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I titoli di responsabilità per i quali la Struttura sanitaria puo' rispondere del danno conseguente ad intervento chirurgico

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Academic year: 2022

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I titoli di responsabilità per i quali la Struttura sanitaria puo' rispondere del danno conseguente ad intervento chirurgico

In ipotesi di danno conseguente ad intervento chirurgico, la struttura risponde:

1) a titolo di responsabilità contrattuale, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., laddove vengano inadempiute obbligazioni connesse al contratto di spedalità e direttamente a carico dell'ente debitore (assistenza post-operatoria; sicurezza delle attrezzature e degli ambienti; custodia dei pazienti, tenuta della cartella clinica; vitto ed alloggio);

2) a titolo di responsabilità contrattuale per fatto dei dipendenti ovvero degli ausiliari, ex art. 1228 cod. civ., con riferimento all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta dal sanitario;

3) a titolo di responsabilità extracontrattuale laddove, in conseguenza dei propri deficit

organizzativi, sia conseguito al paziente un danno alla salute, autonomamente valutabile ex artt.

2059 cod. civ. e 32 Cost. quale violazione del generale principio del neminemlaedere;

4) a titolo di responsabilità precontrattuale laddove, durante le trattative e prima dell'accettazione, non abbia informato il paziente dello stato di efficienza delle proprie strumentazioni e dotazioni strutturali.

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Trib. Potenza, Sent., 23-11-2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Potenza, in persona del G.M., Dr.ssa Adele Marano ha pronunciato la seguente

(2)

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 127/2006 del R.G.N. avente ad oggetto risarcimento danni, pendente

TRA

F.V., rapp. e dif. dagli Avv.ti Mario Danza e Maurizio Forconi, giusta procura a margine dell'atto di citazione ed elett.te dom.to in Potenza, alla Via Gavioli, n. 17, presso lo studio dell'Avv. Maurizio Forconi;

ATTORE

E

GESTIONE LIQUIDATORIA SOPPRESSA A.P., (già A.U.P.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rapp. e dif., in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall'Avv. Maria Gabriella De Franchi, elett.tedom.ta in Potenza, alla Via Torraca n. 2, presso l'Ufficio legale dell'AZIENDA SANITARIA;

CONVENUTA

NONCHÉ

F.A. SPA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del commissario liquidatore;

CONVENUTO CONTUMACE

(3)

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

La presente motivazione viene redatta ai sensi degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. c.p.c., come novellati dalla L. n. 69 del 2009, in virtù di quanto disposto dall'art. 58, comma 2, l. cit..

1. Questioni preliminari.

In via preliminare va rilevato che, con ordinanza riservata del 10.05.2007 il precedente istruttore ha disposto la riunione al giudizio iscritto al n. 127/2006 R.G.N. di quello successivamente iscritto al n. 2136/2006 R.G.N.

Ancora, in via preliminare, va rilevato che all'udienza del 30.05.2012 il difensore della F.A., E.D.B., in sostituzione dell'Avv. Grieco, dichiarava che la società era stata posta il liquidazione coatta amministrativa, con la conseguenza che il precedente istruttore, dichiarava l'interruzione del processo. Veniva riassunto il processo ad opera di parte attrice e, all'udienza del 24.04.2013, si costituiva la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t., ma non la F.A., nonostante la rituale notifica dell'atto di riassunzione.

Pertanto, va dichiarata la contumacia della la F.A. spa in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del commissario liquidatore.

2. Sulla responsabilità medica.

Una corretta disamina della fattispecie impone un breve excursus delle posizioni assunte, nel corso del tempo, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, al fine di individuare il titolo della responsabilità ascrivibile alla struttura sanitaria ed al medico operante in ipotesi di danni riportati a seguito di intervento chirurgico o in ipotesi di danni riportati a seguito della propria prestazione professionale.

Solo all'esito di tale indagine, infatti, è possibile enucleare e comprendere i principi che "reggono" il sistema della responsabilità medica, cui questo Giudice intende uniformarsi.

2.1. L'evoluzione giurisprudenziale.

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L'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale sviluppatasi con riferimento al tema della responsabilità medica conseguente alla negligente esecuzione di interventi chirurgici ovvero

trattamenti medico-sanitari impone anzitutto di distinguere tra medico dipendente - ovvero, il che è lo stesso, incardinato nell'organizzazione- di una struttura ospedaliera (in senso lato intesa, si badi) o meno.

In tale ultimo caso, infatti, diversamente rispetto a quanto si verifica negli ordinamenti di common law -laddove la responsabilità dell'operatore sanitario viene ricondotta all'ambito dei torts e, quindi, della "nostra" responsabilità extracontrattuale- detta responsabilità ha carattere tipicamente

contrattuale, trovando pacificamente la propria fonte nel contratto di prestazione d'opera professionale concluso tra il paziente ed il medico.

