esprimere il proprio punto di vista, a partire dai rappresentanti delle agenzie di informazione.

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I lavori sono sospesi alle ore 17,11 e riprendono alle ore 17,34

Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – Riprendiamo i lavori, ci sono molti interventi. Proseguiamo questo confronto sempre in questo momento sul filo di questo argomento che riguarda i rapporti fra attività di prevenzione, attività di intelligence e attività giudiziaria. Io darei la parola al rappresentante dell’A.I.S.I., il dottor Massimo Lomuscio. Prego e grazie per essere intervenuto.

Dottor Massimo LOMUSCIO, A.I.S.I. – Grazie a lei. Arrivare dopo tanti autorevoli interventi pone nella condizione di aver sentito molto, aver sentito tanto, e in effetti l'aspetto più interessante e più stimolante è avere avvertito spinte e controspinte sul tema, spinte e controspinte sul tema che ci vedono ovviamente con noi in mezzo come soggetti che non possono che recepirne alcune e considerarne altre un po’ lontane da quelle che sono le nostre esigenze, da quelle che sono le nostre sensibilità, da quelle che sono le nostre ambizioni e obiettivi istituzionali. Il decreto-legge 7 del 2015 in realtà ha introdotto notevoli strumenti, ha potenziato l'attività dell'intelligence, parto dal potenziamento in termini di ampliamento delle scriminanti per poi arrivare al tema più spinoso, ampliamento delle scriminanti che ha riguardato tutta una serie di reati e di condotte antigiuridiche che sono probabilmente l'elemento portante della nostra attività, cioè parliamo di attività di penetrazione informativa che spesso vengono svolte compiendo una serie di condotte fino a ieri non integrative di reati, sovente non integrative di reato, parliamo di attività di penetrazione informativa che fino a ieri si sostanziano in condotte sintomatiche di una pericolosità ma che non rientravano nel perimetro di punibilità penale. Oggi questo perimetro è stato ampiamente amplificato, l'alto addestramento e il compimento di condotte propedeutiche è sicuramente condotta oggi unita e poteva costituire ieri condotta simulata per addivenire ad attività penetrative. L'istigazione mediante attività informatiche o telematiche, forme di facilitazione nei confronti dei foreign fighters che potevano costituire anche queste condotte simulate oggi sono condotte che, ove realizzate per penetrare contesti associativi terroristici, evidentemente conosceranno momenti di confronto con l'autorità giudiziaria. Ci rendiamo conto che questi momenti di confronto con l'autorità giudiziaria possono essere momenti di attrito, possono essere comunque momenti in cui ci si trova a confrontarsi su piani diversi, e l'avvicinamento delle posizioni, sicuramente la condivisione delle informazioni la condivisione delle conoscenze, la condivisione anche dei metodi potrebbe agevolare, potrebbe rendere questo tipo di attività e questo tipo di rapporto con l'autorità giudiziaria sicuramente più facile, sicuramente più fluido, sicuramente migliore, però ci rendiamo conto che

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effettivamente non è una posizione del momento quella di mantenere vivo quel diaframma che separa il mondo dell'intelligence dal mondo giudiziario. L'intelligence in questo tipo di rapporto purtroppo continua a conoscere dei limiti insuperabili, sono limiti insuperabili non di oggi, ripeto, sono limiti insuperabili che sono probabilmente connaturati alla nascita dell'intelligence, già il legislatore del ‘77, della 801, conosceva questi limiti, ma limiti che sono connaturati agli strumenti che utilizziamo, sono connaturati al massiccio impiego di risorse fiduciarie, alla loro non spendibilità, alla loro esigenza di tutela e protezione, alla regola della terza parte, cioè all'esigenza di mantenere assolutamente protette le informazioni acquisite in ambito internazionale dalla collaborazione con collegati stranieri, al fatto che questo tipo di collaborazione per noi costituisce un elemento portante soprattutto in materia di terrorismo internazionale, e la condivisione delle informazioni tratte anche grazie a questo tipo di rapporti, a questo tipo di collaborazione, costituisce per noi elemento di inciampo, può costituire per noi un elemento di emarginazione, può costituire per noi un problema concreto nella agibilità nazionale e internazionale.

Probabilmente, devo dire, l'emergenza terrorismo in questo momento è battente, è forte, ne abbiamo conosciute altre in altri tempi, l'emergenza del terrorismo internazionale come tutte le situazioni di grande tensione tende ad appiattire, verosimilmente tende ad avvicinare, forse appiattire non è il termine migliore ma tende in realtà ad avvicinare le funzioni e a creare quella confusione fra attività di prevenzione e di contrasto, cioè la condivisione integrale che sconta, può scontare il prezzo della diffusione-divulgazione del non rispetto di questi presupposti farebbe perdere valore aggiunto all'intelligence, l'intelligence ha un obiettivo diverso, diventeremo una polizia di prevenzione, l'intelligence ha un orizzonte che deve essere più ampio, che nell'emergenza tende a essere smarrito, l’orizzonte si avvicina e vediamo il pericolo immediato, ma l'obiettivo dell'intelligence sicuramente è quello di arrivare a delineare degli scenari, scenari completi, arricchiti, per il decisore politico perché il decisore politico di riferimento è il Presidente del Consiglio, il Governo con il quale conferisce i fini e gli obiettivi, con il quale ci ingaggia negli ingressi politici, ma è il Parlamento come nostro referente a cui dobbiamo fornire dei quadri di situazione. Ma c'è anche la condivisione mondiale delle manovre informative in ambito di intelligence, c’è la conoscenza di aspetti che vanno al di là del fatto criminale indagato, c’è l'aspetto di scenario più profondo, più vicino all'aspetto sociologico, più vicino all'aspetto potremmo dire che vede generare il fenomeno terroristico fra i diversi fenomeni di interesse. In realtà queste differenze a tutti note e quindi l'esigenza di non travalicare quel limite che porterebbe a un avvicinamento di funzioni e quindi a una confusione di funzioni e probabilmente a non riuscire a spiegare in pieno tutti gli obiettivi, tutte le competenze assegnate, era chiaro al legislatore degli anni ‘70 ma ancora più chiaro al legislatore recente, quello della 124, quello del 2007, richiamo soltanto alcuni degli

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istituti che espressamente afferiscono ai rapporti fra autorità giudiziaria e organismi di informazione e sicurezza, sono rapporti che continuano a essere incardinati su questa logica di separazione, anche in termini di scambio informativo.

