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della roccia serbatoio

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CARATTERISTICHE

DEI GIACIMENTI

E RELATIVI STUDI

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4.1.1 Introduzione

Le rocce serbatoio fanno parte della grande categoria dei materiali porosi, alla quale sono interessati vari ambiti scientifici e tecnologici, dall’ingegneria, alla geologia, alle discipline biomediche, all’industria alimentare, a quella ceramica, ecc. All’interno di queste discipline è oltremodo importante lo studio dei mezzi porosi di ori- gine naturale, costituenti vari tipi di terreno, rocce con- solidate e cementate, nonché formazioni rocciose com- patte, che sono le potenziali sedi dei giacimenti di idro- carburi. L’interesse specifico di questo capitolo è ristretto ai soli ambiti geologici e ingegneristici entro cui si col- loca lo studio delle rocce serbatoio.

In natura, gli idrocarburi sono localizzati e si posso- no muovere entro gli spazi porosi delle rocce serbatoio che costituiscono il giacimento. In generale, le caratte- ristiche petrofisiche di una roccia serbatoio descrivono le proprietà dei mezzi porosi naturali relativamente alla loro attitudine a contenere fluidi, alla possibilità di per- metterne il movimento e alla disposizione degli stessi all’interno della matrice rocciosa. Le caratteristiche petro- fisiche dei mezzi porosi determinano il volume di flui- di contenuti nel giacimento, nonché la quantità e la faci- lità con cui possono fluire verso i pozzi destinati alla pro- duzione. In particolare, per quanto riguarda i giacimenti di idrocarburi, la percentuale di olio e/o di gas contenu- ti in un’unità di volume della roccia serbatoio è pari al prodotto fra la porosità della roccia e il suo grado di satu- razione in idrocarburi. Per valutare il volume delle riser- ve di idrocarburi, oltre alla porosità e alla saturazione in fluidi (correlata, fra l’altro, anche alle caratteristiche di capillarità della roccia serbatoio), occorre conoscere sia il volume della formazione mineralizzata, sia le carat- teristiche termodinamiche della miscela di idrocarburi.

Per valutare la produttività di un giacimento, è invece necessario avere indicazioni sull’attitudine dei fluidi ad

attraversare il mezzo poroso, caratteristica nota come permeabilità.

Misure dirette e indirette

Per definire le potenzialità produttive di un giaci- mento di idrocarburi è dapprima necessario determina- re le caratteristiche petrofisiche del giacimento stesso quali, per es., la porosità, la permeabilità e la saturazio- ne in idrocarburi. La distribuzione verticale e areale di tali caratteristiche può essere determinata tramite l’im- piego combinato di misurazioni dirette, condotte su cam- pioni di roccia serbatoio (carote di fondo o di parete, e talvolta anche gli stessi detriti di perforazione), e di misu- razioni indirette eseguite in pozzo (log). Mediante cor- relazioni teoriche e sperimentali dei risultati così otte- nuti, è possibile calcolare i parametri petrofisici della roccia serbatoio necessari per la geologia e l’ingegneria di giacimento. Le misure tramite log, che sono eseguite lungo tutto il tratto di formazione indagata, sono indi- spensabili per lo studio delle rocce serbatoio. Il solo impiego di carote non è infatti sufficiente, in quanto il loro prelievo, operazione piuttosto costosa, non è di soli- to effettuato su tutto l’intervallo perforato e in tutti i pozzi. Pertanto le misure condotte su carote, in quanto relative al solo punto di campionamento, non sono rap- presentative delle condizioni globali del giacimento. Sono tuttavia necessarie per calibrare correttamente i log, con- sentendo un confronto con le misure indirette relative al medesimo intervallo di formazione.

Lo scopo di questo capitolo è definire le caratteri- stiche petrofisiche delle rocce serbatoio, descrivere le metodologie per la loro misurazione diretta e indiretta e stabilire il grado e le modalità di integrazione fra i vari tipi di misurazione. Ciò è molto importante, poiché le misurazioni dirette su carote in generale sono esegui- te in condizioni diverse da quelle originarie (in situ), sia in termini di saturazioni iniziali dei fluidi, sia in termini

Caratteristiche petrofisiche

della roccia serbatoio

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di condizioni ambientali generali (stato tensionale, pres- sione, temperatura, ecc.). Dal punto di vista applicati- vo, è molto importante anche definire la scala di inda- gine, che può variare dal livello locale (di campione, o di pozzo), a quello di giacimento, fino ad arrivare alla scala geologica regionale. Chiaramente, le misurazioni dirette su campioni forniscono indicazioni soltanto a scala locale: i valori delle grandezze petrofisiche inda- gate a questa scala, soggette a sensibili variazioni per la disomogeneità e la discontinuità del mezzo (presenti anche a scala di carota), non sempre possono essere riportati direttamente alla scala regionale. Occorre quin- di definire, fin dalle prime fasi delle indagini, l’ambi- to spaziale a cui si fa riferimento (laboratorio, pozzo, giacimento, ecc.).

Nelle misure di laboratorio, la rappresentatività del campione è critica anche per quanto riguarda il volume di mezzo poroso esaminato. Tutte le misure di laborato- rio devono essere eseguite su campioni il cui volume non deve essere inferiore al volume rappresentativo elemen- tare, ossia il volume minimo di mezzo poroso che può essere considerato come un mezzo ‘continuo’ entro il quale la definizione delle principali caratteristiche petro- fisiche assume senso fisico e rappresentatività statisti- ca. Si pensi, per es., a una formazione costituita da ghiaie con grossi ciottoli e a una formazione costituita da sab- bia fine: è chiaro che il volume rappresentativo elemen- tare della ghiaia è maggiore di quello della sabbia fine.

Per quanto riguarda la permeabilità, il quadro è più com- plesso: infatti, oltre alle considerazioni precedenti, occor- re anche valutare l’influenza di eventuali fratture o discon- tinuità presenti a scale diverse (talvolta superiori alle dimensioni di un campione di laboratorio), oppure la pre- senza di intercalazioni argillose (anche molto sottili all’in- terno del campione) che, pur essendo trascurabili in ter- mini volumetrici, possono influenzare sensibilmente i valori di permeabilità, alterandoli sino a diversi ordini di grandezza.

