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Introduzione alle wavelets ed alla MRA

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(1)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

sistemi o.n. e completi

trasformata di Fourier

wavelets: una . . .

trasformata . . .

trasformata . . .

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Introduzione alle wavelets ed alla MRA

Fabio Bagarello

Palermo – Marzo 2007

(2)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

sistemi o.n. e completi

trasformata di Fourier

wavelets: una . . .

trasformata . . .

trasformata . . .

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I. Di cosa parleremo....

1. qualche richiamo sugli spazi di Hilbert...

(3)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

sistemi o.n. e completi

trasformata di Fourier

wavelets: una . . .

trasformata . . .

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I. Di cosa parleremo....

1. qualche richiamo sugli spazi di Hilbert...

2. ...e su alcune basi o.n. di L2(R)

(4)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

sistemi o.n. e completi

trasformata di Fourier

wavelets: una . . .

trasformata . . .

trasformata . . .

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I. Di cosa parleremo....

1. qualche richiamo sugli spazi di Hilbert...

2. ...e su alcune basi o.n. di L2(R)

3. cosa fa e cosa non fa la trasformata di Fourier

(5)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

sistemi o.n. e completi

trasformata di Fourier

wavelets: una . . .

trasformata . . .

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I. Di cosa parleremo....

1. qualche richiamo sugli spazi di Hilbert...

2. ...e su alcune basi o.n. di L2(R)

3. cosa fa e cosa non fa la trasformata di Fourier 4. trasformata di Fourier con finestra e trasformata

wavelet

(6)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

sistemi o.n. e completi

trasformata di Fourier

wavelets: una . . .

trasformata . . .

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I. Di cosa parleremo....

1. qualche richiamo sugli spazi di Hilbert...

2. ...e su alcune basi o.n. di L2(R)

3. cosa fa e cosa non fa la trasformata di Fourier 4. trasformata di Fourier con finestra e trasformata

wavelet

5. trasformata wavelet discreta

(7)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

sistemi o.n. e completi

trasformata di Fourier

wavelets: una . . .

trasformata . . .

trasformata . . .

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I. Di cosa parleremo....

1. qualche richiamo sugli spazi di Hilbert...

2. ...e su alcune basi o.n. di L2(R)

3. cosa fa e cosa non fa la trasformata di Fourier 4. trasformata di Fourier con finestra e trasformata

wavelet

5. trasformata wavelet discreta 6. Analisi di multi-risoluzione

(8)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

sistemi o.n. e completi

trasformata di Fourier

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trasformata . . .

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II. Richiami sugli spazi di Hilbert

Prime definizioni:

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II. Richiami sugli spazi di Hilbert

Prime definizioni:

Uno spazio vettoriale lineare (SVL) su C è un insieme V di vettori sul quale sono definite la somma tra due elementi di V e la moltiplicazione di un elemento di V per uno scalare di C.

La somma + gode delle seguenti proprietà:

1. commutativa: v1 + v2 = v2+ v1, ∀ v1, v2 ∈ V;

2. associativa: v1+(v2+v3) = (v1+v2)+v3,∀ v1, v2, v3 ∈ V;

3. esistenza dell’elemento neutro rispetto alla somma:

∃ 0 ∈ V, v + 0 = v , ∀ v ∈ V;

4. esistenza dell’opposto: ∀ v ∈ V ∃ (−v ) ∈ V per cui v + (−v ) = 0.

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Il prodotto di un vettore per uno scalare gode invece delle seguenti proprietà:

1. prima proprietà distribuitiva: ∀ α ∈ C e ∀ v1, v2 ∈ V risulta α(v1 + v2) = αv1+ αv2;

2. seconda proprietà distribuitiva: ∀ α, β ∈ C e

∀ v ∈ V, (α + β)v = αv + βv ;

3. associativa: ∀ α, β ∈ C e ∀ v ∈ V, (αβ)v = α(βv );

4. esistenza dell’elemento neutro: ∃ 1 ∈ C : ∀ v ∈ V risulta 1 v = v .

