Marco Scardigli
Sibil
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da Mondadori Libri S.p.A.
Proprietà letteraria riservata
© 2021 Mondadori Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-14814-6 Prima edizione: marzo 2021
Per la traduzione della poesia di Prévert citata alle pagine 354-355, l’Editore si dichiara a disposizione degli eventuali aventi diritto,
che non è stato possibile rintracciare.
Pubblicato per
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Sibil
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PARTE PRIMA
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9 Tutto inizia con un risveglio.
Mi ero addormentata in una stanza con le pareti gialle e una crepa sul soffitto.
Mi sono svegliata in questa che gli altri chiamano “casa pro- tetta”.
Tiro fuori un braccio da sotto il piumone: fa caldo.
Li sento quando dicono che sono un’iguana e ho bisogno di stare al caldo. Credono che non senta o che non li capisca.
Invece sento tutto.
Non sono un’iguana. So come è fatta un’iguana e io sono diversa: impossibile confondersi.
Però è vero, ho bisogno di caldo. Più caldo c’è, più sto bene.
Il rumore è a un livello accettabile.
Li sento quando dicono che non sopporto i rumori.
È vero, sono come esplosioni bianche e gialle che paraliz- zano il cervello. Non capisco perché comunichino attraverso esplosioni di rumore.
Quando parlano con me lo fanno sottovoce.
«Bisogna bisbigliare» dicevano prima di entrare nella vec- chia stanza.
Ancora rumori.
«Deve vivere nel silenzio, è fatta così» avevano aggiunto.
Non è vero che c’è silenzio.
Una caldaia ronfa da qualche parte in basso. Oltre la pa-
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rete, ronzano computer. Passi. Qualcosa cigola. Automobili lontane, il cinguettio di un uccello. Lo sferragliare di un treno in lontananza. Ancora passi vicini, suoneria di un telefono in strada.
Mi alzo e la stanza si mette a girare. Sento dolore alle ginoc- chia, alle anche e alle caviglie. Odio l’involucro sotto la testa: è inadeguato, lento. Dà sempre problemi.
Quando sono in piedi ho la sensazione che tutto si confonda.
Come fanno loro a muoversi e nello stesso tempo a parlare, respirare?
Per me muovere un passo significa concentrare tutta l’at- tenzione sulle gambe, sulla schiena, sull’equilibrio. Non riesco a pensare ad altro.
Arrivo alla poltrona che hanno disegnato per me. Con un rantolo mi lascio cadere: è concava per stare più comoda e ha un cuscino morbidissimo. Stendo le gambe, ma le ginocchia restano alzate, come se fossi su una sedia orizzontale.
Appena seduta, si accendono tre monitor: se allungo la mano posso toccarli. Non li ho mai toccati: perché toccarli?
Loro sono convinti che mi siano utili e hanno discusso su quanti ne servissero.
Alla fine, hanno optato per installarne tre. Numero perfet- to, hanno detto.
A me non servono schermi touch, ma mi piacciono le luci colorate che si muovono. Mi fanno stare bene.
Chiudo gli occhi e lascio che la mente-fuori cominci a cor- rere.
Nella casa, hanno detto che non avrò limitazioni.
Hanno detto: «Non la controlleremo e non staccheremo le connessioni».
Quando staccano le connessioni provo un dolore lancinan- te: un’enorme luce blu che sembra strappare pezzi di cervello.
Non lo faranno più. Hanno promesso.
Sarò libera.
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Qualcuno era spaventato dal fatto che potessi essere libera.
La Mamma invece era sicura che fossi pronta, che ci si po- teva fidare.
Di fianco alla poltrona c’è una tazza con dei pennarelli colo- rati. Ne scelgo uno nero, poi lo cambio e ne prendo uno rosso.
Scrivo sul ginocchio: LIBERA. Libera.
Cosa vuol dire “libera”?
* * *
Venerdì sera. La caserma della Guardia di Finanza è vuota e il buio filtra dalle finestre degli uffici che affacciano sul corso principale.
Il colonnello Aldo Pairetto è seduto alla scrivania. La lam- pada da tavolo illumina le mani sul ripiano di legno: ferme, a distanza simmetrica, ai lati di un telefonino. Il resto della figu- ra si perde nell’ombra.
Che grana, pensa.
Si alza, va alla porta, guarda il corridoio deserto; gli è sem- pre piaciuto essere solo nell’edificio.
«Ma chi si credono di essere?» dice.
E poi, rivolto al vuoto che lo circonda: «Puttana Eva!».
Quando ci vuole, ci vuole.
Un’invasione di campo, ecco cos’è. Una grana di dimensio- ni cosmiche e tempo fino a lunedì per preparare tutto.
Domenica, tarda sera. Il colonnello ha passato il weekend in caserma a organizzare ogni cosa, man mano che arrivavano le attrezzature della squadra speciale. Adesso che è tutto finito, aggiunge un «Puttana Eva» scaramantico e va a cena dalla sua signora. La moglie, santa donna, ha tenuto da parte il risot- to del mezzogiorno: lo farà al salto, con la crosticina dorata e croccante come piace a lui.
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