Misure dirette: la preparazione dei campioni Le misure di laboratorio si eseguono su campioni di roccia solitamente ricavati da carote prelevate nel sotto- suolo con varie tecniche (v. cap. 3.3). È ben noto che le operazioni di carotaggio possono indurre disturbi o rima- neggiamenti sui campioni prelevati e occorre tenerne conto in fase di valutazione delle misure. In generale, i campioni per la misura della porosità possono avere forma qualunque, mentre quelli per la misura della permeabi- lità devono essere preparati secondo una forma geome- trica regolare. La forma più comune richiesta dalle moderne apparecchiature di laboratorio è quella cilin- drica e, in subordine, quella cubica o parallelepipeda.

Ovviamente, per ridurre i fenomeni legati alle disomo- geneità a piccola scala dei mezzi porosi naturali è bene utilizzare campioni di dimensioni relativamente grandi,

ma ciò è contrario all’economicità delle operazioni di campionamento.

I campioni cilindrici generalmente utilizzati nelle misure di laboratorio (detti plug a causa della loro forma e dimensione) sono ricavati da carote prelevate da fori di sondaggio; il diametro di queste ultime è dell’ordine di una decina di cm. In laboratorio, da ogni carota si estrae solitamente un plug di 2-3 cm di diametro ogni 15-30 cm di lunghezza di carota, anche se talvolta può essere opportuno utilizzare una maggiore concentra- zione di plug per indagare zone più interessanti. Un plug rappresenta quindi un sottoinsieme del volume di caro- ta originaria, minore di circa 100-150 volte rispetto a quello dello spezzone di carota da cui è stato estratto;

la rappresentatività delle relative misure ne è conse- guentemente influenzata. Se la carota è costituita da una formazione compatta, i plug si prelevano tramite caro- tieri diamantati a rotazione. Durante il taglio, il plug non deve essere sottoposto a forti surriscaldamenti, per evi- tare problemi legati alla decomposizione di alcuni mine- rali costituenti la matrice; a questo scopo, molto spes- so si utilizzano dei liquidi refrigeranti, acqua nella mag- gior parte dei casi. Di norma, si prelevano una serie di plug con asse parallelo all’asse della carota e un’altra serie con asse perpendicolare (o, se possibile, paralle- lamente ai piani di stratificazione della formazione) al fine di investigare la permeabilità sia in direzione ver- ticale, sia in direzione orizzontale. Se la carota è for- mata da materiale scarsamente cementato o da mate- riale argilloso, i campioni cilindrici possono essere pre- levati anche tramite infissione a pressione di fustelle munite di bordi taglienti.

La manipolazione di campioni provenienti da for- mazioni facilmente frantumabili, poco cementate o addi- rittura sciolte è un problema tuttora non completamen- te risolto in maniera soddisfacente. Il disturbo cui sono sottoposti questi materiali, sia in fase di carotaggio, sia in fase di campionamento di laboratorio, può essere anche molto elevato, facendo diminuire l’interesse a eseguire misure di precisione. In alcuni casi, soprattutto per le formazioni sciolte, può essere conveniente ricostruire il campione in laboratorio seguendo procedure standar- dizzate. I dati provenienti da questo tipo di misure pos- sono però soltanto fornire l’ordine di grandezza della proprietà misurata, e non il suo valore accurato in con- dizioni di giacimento.

La maggior parte delle carote estratte dai fori di son- daggio contiene acqua di formazione, eventualmente accompagnata da idrocarburi liquidi o gassosi; questi fluidi devono essere completamente rimossi prima di effettuare misure di laboratorio. Per ‘lavare’ i plug pro- venienti dalle carote si utilizzano apparecchi detti estrat- tori (fig. 1): si tratta di particolari distillatori a ciclo chiuso (estrattori tipo Dean-Stark, oppure tipo Soxhlet) che impiegano opportuni solventi (pentano, benzolo,

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butanolo, toluene, xilene, acetone, solfuro di carbonio, ecc.); flussati entro i campioni sotto forma di liquido o di vapore, questi ultimi riescono a dissolvere e a estrar- re gli idrocarburi e l’acqua. Con l’apparecchio tipo Dean-Stark l’acqua estratta è misurata nella buretta graduata (trappola) in cui cade il solvente ricondensa- to, mentre il contenuto d’olio è determinato come dif- ferenza di peso del matraccio prima e dopo la prova.

Chiaramente, il tipo di solvente non deve danneggiare o alterare le caratteristiche mineralogiche e petrofisi- che del campione. Alla fine del lavaggio, i campioni devono essere asciugati in stufe termostatiche al fine di rimuovere le residue tracce di solvente o degli altri fluidi eventualmente presenti. In questa fase, la tem- peratura di essiccazione deve essere mantenuta infe- riore alla temperatura di decomposizione dei minerali che contengono acqua nel loro reticolo cristallino (come, per es., il gesso); in generale, la temperatura di essic- cazione è mantenuta a circa 105 °C, ma se sono pre- senti argille non si superano i 60 °C (API, 1998). Dopo questo trattamento il campione è pronto per essere sot- toposto alle successive misure di laboratorio.

4.1.2 Porosità

La porosità definisce la quantità di spazi vuoti contenuti all’interno di un mezzo poroso. Si tratta di una grandez- za di natura scalare, che esprime la capacità del mezzo poroso a contenere fluidi, ed è definita dal rapporto:

Vp f1Vb

dove f è la porosità, Vbè il volume totale del mezzo poroso, Vpè la somma del volume di tutti i pori conte- nuti nel volume Vb. Tale rapporto è un numero puro com- preso tra 0 e 1, e può essere espresso anche in percen- tuale del volume poroso o in unità di porosità (p.u.); per es., se f0,24, la porosità è pari al 24%, ovvero corri- sponde a 24 p.u. La porosità definita in questo modo è denominata porosità totale o assoluta. Nei mezzi poro- si naturali, però, non tutti i pori sono idraulicamente interconnessi tra loro, poiché alcuni spazi porosi posso- no essere isolati, soprattutto nelle formazioni cementa- te (fig. 2). Per questo motivo, nelle applicazioni pratiche, condensatore

portacampione campione

solvente

condensatore

trappola per raccolta acqua

campione

solvente

fig. 1.Estrattori per il lavaggio delle carote;

a sinistra, estrattore tipo Soxhlet, a destra, estrattore tipo Dean-Stark.

granulo di sabbia cemento

porosità effettiva o interconnessa porosità non interconnessa

porosità: 47,6% porosità: 25,6%

fig. 2.Porosità teorica di un mezzo costituito da grani perfettamente sferici; la porosità varia secondo la disposizione geometrica dei grani (nella figura, reticolo cubico e romboedrico) (A).