(11)

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Prodotto scalare:

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Prodotto scalare:

Sia H uno SVL dotato di una mappa <, >: H × H → C che soddisfa le seguenti proprietà:

1. < v , w >= < w , v >, ∀v , w ∈ H;

2. < v , αw + βz >= α < v , w > +β < v , z >

, ∀v , w , z ∈ H, ∀α, β ∈ C;

3. < v , v >≥ 0, ∀v ∈ H e risulta < v , v >=

0 ⇐⇒ v = 0.

<, > è detto prodotto scalare in H.

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Prodotto scalare:

Sia H uno SVL dotato di una mappa <, >: H × H → C che soddisfa le seguenti proprietà:

1. < v , w >= < w , v >, ∀v , w ∈ H;

2. < v , αw + βz >= α < v , w > +β < v , z >

, ∀v , w , z ∈ H, ∀α, β ∈ C;

3. < v , v >≥ 0, ∀v ∈ H e risulta < v , v >=

0 ⇐⇒ v = 0.

<, > è detto prodotto scalare in H.

Esso consente poi di definire una mappa da H in R+∪ {0} che è una norma tramite la

kv k := √

< v , v >.

La norma soddisfa le seguenti proprietà:

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1. disuguaglianza triangolare: kv + w k ≤ kv k + kw k, ∀v , w ∈ V;

2. kαv k = |α|kv k, ∀α ∈ C e ∀v ∈ V;

3. kv k = 0 se e solo se v = 0.

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1. disuguaglianza triangolare: kv + w k ≤ kv k + kw k, ∀v , w ∈ V;

2. kαv k = |α|kv k, ∀α ∈ C e ∀v ∈ V;

3. kv k = 0 se e solo se v = 0.

Esempi

Un primo esempio è kf k1 := R

D |f (x )| d x D essendo un insieme L-misurabile.

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1. disuguaglianza triangolare: kv + w k ≤ kv k + kw k, ∀v , w ∈ V;

2. kαv k = |α|kv k, ∀α ∈ C e ∀v ∈ V;

3. kv k = 0 se e solo se v = 0.

Esempi

Un primo esempio è kf k1 := R

D |f (x )| d x D essendo un insieme L-misurabile.

Un altro esempio è kf k2 := qR

D |f (x )|2d x che è una norma in L2(D) e proviene dal prodotto scalare

< f , g >=

Z

D

f (x ) g(x ) d x .

Le norme sopra introdotte si riferiscono ai seguenti insiemi di funzioni:

L1(D) = (

f (x ) L-mis : kf k1 :=

Z

D,[L]

|f (x )| d x < ∞ )

,

i cui elementi sono spesso detti funzioni integrabili, ed

L2(D) = (

f (x ) L-mis : kf k2:=

sZ

D,[L]

|f (x )|2d x < )

,

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i cui elementi sono le cosiddettefunzioni a quadrato integrabili.

(18)

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i cui elementi sono le cosiddettefunzioni a quadrato integrabili.

H è detto uno spazio di Hilbert se risulta completo rispetto a tale norma. Nell’esempio precedente L2(D) è uno spazio di Hilbert mentre L1(D) èsolamente uno spazio di Banach (non vale l’uguaglianza del parallel- ogramma).

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III. sistemi o.n. e completi

Un insieme

F = {ϕn(x ) ∈ L2(R), n ∈ N, t.c. < ϕi, ϕj >= δi j} è un insieme di vettori di uno spazio di Hilbert L2(R) mutualmente ortonormali. I vettori di F , quindi, sono l.i.. Potrebbero non essere, tuttavia, un s.g.

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III. sistemi o.n. e completi

Un insieme

F = {ϕn(x ) ∈ L2(R), n ∈ N, t.c. < ϕi, ϕj >= δi j} è un insieme di vettori di uno spazio di Hilbert L2(R) mutualmente ortonormali. I vettori di F , quindi, sono l.i.. Potrebbero non essere, tuttavia, un s.g.

Completezza: in generale, dato uno spazio di Hilbert H ed un insieme di vettori F o.n., esso è detto com- pleto in H se l’unico vettore di H ortogonale a tutti i vettori di F è il vettore nullo. In formule, F è com- pleto se

< ϕi, f >= 0, ∀i ∈ N, ⇐⇒ f = 0. (1)

(21)

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III. sistemi o.n. e completi

Un insieme

F = {ϕn(x ) ∈ L2(R), n ∈ N, t.c. < ϕi, ϕj >= δi j} è un insieme di vettori di uno spazio di Hilbert L2(R) mutualmente ortonormali. I vettori di F , quindi, sono l.i.. Potrebbero non essere, tuttavia, un s.g.

