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VALENTINO NOTARI. La storia di Sweet Pea

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Academic year: 2022

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VALENTINO NOTARI

La storia

di Sweet Pea

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VALENTINO NOTARI

COSPLAY GIRL ORIGINS

La storia di Sweet Pea

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#BraveNewWorld

«Teen Titans? Ehi, scusate!»

Una ragazza con i codini ci viene incontro trafelata.

«Posso farmi un selfie con voi?»

Incrocio lo sguardo di Miguel, che ci attende pazientemente di fianco a una berlina scura parcheggiata all’ombra degli alberi e già carica dei nostri bagagli. Gli faccio cenno di aspettare un attimo e lui si stringe nelle spalle con un sorriso accondiscendente.

Senza indugiare oltre mi metto in posa insieme agli altri, appiattendomi per entrare nell’inquadratura. La ragazza fa un paio di scatti in rapida successione, dopodiché si allontana saltellando allegramente.

«Are you going, already?»

Felicia e Buster ci corrono incontro e ci stringono a uno a uno in un intrico di lycra, ecopelle e foam. Il sole picchia forte sull’asfalto e l’occasionale frescura proveniente dalla fontana lì di fianco non è sufficiente a impedirmi di sudare, ma loro non sembrano curarsene.

«È stato meraviglioso conoscervi» mormora lei in inglese, sciogliendo l’abbraccio per guardarmi negli occhi.

Sorrido, riparandomi il viso con la mano. «Anche per me!»

«Seguiamoci su Instagram, mi raccomando!»

«Felicia?»

Mi fa un megasorriso. «Dimmi, tesoro.»

«Dicevi sul serio, ieri?»

«A proposito di cosa?»

Arrossisco leggermente. «Quando hai detto che ho un talento naturale.»

«Certo che sì! Anzi, prima o poi dovremmo fare cosplay insieme!»

Le salto al collo, avvinghiandomi a lei per un paio di secondi, cosa che le strappa una risatina allegra. «Grazie.»

Mi fa l’occhiolino. «Ci conto, eh?»

Attraversiamo il piazzale della fiera affollato di cosplayer e visitatori. Davanti allo stand della Tana dell’Elfo c’è una discreta coda, ma con la testa che ancora mi pulsa da ieri notte l’idea di un altro cicchetto di Latte di Unicorno mi dà la nausea.

Superiamo l’attrezzatura di un fotografo impegnato a mettere in posa l’intero cast di Free sul bordo della fontana e ripenso alle sensazioni meravigliose provate ieri: trovarsi sotto l’occhio della fotocamera, la pelle baciata dal bagliore dorato del tramonto, la

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parrucca agitata dalla brezza e la ruota panoramica che proietta la sua ombra sul mare infuocato alle mie spalle.

Sento le dita di Jess intrecciarsi alle mie. «A che pensi?»

La guardo sorridere, accoccolata contro la mia spalla. «Che non voglio che questo weekend finisca.»

«Non dobbiamo andarcene per forza, in fondo abbiamo ancora i biglietti del treno.»

Scuoto il capo, ridacchiando. «Non voglio rischiare di causare altri problemi a Miguel.»

Superiamo la schiera di tavoli dello stand degli arrosticini.

Mi accorgo troppo tardi che attorno a quello più in fondo siede l’intero gruppo di One Piece. Quando passiamo loro davanti, Jess si irrigidisce ma non mi lascia la mano.

Anzi, addirittura ricambia il loro saluto.

Mi chino a baciarla sulle labbra. «Sono fiera di te.»

Davanti a noi, Barto si volta roteando gli occhi, la bocca distorta in una smorfia. «Di questo passo mi verrà il diabete.»

Lo osservo cercare la complicità di Lollo, che però sembra troppo assorto per unirsi alla giostra e rincarare la dose. Un crimine che, nel loro strambo codice etico maschile, è punibile con una gomitata tra le costole.

«Ahi! Ma che c’è?»

«Che c’è lo dico io, sei tutto perso nel tuo mondo!»

«Scusa, stavo pensando a una cosa» mugugna lui. «Mi aspettate qui un attimo?»

E parte di corsa, diretto verso l’area degli stand. Barto lo fissa incredulo. «Ma che gli prende?»

Jess fa spallucce e insieme ci dirigiamo mano nella mano verso la macchina. Lui ci rifila un’occhiataccia. «Vedete di non tubare tutto il viaggio, voi due.»

Miguel ci accoglie con un paio di bottiglie d’acqua ghiacciata. «Pronti?»

Barto monta in auto imbronciato e Jess lo segue ridacchiando. Io rimango un attimo ancora all’esterno, alzando il viso verso le fronde verdeggianti. Miguel mi passa il suo enorme braccio attorno alle spalle.