Il 118 bis del codice di procedura è la norma di riferimento, è una norma in forza della quale l'autorità giudiziaria può spontaneamente di iniziativa fornire elementi informativi ai servizi di informazione laddove è indispensabile per lo sviluppo dell'attività di intelligence, parimenti il Presidente del Consiglio dei Ministri, laddove è indispensabile per le finalità informative delle agenzie, può chiedere all'autorità giudiziaria elementi conoscitivi. Ma sono questi i termini, è questo il rapporto. Quanto agli altri strumenti, il 270 bis guarda a un momento molto delicato, guarda a un'ipotesi di interpello al fine di sgombrare il campo nel corso delle indagini dall'esistenza di informazioni che meritano di essere tutelate al massimo livello sì da dare semaforo verde alle attività di indagine e consentire quindi lo sviluppo senza incidenti. Il 256 bis che guarda all'acquisizione di documenti del patrimonio informativo dei servizi. Anche lì con procedure, tempi e modi particolari, con obiettivi selezionati, con richieste mirate, e muovendosi nei limiti delle nostre prerogative e soprattutto nel rispetto di tutte quelle condizioni che ho richiamato che sono il rapporto fiduciario, che sono i rapporti con i collegati stranieri. L'articolo 24, l'ultimo introdotto, l'ultimo modificato, l'ultimo novellato dal decreto-legge, riguarda l'impiego di identità di copertura.

Io mi rendo conto che il decreto-legge ha potenziato sicuramente gli strumenti a disposizione degli organismi nei limiti in cui avete avuto modo di evidenziarlo anche dell'autorità giudiziaria. Qui per esempio probabilmente l'intervento è stato sullo slancio dell'esigenza di mantenere indenne, di mantenere riservata la partecipazione di operatori dei servizi da attività infooperative, ma apre una serie di problemi che dovranno essere affrontati, dovranno essere studiati, dovranno trovare delle soluzioni. La novella prevede la possibilità di utilizzare identità di copertura nell'ambito di procedimenti penali in cui è opposta la speciale causa di giustificazione, questo però appunto con l'obiettivo di mantenere indenni i nominativi, ma può verificarsi il caso in cui a seguito di conflitto di attribuzione ed esito favorevole all'autorità giudiziaria si ritorna nella fase processuale e prosegue il giudizio con pronuncia addirittura di condanna nei confronti dei dipendenti che dovrebbero intervenire nei confronti di generalità simulate o, ancora, l'impossibilità di valutare elementi e circostanze soggettive riferite al soggetto indagato, le cui generalità non sono conosciute. Sono aspetti sicuramente che i servizi non hanno un immediato interesse a vedere risolti perché il primo obiettivo è stato raggiunto, cioè quello di tutelare le attività, ma che andranno sicuramente approfondite. Forse la conversione non può essere la sede, i tempi sono stretti, forse il tempo che residua non ci consentirà di fare questi approfondimenti ma ci dovremo muovere in quel senso.

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Intercettazioni preventive e colloqui informativi hanno un po' derogato a quello che dicevo prima, a quel principio di separazione. È vero, le posizioni prima viaggiavano su linee parallele che convergevano soltanto sull'orizzonte comune della tutela della sicurezza nazionale sotto vari aspetti.

Con le intercettazioni preventive del 2005, sempre introdotte in un periodo emergenziale, si è verificato un fatto assolutamente nuovo, autorizzante e autorizzato, autorità giudiziaria e servizi di informazione, però anche qui va letta, va letta la norma per poter poi oggi interpretare come muoversi per dare risposta anche alle esigenze di confronto, di arricchimento di scambio informativo e di possibilità di fronteggiare in maniera sistematica la minaccia perché in fondo anche le intercettazioni preventive è vero che hanno derogato a questo criterio di separazione ma parzialmente. Intanto parliamo di uno strumento che in sé naturalmente non consente la refluenza dei risultati all'interno di indagini, uno strumento particolare, uno strumento che vede nel Procuratore Generale presso la Corte d’appello il garante voluto dalla Costituzione per la tutela della libertà e segretezza delle informazioni. Insomma, uno strumento che pur derogatorio rispetto a quel principio di parallelismo dell'azione ma che comunque mantiene intatto quel modello di separazione. E la stessa cosa potremmo dire anche per i colloqui informativi. Saluto e ringrazio.

Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – Grazie a lei, grazie per la collaborazione. Ovviamente io chiedo scusa a tutti presenti, ci siamo un po’ dilungati su alcune cose ma è bene che tutti intervengano. Io a questo punto darei la parola al Generale Renato Russo per l’A.I.S.E. Prego, sempre su questo versante dei rapporti fra agenzie di informazioni e gli organi investigativi, anche con riferimento a questi ultimi temi che riguardano le garanzie funzionali e queste novità riguardo alla possibilità di deporre nei procedimenti giudiziari mantenendo segreta la propria identità personale.