Porosità effettiva in una roccia parzialmente cementata (B).

A B

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si è soliti distinguere tra porosità totale, cui contribui- sce il volume di tutti i pori della roccia, e porosità effet- tiva (o utile o efficace, solitamente indicata con il sim- bolo fe), cui contribuisce soltanto il volume dei pori interconnessi. La definizione della porosità effettiva è la seguente:

Vpi fe1Vb

dove Vpiè la somma del volume dei pori interconnessi contenuti nel volume Vb. Chiaramente, la porosità effet- tiva è sempre minore della porosità totale e, al limite, i due valori possono coincidere. La porosità effettiva rap- presenta il volume di mezzo poroso idraulicamente con- nesso e occupato da fluidi potenzialmente mobili, ed è di grande importanza per qualsiasi calcolo in ambito ingegneristico. Per la maggior parte delle formazioni cla- stiche sciolte o mediamente cementate il valore della porosità effettiva è molto prossimo a quello della poro- sità totale.

Osservando la definizione di porosità, si nota che essa, in generale, non dipende dalle dimensioni dei gra- nuli, ma solo dal rapporto tra spazi pieni e vuoti. Di con- seguenza, nei mezzi porosi naturali la porosità dipende fondamentalmente dal grado di classazione (ossia dalla distribuzione di frequenza delle classi granulometriche), dalla forma e dalla disposizione dei grani. Per es., i grani che costituiscono una sabbia possono avere forme diver- se a motivo sia della loro natura mineralogica sia del- l’abrasione meccanica subita durante il trasporto entro il bacino sedimentario. Si possono così distinguere sab- bie costituite da grani a spigoli vivi e sabbie a grani più arrotondati, che hanno subito un trasporto fluviale o eoli- co più lungo. In generale, i mezzi porosi costituiti da grani a spigoli vivi e ben classati possiedono una poro- sità relativamente alta, mentre quelli costituiti da grani arrotondati, e caratterizzati da un’ampia distribuzione di classi granulometriche, hanno una porosità minore. Inol- tre, nelle rocce clastiche coerenti la porosità dipende anche dal tipo e dalla quantità di materiale cementante:

all’aumentare del cemento, la porosità diminuisce fino ad annullarsi, come per es., nelle arenarie completamente cementate. La porosità è infine influenzata anche dal grado di costipamento dei grani e dalla presenza di mate- riale argilloso all’interno dei pori.

Nelle rocce di origine carbonatica la porosità è inve- ce influenzata dalla struttura e dalla tessitura della roc- cia nonché dalla presenza di fratture, generate sia da stati tensionali dovuti alla tettonica locale o regionale sia da fenomeni diagenetici (quali la dissoluzione della matri- ce ad opera di acque contenenti anidride carbonica), da fenomeni di dolomitizzazione, ecc. Le rocce carbona- tiche hanno una struttura porosa molto più complessa rispetto a quella delle rocce clastiche. Esse sono comu- nemente costituite da un materiale di base finemente

cristallino, solitamente caratterizzato da una porosità pic- cola (detta di matrice), il quale può poi essere interessa- to da una porosità secondaria (o indotta) anche molto alta. In questo tipo di formazioni, il volume delle frat- ture può contribuire in modo sostanziale a creare il volu- me totale dello spazio poroso.

Da quanto detto, è evidente che la porosità può esse- re classificata in base all’origine dei pori, distinguendo tra porosità primaria e porosità secondaria. La porosità primaria, o singenetica, deriva dai vuoti interposti tra i frammenti dei grani minerali al momento della deposi- zione; essa è distinta in porosità intergranulare (dovuta agli spazi esistenti fra i grani e tipica di formazioni cla- stiche), porosità intercristallina (dovuta agli spazi esi- stenti fra i cristalli e tipica della matrice delle formazio- ni carbonatiche), o porosità dovuta alla presenza di una struttura oolitica, tipica di particolari formazioni carbo- natiche. La porosità secondaria è invece associata a varia- zioni del volume poroso successive alla sedimentazio- ne, oppure a fenomeni geologici che hanno portato alla creazione di discontinuità o fratture. Tali variazioni com- portano spesso una modifica nella struttura e nella com- posizione del mezzo, e sono molto spesso dovute a feno- meni fisici (quali variazioni di temperatura e di pressio- ne) oppure a fenomeni chimico-fisici. La porosità per fratturazione, dovuta a microfratture o macrofratture, quella vacuolare, formatasi per parziale dissoluzione di matrici rocciose carbonatiche, e quella per ricristalliz- zazione, dovuta a silicizzazione o dolomitizzazione, sono esempi tipici di porosità secondaria.

Si è visto che nei materiali clastici la porosità dipen- de fondamentalmente dalla classazione, dalla forma e dalla disposizione dei grani. In teoria, considerando un mezzo poroso costituito da soli grani sferici di uguali dimensioni, alla disposizione più compatta corrisponde un valore teorico di porosità pari a circa 26%, mentre alla disposizione meno compatta corrisponde un valore teorico pari a circa 47% (v. ancora fig. 2).

Le rocce serbatoio dei giacimenti di idrocarburi sono caratterizzate da porosità che raramente superano il 45%. Le sabbie sciolte naturali hanno porosità varia- bile fra 25-45%, secondo la forma dei grani, il grado di uniformità granulometrica e le condizioni di sedi- mentazione. Le formazioni arenacee consolidate hanno una porosità variabile fra 10-15%. Le formazioni car- bonatiche compatte, come calcari e dolomie, e quelle evaporitiche possono invece presentare porosità di matri- ce molto basse, prossime a zero. Infine, le formazioni argillose hanno una porosità alta (anche maggiore del 40%), ma la loro permeabilità è pressoché nulla, poi- ché i granuli dei minerali argillosi che le compongono sono così piccoli da creare una struttura ad alta super- ficie specifica che rende praticamente impossibile qual- siasi flusso. In generale, nelle formazioni di un bacino sedimentario la porosità diminuisce al crescere della

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profondità a causa dei processi relativi al costipamen- to dei sedimenti e di diagenesi.

