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Alcune puntualizzazioni in tema di responsabilità degli amministratori di un ente locale. - Judicium

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Academic year: 2022

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(1)

Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano La Corte di Appello di Napoli sezione civile settima (già terza bis) composta dai magistrati:

dott. Giorgio Sensale presidente

dott. Danilo Chieca consigliere

dott. Marco Marinaro giudice ausiliario rel.

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile n. 3872/2011 R.G., di appello contro la sentenza del Tribunale di Ariano Irpino n. 341/2011 pubblicata il 14 luglio 2011 resa nel giudizio rubricato al n. 456/2003 R.G.,

t r a

XXX, nato a XXX, rappresentato e difeso dall'avv. XXX, elettivamente domiciliato, unitamente al suo procuratore, in Napoli;

[parte appellante]

contro

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXX, elettivamente domiciliato, unitamente al suo procuratore, in Napoli;

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXX, elettivamente domiciliato, unitamente al suo procuratore, in Napoli;

RINARO MARCO Emesso Da: ArubaPEC S.p.A. NG CA 3 Serial#: 43ee4fe7ac5ce0d8a7cd366cedf67983 - Firmato Da: DELLA GATTA PIETRA Emesso Da: ArubaPEC S.p.A. NG CA 3 Serial#: 1ab614 NSALE GIORGIO Emesso Da: ArubaPEC S.p.A. NG CA 3 Serial#: 76df680fd94149b91285a35f7a7ee928

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[parti appellate – appellanti incidentali]

e

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXX, elettivamente domiciliato, unitamente al suo procuratore, in Napoli;

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXX, elettivamente domiciliato, unitamente al suo procuratore, in Napoli ;

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXX, elettivamente domiciliato, unitamente al suo procuratore;

XXX, rappresentato e difeso dagli avvocati XXX, elettivamente domiciliato, unitamente ai suoi procuratori, in Napoli;

XXX, rappresentato e difeso dagli avvocati XXX;

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. XXX;

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XXX, rappresentato e difeso da se medesimo ex art. 86 c.p.c.;

[parti appellate]

Conclusioni

All’udienza del 13 luglio 2017 i procuratori delle parti costituite nel riportarsi alle reciproche domande e conclusioni chiedevano di rimettersi la causa in decisione con i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli atti conclusionali.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 16 giugno 2003 (notificato tra il 19 ed il 21 giugno 2003 ai diversi convenuti) il geom. XXX evocava dinanzi al Tribunale di Ariano Irpino XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX, XXX e XXX, nella loro qualità di amministratori del Comune di XXX e premetteva di aver svolto attività professionale nell'interesse del detto ente a seguito di delibere giuntali di conferimento di incarico alle quali non aveva fatto seguito la stipula di un contratto d'opera professionale.

Ciò premesso, concludeva affinché, accertata la sussistenza del diritto al compenso per € 27.204,56 il tribunale condannasse i convenuti al connesso pagamento in ragione del loro coinvolgimento nelle delibere giuntali, con il vincolo di solidarietà; il tutto con il favore delle spese di lite.

Con rispettive comparse di costituzione e risposta, i convenuti si costituivano in giudizio, contestando gli assunti attorei e chiedevano il rigetto della domanda. In particolare, i convenuti XXX e XXX chiamavano in causa l'arch. XXX al fine di essere garantiti in caso di accoglimento dell'azione il quale si costituiva deducendo l'infondatezza della domanda di garanzia.

La causa veniva istruita con la produzione di documenti e l'assunzione di prove orali, oltre che con l’espletamento di C.T.U. contabile.

Con la impugnata sentenza, il tribunale rigettava la domanda principale e compensava per 1/2 le spese di lite condannando l’attore al pagamento della restante metà in favore di ciascuno dei predetti convenuti, spese di lite liquidate per ciascuno complessivamente in € 1.800,00 oltre

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oneri fiscali e previdenziali; veniva rigettata anche la domanda proposta con la chiamata in causa con la condanna del XXX e XXX alle spese in favore di XXX delle spese liquidate in € 3.600,00 oltre oneri fiscali e previdenziali;

le spese di C.T.U. venivano infine poste «a carico di parte soccombente come liquidate in separato decreto».