Gen. Div. Renato Maria RUSSO, A.I.S.E. – Grazie Presidente. Il senatore Minniti penso abbia inquadrato il problema dal punto di vista del comparto, io volevo solo richiamare, riallacciandomi all'ultimo suo quesito, richiamare innanzitutto un aspetto fondamentale che forse sfugge ai più. Noi lavoriamo in un mondo non convenzionale e in un modo non convenzionale, altrimenti si capisce poco quello che facciamo. Abbiamo dei progetti informativi che di anno in anno proponiamo all'autorità di Governo, questi progetti vengono approvati e li portiamo avanti.

L'esempio più banale in questo momento storico è quello del finanziamento al terrorismo, tra l'altro un segmento che ci vede avere una straordinaria leadership a livello internazionale, ci occupiamo di queste cose, finanziamento prima alla criminalità organizzata poi al terrorismo, abbiamo imparato qualcosa negli ultimi trent'anni con persone straordinarie che ce lo hanno insegnato in questo paese,

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e quindi ci viene abbastanza istintivo portare avanti questo tipo di attività di intelligence con risultati in verità proficui, risultati che poi non vengono riportati all'autorità giudiziaria italiana, non sempre ovviamente, perché a volte attengono ad altri paesi o ad altre vicende. Quello che accade nel corso dello svolgimento dei nostri progetti informativi, invece, che è interessante storicamente è che noi abbiamo dei risultati incidentali, risultati assolutamente direi casuali fra virgolette che ci hanno portato nel tempo e molto di più nell'ultimo periodo a interfacciarci quotidianamente con i colleghi degli organi di polizia. L'esempio più banale è quello della barca carica di stupefacenti che non rientra in un lavoro specifico ma emerge e viene passata in tempo reale. Quindi questo scambio di informazioni è uno scambio sostanzialmente quotidiano che noi abbiamo con i colleghi, trova nobiltà a livello del C.A.S.A. nel settore del terrorismo ad esempio, ma più semplicemente, vista anche l'estrazione un po' di noi tutti, trova un riferimento immediato nella polizia giudiziaria.

Formalmente scriviamo quasi quotidianamente e attiviamo gli organismi nazionali, i comandi generali, il servizio centrale antidroga sulle varie specifiche materie, quindi il deficit secondo me è più che altro un deficit di conoscenza. Troverei molto utile, e lo abbiamo proposto ovviamente, cercare di capire meglio quali sono le potenzialità nostre come supporto nei confronti dell'attività che viene svolta anche dall'autorità giudiziaria in primis perché potrebbe essere utile capire quali sono le potenzialità, il valore aggiunto che le agenzie possono proporre.

Per quanto attiene alle garanzie funzionali, anche lì la norma che è una norma che è stata finalmente ben scritta nel 2007 e poi evolve e speriamo lo faccia ancora, ci dà delle potenzialità notevolissime, cito fra tutte quella che viene ricordata di meno che è quella delle attività economiche sotto copertura, e sono delle svolte vere e proprie perché consentono di interpretare in modo diverso, in modo devo dire moderno come altre agenzie straniere fanno da tanti anni una attività che normalmente potrebbe avere dei limiti oggettivi. Per quanto riguarda le garanzie funzionali, al di là di episodi anche specifici, anche malinconici di storia recente, devo dire come A.I.S.E. ne fruiamo, ne riteniamo l'utilità ma ovviamente abbiamo problemi un po' diversi perché la nostra attività è svolta all'estero, quindi lì dobbiamo cercare di avere garanzie di tipo diverso, proteggerci in modo diverso sostanzialmente perché le garanzie funzionali ovviamente in territori lontani e spesso nemici non hanno una funzione particolare. Qui noi utilizziamo le norme che, ripeto, ci sembrano assolutamente adeguate e moderne che andranno poi sicuramente implementate nel tempo ma l'auspicio è quello di non formalizzare, cosa che forse non serve neanche a molto, non è indispensabile, ma di rendere sempre più costante e frequente il rapporto con la magistratura che ha un filtro secondo me naturale, assolutamente banale che è quello della polizia giudiziaria.

Insomma noi, come dicevo prima, come estrazione e come consuetudine ci interfacciamo con la polizia giudiziaria, la polizia giudiziaria verifica, riscontra quello che diciamo e lo porta

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immediatamente all'attenzione dell'autorità giudiziaria. Penso che il passaggio diverso, inverso e più complesso con l'autorità giudiziaria con un meccanismo che in questo momento sinceramente non riesco a individuare possa in qualche misura, forse anche lì per il tramite della polizia giudiziaria inviare in qualche modo, in modo ortodosso le richieste anche dell'agenzia. Questo andrà poi sviluppato nel futuro. Ringrazio per l'attenzione.

Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – Grazie, grazie per il contributo.

A questo punto io darei la parola al Presidente Soro, e poi nell'ordine interverranno per la D.I.A. il Generale Ferla e per il R.O.S. il Generale Parente.