Misure dirette di porosità

Gli strumenti per la misura diretta della porosità sono denominati porosimetri. Tali strumenti sono in grado di misurare il volume totale del mezzo poroso (Vb), il volu- me dei pori (Vp) e il volume dei grani (Vg) sia tramite ope- razioni di pesata su campioni saturi d’acqua (metodo per risaturazione), sia tramite l’applicazione della legge di Boyle su campioni saturi di gas sottoposto a compres- sione. Questi ultimi strumenti sono in grado di determi- nare il volume dei grani presenti in una cella, opportu- namente calibrata, sfruttando la compressione o l’e- spansione isotermica di un gas all’interno del volume poroso. A questo scopo, possono essere impiegati poro- simetri micrometrici oppure porosimetri a elio. In gene- rale, la preparazione dei campioni differisce secondo il metodo di misura utilizzato.

Metodo per risaturazione

Questo metodo è particolarmente utilizzato per cam- pioni consolidati non argillosi. I plug sono dapprima lavati tramite estrattori (se necessario), poi essiccati in stufa e infine pesati (Pess). Successivamente sono satu- rati con un liquido di peso specifico noto (usualmente acqua salata, di peso specifico gw), ponendoli all’inter- no di una cella di saturazione, un robusto contenitore a chiusura ermetica entro cui è fatto un vuoto parziale;

solitamente, sono sufficienti pressioni dell’ordine di circa 104mbar. I plug sono lasciati all’interno della cella di saturazione per un tempo sufficientemente lungo (dell’ordine di alcune ore), al fine di permettere all’aria di uscire. In seguito la cella è riempita con il liquido satu- rante ed è pressurizzata per qualche ora. Per facilitare la saturazione in acqua di campioni a bassa permeabilità, si può dapprima eseguire una saturazione con anidride carbonica, eseguire il vuoto e successivamente saturarli con acqua; infatti, l’anidride carbonica è molto solubile in acqua, soprattutto ad alte pressioni, e permette di rea- lizzare una saturazione maggiore. I plug, tolti dalla cella di saturazione, sono dapprima pesati saturi in aria (Psat),

e successivamente pesati saturi, ma immersi nello stes- so tipo di fluido impiegato per saturarli (Pimm). Con que- sti elementi è possibile calcolare sia la porosità effetti- va, sia quella totale (detta anche assoluta) tramite le seguenti relazioni:

Vpi PsatPess

fe11112Vb PsatPimm

Vp Pess yw f11111112Vb PsatPimm yma

dove gmaè il peso specifico della matrice, ossia il peso specifico dei soli grani minerali, misurabile tramite meto- di picnometrici eseguiti polverizzando finemente il cam- pione in modo da ottenere una struttura priva di pori.

Porosimetro micrometrico

L’apparato è costituito da una cella (o picnometro), entro cui è posto il campione da misurare, connessa ad una pompa micrometrica a pistone (fig. 3). La cella con- tiene aria (per la misura del volume dei grani, Vg) e acqua (per la misura del volume totale, Vb), oppure aria e mer- curio; in entrambi i casi, l’acqua o il mercurio possono essere considerati come fluidi incompressibili rispetto all’aria. Nel caso in cui si impieghi acqua, il campione è preventivamente rivestito con una guaina impermea- bile che impedisce l’ingresso di liquido nei pori del cam- pione stesso. Questo trattamento non è invece necessa- rio nel caso in cui si impieghi mercurio, visti i bassi valo- ri degli incrementi di pressione impiegati per le misure, la scarsa bagnabilità del mercurio nei confronti della roc- cia e gli alti valori di tensione superficiale del mercurio stesso. Quindi, viste le modalità con cui si realizza la misura, il volume complessivo associato ai pori non inter- connessi è considerato come facente parte del volume dei grani, ottenendo una misura di porosità effettiva:

Vpi Vg fe111Vb Vb

Porosimetro a elio

Il porosimetro a elio consente di misurare il volume di grani di un campione facendo espandere dell’elio in

scala volume pori

scala volume scala vite

micrometrica

manometri valvola a spillo

picnometro fig. 3.Porosimetro

micrometrico.

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una cella contenente il campione stesso. La fig. 4riporta lo schema di tale apparato, costituito da due celle cali- brate: in particolare una cella di riferimento, di volume V1, e una cella portacampione, di volume V2, collegate fra loro tramite una valvola. Inizialmente, la cella di riferimento contiene elio a pressione e volume noti (P1, V1), mentre la cella portacampione è depressurizzata mediante una pompa a vuoto. Successivamente, si fa espandere l’elio contenu- to nella cella di riferimento verso la cella di misura; in questo modo, il sistema delle due celle collegate raggiunge un nuovo equilibrio termodinamico, caratterizzato dalla pressione P2. In questo stato, il volume occupato dall’elio è pari a V1V2Vg; applicando la legge di Boyle ai due stati si ottiene la seguente espressione:

P1V1P2(V1V2Vg) da cui si ricava:

P1V1 VgV1V212P2

Noto Vg, la porosità può essere calcolata come visto nel precedente caso del porosimetro micrometrico. Anche per il porosimetro a elio, il volume complessivo associato ai

pori non interconnessi è considerato come facente parte del volume dei grani. Il porosimetro a elio misura quindi la porosità effettiva, e non è in grado di misurare il volu- me totale del campione, che deve essere misurato in altro modo, per es., per via geometrica.

Misure indirette di porosità

Il metodo più comune per stimare la porosità per via indiretta è tramite l’impiego di log di pozzo. I tipi di log disponibili a questo scopo sono numerosi: in particola- re si ricordano i log sonici (sonic log) e quelli nucleari, a loro volta distinti in log di densità (density log) e log neutronici (neutron log). In generale, la risposta di tali strumentazioni è influenzata dalla porosità, dal tipo e dalla quantità di fluido contenuto nei pori e dalla natu- ra mineralogica della roccia: qualora siano noti gli effet- ti del fluido e della roccia, la lettura del log può essere correlata alla sola porosità. I log sonici e i log nucleari sono caratterizzati da una profondità di investigazione molto bassa, al massimo di qualche pollice. La loro misu- ra è pertanto quasi sempre relativa alla zona flussata, cioè la parte di roccia serbatoio in prossimità del foro

macini mesini 4

valvola di volume

costante

misuratore di vuoto

misuratore di pressione (0,1%)

sorgente di elio

sorgente di vuoto

regolatore grossolano

regolatore fine

valvola di sicurezza

camera portacampione camera

a volume

sistema di raffreddamento

fig. 4.Schema e immagine di un porosimetro a elio a doppia camera per la misura della porosità effettiva (Università di Bologna, Lab. DICMA).