Nel primo caso (che poi è quello che in questa sede interessa, posto che alla stregua delle allegazioni di parte attrice l'intervento fu eseguito in una struttura ospedaliera pubblica e, precisamente l'Ospedale di Villa D'Agri di Potenza), invece, posto che il rapporto negoziale

"diretto" si perfeziona tra il paziente e la struttura in cui l'intervento viene eseguito, le opzioni ricostruttive della fattispecie sono state diverse:

a) alla stregua di una prima -più antica ed ormai superata- impostazione, mentre la responsabilità dell'ente deve ricondursi all'alveo della responsabilità contrattuale, quella dell'operatore sanitario è da collocare nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, con applicazione analogica e

rigidamente letterale delle previsioni contenute nell'art. 2236 cod. civ., in quanto "la ratio di questa norma consiste nella necessità di non mortificare l'iniziativa del professionista nella risoluzione di casi di particolare difficoltà e ricorre, pertanto, indipendentemente dalla qualificazione dell'illecito"

(cfr. Cass., S.U., 6.5.1971, n. 1282, nonché Relazione al codice civile, n. 917). La giustificazione di una simile ricostruzione è da ricercare nella duplice considerazione per cui: a.1) perché si possa avere responsabilità contrattuale occorre l'esistenza di un negozio giuridico modellato sullo schema dell'art. 1321 cod. civ. e, dunque, sullo scambio di proposta ed accettazione mentre, nella prassi, il paziente spesso neppure sa chi sarà l'operatore sanitario che si occuperà del suo caso; a.2) il medico dipende dalla struttura -pubblica o privata che sia- in cui è incardinato e non certamente dal paziente nei confronti del quale rivolge la propria prestazione. D'altra parte, si osserva, una simile

ricostruzione trova il proprio fondamento nell'art. 1228 cod. civ. per cui è chi -e solo chi-

nell'adempimento della propria obbligazione si serve di dipendenti che risponde in via contrattuale nei confronti della controparte, mentre il dipendente (o ausiliario) rimane estraneo al rapporto tra i primi due (cfr. Cass., 24.3.1979, n. 1716);

b) secondo una diversa prospettiva, invece, sviluppatasi all'esito della rilettura che dell'art. 2236 cod. civ. fornì la Corte Costituzionale con la nota sentenza 28.11.1973, n. 166 (in quel frangente la Consulta fu chiamata a pronunziarsi sulla legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 cod. pen.), nonché della mutata interpretazione fornita all'art. 32 Cost. (che da norma di natura programmatica

"divenne" norma precettiva) la responsabilità del medico deve essere necessariamente ampliata, nel senso che: b.1) il "limite" del dolo e della colpa grave contemplato dalla citata disposizione va confinato alle ipotesi di perizia, non essendo lo stesso applicabile ai danni causati da negligenza e/o

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imprudenza (cfr. anche, di recente, Cass., 2.2.2005, n. 2042 e Cass., 5.7.2004, n. 12273): ed infatti, si osserva, posto che nei casi più complessi (quelli in cui la responsabilità si concretizza in presenza del dolo o della colpa grave) la soglia di prudenza e diligenza, al pari di quella della perizia deve essere necessariamente alta (proprio in considerazione della complessità del caso da affrontare), mentre "per la perizia l'indulgenza del magistrato è direttamente proporzionale alla difficoltà del compito, per le altre due forme di colpa ogni giudizio non può che essere improntato a criteri di formale severità"; b.2) la soglia della responsabilità deve essere alzata, adottando criteri

probabilistici di accertamento causale e ponendo, altresì, la distinzione tra interventi di facile esecuzione (o routinari) -in cui, come si è sovente affermato, res ipsaloquitur- ed interventi contraddistinti, a contrario, da un alto grado di difficoltà quale discrimen tra un'obbligazione (oramai) divenuta (sostanzialmente) di risultato ed una rimasta (quale tradizionalmente è quella del medico) di mezzi (cfr., per il primo intervento Cass., 21.12.1978, n. 4161). Anche con riferimento a tali tipologie di interventi, peraltro, l'art. 2236 cod. civ. subisce una rilettura, nel senso che esso trova applicazione soltanto se il caso affidato al medico sia di particolare complessità, siccome non oggetto di studio, non sperimentato ovvero, ancora, perché importa un ampio margine di rischio (cfr. Cass., 11.4.1995, n. 4154; Cass., 19.5.1999, n. 4852; Cass., 28.5.2004, n. 10297); b.3) sia la responsabilità del medico che della struttura sanitaria vanno configurate in termini di responsabilità contrattuale, presentando la propria "radice comune" nel contratto stipulato tra il paziente e la struttura sanitaria medesima (cfr. Cass., 1.3.1988, n. 2144): tale radice comune è stata giustificata ora facendo riferimento all'art. 28 Cost. -per ciò che concerne le strutture pubbliche- ora -con riferimento alle strutture private- alla stipulazione di un contratto a favore di terzi ovvero con effetti protettivi del terzo (da individuare nel paziente);

c) alla luce di una terza impostazione, infine, che ha visto il proprio sbocco nella nota sentenza 22.1.1999, n. 589, confermata dal successivo intervento reso a Sezioni Unite nel corso del 2002 (cfr. Cass., 1.7.2002, n. 9556 nonché, di recente, Cass., 19.4.2006, n. 9085) e sulla quale ci si soffermerà più a lungo infra, ribadito che sia la responsabilità della struttura sanitaria, che quella del medico hanno natura contrattuale, il fondamento precipuo di quest'ultima -con riferimento

all'attività del medico- non va ravvisato nella radice comune di cui si è detto quanto, piuttosto, in

"un'obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto" che si origina grazie al contatto che si instaura tra medico e paziente. In particolare, la Suprema Corte fonda tale conclusione sulla considerazione per cui "la coscienza sociale, prima ancora che l'ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere e cioè il puro rispetto della sfera giuridica di colui che gli si rivolge

fidando nella sua professionalità, ma giustappunto quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l'attività in ogni momento (l'abilitazione all'attività, rilasciatagli

dall'ordinamento, infatti, prescinde dal punto fattuale se detta attività sarà conseguenza di un contratto o meno). In altri termini la prestazione (usando il termine in modo generico) sanitaria del medico nei confronti del paziente non può che essere sempre la stessa, vi sia o meno alla base un contratto d'opera professionale tra i due. Ciò è dovuto al fatto che, trattandosi dell'esercizio di un servizio di pubblica necessità, che non può svolgersi senza una speciale abilitazione dello Stato, da parte di soggetti di cui il "pubblico è obbligato per legge a valersi" (art. 359 c.p.), e quindi

trattandosi di una professione protetta, l'esercizio di detto servizio non può essere diverso a seconda se esista o meno un contratto". Sicché, come si è correttamente osservato, la professionalità

qualifica ab origine l'opera del medico e si traduce, a propria volta, in obblighi di comportamento nei confronti di chi su tale professionalità ha fatto affidamento, entrando in contatto con lui. In altre parole: il medico non è obbligato ad operare ma, se lo fa, ne risponde come se avesse contrattato direttamente con il paziente.