Dottor Antonello SORO, Presidente Autorità Garante per la protezione dei dati – Grazie Presidente, io penso che il mio sia un intervento un po' eccentrico, molto eccentrico rispetto al complesso dell'interessantissimo dibattito al quale io ho avuto modo di esistere, e devo dire che la prima valutazione di apprezzamento è proprio sul tono di generale ragionevolezza di tutti gli argomenti estranei a quel clima di emergenza che carsicamente ritorna nella vita di tutti i paesi, non solo del nostro. Noi in questo siamo specialisti, siamo passati in un tempo brevissimo dall’enfasi intorno alla necessità di tutelare la privacy dopo il datagate alla fase in cui invece la privacy diventa un fastidio, un ostacolo, un elemento di freno rispetto al dispiegarsi delle azioni importanti di contrasto al terrorismo. Mi parrebbe che non sia difficile immaginare che la complessa stagione nella quale noi viviamo finirà comunque col disegnare in un clima forse di più matura consapevolezza i nuovi rapporti fra libertà e sicurezza, e quindi con essi anche l'identità delle nostre democrazie, complessità che deriva da molte ragioni che sono presenti ma a mio parere è una complessità molto figlia della nuova dimensione digitale nella quale si svolge la nostra vita, direi in prevalenza rispetto a qualunque aspetto della vita che noi svolgiamo nella dimensione dello spazio fisico, e quindi in una dimensione nella quale anche arrivano più forti, più temibili, inesplorate le minacce alla sicurezza. In questi anni sulla spinta forse anche del clima emergenziale tra virgolette emergenziale legato alle rivelazioni Snowden si è suscitata una forte attenzione alla privacy quale presupposto di libertà. Penso che quella attenzione vada assolutamente mantenuta anche a fronte delle spinte securitarie che sono emerse dopo Charlie Hebdo, e questo è tanto più importante per un ordinamento quale quello europeo che dopo le rivelazioni di Snowden ha rappresentato sempre di più un modello di riferimento cui tendere e a cui anche gli Stati Uniti tendono in questa stagione. A questo modello in qualche modo si ispirano le riforme proposte dal Presidente Obama per evitare le distorsioni che hanno segnato, che hanno caratterizzato la stagione precedente ma è figlia di questa sensibilità, io la cito, una sentenza della Corte Suprema americana perché dà l'idea di quale sia la

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cultura che va dispiegandosi e gli equilibri che vanno dispiegandosi, quella sentenza che ha esteso alla perquisizione dei cellulari le tradizionali garanzie previste per le misure limitative della libertà personale affermando che il costo della privacy è il valore della democrazia. È una sentenza relativamente recente figlia di un ripensamento in un paese che a questi aspetti aveva dedicato non moltissima attenzione, e sono figlie di questa sensibilità in fondo le due coeve pronunce della Corte di giustizia su data retention e per altri aspetti oblio. Queste pronunce hanno in comune la qualificazione della protezione dati come principale presupposto di libertà nell'era digitale, diritto alla inviolata personalità senza il quale ogni democrazia rischia di cedere alla logica totalitaria dell'uomo di vetro e la rete di ridursi a spazio nomico dove globalizzare non le libertà ma la indifferenza ai diritti, è quindi da qui, da questa idea dell’habeas data che dovrebbe ripartire una logica coordinata di contrasto europeo al terrorismo che sia capace di affermare la propria forza di contrasto senza rinnegare se stessa e la propria identità, e deve farlo tenendo presente l'eterogenesi dei fini che spesso hanno le politiche securitarie come quelle fondate sulla sorveglianza di massa, come hanno segnalato nel loro rapporto il Senato americano, come anche la Commissione diritti umani del Consiglio d'Europa. Il rapporto fra privacy e sicurezza andrebbe rivisto anche sotto il profilo della reale efficacia della sorveglianza di massa rivelatasi assai meno utile anche in termini investigativi rispetto alla sorveglianza tradizionale mirata e selettiva. Alcuni aspetti della sorveglianza generalizzata, indiscriminata, quali l'indebolimento della crittografia da poco proposto da Cameron nel Regno Unito funzionali alla raccolta massiva di dati personali rappresentano forse più un pericolo che non un elemento di tutela per la sicurezza nazionale perché maggiore è la permeabilità della rete e dei dati che la innervano e più questa vulnerabilità possibile può essere sfruttata dagli Stati canaglia, dal terrorismo, dalla criminalità organizzata, dalla criminalità anche semplice che attraverso il furto di identità può mettere in essere tante minacce, tante piccole minacce per le vite individuali ma poi alla fine è una minaccia generale. Come pure penso che vada affrontato in termini di efficacia, non certo ideologici, il tema del (pienar) cui non saremo certo noi contrari se modulata nel rispetto di quel principio di proporzionalità su cui la Corte di giustizia ha incentrato il bilanciamento tra libertà e sicurezza del digital right l'anno scorso, sottolineando l'esigenza di una adeguata selezione del materiale investigativo. Piuttosto andrebbe adeguatamente chiarito quanto tale ampia raccolta di dati sia realmente utile all'azione antiterrorismo. Anche in questa sede ieri mi pare siano state autorevolmente espresse più di una seria perplessità. Certo è che quando questa forma di tracking sarà effettivamente prevista, quando il Parlamento europeo l’avrà definita come pare imminente, si dovrà garantire la massima sicurezza dei sistemi e dei flussi informativi da essi originati. Il modo migliore per difendere la nostra sicurezza è a nostro avviso proteggere i nostri dati e con essi le infrastrutture e i sistemi a cui li affidiamo ed evitarne le raccolte