Completezza: in generale, dato uno spazio di Hilbert H ed un insieme di vettori F o.n., esso è detto com- pleto in H se l’unico vettore di H ortogonale a tutti i vettori di F è il vettore nullo. In formule, F è com- pleto se

< ϕi, f >= 0, ∀i ∈ N, ⇐⇒ f = 0. (1) La completezza estende, per spazi a dimensione in- finita, il concetto di base. Vale infatti il seguente risultato:

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Sia dato uno spazio di Hilbert H ed F come sopra.

F è completo in H se e solo se vale ciascuna delle seguenti proprietà, tutte equivalenti:

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Sia dato uno spazio di Hilbert H ed F come sopra.

F è completo in H se e solo se vale ciascuna delle seguenti proprietà, tutte equivalenti:

1. ∀f ∈ H risulta f =

X i =1

< ϕi, f > ϕi;

(24)

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Sia dato uno spazio di Hilbert H ed F come sopra.

F è completo in H se e solo se vale ciascuna delle seguenti proprietà, tutte equivalenti:

1. ∀f ∈ H risulta f =

X i =1

< ϕi, f > ϕi;

2. ∀f , g ∈ H risulta

< f , g >=

X i =1

< f , ϕi >< ϕi, g >;

(25)

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trasformata di Fourier

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Sia dato uno spazio di Hilbert H ed F come sopra.

F è completo in H se e solo se vale ciascuna delle seguenti proprietà, tutte equivalenti:

1. ∀f ∈ H risulta f =

X i =1

< ϕi, f > ϕi;

2. ∀f , g ∈ H risulta

< f , g >=

X i =1

< f , ϕi >< ϕi, g >;

3. ∀f ∈ H risulta kf k2 =

X i =1

| < ϕi, f > |2.

Quest’ultima è nota come uguaglianza di Parceval.

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La seconda uguaglianza può essere scritta formal- mente nel modo seguente:

∀f , g ∈ H < f , g >=< f ,

X i =1

i >< ϕi|

!

, g >, che suggerisce l’identificazione seguente:

X i =1

i >< ϕi| = 11,

in cui 11 è l’operatore identità, ovvero l’operatore (i.e.

la mappa lineare da H in H) che, agendo sul vettore arbitrario h ∈ H, restituisce h stesso.

(27)

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La seconda uguaglianza può essere scritta formal- mente nel modo seguente:

∀f , g ∈ H < f , g >=< f ,

X i =1

i >< ϕi|

!

, g >, che suggerisce l’identificazione seguente:

X i =1

i >< ϕi| = 11,

in cui 11 è l’operatore identità, ovvero l’operatore (i.e.

la mappa lineare da H in H) che, agendo sul vettore arbitrario h ∈ H, restituisce h stesso.

Una simile formula è detta unarisoluzione dell’identità:

ogni sistema di generatori ne produce necessariamente una e viceversa.

(28)

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Esempi di insiemi completi Sia H = L2(−π, π) ed

F =



ϕk(x ) = ei k x

√2π, k ∈ Z



Questo insieme riveste un’importanza notevole nello studio delle serie e delle trasformate di Fourier, ed è o.n. e completo in H.

(29)

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Esempi di insiemi completi Sia H = L2(−π, π) ed

F =



ϕk(x ) = ei k x

√2π, k ∈ Z



Questo insieme riveste un’importanza notevole nello studio delle serie e delle trasformate di Fourier, ed è o.n. e completo in H.

Sia nuovamente H = L2(−π, π) ed

F =



ϕ0(x ) = 1

, ϕ2n−1(x ) = sin(nx )

π , ϕ2n(x ) = cos(nx )

π , n∈ N

 .

Anche questo insieme è o.n. e completo in H.