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2.2. La disciplina applicabile. La responsabilità della struttura sanitaria.

L'evoluzione di cui si è detto e che ha infine trovato sbocco nella terza tesi innanzi delineata (responsabilità contrattuale sia del medico che della struttura) rappresenta, invero, il frutto di una mutata sensibilità verso la professione medica: in altre parole -come d'altra parte osservato da attenta dottrina che il divieto contenuto all'art. 118 disp. att. c.p.c. impedisce tuttavia di citare- da un momento in cui "si rifiutava di qualificare come contratto il rapporto tra medico e malato per timore di sminuire la figura del medico...tanto è vero che si negava...la qualifica di controprestazione al compenso che veniva corrisposto al professionista: esso veniva visto piuttosto come una regalia, un omaggio ad honorem...tale impostazione, peraltro era coerente alla medicina del tempo, che era sovente solo palliativa e dalla quale, in fondo, non ci si aspettava nulla, se non quanto ancora ammonisce il vecchio brocardo: primum non nocere" si è passati ad esigere dal medico, al di là delle espressioni di rito, un vero e proprio risultato (basti pensare alla chirurgia estetica ovvero alle protesi dentarie), che va ben al di là della cura diligente. E di tale mutata prospettiva ha dimostrato di essere ben consapevole la Suprema Corte con la richiamata sentenza 589/1999, laddove è

precisato che, riconducendo la responsabilità del medico all'ambito di operatività dell'art. 2043 cod.

civ., "proprio colui che si presenta al paziente come apprestatore di cure all'uopo designato dalla struttura sanitaria, viene considerato come l'autore di un qualsiasi fatto illecito (un quisque). L'esito -si legge ivi-sembra cozzare contro l'esigenza che la forma giuridica sia il più possibile aderente alla realtà materiale".

Orbene, tanto osservato e doverosamente premesso, rileva il Tribunale come la Suprema Corte a Sezioni Unite, con sentenza 1.7.2002, n. 9556 ha -come innanzi anticipato-confermato

l'orientamento alla stregua del quale, in ipotesi di intervento chirurgico non correttamente eseguito, quella della Casa di cura (ovvero dell'ente ospedaliero) è ascrivibile al novero della responsabilità contrattuale per inadempimento dell'obbligazione che la stessa Casa di cura assume, direttamente con i pazienti, di prestare la propria organizzazione aziendale per l'esecuzione dell'intervento richiesto: ed infatti, all'adempimento dell'obbligazione predetta è collegata la rimunerazione della prestazione promessa, in essa incluso anche il costo inteso come rischio dell'esercizio dell'attività di impresa della Casa di cura. In particolare, si è in presenza di un contratto atipico a prestazioni corrispettive (c.d. contratto di spedalità), che si conclude all'atto dell'accettazione del paziente presso la struttura e da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (da parte del paziente, dell'assicuratore ovvero del S.s.n.) insorgono, a carico della struttura sanitaria, accanto a quelli di tipo latusensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico, nonché di apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze (cfr. anche Cass., 14.6.2007, n. 13593, Cass., 26.1.2006, n.

1698; Cass., 13.7.13066, n. 2004; Cass., 8.1.1999, n. 103).

Peraltro, così ricostruita la fattispecie, la struttura certamente risponde, in via contrattuale, non solo delle obbligazioni direttamente poste a proprio carico (servizio alberghiero, attrezzature, etc.), ma anche dell'opera svolta dai propri dipendenti ovvero ausiliari (personale medico e paramedico), secondo lo schema proprio dell'art. 1228 cod. civ.. A tale proposito, peraltro, la Suprema Corte, con la sentenza 8.1.1999, n. 103 (ma cfr. anche, più recentemente, Cass., 22.3.2007, n. 6945),

applicando in ambito sanitario principi già costantemente esposti nell'ordinario ambito contrattuale, ha ulteriormente chiarito -così sgombrando il campo da qualsivoglia dubbio e/o equivoco- che

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rispetto al detto inquadramento dogmatico non rileva la circostanza per cui il medico che eseguì l'intervento chirurgico fosse o meno inquadrato nell'organizzazione aziendale della casa di cura (ovvero dell'ospedale), né che lo stesso fosse stato scelto dal paziente ovvero fosse di sua fiducia (cfr. Cass., 14.6.2007, n. 13593; Cass., 26.1.2006, n. 1698), posto che la prestazione del medico è comunque indispensabile alla casa di cura (ovvero all'ospedale) per adempiere l'obbligazione assunta con il paziente e che, ai fini qualificatori predetti, è sufficiente la sussistenza di un nesso di causalità tra l'opera del suddetto ausiliario e l'obbligo del debitore (cfr. anche Cass. n. 819/1970;

Cass. n. 231/1973; Cass. n. 1855/14909; Cass. n. 5150/1995).