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di sondaggio. Infine, la porosità può essere stimata anche tramite log a risonanza magnetica nucleare (NMR log) oppure log a propagazione elettromagnetica (EPT).

Log sonici

Le sonde per la registrazione dei log sonici sono state sviluppate dalle attrezzature utilizzate in campo geofisi- co per la registrazione delle velocità delle onde acusti- che nel sottosuolo, tipiche delle indagini sismiche. I log sonici registrano il tempo richiesto da un’onda acustica per attraversare uno spessore noto di formazione, solita- mente un piede, pari a circa 30 cm. In pratica, si registra il parametro Dt, che è il reciproco della velocità dell’onda per unità di lunghezza, denominato intervallo di tempo di transito, o tempo di transito o ‘lentezza’, espresso in microsecondipiede. Per una data formazione, il tempo di transito è legato alla litologia e alla porosità, per cui, nota la litologia, il log sonico è in grado di stimare la porosità. Una sonda elementare per la registrazione di un log sonico è costituita da una coppia di trasduttori acu- stici, un trasmettitore e un ricevitore. I trasduttori sono solitamente di tipo piezoelettrico o magnetostrittivo. I trasduttori piezoelettrici sono cristalli di quarzo o di tita- nato di bario che si deformano al passaggio di una cor- rente elettrica, generando un’onda elastica; analogamente, essi generano una corrente elettrica quando sono sotto- posti a una deformazione. I trasduttori magnetostrittivi sono invece leghe metalliche (solitamente leghe Ni-Co- Fe) che si deformano se sottoposte a un campo magne- tico, e viceversa, generano un campo magnetico se sot- toposte a una deformazione. Il trasmettitore invia un impulso acustico che genera onde caratterizzate da una certa energia. Una parte dell’energia dell’onda attraver- sa il fluido di perforazione, colpisce la parete del foro secondo l’angolo critico di incidenza, si propaga lungo la parete (con una velocità tipica del mezzo da investi- gare) e, rifratta nuovamente nel fango, è registrata dal ricevitore. Il calcolo della porosità tramite log sonici, uti- lizzando i modelli interpretativi più semplificati, è effet- tuato mediante relazioni del tipo:

DtDtma

f11122fDtfDtma s

dove Dtmaè il tempo di transito dell’onda elastica che si propaga nella matrice della formazione indagata (consi- derata come costituita da un unico minerale), Dtfè il tempo di transito medio nel fluido che satura la forma- zione, Dt è il tempo di transito medio apparente letto dal log sonico.

Log di densità

I principi di misura dei log di densità sono basati sulla registrazione dell’effetto Compton indotto all’interno di una formazione porosa. La sonda è costituita da una sor- gente radioattiva posta entro un pattino che striscia lungo

il foro, e da un contatore di raggi g a scintillazione. La sorgente radioattiva, solitamente realizzata con 137Cs (sorgente monocromatica di fotoni g con energia pari a 662 keV), o con 60Co (sorgente di fotoni g con energia compresa tra 1,17-1,33 MeV), è opportunamente scher- mata in modo da emettere raggi g soltanto verso la for- mazione. I fotoni g possono essere considerati come par- ticelle ad alta velocità che collidono con gli elettroni degli atomi della roccia. Un raggio g a ogni collisione con un elettrone periferico di un atomo è deviato dalla sua traiettoria e cede parte della sua energia all’elettro- ne stesso, che viene espulso dall’atomo (effetto Comp- ton). I raggi g possono essere assorbiti dalla formazio- ne, diffusi lontano dal contatore, oppure possono rag- giungere il contatore, posto a una distanza fissa dalla sorgente. Il numero di collisioni per effetto Compton è legato direttamente al numero di elettroni presenti nella formazione: il conteggio dei raggi g costituisce quindi un’indicazione della densità della formazione. La rispo- sta registrata al contatore è legata essenzialmente alla densità elettronica della roccia (numero di elettroni per unità di volume), che può essere correlata alla densità reale; questa ultima, a sua volta, dipende dalla porosità, dal tipo di matrice rocciosa e dalla densità dei fluidi di strato. Evidentemente, maggiore è la densità della for- mazione, minore è il numero dei raggi g registrati. Uti- lizzando i modelli interpretativi più semplificati, il cal- colo della porosità tramite il log di densità avviene mediante relazioni del tipo:

rmarlog

f11122frmarf D

dove rmaè la densità di matrice della formazione; rfè la densità media del fluido saturante, rlogè la densità media apparente letta dal log.

Log neutronici

I log neutronici sono basati sulla misura della quan- tità di idrogeno presente nella formazione rocciosa inve- stigata. In formazioni non contenenti frazioni argillose e sature di acqua e/o di olio, i log neutronici forniscono una stima della porosità totale; peraltro, il loro confron- to con altri log di porosità, o con analisi su carote, può aiutare a identificare zone contenenti gas, a valutare il contenuto di argilla e a ottenere informazioni sulla lito- logia. I log neutronici impiegano sorgenti radioattive che emettono neutroni veloci. Grazie all’elevata energia, i neutroni interagiscono con i nuclei della formazione con collisioni prevalentemente di tipo elastico. Nella colli- sione elastica un neutrone cede parte della sua energia cinetica al nucleo, in funzione sia dell’angolo di diffu- sione del neutrone, sia della massa del nucleo colpito. In questo tipo di interazione si possono distinguere tre fasi successive: rallentamento, diffusione termica, cattura.

Nella prima fase, i neutroni che collidono con nuclei

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aventi circa la loro stessa massa perdono energia cinetica in misura notevole, mentre quelli che collidono con nuclei dotati di massa relativamente grande perdono una mino- re quantità di energia. Poiché gli atomi di idrogeno sono gli unici ad avere una massa confrontabile con quella dei neutroni, essi influenzano maggiormente il rallentamen- to di questi ultimi. Nel caso delle rocce, tutte le altre spe- cie atomiche (per es., Ca e Si, la cui massa è rispettiva- mente 40 e 28 volte maggiore rispetto a quella dei neu- troni) assorbono poca energia, anche nei casi di urto frontale. Dopo una serie di urti elastici, l’energia del neu- trone decresce fino al livello epitermico (neutrone epiter- mico) e, a seguito di altre collisioni, raggiunge il livello termico (neutrone termico) nel quale l’energia cinetica del neutrone è paragonabile all’energia termica media posse- duta dai nuclei degli atomi del mezzo, pari a 0,025 eV.