(30)

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Sia D = [−1, 1]. La procedura di Gram-Schmidt pro- duce, in questo caso, i polinomi di Legendre Pn(x ), n ∈ N0, definiti dalla

Pn(x ) = 1 n! 2n

r

n + 1 2

dn

d xn(x2− 1)n. (2) Le funzioni Pn(x ) sono ovviamente dei polinomi, sono o.n. e completi in L2(−1, 1).

(31)

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Sia D = [−1, 1]. La procedura di Gram-Schmidt pro- duce, in questo caso, i polinomi di Legendre Pn(x ), n ∈ N0, definiti dalla

Pn(x ) = 1 n! 2n

r

n + 1 2

dn

d xn(x2− 1)n. (2) Le funzioni Pn(x ) sono ovviamente dei polinomi, sono o.n. e completi in L2(−1, 1).

Sia infine H = L2(R). In questo caso è evidente che occorre estendere leggermente quanto fatto in precedenza. È necessario infatti considerare spazi L2 con misura e−x2d x, L2(R, e−x2d x ) e la procedura di Gram-Schmidt produce i polinomi di Hermite Hn(x ), n ∈ N0, definiti dalla

Hn(x ) = (−1)n pn! 2n

π

ex2 dn

d xne−x2, (3) che sono un sistema o.n. e completo in L2(R, e−x2d x ).

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Domanda: è necessario che F sia completo (nel senso introdotto in precedenza) perché risulti un s.g.?

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Domanda: è necessario che F sia completo (nel senso introdotto in precedenza) perché risulti un s.g.?

Risposta: no! è sufficiente che F sia un (A, B)-frame!

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Domanda: è necessario che F sia completo (nel senso introdotto in precedenza) perché risulti un s.g.?

Risposta: no! è sufficiente che F sia un (A, B)-frame!

Definizione: una famiglia F = {ϕj ∈ H, j ∈ N} è un (A, B)−frame se, per ogni f ∈ H, risulta

Akf k2 ≤ X

j∈N

| < ϕj, f > |2 ≤ Bkf k2.

In particolare, se A = B, il frame è detto tight, e risulta

X

j∈N

| < ϕj, f > |2 = Akf k2, ∀f ∈ H.

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Domanda: è necessario che F sia completo (nel senso introdotto in precedenza) perché risulti un s.g.?

Risposta: no! è sufficiente che F sia un (A, B)-frame!

Definizione: una famiglia F = {ϕj ∈ H, j ∈ N} è un (A, B)−frame se, per ogni f ∈ H, risulta

Akf k2 ≤ X

j∈N

| < ϕj, f > |2 ≤ Bkf k2.

In particolare, se A = B, il frame è detto tight, e risulta

X

j∈N

| < ϕj, f > |2 = Akf k2, ∀f ∈ H.

Ogni base o.n. è un (1, 1)-frame. Viceversa, un (1, 1)-frame è una base o.n. di H solo se ogni suo vettore è normalizzato!

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Ogni (A, B)−frame produce una (anzi, infinite!) risoluzioni dell’identità, ed è quindi un s.g.

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Ogni (A, B)−frame produce una (anzi, infinite!) risoluzioni dell’identità, ed è quindi un s.g.

Ad esempio, se F è un (A, A)-frame, esso produce la seguente risoluzione dell’identità:

1 A

X

j∈N

j >< ϕj| = 11

e quindi ogni vettore f ∈ H può scriversi come f = 1

A X

j∈N

< ϕj, f > ϕj

(38)

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Ogni (A, B)−frame produce una (anzi, infinite!) risoluzioni dell’identità, ed è quindi un s.g.

Ad esempio, se F è un (A, A)-frame, esso produce la seguente risoluzione dell’identità:

1 A

X

j∈N

j >< ϕj| = 11

e quindi ogni vettore f ∈ H può scriversi come f = 1

A X

j∈N

< ϕj, f > ϕj

Se F è un (A, B)-frame, A 6= B, si ha nuovamente

f = X

j∈N

cj ϕj,

ma i coefficenti hanno un’espressione più complicata:

cj =< ˜ϕj, f >,

in cui { ˜ϕj} è il frame duale di F (ed è costruito par- tendo da F ).

(39)

Di cosa parleremo....

Richiami sugli spazi . . .