Con atto di appello notificato il 3-4 ottobre 2011 a tutte le controparti, il geom. XXX proponeva gravame contro la sentenza di prime cure chiedendo la condanna degli originari convenuti, in solido, al pagamento, in suo favore, della somma di €. 7.701,67, a saldo del maggior credito da esso vantato di €. 27.204,56, con gli interessi legali dalla domanda nonché la riforma del capo della sentenza relativo alle spese.

Si costituivano XXX, XXX, XXX e XXX contestando l’appello e chiedendone il rigetto con il favore delle spese di lite.

Si costituivano altresì XXX e XXX i quali proponevano distinte ma eguali impugnazioni in via incidentale chiedendo la riforma del capo della sentenza relativo alla regolamentazione delle spese di lite.

Infine, si costituiva anche XXX inizialmente rimasto contumace («siccome nei suoi confronti nessuna conclusione era stata rassegnata con l’atto di appello principale») alla luce del proposto appello incidentale chiedendone il rigetto con condanna di XXX e XXX alle spese di lite del secondo grado.

All’udienza del 13 luglio 2017 questa Corte tratteneva la causa in decisione, assegnando alle parti i termini ex art. 190 c.p.c. per le comparse conclusionali e per le memorie di replica.

Motivi della decisione

1. – L’appellante principale propone un unico articolato motivo di gravame al fine di ottenere l’integrale riforma della sentenza di prime cure.

1.1. – In particolare, con l’atto di appello si contesta la motivazione adottata dal tribunale il quale - tenuto conto degli accadimenti verificatisi posteriormente all'inizio della lite – esclude la responsabilità degli amministratori del Comune in quanto «l'azione di arricchimento senza causa nei confronti dell'Ente, ex art. 2041 c.c., risulta essere residuale e può essere intrapresa dal creditore solo dopo aver inutilmente esperito l'azione diretta nei confronti degli amministratori che, avendo irritualmente richiesto la

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prestazione, risultano obbligati personalmente.

Quest'ultimo principio, introdotto in maniera rigida ed insuperabile dall'art. 23 del D.Lgs. n. 144/89 poi abrogato, risulta in seguito attenuato e parzialmente riprodotto nell'art. 191 del D.Lgs. n. 267/2000, che limita l'azione diretta nei confronti degli amministratori solo ove gli stessi debbano rispondere di obbligazioni irregolarmente contratte, che non siano riconoscibili dall'Ente a mente della procedura prevista dall'art. 194 del D.Lgs. n. 267/2000 relativa alla contabilizzazione dei debiti fuori bilancio.

Nel caso di specie, l'indagine sulla riconoscibilità o meno del debito risulta superflua, atteso che, nelle more, come pacificamente riconosciuto dalle parti, il Comune di Carife ha corrisposto al geom. XXX, per le prestazioni oggetto di causa, la somma di € 20.711,84.

L'avvenuto pagamento presuppone e configura il riconoscimento del debito e, tale riconoscimento esclude che obbligati nei confronti del professionista possano essere gli amministratori convenuti».

1.2. - E così, posto che alle delibere di conferimento degli incarichi e di approvazione-ratifica degli atti correlati non è seguita la redazione di un contratto d'opera professionale, prescritta ad substantiam (v. Cass. 18 novembre 2008, n. 27406, la quale stabilisce che «il contratto di prestazione d'opera professionale. stipulato da un ente locale col professionista, è nullo sia quando la delibera di conferimento dell'incarico non è accompagnata dall'attestazione della necessaria copertura finanziaria, sia quando sia priva della forma scritta», specificando, in prosieguo, che «di tali due ipotesi di nullità, solo la prima può essere sanata attraverso la ricognizione postuma di debito da parte dell'ente locale»), parte appellante afferma che sia ormai incontestabile che la responsabilità dell'amministratore o funzionario sussista ogni qual volta alla delibera di conferimento dell'incarico non segua la stipula di una convenzione scritta, da cui possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto, con le indispensabili determinazioni da svolgersi e il compenso da corrispondersi.