Peraltro, ad ulteriore precisazione di quanto precede ritiene questo Giudicante che il positivo accertamento della responsabilità dell'istituto postula pur sempre la colpa del medico esecutore dell'attività che si assume illecita, non potendo detta responsabilità affermarsi in assenza di colpa, poiché l'art. 1228 presuppone, comunque, un illecito colpevole dell'autore immediato del danno (cfr. anche Cass., 13.3.2007, n. 5846); e che, nella eventuale situazione di incertezza sulla

sussistenza di colpa, della stessa deve giovarsi il creditore-paziente e non certo il debitore-medico (cfr. Cass., 4.3.2004, n. 4400).

A quanto precede, infine, aggiungasi che: a) applicando il principio del concorso o cumulo della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (pacificamente ammesso nel nostro ordinamento.

Cfr., ex plurimis, Cass., 2773/1979; Cass., 4441/1987; Cass., 1855/1989; Cass., 6064/1994; Cass., 9750/1997), la struttura può anche essere chiamata a ristorare il danno extracontrattuale subito dal paziente e connesso al proprio deficit organizzativo. Posto, infatti, che il ristoro di tale specifica voce di danno è connessa alla violazione del diritto alla salute, di spettanza esclusiva del paziente, costituzionalmente sancito e protetto dall'art. 32 Cost., riflesso del principio del neminemlaedere a prescindere dall'eventuale sussistenza di un contratto, va da sé che il "fatto storico" della inadeguata organizzazione dei servizi necessari per la corretta esecuzione delle prestazioni connesse al

contratto di spedalità, oltre ad impedire la corretta esecuzione delle obbligazioni dedotte in contratto è idoneo, di per sé, a menomare la sfera giuridico-personale del paziente e ad integrare una

autonoma voce di danno (cfr. Trib. Brescia, 28.12.2004, in Danno e responsabilità, 8/9 - 2006, 895 ss.); b) può ravvisarsi finanche una responsabilità precontrattuale della struttura, ex art. 1337 cod.

civ., la quale, durante le trattative e prima dell'accettazione, non abbia informato il paziente dello stato di efficienza delle proprie strumentazioni e dotazioni strutturali (arg. da Cass., 30.7.2004, n.

14638), certamente rilevando, al fine di valutare il comportamento della struttura, il ri spetto delle regole imposte dalla legislazione nazionale e regionale in tema di requisiti tecnologici, qualitativi e dimensionali per l'esercizio della professione sanitaria e per l'esecuzione di determinate prestazioni.

Ricapitolando, dunque, in ipotesi di danno conseguente ad intervento chirurgico, la struttura risponde:

1) a titolo di responsabilità contrattuale, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., laddove vengano inadempiute obbligazioni connesse al contratto di spedalità e direttamente a carico dell'ente debitore (assistenza post-operatoria; sicurezza delle attrezzature e degli ambienti; custodia dei pazienti, tenuta della cartella clinica; vitto ed alloggio);

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2) a titolo di responsabilità contrattuale per fatto dei dipendenti ovvero degli ausiliari, ex art. 1228 cod. civ., con riferimento all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta dal sanitario;

3) a titolo di responsabilità extracontrattuale laddove, in conseguenza dei propri deficit

organizzativi, sia conseguito al paziente un danno alla salute, autonomamente valutabile ex artt.

2059 cod. civ. e 32 Cost. quale violazione del generale principio del neminemlaedere;

4) a titolo di responsabilità precontrattuale laddove, durante le trattative e prima dell'accettazione, non abbia informato il paziente dello stato di efficienza delle proprie strumentazioni e dotazioni strutturali.

Infine, nonostante i diversi mutamenti di orientamenti che vi sono stati nel corso degli anni e nonostante l'intervento della c.d. legge Balduzzi, la quale ha fatto scaturire ulteriori incertezze in ordine alla natura della responsabilità del sanitario, è intervenuta di recente la L. n. 24 del 8 marzo 2017, in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonche' in materia di

responsabilita' professionale degli esercenti le professioni sanitarie, la quale all'art. 7 comma 1 ha confermato la natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria, prevedendo che: " La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria

obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorche' non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose".

2.3. Sul riparto dell'onere della prova.

In tema di onere della prova nelle controversie concernenti la responsabilità professionale del medico, la Suprema Corte fin dal 1978 (cfr. Cass., 21.12.1978, n. 6141) ha adottato il principio per cui, allorché l'intervento da cui è derivato il danno non è di difficile esecuzione, la dimostrazione, da parte del paziente, dell'aggravamento della propria situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie è ritenuta idonea a fondare una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o negligente prestazione, spettando al medico fornire la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto ed

imprevedibile.

Simmetricamente, in caso di prova della difficoltà dell'intervento da parte del medico, spetta al paziente allegare dimostrare quali sono state le modalità di esecuzione delle stesso ritenute inidonee.

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Un simile criterio discretivo, al di là delle espressioni formalmente utilizzate, ha finito - seguendo una significativa ricostruzione di attenta dottrina che ancora una volta il divieto posto dall'art. 118 disp. att. c.p.c. impedisce di citare- con il "trasformare l'obbligazione del medico da obbligazione tipicamente di mezzi ad obbligazione di risultato o, piuttosto, come indice dell'affermarsi di una responsabilità tendenzialmente oggettiva".

D'altra parte, di tale mutata natura ha finito con il prendere atto anche la Suprema Corte, la quale (cfr. Cass., 19.5.2004, n. 9471) ha chiarito che "la regola...della facilità dell'intervento e del risultato peggiorativo come presunzione di colpa tout court è risultato il primo passo verso la sostanziale trasformazione dell'obbligazione del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di (quasi) risultato").