«Cosplay, eh?» mi fa, gli occhi celati dietro le lenti dei Ray- Ban.

Sbuffo, gonfiando le guance. «È divertente!»

«Oh, lo so. Un paio delle ragazze nel mio team lo fanno da anni.»

«D-davvero?»

«Sì, sono parecchio famose nell’ambiente.»

Penso a Felicia, a quando ho visto una sua foto per la prima volta. Sembra passata un’eternità, invece era solo ieri. Eppure mi

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69 sento diversa, come se le esperienze di questi due giorni avessero tracciato una linea di demarcazione netta.

Guardo Miguel, i lineamenti marmorei rilassati nella calura di mezzogiorno. Come la settimana scorsa in Piazza Duomo, quando mi ha proposto di lavorare con lui come modella.

“Se ti rappresentassi io potresti guadagnare molto bene.”

Ho trascorso tutta la notte ad arrovellarmi su quella possibilità, dopo il furioso litigio telefonico con i miei. Papà mi ha promesso che parleremo dell’università, che finalmente lui e la mamma mi ascolteranno, ma so già che non sarà sufficiente.

Anche se dovessero lasciarmi più libertà di scelta, il che è tutto da vedere, non significa che potrei essere davvero autonoma.

Alla prima difficoltà, finirebbero per rinfacciarmi tutti i sacrifici che hanno fatto per me.

«Senti» dico a Miguel, «volevo chiederti...»

«Eccomi!»

Lollo arriva trafelato, ma con un gran sorriso stampato in faccia. Prima che possa domandargli spiegazioni, mi sventola davanti al muso un dépliant della scuola di fumetti.

«Ho chiesto informazioni sui corsi» spiega, felice. «Pare che abbiano sedi in diverse città e... scusate se vi ho fatto aspettare!»

Scuoto la testa, sorridendo. «Dai, monta.»

Faccio per seguirlo, ma Miguel mi trattiene per il braccio.

«Cosa volevi dirmi?»

Mi immobilizzo.

Perché esito? Se c’è una cosa che questa fuga a Rimini mi ha insegnato è quanto ami la mia indipendenza. Se facessi la modella potrei pagarmi da sola la retta di ingegneria e tutte le spese, senza dover rendere conto a nessuno. Tuttavia...

«Niente di importante» svicolo, il gomito appoggiato alla portiera. «Mi chiedevo se esistesse davvero il RiminiWellness.»

Miguel piega le labbra in un ghigno. «Certo che esiste! E si tiene anche questo weekend, se è per questo, solo che nessuna delle mie ragazze ci va.»

«Sei veramente...»

«... un figo?»

Gli tiro un pugno sul bicipite. «Grazie per aver cercato di coprirmi.»

«Quante volte devo ripetertelo?»

«Sei sempre dalla mia parte» dico, salendo in macchina.

«Lo so.»

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Cinque anni dopo

Mi aggiusto la tracolla del bastone sulla schiena e scosto un ciuffo della parrucca dagli occhi, poi spingo in avanti la levetta del telecomando. Il familiare ronzio dei servomotori risuona nella fresca arietta autunnale, mentre il droide mi supera rotolando sull’asfalto davanti a Porta San Pietro. Mi fermo ad ammirare le mura che incombono su di me, il naso solleticato dal profumo di crêpe alla nutella proveniente da un camioncino parcheggiato poco più avanti.

Il telefono vibra nella borsa che porto alla cintura. Roteo gli occhi mentre scorro il dito sulla cornetta verde.

«Hai idea di che ore sono?» esordisce Miguel, agitato.

Faccio una smorfia che lui non può vedere. «Mi sono solo fermata a prendere una cupcake.»

Lo sento sospirare. «Tu e le tue cupcake! Avresti dovuto essere qui venti minuti fa.»

Merda. Tenendo il cellulare tra la spalla e l’orecchio, impugno il telecomando e mi destreggio per guidare il robottino nel mezzo della fiumana di gente che si riversa attraverso la porta. «Sto arrivando.»

«Sbrigati. Comunque, la parata di Star Wars è spostata alle sedici. Hai cambiato le batterie di BB-8?»

«Stamattina.»

«Ah, e domani sarai in giuria alla gara cosplay.»

«Cosa? Un secondo.... oh cazzo, mi scusi!»

Ho urtato contro un signore anziano vestito da Gandalf.

Quello si volta verso di me, la pipa stretta tra pollice e indice, scuotendo la testa con un sorriso indulgente. «Non preoccuparti.»

Miguel nel frattempo è andato avanti con il suo flusso di coscienza. «... invece il set fotografico in piscina è fissato per le sei. Mi raccomando, non fare tardi.»

«Senti, non posso darti retta adesso» lo interrompo. «Ne parliamo appena arrivo, ok?»