A conferma del fatto che il geom. XXX aveva facoltà di agire unicamente nei confronti dei singoli amministratori, la difesa dell’appellante deduce che, dato il carattere sussidiario dell'ingiustificato arricchimento, «il giudice, anche d'ufficio, deve accertare che non sussista altra specifica azione, per le restituzioni ovvero per l'indennizzo del pregiudizio subìto, contro lo stesso arricchito o contro altra persona» (v. Cass. 5 agosto 2005, n. 16594; v.

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anche Cass. 28 ottobre 2002, n. 15162, per la quale «è improponibile l'azione sussidiaria di ingiustificato arricchimento contro un ente locale, attesa la possibilità per il privato di esperire (ai sensi dell'art. 23, 4° comma, d.l. 2 marzo 1989 n. 66, convertito in 1. 24 aprile 1989 n. 144) l'azione diretta nei confronti del funzionario che, avendo irritualmente richiesto la prestazione del servizio violando obblighi posti dall'art. 23, 3° comma, è obbligato personalmente a far fronte alle obbligazioni assunte»).

1.3. – Seguono ulteriori censure ed argomentazioni relative anche alla relazione tecnica del C.T.U. rag. XXX ed al recepimento acritico dal parte del tribunale delle sue conclusioni senza aver esaminato le specifiche contestazioni tempestivamente avanzate.

1.4. – Infine, l’appellante rileva che, dopo l'avvio del processo, il lavoro eseguito dal geom. XXX è stato in parte remunerato dal Comune di XXX;

tale circostanza secondo la sua tesi avrebbe potuto, semmai, comportare la declaratoria di parziale cessazione della materia del contendere o, tutt'al più, influire sul regime delle spese la cui compensazione per 1/2, nel caso in esame, produce una conseguenza paradossale, superando l'importo delle stesse la cifra dovuta al professionista, il cui diritto è dimostrato dalle cospicue somme versategli successivamente all'instaurazione della controversia.

2. - Al fine di decidere sull’appello in esame occorre immediatamente rilevare che tutte le delibere adottate dal Comune di XXX con le quali vengono conferiti gli incarichi professionali al geom. XXX contengono in maniera puntuale ed espressa la dichiarazione secondo cui «il responsabile del servizio finanziario ha reso, sulla deliberazione, “attestazione della relativa copertura finanziaria” come prescritto dall’art. 49, comma 1, del T.U.L.O.E.L. nr. 267/2000» (ovvero, ratione temporis, « … come prescritto dall’art. 55, comma 5, della legge 08.06.1990, nr. 143»).

È indiscusso quindi (come si evince dalle copie conformi prodotte in prime cure proprio dal geom. XXX) che le delibere di incarico contengano l'attestazione della copertura contabile resa dal responsabile della ragioneria.

Appare utile precisare che perché il Comune resti giuridicamente vincolato per il pagamento del compenso al professionista per l'opera professionale da lui prestata, è necessario che sussistano tutti i seguenti adempimenti:

1) la delibera di affidamento dell'incarico, che autorizza il sindaco a concludere il relativo contratto; 2) la conclusione di detto contratto

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tra il sindaco ed il professionista in forma scritta; 3) la esistenza di copertura finanziaria (attestata dal responsabile del servizio finanziario), vale a dire la esistenza della imputazione della spesa ad un capitolo di bilancio, che si riferisca all'oggetto della spesa stessa e che presenti la necessaria capienza e ciò al fine di evitare che vengano assunti impegni di spesa eccedenti i limiti della somma stanziata nel relativo capitolo di bilancio (Cass. civ. Sez. II, Ord., 27/03/2008, n. 7966).