Sennonché, detto criterio deve essere necessariamente rivisitato alla luce della nota sentenza a sezioni unite 30.10.2001, n. 13533 in tema di riparto dell'onere della prova in ipotesi di inadempimento ovvero inesatto adempimento di un contratto.

E tale rivisitazione è stata compiuta da un trittico di sentenze pressoché coeve (cfr. Cass.,

19.5.2004, n. 9471; Cass., 28.5.2004, n. 10297; Cass., 21.6.2004, n. 11488) le quali hanno chiarito che, in applicazione dei criteri di ripartizione dell'onere della prova dettati dalle S.U. del 2001, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto ed allegare l'inadempimento del medico, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento.

Con la conclusione che ne discende per cui la distinzione tra interventi di facile esecuzione e prestazioni implicanti la risoluzione di problemi tecnici di particolare complessità non rileva più quale criterio di distribuzione dell'onere della prova, ma deve essere apprezzata per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando in ogni caso a carico del sanitario provare che la prestazione era di particolare difficoltà. Con ciò, peraltro, non si pone a carico del medico una prova negativa di assenza di colpa quanto, piuttosto, si esige dallo stesso la prova positiva della perizia richiesta dall'ars medica.

Insomma: a) il paziente deve provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica ovvero l'insorgenza di nuove malattie, senza dovere sobbarcarsi l'onere di provare specifici e peculiari aspetti di responsabilità professionale; b) il medico ovvero l'ente ospedaliero o la struttura sanitaria ex art. 1228 cod. civ., come nel caso di specie, deve provare che la prestazione fu eseguita in maniera diligente e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (cfr. anche Cass., 18.4.2005, n. 7997).

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2.4. Sul nesso di causalità.

Quanto, ancora, al nesso di causalità tra condotta (del medico ovvero della struttura sanitaria) ed evento (danno riportato all'esito dell'operazione ovvero del trattamento sanitario), la giurisprudenza appare oscillante: nel senso per cui mentre parte di essa opta per l'applicazione, al campo

dell'illecito civile, dei principi elaborati da Cass., S.U. penale, 11.9.2002, n. 30328 - F. (onde il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica- si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca

significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Dunque, l'esistenza del nesso causale non può essere dedotta automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge

statistica, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica), altra parte di essa -più recente e condivisa da questo Giudicante- ritiene di poter ricorrere, nel campo dell'illecito civile, ad un diverso giudizio qualificatorio del nesso eziologico, ravvisandone gli estremi nella regola del "più probabile che non" (cfr., da ultimo, Cass., 16.10.2007, n. 21619).

3. Sul merito.

Quanto precede, dunque, consente di ricostruire con estrema facilità la fattispecie concreta sottoposta al vaglio del Tribunale.

Orbene, esaminando la fattispecie in esame alla luce dei principi innanzi esposti, ritiene questo Tribunale, a fronte delle doglianze mosse in citazione, consistenti nella produzione di un danno in relazione ad un determinato comportamento, non tenuto o tenuto secondo modalità non diligenti (inadempimento-inesatto adempimento) da parte dei sanitari dipendenti dell'ente ospedaliero, di dover affermare la responsabilità dell'ente ospedaliero, non avendo quest'ultimo dato prova dell'esatto e diligente adempimento dei propri sanitari.

Invero, non risulta controverso -e, in ogni caso, si tratta di circostanze documentalmente provate- che: 1) F.V. nella notte tra il 7 e l'8 giugno 2003 fu coinvolto in un sinistro stradale, a seguito del quale riportava grave politrauma; 2) fu trasportato presso l'Ospedale di Villa D'Agri di Potenza e sottoposto ad una serie di accertamenti radiografici; 3) fu sottoposto presso la stessa struttura ospedaliera ad intervento chirurgico al piede sinistro; 4) F.V. presentava, all'esito dell'intervento, una retrazione progressiva delle dita dei piedi, tale da indurre i sanitari a provvedere all'esecuzione di una T.A.C. sulla colonna vertebrale dalla quale emergeva una frattura compieta L4 ...e una frattura dell'arco e processo spinoso di L3; 5) F.V. veniva dimesso in data 25 giugno 2003 e

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trasportato all'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, presso il quale veniva sottoposto ad ulteriore intervento chirurgico per la frattura mielica L4.

Dunque, per ciò che concerne i danni riportati dal V., la parte attrice ha fornito - come richiestole in applicazione dei principi innanzi esposti- la prova della conclusione del contratto con l'Ospedale di Villa D'Agri di Potenza e la prova dell'esistenza della sindrome del cauda-cono terminale da cui è affetto.

La struttura ospedaliera, non ha invece fornito la prova liberatoria richiesta, consistente, come detto, nella dimostrazione della diligente esecuzione della prestazione medica ovvero della riconducibilità degli esiti peggiorativi di cui si è detto ad un evento imprevisto ed imprevedibile.

A tale proposito, al di là di quanto sostenuto dalla convenuta Gestione Liquidatoria nei propri atti e scritti difensivi, la perizia di ufficio disposta dal precedente istruttore e svolta dal PROF.