L’assorbimento (o cattura) dei neutroni termici da parte degli atomi della formazione dà luogo a una emissione di raggi g ad alta energia, denominati raggi g di cattura; infat- ti, l’atomo assorbente aumenta di un’unità il proprio peso atomico e, ricevendo energia dal neutrone, la emette sotto forma di raggi g. Poiché la presenza di idrogeno favori- sce la termalizzazione dei neutroni, sia la densità dei neu- troni termici, sia l’intensità dei raggi g emessi possono essere correlate alla concentrazione di idrogeno nella for- mazione. A causa della geometria del sistema di rileva- zione, nelle formazioni ad alto contenuto di idrogeno, i log neutronici rilevano un piccolo numero di neutroni epi- termici, termici e di raggi g di cattura. Viceversa, nelle formazioni a basso contenuto di idrogeno si rileva un mag- gior numero di neutroni epitermici, termici e di raggi g di cattura. Tale numero è inversamente proporzionale al con- tenuto di idrogeno, e quindi alla porosità, essendo la mag- gior parte dell’idrogeno contenuta nei fluidi di strato. Per risalire ai valori di porosità, le sonde neutroniche richie- dono opportune tarature: in particolare, si effettuano regi- strazioni in formazioni la cui porosità è nota; successiva- mente si apportano le tarature per tener conto delle neces- sarie correzioni ambientali legate alle condizioni del foro, al tipo di sonda impiegata e anche all’eventuale presenza di idrogeno associato ai minerali costituenti la matrice. I valori di porosità ottenuti con i log neutronici sono cal- colati nell’ipotesi in cui sia noto il tipo di matrice roccio- sa, satura di acqua o idrocarburi liquidi.

In tema di determinazione indiretta della porosità da log, può essere fatta una considerazione di carattere gene- rale. Se la litologia di una formazione satura di liquido è nota (o può essere ipotizzata con una ragionevole cer- tezza), la lettura dei log di porosità fornisce valori rap- presentativi; quando invece non è nota, o quando è costi- tuita da due o più minerali in proporzioni non note, la determinazione della porosità diventa più incerta. La maggior parte delle formazioni sono costituite da uno o più minerali principali, e possono contenere quantità variabili di minerali argillosi. I valori della porosità fD

e fN(ricavati rispettivamente dai log di densità e dai log neutronici) possono essere espressi in funzione della matrice, della porosità totale, del tipo e della quantità di argilla e di fluidi. La porosità fS(ricavata dai log soni- ci) può essere espressa in funzione della matrice, della porosità primaria, del compattamento, del tipo e della quantità di argilla e di fluidi). Tali risposte sono quindi influenzate in modo diverso dalla porosità, dal tipo di matrice e dalle caratteristiche del fluido, giustificando pertanto le diverse curve registrate. Attraverso un impie- go combinato di queste tre registrazioni, è possibile defi- nire la litologia e la porosità con valori di precisione supe- riore rispetto a quelli che potrebbero essere ottenuti se fosse impiegata ogni singola registrazione. A questo scopo, possono essere utilizzati vari tipi di abachi, a seconda che si considerino matrici costituite da due o più minerali. La stessa tecnica ha molte altre applica- zioni, fra le quali si ricordano l’individuazione della poro- sità secondaria, la localizzazione di strati saturi di gas e la determinazione della litologia.

Log a propagazione elettromagnetica

Il principio di funzionamento dei log a propagazio- ne elettromagnetica è basato sulla misura della costante dielettrica delle rocce. Tale grandezza è funzione del grado di polarizzazione indotto in un mezzo sottoposto a un campo elettrico. La sonda EPT emette onde elet- tromagnetiche in un campo di frequenze prossimo a 1,1 GHz, e permette la misura dell’attenuazione e del tempo di propagazione di un’onda elettromagnetica entro un mezzo poroso. Tale log è utile per la valutazione del volu- me di acqua contenuto in formazione, poiché l’attenua- zione (o perdita di energia) è direttamente correlabile al contenuto in acqua, e quindi alla porosità, se lo strato è saturo di sola acqua. La propagazione di un’onda elet- tromagnetica in mezzi costituiti da materiali diversi, cia- scuno caratterizzato da una propria caratteristica di pro- pagazione e da propri valori della costante dielettrica e della conduttività, è stata studiata sia teoricamente, sia sperimentalmente. Il calcolo della porosità tramite log a propagazione elettromagnetica si effettua con relazioni semplificate del tipo:

tpltpma

f11122ftpwtpma EPT

dove fEPTè la porosità misurata da una sonda EPT, tplè il tempo di propagazione delle onde elettromagnetiche nel mezzo, tpmaè il tempo di propagazione delle onde elettromagnetiche nella matrice, tpwè il tempo di propa- gazione delle onde elettromagnetiche nell’acqua.

Log di risonanza magnetica nucleare

Un ulteriore approccio per la determinazione indi- retta della porosità deriva dall’impiego di log basati sul principio fisico della risonanza magnetica nucleare. Le

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tecniche di misura basate su questo principio, sviluppate prevalentemente in campo medico, hanno aperto nuove possibilità anche nel campo delle misure petrofisiche. I log basati su tali tecniche si avvalgono di principi fisici correlabili alla presenza di fluidi idrogenati; attraverso diverse metodologie di indagine, essi consentono, fra l’al- tro, anche la misura della porosità. Le misure NMR pos- sono essere correlate alla misura del tempo di rilassamento degli atomi di idrogeno (caratterizzati da un valore discre- to del momento magnetico nucleare), proporzionale alla quantità di atomi di idrogeno presenti nel volume inda- gato. Infatti, il rilassamento è causato dall’interazione degli atomi di idrogeno presenti nel fluido che satura il mezzo poroso con la materia circostante. In particolare, se l’ato- mo di idrogeno è circondato da un numero elevato di altri atomi della stessa specie (cioè si trova in un poro di dimen- sioni relativamente grandi), il tempo di rilassamento può essere dell’ordine di qualche centinaio di ms. Se invece le dimensioni del poro sono minori (e quindi l’atomo è maggiormente confinato dalle pareti del poro), il tempo di rilassamento può ridursi di uno o due ordini di gran- dezza. Poiché soltanto l’olio e l’acqua contengono una significativa quantità di idrogeno, l’intensità del segnale acquisito è indicativa del volume dei pori occupati dalla fase liquida. Se la matrice rocciosa non contiene una quan- tità di idrogeno apprezzabile, il segnale proviene essen- zialmente dal fluido associato alla porosità. A questo pro- posito, è bene ricordare che gli idrocarburi gassosi sono difficilmente individuabili con questo tipo di misura, a causa della ridotta quantità di nuclei di idrogeno presenti per unità di volume. Per questo motivo, i log NMR inve- stigano sostanzialmente la porosità interessata dai liquidi idrogenati, per es., acqua e/o idrocarburi liquidi.