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massive limitando dunque la superficie d'attacco per un terrorismo che sempre più si alimenta della rete per passare dallo spionaggio informatico alla concretissima violenza delle stragi. Una efficace azione di prevenzione del terrorismo deve quindi selezionare con intelligenza gli obiettivi sensibili in funzione del loro grado di rischio per fare della protezione dei dati una condizione strutturale della cyber security, più le banche dati pubbliche, che sono ormai bersaglio prevalentemente indicato dal terrorista e dal criminale organizzato, più queste banche dati saranno vulnerabili più noi saremo esposti, più saranno ricche di dati inutili più noi correremo dei rischi e quindi la superficie d'attacco - credo risponda a una logica di strategia di contrasto generale, non solo nell'ambito del terrorismo ma a maggior ragione nel terrorismo - più noi riusciremo a ridurre la superficie d'attacco più probabilmente saremo capaci di una difesa efficace. Non faccio riferimento, do per fatto da parte di Minniti il richiamo al rapporto che noi abbiamo avuto con i servizi di sicurezza perché credo che anche lì si possa manifestare e si sia concretamente manifestato un elemento di sinergia fra la protezione dei dati personali e un'attività così delicata e così speciale come quella dell'intelligence, e non minore attenzione merita l'uso dei mezzi di ricerca della prova particolarmente invasivi, penso all'acquisizione dei tabulati e alle intercettazioni soprattutto se non circondati da misure di sicurezza idonee a impedire abusi o comunque lesione dei diritti delle persone i cui dati sono contenuti in quell'ambito. Per restare nei tempi mi limiterò a citare il rapporto Vodafone, 605.000 richieste di tabulati all'anno solo rispetto agli utenti di Vodafone indicano un eccesso probabilmente nel ricorso a questa misura che tra l'altro non comporta oneri per lo Stato né necessita più dell'autorizzazione del GIP, profilo questo su cui sarebbe opportuno riflettere anche in funzione della necessità di adeguamento da parte del nostro ordinamento alla sentenza data retention che ha cancellato la possibilità di utilizzare in modo indiscriminato e di conservare in modo indiscriminato i dati di traffico. Del resto i dati personali acquisiti con questi mezzi investigativi - ma penso ad altri come la raccolta del dna i cui profili confluiranno nella banca dati nazionale - vanno protetti anche successivamente alla raccolta per impedire ogni tipo di abuso che può rischiare di mettere a nudo interi pezzi di vita privata di quanti siano coinvolti ad ogni titolo in inchieste giudiziarie.

Abbiamo indicato, e lo sanno i magistrati presenti, sicuramente i Procuratori, oltre che ai gestori anche alle Procure della Repubblica l'adozione di particolari misure di sicurezza fisiche e logiche per garantire anche in quell'ambito un livello più forte e omogeneo di protezione dei dati, ma anche per fini di prevenzione dal momento che il provvedimento si riferisce anche alle intercettazioni preventive di competenza dei servizi sulle quali è quanto mai importante il controllo esterno sia pure di tipo estrinseco dell'autorità giudiziaria. Si tratterebbe di misure

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complessivamente intese e idonee a garantire la sicurezza tanto individuale quanto pubblica a dimostrazione del rapporto sinergico e non antitetico fra privacy e sicurezza.

Con riferimento al decreto antiterrorismo noi domani formuleremo le nostre valutazioni alla Camera dei Deputati, avendo un occhio particolare di attenzione non tanto alla singola norma contenuta quanto alle necessarie norme di attuazione che si renderanno indispensabili, e quello sarà il momento in cui cercare di coniugare un rischio maggiore di invasività nell'ambito per esempio della rete che può essere però coniugato con opportune norme attuative sulle quali noi esprimeremo un parere che auspichiamo sia un parere conforme perché insieme all'altro dato sul quale noi non abbiamo sollevato obiezioni di merito, che invece ha alimentato molte critiche, e cioè un processo di semplificazione della attività dell'autorità di polizia nell'utilizzo di nuove tecnologie non condizionandolo più alla norma esplicita ma anche a un decreto che possa intervenire successivamente per seguire l'evoluzione delle tecnologie che sono utilizzate da chi compie reati e qualche volta - non oggi - abbastanza dalle forze di polizia. Noi abbiamo detto che siamo convinti che sia giusto, che sia possibile semplificare questo processo, non pretendendo di avere la norma esplicita puntualmente aderente ad ogni singola innovazione delle tecnologie, ma anche qui conterà molto la norma di attuazione e conterà molto il ruolo che al garante sarà riservato con un parere non solo obbligatorio, come è nella norma generale, ma anche un parere conforme perché questo riuscirà a coniugare l'esigenza di difendere i diritti individuali con l'esigenza di agevolare il processo di modernizzazione delle tecniche di indagine e di acquisizione delle prove. Mi fermo qui.

Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – Grazie Presidente. Adesso ritorniamo sul versante della polizia giudiziaria, io vorrei dare la parola al Generale Parente e poi successivamente parlerà il Generale Ferla. Prego.

Gen. B. CC. Mario PARENTE, Delegato dal Capo di Gabinetto Ministero della Difesa – Sono il comandante del R.O.S., il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, che è articolato su due settori, il settore della criminalità organizzata e il settore del contrasto al terrorismo. Per quanto attiene all'aspetto della criminalità organizzata, da anni il R.O.S. si rapporta con la Procura Nazionale Antimafia, quindi io non posso ovviamente che essere particolarmente soddisfatto della previsione del decreto che in qualche modo potrebbe ampliare le competenze del R.O.S. anche in questo settore, nel senso che da anni per quanto ci riguarda emergeva con chiarezza un'esigenza di coordinamento a livello centrale e avendo la percezione diretta nel settore della criminalità organizzata di quanto fosse utile quel riferimento alla Procura Nazionale. Per quanto riguarda noi come servizi centrali e interprovinciali di polizia giudiziaria, io ritengo che quello che è

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stato detto oggi sia senz'altro auspicabile. Adesso io non voglio ovviamente soffermarmi oltre su quello che già in parte è stato detto, per quanto attiene poi al punto di vista di una forza di polizia che è impegnata comunque nel settore del contrasto al terrorismo, io credo che le modificazioni apportate dal recente decreto siano senz'altro da vedere con grande favore, sia perché io ritengo superino delle possibili difficoltà interpretative per alcune fattispecie, sia perché indubbiamente consentono anche la punibilità di alcuni comportamenti che fino a questo momento erano esclusi.