PASQUALE BIANCHI -ai cui condivisibili rilievi ci si riporta integralmente- ha evidenziato che:

a) "il sig. F.V. non ha ricevuto presso il Presidio Ospedaliero di Villa D'Agri un trattamento

tempestivo in quanto, per la frammentarietà della frattura...Pertanto, il comportamento dei sanitari che ebbero in cura il sig. V. è connotato da profili di imprudenza e negligenza". (cfr. p. 23); b) "la patologia allo stato patita dal sig. V. è data da una paraparesi da esito di frattura vertebrale L3-L4 che rappresenta una conseguenza delle lesioni riportate dal periziando nel sinistro stradale di cui è stato vittima ma che allo stesso tempo è da ascriversi ad un maggior danno dovuto essenzialmente al ritardo con il quale il periziando è stato sottoposto all'intervento chirurgico decompressivo che non è stato eseguito nonostante i 16 giorni di degenza presso il Presidio Ospedaliero di Villa D'Agri"; c) "il maggior danno ascrivibile al comportamento negligente ed imprudente dei sanitari del Presidio Ospedaliero di Villa D'Agri è rappresentato da postumi che configurano un danno biologico ...che può quantificarsi nella misura del 25% con riflessi evidenti sulla capacità lavorativa specifica di grado grave.

Quanto precede, consente di affermare la responsabilità della convenuta Gestione Liquidatoria per l'inesatto adempimento cui è incorso nei confronti del V.; non avendo la struttura ospedaliera fornito la prova liberatoria richiesta.

A conclusioni diverse si giunge, invece, per l'intervento chirurgico di riduzione e sintesi della frattura della caviglia sinistra, a cui è stato sottoposto l'attore, per il quale, secondo la perizia d'ufficio, non si ravvisa alcun profilo di responsabilità a carico dell'Ospedale di Villa D'Agri, essendo stato l'intervento tempestivo ed eseguito in modo conforme alle regole tecniche ed alle norme di prudenza e diligenza (cfr. perizia p. 24).

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Lo stesso dicasi in ordine alla mancata evidenziazione e cura della frattura a carico dell'astragalo destro, la quale nonostante sia stata trattata dopo circa venti giorni dall'incidente, non ha comportato postumi oltre quelli attesi in casi simili senza ritardo del trattamento (cfr. chiarimenti CTU del 18 settembre 2013).

4. Sulla liquidazione dei danni.

Quanto al danno risarcibile ritiene questo Giudice, sulla scorta della sentenza n. 184/86 della Corte Costituzionale, che il danno alla salute (o danno biologico), in quanto consistente nell'alterazione peggiorativa dell'integrità psicofisica del soggetto, costituisca la componente prioritaria del danno alla persona. Lo stesso assorbe le voci elaborate in giurisprudenza -riflettenti la capacità lavorativa generica, il danno alla vita di relazione ed il danno estetico- e va liquidato tenendo conto di una uniformità pecuniaria di base, senza trascurare l'incidenza che la menomazione ha dispiegato sulle attività della vita quotidiana del danneggiato. Il danno alla salute va, pertanto, valutato e risarcito con criteri identici per tutti coloro che si trovano in identiche condizioni, prescindendo quindi da posizioni sociali, professionali, economiche e simili, salva, tuttavia, l'applicazione di correttivi in relazione ad accertate peculiarità del caso concreto. Se è dimostrato che il soggetto ha subito, altresì, ripercussioni sul piano patrimoniale (spese, perdite, mancati utili) anche tale danno va risarcito; ove, infine, il fatto sia inquadrabile in una ipotesi di reato ovvero, più in generale, si sia verificata la lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito, andrà risarcito anche il danno non patrimoniale.

In tal modo resta esclusa ogni duplicazione risarcitoria in quanto il danno alla capacità di reddito è risarcibile solo se vi sia una specifica incidenza della lesione sulla capacità di guadagno del

soggetto. Non viene, cioè, in considerazione il concetto di invalidità incidente sulla capacità lavorativa generica; solo alla dimostrazione dell'incidenza dell'invalidità sulla capacità lavorativa specifica, consegue il risarcimento del danno patrimoniale lamentato.

Alla luce dell'orientamento prospettato, parte attrice, non avendo dimostrato di aver riportato nell'incidente per cui è causa alcuna menomazione specifica alla propria capacità lavorativa (né, d'altra parte, avrebbe potuto fornire una simile prova, trattandosi di uno studente universitario), va risarcita unicamente in relazione al danno alla salute.

Al riguardo, il Consulente Tecnico d'Ufficio (alla pag. 24 della relazione), nel rispondere al quesito n. e) ha evidenziato che "il maggior danno ascrivibile al comportamento negligente ed imprudente dei sanitari...è rappresentato da postumi che configurano un danno biologico...che ....può

quantificarsi nella misura del 25% con riflessi evidenti sulla capacità lavorativa specifica di grado grave".

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Fermo restando quanto precede, si osserva che tale incidenza sia da correlarsi non già alla riduzione della concreta capacità di guadagno, allo stato non dimostrabile neppure in via presuntiva, in

considerazione della giovane età (23 anni) del danneggiato (cfr., all'uopo, Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2005, n. 7097), bensì con riferimento alla maggiore usura psico - fisica cui il danneggiato andrà di certo incontro nello svolgimento di qualsiasi futura attività lavorativa.

Posto, quindi, che l'incidenza dei postumi deve essere considerata non sotto l'aspetto patrimoniale (capacità futura di produzione di reddito), ma in relazione alla maggiore difficoltà (valutata in termini di usura delle condizioni psicofisiche) che il soggetto incontrerà nel mantenere lo stesso livello qualitativo e quantitativo di lavoro che avrebbe avuto ove non si fosse verificato l'evento dannoso, ne consegue che tale ulteriore compromissione della sfera psicofisica deve trovare un adeguato ristoro quale componente del danno non patrimoniale secondo l'accezione unitaria sopra ricordata.