Partendo da queste considerazioni è possibile, tra- mite opportune calibrazioni, risalire al valore della poro- sità. Può essere utile notare che la porosità è misurata senza dover ricorrere a sonde che impiegano sorgenti radioattive, come invece avviene per i log di densità o neutronici. Inoltre, questa misurazione è indipendente dalla litologia, poiché non è condizionata dalle proprietà della matrice e non è influenzata dall’acqua legata alle argille. Solitamente, è possibile distinguere l’acqua mobi- le, contenuta nei pori di maggiori dimensioni, da quella capillare (sensibile ai fenomeni di capillarità), fino a distinguere l’acqua immobile legata alle argille e conte- nuta nei pori più piccoli. Confrontando i segnali dei tempi di rilassamento brevi e lunghi, è possibile deter- minare la quantità di fluido mobile contenuta nel mezzo poroso, e quindi il cosiddetto indice di fluido mobile (free fluid index, FFI). Ciò è dovuto al fatto che gli atomi di idrogeno associati alla matrice, o gli atomi relativi all’acqua legata alle argille, possiedono tempi di rilas- samento notevolmente più bassi.

Può essere infine utile ricordare che oltre alla fami- glia di tecniche NMR viste sopra, dette anche spazialmente

non risolte (in quanto non consentono di ricostruire spa- zialmente l’informazione acquisita), o rilassometriche, esiste un’altra famiglia di misure, spazialmente risolte, note come tomografia a risonanza magnetica (magnetic resonance imaging, MRI). Queste ultime sono misure non invasive, che non alterano la struttura interna del mezzo in esame, e forniscono immagini molto dettaglia- te dell’interno di un campione, descrivendone la geome- tria porosa con una notevole risoluzione. Le tecniche tomografiche hanno visto negli ultimi trenta anni un fecon- do trasferimento di idee tra le ricerche svolte in ambito biologico e quelle in campo petrofisico; pertanto oggi, oltre alle applicazioni per gli organismi viventi, si pos- sono ottenere immagini di campioni di roccia saturati di liquidi idrogenati. In particolare, le tecniche MRI sono anche in grado di visualizzare in tempo reale il flusso di due fasi immiscibili all’interno di un mezzo (per es., per simulare fenomeni di spiazzamento bifasico o, in gene- rale, il flusso di acqua e idrocarburi all’interno di un gia- cimento). Le tecniche MRI sono complementari alle ben note tecniche radiografiche, come per es. la tomografia computerizzata a raggi X (XCT), anch’esse ampiamen- te impiegate sia in campo petrofisico sia in campo bio- medico; queste tecniche sono basate sulla misura dei diversi coefficienti di attenuazione della radiazione da parte della materia.

Integrazione tra misure di porosità dirette e indirette

La porosità misurata in laboratorio sulle carote spes- so non coincide con quella stimata tramite log. Le misu- re su carote differiscono dalle stime da log essenzial- mente perché le varie tecniche indagano volumi diversi di mezzo poroso, non necessariamente confrontabili e coincidenti (fig. 5). Poiché log e carote sono le uniche fonti per stimare la porosità delle rocce serbatoio, per ottenere stime attendibili è necessario eseguire una stret- ta integrazione tra i due tipi di misure

Non sempre è possibile definire una tecnica preci- sa per l’integrazione dei dati provenienti dai vari tipi di misure, e perciò è fondamentale chiarire le caratteristi- che e i limiti di ciascuna tecnica d’indagine. In genera- le, si possono ricordare le seguenti regole di base: a) verificare tutti i dati a disposizione ed eliminare quelli ritenuti inaffidabili; b) controllare l’influenza della pres- sione geostatica; c) accertare che i log siano stati accu- ratamente messi in quota; d) confrontare le misure da log e da carote tramite abachi, oppure tramite grafici della porosità da log e da carote in funzione della profon- dità. Molto spesso ciò aiuta a identificare errori siste- matici oppure problemi di interpretazione in particolari sequenze litologiche. In generale, la determinazione della porosità non rappresenta un serio problema, soprattutto quando sono disponibili misure di laboratorio di buona

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qualità. Piuttosto critica è invece la caratterizzazione di giacimenti con litologie complesse, in cui sono disponi- bili solo pochi dati provenienti da carote. Un altro caso critico è costituito dalle formazioni carbonatiche, nelle quali la porosità secondaria può essere talvolta maggio- re della porosità primaria, e molto spesso è quella a cui sono associati idrocarburi in saturazione mobile.

4.1.3 Permeabilità

La permeabilità definisce l’attitudine di un mezzo poro- so a lasciarsi attraversare da un fluido. Essa è una pro- prietà intrinseca del mezzo, indipendente dal fluido impie- gato, che esprime, nel caso di una roccia serbatoio, un’in- dicazione dinamica della capacità produttiva del giacimento. La permeabilità dipende sostanzialmente dagli stessi fattori – anche se diversamente interrelati fra loro – che determinano la porosità (forma, disposizio- ne, dimensione e costipamento dei grani, presenza di cemento o di argilla negli spazi porosi, stato di frattura- zione, ecc.), ed è indipendente dal fluido saturante, nel- l’ipotesi in cui possano essere supposte nulle alcune par- ticolari interazioni tra fluido e roccia. Analogamente alla porosità, è possibile identificare una permeabilità pri- maria, riferita al moto dei fluidi entro lo spazio poroso intergranulare (o della porosità primaria), e una per- meabilità secondaria, tipica del moto entro fratture o spazi vuoti dovuti alla porosità secondaria.