Faccio riferimento ad esempio alle modifiche introdotte dal 270 quinquies in relazione all'ampliamento del concetto di persona addestrata quando si fa riferimento in particolare alla persona che abbia acquisito anche autonomamente le istruzioni per il compimento degli atti ovviamente oggetto di interesse, e anche per quanto riguarda l'aumento della pena in ordine al fatto commesso con strumenti informatici e telematici. Ecco, io credo che questi aspetti fotografino molto bene quella che è la realtà investigativa odierna, una realtà completamente mutata nel corso degli anni quando parliamo di persona che si addestra autonomamente facciamo riferimento a un dato oggettivo. Ormai questo terrorismo, che è stato definito già in più occasioni un terrorismo molecolare, non è più un terrorismo che consente delle indagini tradizionali. Nei primi anni ‘90 ma anche nella prima parte degli anni 2000 ci si confrontava con delle reti terroristiche collegate a livello internazionale, quindi sicuramente si parlava di indagini che potevano avere un loro sviluppo attraverso ad esempio la semplice acquisizione di un tabulato attraverso il quale si potevano ricostruire collegamenti non solo sul nostro territorio ma anche in altri paesi europei. Da qualche anno a questa parte ci si confronta con un terrorismo completamente diverso, una linea di demarcazione sicuramente è costituita dagli attentati di Londra del 2005, attentati che hanno posto di fronte all'attenzione delle autorità britanniche e non solo britanniche un problema molto serio, chi commette qui gli attentati non è qualcuno che viene da fuori, non è qualcuno collegato ad al Qaeda, non è qualcuno collegato ad altri gruppi terroristici noti, ma sono cittadini britannici che nascono in Inghilterra, alcuni svolgono anche delle professioni, assistenti sociali, sono perfettamente integrati, e quindi si pone un problema di cambiamento totale di prospettiva. Siamo di fronte a un terrorismo che può trovare dei protagonisti su forme di autoradicalizzazione sullo stesso web e quindi il riferimento all'informatica, il riferimento alla possibilità di autoaddestrarsi, è senz'altro qualcosa di molto attuale. La difficoltà maggiore, ed è per questo che è auspicabile l'ampliamento, la previsione comunque che anche per quanto riguarda il terrorismo ci sia un diretto collegamento con le strutture centrali, è che la circolazione delle notizie in questo caso aumenta sensibilmente la possibilità di prevenzione perché ci troviamo di fronte a qualcosa di molto diverso. Io credo, e qui concludo perché non credo che ci siano i tempi, che noi per quanto riguarda questi aspetti, prima è stato detto che non siamo all'anno zero, io mi sento di sottoscriverlo. Il R.O.S. in particolare ma anche le

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strutture analoghe della polizia di Stato da molti anni lavorano su questi aspetti, già nel 2009 dopo l'attentato a Milano molto simile che è stato il primo caso di terrorismo autonomo a Milano, Mohamed Game, quel cittadino che ha tentato di farsi esplodere in una caserma di Milano, noi ci siamo confrontati col problema e abbiamo avviato un processo proprio di verifica dei siti jihadisti cercando poi ovviamente di integrare quelle che sono le informazioni che ci provenivano dal monitoraggio del web con un'attività sul territorio e quindi anche avvalendoci ovviamente non solo della collaborazione dei servizi delle agenzie di informazione ma anche proprio delle strutture territoriali per arrivare progressivamente a inquadrare quelli che potevano essere potenziali terroristi perché effettivamente l'aspetto che più preoccupa per questa nuova forma di minaccia è l'assoluto anonimato con il quale una normale persona che non necessariamente è motivata da ragioni religiose, io credo che nella maggior parte dei casi parliamo di problemi di emarginazione, parliamo di problemi anche di disagio a volte anche mentale, ovviamente ci pone di fronte a problemi seri, cioè non c'è qualcosa che ci consenta di avere dei punti di riferimento, non c'è nemmeno il riferimento, ad esempio quando si parla di foreign fighters sì, è vero, sono degli aspetti che sicuramente rilevano, e quindi ad avere la possibilità di monitorare dei soggetti che stanno tornando dai teatri operativi o comunque monitorare il circuito di riferimento di soggetti che stanno andando in teatri di guerra è sicuramente importante ma questo non risolve il problema, lo risolve soltanto in parte perché indipendentemente dalla possibilità di andare ad addestrarsi in Siria o in Iraq con lo Stato Islamico, indipendentemente dalla possibilità di avere dei riferimenti di questo genere c'è comunque una larga percentuale di potenziali terroristi che fanno tutto questo dentro casa loro, di fronte al computer, nell'assoluto anonimato e quindi anche con possibilità preventivi oggettivamente difficili. Grazie.

Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – Grazie, a questo punto passo la parola al generale Ferla, direttore della D.I.A., sempre con riferimento a questi aspetti, a questi profili anche di non facile reperimento di chiavi di lettura e di massime di esperienza rispetto a un fenomeno terroristico che è molto diverso da quelli coi quali in passato la polizia giudiziaria si è misurata. Prego.

Gen. Nunzio Antonio FERLA, Direttore della D.I.A. – Buonasera tutti. Innanzitutto io ringrazio il Presidente Legnini per questa opportunità che viene concessa alla Direzione Investigativa Antimafia di portare anche in un certo senso il bagaglio dell'esperienza maturata nel corso di questi anni perché appare chiaro dopo la lucidissima analisi fatta prima dal Presidente Legnini e poi dal Procuratore Nazionale Antimafia del nuovo testo normativo, e soprattutto dalle