Sul punto, dalla documentazione medica prodotta e dalla consulenza tecnica espletata è risultato che F.V. ha riportato "una paraparesi da esito di frattura vertebrale L3-L4". Il danno subito, ossia la grave patologia allo stato patita dal V.- così come emerge dagli esiti della perizia di ufficio- è "una conseguenza delle lesioni riportate dall'attore nel sinistro stradale di cui è stato vittima, ma allo stesso tempo è da ascriversi ad un maggior danno, dovuto al ritardato intervento chirurgico decompressivo a cui è stato sottoposto l'attore solo dopo 16 giorni di degenza. La frammentarietà della frattura, nonché la dislocazione dei frammenti e la stenosi conseguente del canale vertebrale, necessitava di un tempestivo intervento chirurgico di decompressione e rimozione del frammento osseo incuneato." Pertanto, il maggior danno subito dal V. ha determinato nella parte attrice degli esiti permanenti che correttamente il C.t.u., Dr. PASQUALE BIANCHI, ai cui rilievi può farsi integrale riferimento, ha quantificato in una percentuale del 25%.

Quanto alla individuazione del criterio di liquidazione del danno biologico così individuato, dunque, non potendo trovare applicazione, nel caso di specie, la disciplina di cui alla L. n. 57 del 2001 o al D.Lgs. n. 209 del 2006 (trattandosi di fattispecie in cui non si è in presenza di una cd.

"micropermanente" né di un danno conseguente alla circolazione dei veicoli o natanti), tra le varie soluzioni elaborate dalla giurisprudenza, ritiene questo Giudice di aderire a quell'orientamento (invero maggioritario) che rapporta il c.d. valore punto alla gravità della menomazione ed all'età del soggetto leso, così da offrire un parametro che, da un lato, sia obiettivamente verificabile e,

dall'altro, non escludendo la possibilità di adeguamento al caso concreto, consenta di ricostruire in modo quanto possibile adeguato alla persona offesa il valore umano perduto. In particolare, il riferimento è ai valori individuati nelle Tabelle di liquidazione del danno biologico elaborate dal Tribunale di Milano nel corso del 2014 (ultime tabelle predisposte dal tribunale meneghino e a disposizione di questo Giudice).

Naturalmente, le tabelle di cui si tratta, fondate su una sapiente applicazione del cosiddetto appesantimento del valore suscettibile di essere attribuito al punto tabellare di invalidità, lasciano salva (ed, anzi, addirittura espressamente contemplano) la possibilità di riconoscere percentuali di aumento dei valori medi da esse previste, da utilizzarsi - onde consentire una adeguata

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"personalizzazione" complessiva della liquidazione - laddove il caso concreto, presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare, sia quanto agli aspetti anatomo - funzionali e relazionali sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva.

Alla luce dei rilievi di che precedono e al fine, dunque, di una "personalizzazione" della

liquidazione risarcitoria effettuata, tenuto altresì conto della peculiarità che si tratta di menomazione subita da un giovane di 23 anni, si ritiene giustificato un aumento dei valori medi suddetti (relativi all'invalidità permanente) nella misura percentuale del 34% (così come prevedono le Tabelle di Milano 2014).

Alla stregua dei criteri elaborati dalle dette tabelle, dunque, va dunque riconosciuta a F.V., a titolo di risarcimento danni, la somma ottenuta con il seguente procedimento:

a) si è proceduto a moltiplicare il valore del punto come stabilito per l'invalidità del 25% (Euro 5.213,00) -riconosciuta dal ctu- per il numero di punti di invalidità attribuiti dal consulente, pari a 25, ottenendo in tal modo l'importo di Euro130.325,00. La predetta somma è stata, infine,

moltiplicata per il coefficiente di riduzione per l'età -così come stabilito dalle richiamate tabelle- pari a 0,890 in considerazione dell'età di parte attrice al momento del sinistro (23 anni), ottenendosi la cifra di Euro 115.989,25 da riconoscersi alla parte attrice a titolo di risarcimento del danno biologico da invalidità permanente nella misura del 25%. A tal punto, questo giudicante, in applicazione dei parametri sopra menzionati, aumentati, a titolo di personalizzazione del risarcimento, nella misura del 34% ritiene di determinare il "quantum debeatur" in Euro 155.425,595;

b) in applicazione dei criteri stabiliti dalle richiamate tabelle, poi, l'invalidità temporanea totale, va liquidata in complessivi Euro 25.200,00, somma derivante dalla moltiplicazione dell'importo di Euro 140,00 per il numero di giorni (180) riconosciuto dal nominato CTU;

c) inoltre, sempre in applicazione dei criteri stabiliti dalle richiamate tabelle, poi, l'invalidità temporanea parziale, mediamente valutata al 50%, va liquidata in complessivi Euro 25.200,00 somma derivante dalla moltiplicazione dell'importo di Euro 70,00 per il numero di giorni (360) riconosciuto dal nominato CTU;

d) alla somma complessiva di Euro 205.825,595 va infine aggiunta, quale risarcimento del danno patrimoniale consistente nelle spese sostenute -e le sole documentate- per ridurre i danni riportati in conseguenza del negligente operato dei sanitari quella di Euro 4.000,00.

(15)

Il danno emergente subito da F.V. va dunque liquidato in Euro 209.825,595 totali il cui pagamento, deve porsi a carico della Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t. A tale proposito, per altro verso, in virtù di contratto di assicurazione stipulato dalla AZIENDA S.U. con la F.A. S.P.A., attualmente IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA,

(polizza n. (...)), quest'ultima va condannata a tenere indenne la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t., di tutte le somme che la stessa è tenuta a

corrispondere in favore dell' attore per le causali in commento.