Legge di Darcy

Gli studi condotti da Henry Darcy sul flusso d’ac- qua attraverso filtri sabbiosi (1856) evidenziarono che

la portata d’acqua attraverso un determinato spessore di mezzo filtrante è direttamente proporzionale al carico piezometrico applicato e all’area della sezione di flus- so, e inversamente proporzionale allo spessore del filtro (fig. 6). Henry Darcy notò che mantenendo costante l’a- rea di flusso e lo spessore del filtro, ma cambiando le caratteristiche granulometriche dei materiali costituenti i filtri stessi, si ottenevano portate diverse, e formulò un’espressione empirica (oggi nota come legge di Darcy) che esprimeva la proporzionalità tra gradiente idraulico e portata di un fluido attraverso un mezzo poroso:

h1h2

QKA1123 L

dove Q è la portata, A è l’area della sezione del filtro per- pendicolare al moto, K è la costante di permeabilità, h1, h2sono il carico piezometrico rispettivamente a monte e a valle del mezzo poroso di lunghezza L. In questa for- mulazione, valida per il flusso laminare in condizioni stazionarie di un fluido omogeneo incompressibile che satura completamente i pori, la costante di permeabilità K (nota anche come conducibilità idraulica) è funzione delle caratteristiche del mezzo poroso e di quelle del flui- do (acqua alla temperatura ambiente, in questo caso).

Nell’espressione sopra riportata la conducibilità idrau- lica K ha le dimensioni di una velocità. Studi e speri- mentazioni successive a quelli di Darcy verificarono che tale legge è valida per mezzi porosi artificiali e natu- rali, saturi di qualunque tipo di fluido, sotto le condi- zioni di moto laminare all’interno del mezzo poroso, di fluido con saturazione pari al 100% (moto monofasico) e in assenza di particolari interazioni chimico-fisiche o elettrocinetiche tra fluido e mezzo. Successivamente, negli anni Trenta del 20° sec. (Muskat, 1937), si arrivò

matrice minerali

argillosi

spazi intercristallini tra minerali argillosi volume associato alle argille

pori piccoli pori grandi pori

isolati porosità effettiva

volume utile al flusso acqua

capillare acqua legata alle argille

acqua di struttura

acqua irriducibile

porosità assoluta porosità da sonic log

porosità totale da density log porosità totale da neutron log porosità NMR

legata alle argille

porosità NMR associata ai fluidi

non mobili

porosità NMR associata ai fluidi mobili

fig. 5.Scala di indagine dei principali metodi di misura della porosità in formazioni contenenti frazioni argillose (Cosentino, 2001).

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a formulare la legge di Darcy in una forma indipenden- te dal tipo di fluido; tale forma, detta generalizzata, si ottenne introducendo la viscosità del fluido flussante e il concetto di potenziale di pressione del fluido. Infine, nel 1956 Marion King Hubbert diede una giustificazio- ne teorica di tale legge empirica, riconducendola ai teo- remi fondamentali dell’idrodinamica.

La legge di Darcy lega quindi le variabili che influen- zano il flusso laminare di un fluido omogeneo e mono- fase, che satura completamente il mezzo poroso, ipo- tizzando che non esistano particolari interazioni chimi- co-fisiche o elettrocinetiche con il mezzo stesso. La condizione di flusso laminare indica che la portata può essere considerata come direttamente proporzionale al gradiente del potenziale. La forma più nota di tale legge è la seguente:

k dP dz

us1m



12dsgr 12ds



dove s è la distanza misurata lungo la direzione del flus- so, usè la portata volumetrica per unità di superficie perpendicolare alla direzione di flusso, k è la permea- bilità del mezzo poroso, m è la viscosità del fluido, dP/ds è il gradiente di pressione in direzione s nel punto di

misura di us, g è l’accelerazione di gravità, r è la den- sità del fluido, z è la coordinata verticale, positiva verso il basso. Il segno meno indica che la portata volumetri- ca per unità di superficie usè considerata positiva quan- do è misurata lungo la direzione s, ossia nel verso del gradiente di pressione decrescente. L’analisi delle unità di misura della permeabilità può essere utile per chia- rirne ulteriormente il senso fisico. Nel sistema pratico degli ingegneri, in accordo anche con quanto stabilito dalle norme API (American Petroleum Institute), l’u- nità di misura della permeabilità è il darcy (D), che ha le dimensioni di un’area: 1 D è la permeabilità di un mezzo poroso che consente, in condizioni di moto lami- nare, la portata di 1 cm3·s1di un fluido monofase incom- primibile che satura completamente i pori e avente visco- sità pari a 1 cP (1103Pas), attraverso un’area di 1 cm2perpendicolare al flusso, in seguito all’applicazio- ne di un gradiente di pressione di 1 atmcm1. Ovvia- mente, nel Sistema Internazionale l’unità di misura della permeabilità è il m2, ed è immediato dimostrare che 1 D = 9,871013m2. La permeabilità di un mezzo poro- so completamente saturo di un solo fluido è indipen- dente dalla natura del fluido, e dipende solo dalla natu- ra del mezzo poroso.

Contrariamente alla porosità, la permeabilità è una grandezza vettoriale e come tale dipende dalla direzio- ne lungo cui è misurata. Dal punto di vista applicativo, solitamente si fa riferimento alle sole permeabilità oriz- zontale e verticale. La prima è in generale maggiore della seconda, a causa della forma, della distribuzione e delle dimensioni dei grani che, nelle formazioni naturali, ten- dono a stratificarsi e a sovrapporsi orizzontalmente lungo la parte appiattita (tipico è il caso delle formazioni sedi- mentarie), nonché a disporsi con l’asse maggiore lungo la direzione della corrente di sedimentazione, facendo diminuire la resistenza al passaggio del fluido in questa direzione. Il caso contrario, ossia un alto valore della permeabilità verticale, solitamente si ha quando sono presenti fratture verticali.

Variazioni di permeabilità in funzione del fluido

La validità della legge di Darcy è condizionata dal- l’ipotesi di assenza di interazioni chimiche o chimico- fisiche tra fluido e mezzo poroso. La sperimentazione ha messo in luce che alcuni liquidi possono interagire con il mezzo, alterandone la permeabilità (per es., attra- verso il rigonfiamento dei minerali argillosi, fenome- ni di dissoluzione, di assorbimento o adsorbimento, ecc.). In questo caso, i fenomeni che avvengono all’in- terno del mezzo poroso portano a modificarne sostan- zialmente l’architettura, e la permeabilità finale può esse- re diversa da quella del mezzo poroso originale, salva- guardando la validità della legge di Darcy. Le variazioni

fig. 6.Apparato sperimentale per lo studio del flusso dell’acqua attraverso filtri sabbiosi, così come ideato da Henry Darcy nel 1856.

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