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considerazioni e dalle osservazioni puntuali di integrazione del testo, mi pare largamente accolto anche dal Presidente Minniti, quindi assolutamente condivisibili. Credo che tornare su questi argomenti mi sembra un po' eccessivo perché credo di poter condividere, visto che il modello organizzativo che si è scelto nell'azione di contrasto al terrorismo è un po' lo stesso modello organizzativo che noi abbiamo per il contrasto alla criminalità organizzata qualificata, quindi alla camorra, alla 'ndrangheta e così via, che sono fenomeni in cui il parallelismo con il terrorismo è stato più volte sottolineato dal Comitato di sicurezza finanziaria, per cui noi sappiamo che le organizzazioni terroristiche utilizzano gli stessi sistemi operativi delle organizzazioni criminali, quindi c'è una convergenza di tipo operativo. C'è da dire che così come stiamo dicendo che il nostro è un ordinamento sicuramente avanzato nella lotta alla criminalità, dobbiamo come sempre un po' considerare una serie di elementi se noi prendiamo in considerazione tutto quello che abbiamo detto, cioè il tema del collegamento investigativo, il tema del coordinamento. Il codice antimafia parla anche di tutta una serie di norme che comunque richiedono ancora di essere attuate. Tra l'altro noi parliamo anche di un Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata che oggi non ho sentito menzionare, ho sentito menzionare il C.A.S.A. che è un gioiello sicuramente di coordinamento, ma il 107 del codice antimafia prevede un Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata che è il foro di coordinamento in materia di criminalità organizzata dove siedono allo stesso tavolo organismi di polizia giudiziaria e organismi di intelligence, ed è un Consiglio previsto da una fonte primaria. Allora quando si interviene in questa materia probabilmente bisogna fare un esame a 360 gradi dell'intera questione. Voglio soffermarmi per non dilungarmi sotto due profili, il profilo delle misure di prevenzione è un profilo importantissimo ed è un profilo sul tema dell'antiterrorismo sicuramente rafforzato perché le misure di prevenzione noi sappiamo derivano anche da tutta una serie di normative internazionali, l’ONU, il Consiglio Europeo, che hanno portato alla costituzione di un Comitato di sicurezza finanziaria in Italia che propone il congelamento dei beni dei terroristi, quindi il sistema delle misure di prevenzione deve essere anche coniugato con un sistema che prevede la possibilità di congelare sotto un profilo anche amministrativo i flussi finanziari provenienti dall'attività di finanziamento del terrorismo.

L'altro tema che volevo sottolineare è quello sempre in materia di prevenzione che deriva sostanzialmente dall'esperienza in materia di criminalità organizzata: il sistema delle segnalazioni di operazioni sospette, e credo che sia anche uno di quei temi che sia stato indicato nella discussione di oggi. Il sistema delle segnalazioni di operazioni sospette si basa sostanzialmente, almeno qui nel nostro paese, sul presupposto del fatto reato, quindi noi parliamo di money laundering che è un concetto probabilmente non più attuale, anzi non è attuale in materia di terrorismo, in materia di terrorismo noi parliamo di money dirtying cioè parliamo di ipotesi di somme di denaro che

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provengono normalmente anche da attività lecite che vengono impiegate in attività illecite, quindi bisogna anche ripensare i sistemi di controllo, di warning, di allarme che ci consentono di individuare i flussi finanziari che hanno come destinazione finale il terrorismo. Probabilmente tutte queste considerazioni necessitano di un approfondimento molto più puntuale e credo che la discussione di oggi abbia contribuito sicuramente a chiarire alcuni aspetti, alcuni aspetti che sono stati posti dalla normativa di riferimento e credo di poter conclusivamente affermare che possiamo condividere la necessità, l'opportunità che questo collegamento investigativo venga svolto dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ma con la necessità di approfondire tutti quegli aspetti che finora forse sono rimasti ancora un po' nell'ombra. Grazie.

Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – La ringrazio, e proprio per rimanere sul piano della segnalazione di operazioni sospette che è un profilo nell'azione di contrasto al terrorismo molto importante e significativo, credo che a questo punto tutto ciò si saldi bene con l'intervento del dottor Maresca che è in rappresentanza del Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Chiedo di contenere l'intervento nei limiti dei 6 minuti. Grazie.

Dottor Giuseppe MARESCA, Delegato dal Capo di Gabinetto Ministero dell’Economia e delle Finanze – Grazie per l'invito naturalmente, sarò assolutamente breve. Mi riallaccio subito all'intervento del comandante Ferla che ha aperto la strada ricordando innanzitutto il Comitato di sicurezza finanziario e l'organismo di coordinamento delle politiche di prevenzione e di protezione del sistema finanziario perché questo è un po' in fondo il mandato del Ministero dell'Economia, cioè mettere in atto quelle politiche di prevenzione, proporre quella normativa di prevenzione per proteggere poi il sistema finanziario dall'uso illegale, e ricordo che il Comitato poi è stato creato immediatamente dopo l'attacco alle torri quindi con una funzione tipicamente di andare in qualche maniera a parare il finanziamento del terrorismo nell'ambito poi di un'azione coordinata a livello internazionale. Quindi il Comitato ha da una parte questa politica di coordinamento delle policy di prevenzione, e dall'altra il monitoraggio nell'applicazione delle sanzioni e degli embarghi, quindi tutte le regole internazionali che vengono naturalmente recepite a livello nazionale per bloccare, congelare i beni, i flussi legati a operazioni illecite in particolare al finanziamento del terrorismo.

Due temi direi molto importanti vorrei sottolineare, innanzitutto che al fianco del Comitato - in cui siedono poi tutte le autorità che hanno un compito sia di prevenzione sia di repressione nell'ambito dei finanziamenti illeciti, il Generale Parente fra l'altro è vicino a me anche nel Comitato - ci sono due organismi che hanno una particolare funzione, uno è stato ricordato, è la U.I.F. l'Unità di informazione finanziaria che lavora non soltanto su segnalazione di operazioni sospette ma anche su