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IV. trasformata di Fourier

La trasformata di Fourier di una funzione f (x ) di L2(R) è una trasformazione integrale definita tramite la

f (p) =ˆ 1

√2π Z

−∞

f (x )e−i pxd x L’antitrasformata è poi

f (x ) = 1

√2π Z

−∞

f (p)eˆ i pxd p

Essa può essere introdotta anche in altri spazi ma si perde la simmetria che si osserva in L2(R) ed in S(R) e che è espressa dal teorema di Plancherel:

(40)

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Teorema di Plancherel La trasformata di Fourier ˆf (p) di una funzione f (x ) ∈ L2(R) è anch’essa in L2(R).

Inoltre la sua antitrasformata restituisce q.o. la f (x ) stessa.

Valgono inoltre l’uguaglianza di Parceval Z

R

|f (x )|2d x = Z

R

| ˆf (p)|2d p e l’uguaglianza di Parceval generalizzata

Z

R

f (x )g(x )d x = Z

R

f (p)ˆˆ g(p)d p.

(41)

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Un punto di vista quanto-meccanico

In meccanica quantistica la posizione ˆx e la quan- tità di moto ˆp di una particella sono operatori sod- disfacenti la [ˆx , ˆp] := ˆx ˆp − ˆp ˆx = i ~. Possono essere pensate quindi come matrici (∞×∞). Come tali am- mettono degli autovalori e degli autovettori associati:

(42)

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Un punto di vista quanto-meccanico

In meccanica quantistica la posizione ˆx e la quan- tità di moto ˆp di una particella sono operatori sod- disfacenti la [ˆx , ˆp] := ˆx ˆp − ˆp ˆx = i ~. Possono essere pensate quindi come matrici (∞×∞). Come tali am- mettono degli autovalori e degli autovettori associati:

ˆ

x ξx = x ξx, pηˆ p = pηp

Ogni funzione f (x ) può essere vista come il seguente prodotto scalare (rappresentazione delle coordinate):

f (x ) =< ξx, f >, f ∈ H

in cui H è uno spazio di Hilbert astratto, per cui risulta, ∀f , g ∈ H

< f , g >=

Z

R

f (x )g(x )d x = Z

R

< f , ξx >< ξx, g > d x =

=< f |

Z

R

x >< ξx| d x



|g >

Ne segue che R

Rx >< ξx| d x = 11, in cui 11 è l’operatore identità.

(43)

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Analogamente, detta ˆf (p) =< ηp, f > (rappresen- tazione dei momenti) risulta

< ˆf , ˆg >=

Z

R

f (p)ˆˆ g(p)d p = Z

R

< f , ηp>< ηp, g > d p =

=< f |

Z

R

p>< ηp| d x



|g >

per cui R

Rp >< ηp| d p = 11.

(44)

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Analogamente, detta ˆf (p) =< ηp, f > (rappresen- tazione dei momenti) risulta

< ˆf , ˆg >=

Z

R

f (p)ˆˆ g(p)d p = Z

R

< f , ηp>< ηp, g > d p =

=< f |

Z

R

p>< ηp| d x



|g >

per cui R

Rp >< ηp| d p = 11.

Le equazioni R

Rx >< ξx| d x = R

Rp >< ηp| d p = 11 sono due risoluzioni dell’identità, e sono una ver- sione continua della risoluzione dell’identità associata ad ogni insieme completo di H.

(45)

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Analogamente, detta ˆf (p) =< ηp, f > (rappresen- tazione dei momenti) risulta

< ˆf , ˆg >=

Z

R

f (p)ˆˆ g(p)d p = Z

R

< f , ηp>< ηp, g > d p =

=< f |

Z

R

p>< ηp| d x



|g >

per cui R

Rp >< ηp| d p = 11.

Le equazioni R

Rx >< ξx| d x = R

Rp >< ηp| d p = 11 sono due risoluzioni dell’identità, e sono una ver- sione continua della risoluzione dell’identità associata ad ogni insieme completo di H.

Le due rappresentazioni sono connesse dalla trasfor- mata di Fourier, che è quindi solo un modo per pas- sare dalla RDP alla RDM:

(46)

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Analogamente, detta ˆf (p) =< ηp, f > (rappresen- tazione dei momenti) risulta

< ˆf , ˆg >=

Z

R

f (p)ˆˆ g(p)d p = Z

R

< f , ηp>< ηp, g > d p =

=< f |

Z

R

p>< ηp| d x



|g >

per cui R

Rp >< ηp| d p = 11.