Chiudo la comunicazione e cerco Gandalf tra la folla, ma lo stregone si è già dileguato. Richiamo BB-8 con un rapido comando e poso la mano sulla sua cupola bianca e arancione.

Il vento trasporta un aroma di foglie bagnate e brace.

Rigiro tra le dita il cartellino plastificato che mi pende dal collo, con il logo della fiera e il nome SWEET PEA stampato a lettere cubitali sotto la dicitura: SPECIAL GUEST.

La mia prima Lucca come ospite.

Sorridendo, apro la fotocamera e mi scatto un rapido selfie, dopodiché mi incammino oltre la porta, inoltrandomi nel caos variopinto della città.

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71 Non c’è niente da fare, ogni volta è come tornare a casa: i bambini che mi fermano per farsi una foto, le vetrine dei negozi traboccanti di gadget, perfino lo scalpiccio dei miei stivali sulla ghiaia di Piazza Napoleone porta con sé una sensazione di dolce familiarità.

Ma c’è anche un vuoto.

Una morsa malinconica che mi comprime il petto ogni volta che passo davanti a un luogo legato ai miei amici o che mi sembra di intravedere la sagoma di uno di loro tra la folla. Anche gli odori non aiutano. Quello delle pizzette del bar all’angolo di via Vittorio Veneto o il profumo della lacca preferita di Jess, che emana dalla parrucca di qualche cosplayer.

Distolgo gli occhi quando supero l’arcata di ingresso a Piazza Anfiteatro, ma non posso impedire alla mia mente di scavare nei ricordi. Rivedo i loro volti, deformati dalla luce obliqua dei lampioni. Jess che mi fronteggia, mentre Barto passeggia su e giù nervosamente e Lollo se ne sta appoggiato alla parete, mordicchiandosi le pellicine.

«Io non ti riconosco più, Fede!»

«Se è per il gruppo di X-Men, io...»

«Non è per il gruppo! È che ormai ti importa più di fare la zoccola che di stare con noi.»

Affretto il passo, infilandomi in una viuzza laterale per sfuggire al fiume di passanti. Le parole di Jess mi riecheggiano ancora nelle orecchie.

“Ti importa più di fare la zoccola che di stare con noi.”

I palazzi sembrano chiudersi sopra di me, come in una scena del Dottor Strange.

Zoccola.

Premo inavvertitamente un tasto del telecomando di BB-8, che emette una serie di lunghi fischi. Mi aggrappo a un lampione, sperando che il mondo smetta di vorticare.

Zoccola.

Devo riprendere il controllo, cazzo. Miguel mi sta aspettando.

Resto ferma per qualche secondo, gli occhi socchiusi, le lenti a contatto che mi graffiano fastidiosamente le palpebre.

Quando li riapro il droide è lì accanto a me, la testa a cupola leggermente inclinata, come se mi stesse guardando.

Mi chino a raddrizzargli l’antennina, poi gli faccio fare un paio di pigolii e mi ritrovo a ridacchiare. Non ringrazierò mai abbastanza il professor Franchini per avermelo lasciato costruire come progetto per il terzo anno. Questo piccoletto è la mia dose quotidiana di serotonina.

Quando arrivo al portone di Palazzo Pfanner, il mio umore è decisamente migliorato. Il giardino è già affollato di fotografi e

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cosplayer, le siepi agitate dal fresco venticello autunnale. Un Miguel quantomai nervoso mi aspetta subito fuori dalla villa, le braccia conserte e quella sua aria seriosa da agente segreto.

«Hai il trucco tutto sfatto» esordisce.

«Buongiorno anche a te.»

Scuote il capo con un sorriso rassegnato. «Vai a sistemarti, che cominciamo.»

Gli lascio il telecomando di BB-8 e mi affretto tra le aiuole ancora scintillanti di rugiada. Un paio di ragazze con lunghi vestitoni medievali si danno di gomito al mio passaggio e una mi indica platealmente, sussurrando qualcosa all’amica.

Forse anche loro mi stanno dando della zoccola, ma non mi interessa. Che parlino pure, che vengano anche a dirmelo in faccia. Che lo scrivano sui social. Dopo essermelo sentito dire dall’unica persona di cui mi sia mai innamorata, posso sopportare le malelingue di un paio di stronzette pettegole a caso.

Riconosco i fotografi con cui devo scattare, intenti ad allestire l’attrezzatura a fianco della scalinata, e li saluto con la mano. Poi risalgo i gradoni a testa alta, il bastone ben saldo a tracolla, l’elsa della spada laser che mi pende dalla cintura e il sole pallido di fine ottobre ad accarezzarmi la pelle. Mi volto a guardare il profilo delle mura oltre il cancello, le chiome degli alberi tinte dalle calde sfumature dell’autunno.

Sono a casa.

La storia prosegue in Cosplay Girl!

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