Nella liquidazione del danno causato da illecito civile, in caso di ritardo nell'adempimento, tuttavia, deve altresì tenersi conto del nocumento finanziario (lucro cessante) subito dal soggetto

danneggiato a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovutagli a titolo di risarcimento, la quale se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per

ricavarne un lucro finanziario; tale danno, invero, ben può essere liquidato con la tecnica degli interessi, con la precisazione, tuttavia, che detti interessi non debbono essere calcolati né sulla somma originaria, né su quella rivalutata al momento della liquidazione, dovendo gli stessi

computarsi, piuttosto, o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno, ovvero in base ad un indice di rivalutazione medio (Cfr., ex multis, Cass., S.U., 17.2.1995 n. 1712, nonché Cass., 10.3.2000, n. 2796).

Orbene, per ottenere l'effetto pratico del riconoscimento degli interessi calcolati sulla somma rivalutata in base ad un indice di rivalutazione medio questo Giudicante reputa opportuno ordinare il pagamento in favore di F.V. degli interessi al tasso legale previsto dal codice civile dalla data dell'evento sulla somma liquidata all'attualità pari a Euro 209.825,595, somma che deve essere devalutata, in base agli indici ISTAT, al 8.6.2003 - quale momento dell'evento lesivo- e, quindi, anno per anno, ed a partire dal 8.6.2003 e fino al soddisfo sulla somma di volta in volta risultante dalla rivalutazione di quella sopra precisata, con divieto di anatocismo.

Dal momento della pronunzia della presente sentenza e sino all'effettivo soddisfo, infine, con la trasformazione dell'obbligazione di valore in debito di valuta, dovranno essere corrisposti, sulla somma totale sopra liquidata all'attualità (pari ad Euro 209.825,595), gli ulteriori interessi al tasso legale, ex art. 1282 cod. civ. (cfr., in tal senso, Cass., 3 dicembre 1999 n. 13470; Cass., 21 aprile 1998 n. 4030).

Anche il pagamento di tutte le somme innanzi precisate è da porsi a carico della Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t. ugualmente -sempre in considerazione di quanto supra evidenziato- la F.A. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona del commissario liquidatore (va condannata a tenere indenne la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t., delle somme che questa è tenuta a corrispondere in favore degli attori per le descritte causali.

5. Sulle spese di lite.

(16)

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, tenendo conto della somma attribuita all'attore a titolo di risarcimento dei danni da questo Giudice, piuttosto che a quella domandata, ai sensi dell'art. 5 comma 1 D.M. n. 55 del 2014. In applicazione del medesimo principio sono definitivamente poste a carico della convenuta, Gestione Liquidatoria soppressa A.P., le spese della disposta CTU. Nei rapporti tra la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., e la F.A.

spa in Liquidazione Coatta Amministrativa infine: a) in accoglimento della spiegata domanda di garanzia, la F.A. spa in Liquidazione Coatta Amministrativa deve essere innanzitutto condannata a tenere indenne la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., delle spese che questa è tenuta a

corrispondere in favore dell' attore (ivi incluse quelle della consulenza tecnica di ufficio); b) non si provvede sulle spese di lite non avendo la F.A. spa in Liquidazione Coatta Amministrativa svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

Il Tribunale di Potenza, in persona del G.M., Dr.ssa Adele Marano, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 127/2006 del R.G.N. avente ad oggetto risarcimento danni, pendente tra F.V. -attore- e Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante pro tempore, e la F.A. spa in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del commissario liquidatore- convenuti-ogni contraria istanza disattesa così provvede:

1. accoglie la domanda;

per l'effetto:

2. condanna la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento, in favore di F.V., per le causali di cui in motivazione, del complessivo importo di Euro 209.825.595 , oltre agli interessi al tasso legale previsto dal codice civile dalla data dell'evento sulla somma liquidata all'attualità pari a Euro 209.825,595, somma che deve essere devalutata, in base agli indici ISTAT, al 8.6.2003 - quale momento dell'evento lesivo- e, quindi, anno per anno, ed a partire dal 8.6.2003 e fino al soddisfo sulla somma di volta in volta risultante dalla rivalutazione di quella sopra precisata, con divieto di anatocismo;

3. condanna, altresì, la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento, in favore di F.V., degli ulteriori interessi al saggio legale sull'importo innanzi liquidato sub (...), dalla data del deposito della presente sentenza e fino al soddisfo;

(17)

4. condanna la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t. al pagamento, in favore di F.V., delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi Euro 14.238,00 così suddivisi: Euro 808,00 per esborsi ed Euro 13.430,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali pari al 15%, oltre IVA e CPA, se dovute, come per legge;

5. pone definitivamente a carico della Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t. le spese della c.t.u., già liquidate in favore del nominato consulente d'ufficio con decreto del 8.6.2012, oltre accessori di legge, se dovuti, e provvisoriamente posti, in detta

circostanza, a carico di parte attrice;

6. condanna la F.A. spa in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del commissario liquidatore a tenere indenne la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t., per le causali di cui in motivazione, di tutte le somme che questa è tenuta a corrispondere in favore dell'attore ed indicate ai precedenti punti 2, 3, 4, 5;

7. nulla sulle spese in ordine ai rapporti tra la Gestione Liquidatoria soppressa A.P., in persona del legale rappresentante p.t., e la F.A. spa in Liquidazione Coatta Amministrativa, in persona del commissario liquidatore, non avendo quest'ultima svolto alcuna attività difensiva.

Così deciso in Potenza, il 16 novembre 2017.

Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2017.

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