Le equazioni R

Rx >< ξx| d x = R

Rp >< ηp| d p = 11 sono due risoluzioni dell’identità, e sono una ver- sione continua della risoluzione dell’identità associata ad ogni insieme completo di H.

Le due rappresentazioni sono connesse dalla trasfor- mata di Fourier, che è quindi solo un modo per pas- sare dalla RDP alla RDM:

f (x ) =< ξx, f >=< ξx, 11f >=< ξx|

Z

R

p >< ηp| d p



|f >=

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Analogamente, detta ˆf (p) =< ηp, f > (rappresen- tazione dei momenti) risulta

< ˆf , ˆg >=

Z

R

f (p)ˆˆ g(p)d p = Z

R

< f , ηp>< ηp, g > d p =

=< f |

Z

R

p>< ηp| d x



|g >

per cui R

Rp >< ηp| d p = 11.

Le equazioni R

Rx >< ξx| d x = R

Rp >< ηp| d p = 11 sono due risoluzioni dell’identità, e sono una ver- sione continua della risoluzione dell’identità associata ad ogni insieme completo di H.

Le due rappresentazioni sono connesse dalla trasfor- mata di Fourier, che è quindi solo un modo per pas- sare dalla RDP alla RDM:

f (x ) =< ξx, f >=< ξx, 11f >=< ξx|

Z

R

p >< ηp| d p



|f >=

= Z

R

< ξx, ηp >< ηp, f > d p = Z

R

< ξx, ηp > ˆf (p) d p

a patto di identificare < ξx, ηp >= 1 ei px.

(48)

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Viceversa si ha

f (p) =< ηˆ p, f >=< ηp, 11f >=< ηp|

Z

R

x >< ξx| d x



|f >=

(49)

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Viceversa si ha

f (p) =< ηˆ p, f >=< ηp, 11f >=< ηp|

Z

R

x >< ξx| d x



|f >=

= Z

R

< ηp, ξx >< ξx, f > d x = Z

R

< ξx, ηp > f (x ) d x

che è proprio la trasformata di f (x ) se, ancora una volta, identifichiamo < ξx, ηp >= 1

ei px.

(50)

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V. wavelets: una prima introduzione

La trasformata di Fourier non gode di alcuna propri- età di localizzazione, nel senso che ˆf (p) può essere ot- tenuta unicamente qualora sia nota la f (x ) q.o. in R.

A volte, però, ciò che si conosce (sperimentalmente) è solo il comportamento locale della f (x ), ovvero ad esempio il suo comportamento su un intervallo o su più intervalli di misura finita.

(51)

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V. wavelets: una prima introduzione

La trasformata di Fourier non gode di alcuna propri- età di localizzazione, nel senso che ˆf (p) può essere ot- tenuta unicamente qualora sia nota la f (x ) q.o. in R.

A volte, però, ciò che si conosce (sperimentalmente) è solo il comportamento locale della f (x ), ovvero ad esempio il suo comportamento su un intervallo o su più intervalli di misura finita.

Un modo per dedurre le proprietà locali della funzione che si vuole analizzare consiste nell’introdurre una funzione finestra, g(x ), e nel definire la trasformata di Fourier con finestra della funzione f (x ) ∈ L2(R) nel modo seguente:

Tw i nf

(p, y ) = Z

R

f (x )g(x − y ) e−i px d x ,

che si riduce alla trasformata di Fourier standard qualora g(x ) = 1 .

(52)

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Se, invece, g(x ) è una funzione a supporto compatto in un certo intervallo [a, b], g(x − y ) avrà supporto in [a + y , b + y ]: l’integrale sopra si riduce, per y fissato, all’integrale Rb+y

a+y f (x )g(x − y ) e−i px d x. Il comportamento della f (x ) per x /∈ [a + y , b + y ] è assolutamente ininfluente!