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tutta l'analisi dei flussi finanziari, quindi diciamo che fa un'analisi ampia che la porta poi ad avere una strettissima collaborazione da una parte con la magistratura e dall'altra naturalmente con le forze di polizia e anche con l’intelligence, e dall'altro il secondo organismo estremamente importante sono le dogane, l'Agenzia delle dogane. Oggi se noi pensiamo un po' distrattamente alle dogane ci viene in mente un organismo che si occupa della tassazione alla frontiera, direi che non è niente di più lontano dall'attuale funzione dell'Agenzia delle dogane che si occupa soprattutto di transiti illeciti di materiale di tutti i generi, compreso naturalmente tutto quello legato al terrorismo e al finanziamento del terrorismo. Perché metto insieme questi due organismi e il Comitato? Perché è importante saldare l'analisi dei flussi con l'analisi dei passaggi delle merci perché soltanto dal combinato disposto delle due analisi si ha una rappresentazione effettiva dei fenomeni e delle attività. Cosa si può fare? Naturalmente ampliare ulteriormente la collaborazione di questi organismi con le forze di polizia, le forze di repressione, con i servizi, perché la collaborazione che c'è nei fatti poi ha bisogno di essere sostenuta e ampliata, cioè dobbiamo in qualche maniera rafforzare, fare sistema in qualche maniera come si dice e, secondo punto, bisogna probabilmente esplorare la possibilità di ampliare il campo di azione della attività amministrativa di prevenzione.

Faccio un esempio, quante volte per esempio l'Agenzia delle dogane si trova nell'impossibilità di poter bloccare, trattenere dei carichi o dei flussi anche di denaro, stiamo parlando per esempio di trasferimenti valutari, perché non hanno un sostanziale potere per farlo? Se si devono rivolgere alla magistratura scappano i tempi per un intervento spesso importante, quindi bisognerebbe ragionare sul rafforzare questo potere da una parte dell'Agenzia delle dogane e dall'altra parte anche dell’U.I.F. di bloccare in qualche maniera merci o flussi finanziari per un periodo limitato ma dando il tempo naturalmente poi di fare intervenire la magistratura se è necessario. Credo che ci sia spazio per questo. Naturalmente va attentamente studiato nell'ambito del sistema italiano.

Vorrei chiudere semplicemente dicendo che come Ministero dell'Economia insieme con gli Esteri naturalmente stiamo lavorando anche a livello internazionale sulla analisi dei flussi finanziari per l’I.S.I.L., cioè su cosa si basa l’I.S.I.L., come viene finanziato e soprattutto quali mezzi possiamo mettere in campo per in qualche maniera limitare queste fonti di finanziamento dell’I.S.I.L. Credo che questo sia un esercizio estremamente importante, è fatto a livello di chiamiamola coalizione - e quindi i paesi occidentali, Stati Uniti in testa ma anche importanti attori arabi, naturalmente la parte araba moderata - e la parte finanziaria poi è coordinata naturalmente con la parte più politica, la parte militare eccetera, cioè si sta mettendo in piedi sostanzialmente un'azione internazionale su larga scala per fronteggiare il fenomeno. Grazie.

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Consigliere MOROSINI, Presidente Sesta Commissione – Grazie a lei. A questo punto io darei la parola al professore Spangher che è qua nella doppia veste ovviamente di esperto di questioni di procedura penale ma anche rappresentante della Scuola della Magistratura. Grazie professore.

Prof. Giorgio SPANGHER, Preside della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza” – Porgo il saluto che non ha potuto portare il consigliere Fumu che era delegato per questa finalità. Per quanto riguarda la Scuola voglio sottolineare che abbiamo fatto un corso, abbiamo una convenzione con i servizi, facciamo dei corsi e alla Scuola in relazione a queste tematiche naturalmente approfondiamo anche i temi della criminalità organizzata, abbiamo già un corso programmato sempre in materia di sicurezza e di servizi che sarà implementato alla luce del dibattito che abbiamo fatto oggi. Come professore di procedura penale io posso dire soltanto questo, credo di avere attraversato la storia del processo attraverso le vicende italiane. Il 226 che abbiamo oggi delle intercettazioni telefoniche preventive nasce non oggi ma nasce ai tempi del terrorismo.

Molte delle normative che abbiamo oggi sono effetto della legislazione dell'emergenza, credo di avere nella libreria i 23 volumi della collana di Conso ai tempi del terrorismo, oggi il 350, comma 4, è figlio del 225 bis. Ma vorrei andare avanti. La situazione della sicurezza relativa alla criminalità organizzata è sempre stata contrassegnata dalle varie stragi, dai vari salti di qualità. È sempre antipatico citarsi, licenziando qualche tempo fa un lavoro che facevo dicevo che il problema del terrorismo manca di un anello e quest'anello sarà saldato dal prossimo attentato, dalla prossima elevazione delle soglie di insicurezza. Purtroppo è così, e allora il discorso che vorrei che facessimo è di non arrivare sempre un po' in ritardo, anche se non siamo all'anno zero. Cosa voglio dire con questo? Ricordo che in questo Consiglio Superiore, quando c'ero, Spataro e i suoi 26 Procuratori distrettuali si riunivano al plenum per coordinarsi spontaneamente e chiedevano la Procura Nazionale antiterrorismo. Ricordo che frequentavo il Ministero della Giustizia quando Vigna chiedeva la Procura antiterrorismo e antimafia, di unificare dentro di sé determinati poteri, e non fu concesso. Vorrei che avessimo la capacità perché il fenomeno è oggi particolarmente allarmante, di guardare avanti, di non fermarsi. E allora qual è la riflessione che faccio? Dal punto di vista processuale certo il 371 allargato, certo il 102, direi anche il 275, comma 3, cioè oltre al 270 bis bisognerebbe inserire fra le ipotesi di pericolosità, mi spiace dirlo perché sono una persona credo che si è battuta per un fatto di garantismo per tanti anni, però se le soglie del pericolo sono particolarmente accentuate bisogna prenderne atto ma prenderne atto prima, non prenderne atto dopo. Questa è la riflessione che mi permetto di fare, pur nella netta distinzione fra intelligence e

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