(53)

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Se, invece, g(x ) è una funzione a supporto compatto in un certo intervallo [a, b], g(x − y ) avrà supporto in [a + y , b + y ]: l’integrale sopra si riduce, per y fissato, all’integrale Rb+y

a+y f (x )g(x − y ) e−i px d x. Il comportamento della f (x ) per x /∈ [a + y , b + y ] è assolutamente ininfluente!

Il risultato di tale procedura dipende dal valore del parametro y , che determina la localizzazione della finestra introdotta tramite la g(x ). È poi oppor- tuno osservare anche che, introducendo una funzione gp,y(x ) := g(x − y ) ei px, ed assumendo per semplicità che la funzione g(x ) sia reale, possiamo scrivere

Tw i nf

(p, y ) =< gp,y, f >=

Z

R

gp,y(x ) f (x ) d x , che è certamente ben definita ∀f (x ) ∈ L2(R), qualora, ad esempio, g(x ) sia scelta in L2(R), poiché in questo caso anche gp,y(x ) ∈ L2(R).

(54)

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La definizione di Tw i n è dunque estremamente meno elaborata di quella della trasformata di Fourier in L2(R).

File "trasformataconfinestra.nb"

(55)

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La definizione di Tw i n è dunque estremamente meno elaborata di quella della trasformata di Fourier in L2(R).

File "trasformataconfinestra.nb"

La Tw i n, sebbene consenta di evitare di considerare contributi provenienti da zone del supporto della f (x ) che non interessano, non riesce a zoomare nella re- gione di interesse: il grafico della funzione g(x − y ) è identico a quello della g(x ), a meno di una traslazione di y . Potrebbe essere utile, in certe situazioni, cercare di osservare più da vicino il comportamento della fun- zione f (x ) per determinati valori di x e per i relativi intorni.

(56)

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Ad esempio, nell’analisi di un processo dinamico, è molto più interessante analizzare il transiente, che dura pochissimo, piuttosto che la situazione stazionaria che si genera dopo il transiente. Più in astratto il comportamento di una funzione vicino ad una sin- golarità essenziale è certamente più interessante del comportamento della stessa funzione nell’intorno di un punto in cui essa è, ad esempio, continua.

(57)

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Ad esempio, nell’analisi di un processo dinamico, è molto più interessante analizzare il transiente, che dura pochissimo, piuttosto che la situazione stazionaria che si genera dopo il transiente. Più in astratto il comportamento di una funzione vicino ad una sin- golarità essenziale è certamente più interessante del comportamento della stessa funzione nell’intorno di un punto in cui essa è, ad esempio, continua.

Occorre costruire unalente di ingrandimento per anal- izzare queste situazioni, e la lente di ingrandimento è la trasformata wavelet: sia ψ(x ) una funzione di L2(R), normalizzata in L2, kψk = 1 e che deve es- sere assunta a media nulla: R

R ψ(x ) d x = 0. Siano poi a e b due parametri reali, con a 6= 0, e poniamo

ψa,b(x ) = 1 p|a|ψ

x − b a



Ovviamente kψa,bk = 1.

La funzione ψ(x ) è nota come mother wavelet.

(58)

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La funzione ψ(a,b) può essere utilizzata per definire la trasformata wavelet in analogia a quanto per Tw i n: data una f (x ) ∈ L2(R) si pone

(Tw avf) (a, b) =< ψa,b, f >=

Z

R

ψa,b(x ) f (x ) d x =

= 1

p|a|

Z

R

ψ

x− b a



f (x ) d x ,

Poiché tanto f (x ) quanto ψa,b(x ) sono in L2(R) ne segue che (Tw avf) (a, b) è ben definita per ogni (a, b) ∈ (R \ {0}, R) =: A: ancora una volta la definizione della trasformata è decisamente più immediata della definizione della trasformata di Fourier in L2!

(59)

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Problema 1.: Il teorema di Plancherel mostra come ritrovare la funzione f (x ) partendo dalla sua trasfor- mata di Fourier ˆf (p), qualora sia f (x ) ∈ L2(R). Que- siti analoghi possiamo porci anche per Tw av e Tw i n. Come mostreremo nel seguito sarà possibile definire degli operatori inversi, (Tw av)−1 e (Tw i n)−1, e sarà quindi possibile riottenere in entrambi i casi, proce- dendo opportunamente, la f (x ) da cui si è partiti.

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