D’altronde è stato chiarito che la carenza dell’attestazione della copertura finanziaria, da parte del responsabile del relativo servizio, determina la nullità della delibera, che si estende al contratto di prestazione d'opera professionale, comportando l'esclusione di qualsiasi responsabilità od obbligazione dell'ente pubblico in ordine alle spese assunte senza il suddetto adempimento (Cass. civ. Sez. Unite, 10/06/2005, n. 12195).

Nel caso di specie a ben vedere, ciò che difetta è sicuramente (e soltanto) il contratto scritto e ciò costituisce (in ogni caso) autonoma ragione di nullità.

Non si discute perciò della sussistenza o meno della copertura finanziaria ed appare quindi superfluo esaminare il profilo attinente al riconoscimento da parte del Comune del debito fuori bilancio (del quale peraltro non vi è prova agli atti del processo non potendo attribuirsi in tal senso rilievo all’intervenuto mero pagamento di somme in favore del geom.

XXX). Infatti, come si è già precisato, le delibere sono state assunte – e poi rese esecutive - con l’attestazione del responsabile del servizio finanziario ai sensi dell’art. 49, comma 1, e quindi con l’osservanza dell’art. 191, comma 1, e del richiamato art. 153, comma 5, D.Lgs. 267/2000 (e delle corrispondenti norme vigenti ratione temporis per le delibere assunte prima dell’entrata in vigore del testo unico sull’ ordinamento degli enti locali e, in particolare, l’art.

55, comma 5, L. 142/1990).

Peraltro, la S.C. ha chiarito che la nullità può conseguire dalla sola carenza delle previa attestazione e perciò non è esclusa dal fatto che, in concreto, tale copertura finanziaria sussista, ancorché non previamente attestata (Cass. civ. Sez. I, 14/05/1997, n. 4248).

D’altro canto occorre tenere presente che la delibera di riconoscimento del debito fuori bilancio consente l'azione di indebito arricchimento nei confronti del Comune, azione non consentita in assenza di copertura, e che impone al creditore di agire nei confronti dell'amministratore, funzionario,

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dipendente qualora intenda recuperare la quota che eccede la parte di compenso non riconoscibile (Cass. civ. Sez. II, Ord., 27/03/2008, n. 7966;

Cass. civ. Sez. III, 18/11/2008, n. 27406).

2.1. - Secondo il giudice di primo grado i princìpi che regolano la materia sono i seguenti: a) la pretesa creditoria nei confronti dell’ente non può essere azionata per difetto di forma contrattuale-convenzionale; b) l'azione di arricchimento senza causa nei confronti dell'ente, ex art. 2041 c.c., risulta essere residuale e può essere intrapresa dal creditore solo dopo aver inutilmente esperito l'azione diretta nei confronti degli amministratori che, avendo irritualmente richiesto la prestazione, risultano obbligati personalmente.

Il primo principio appare incontestabile ed anche quello che attiene alla sussidiarietà dell’azione per l’indebito arricchimento nei confronti dell’ente.

Tuttavia, l’azione nei confronti degli amministratori non sempre può essere esperita considerato che la stessa è stata prevista per le sole ipotesi nelle quali non vi è copertura finanziaria preventiva e nemmeno successiva (debito fuori bilancio) e «per la parte non riconoscibile» (art. 191, comma 4, D.Lgs.

267/2000; e per il testo precedentemente vigente, occorre fare riferimento all’art. 35, comma 4, D.Lgs. 77/1995 di analogo contenuto).

Detto principio, introdotto in maniera rigida ed insuperabile originariamente dall’art. 23, comma 4, D.L. 66/1989 (convertito in L.

144/1989, e riprodotto come si è visto nell’art. 35, comma 4, D.Lgs. 77/1995 e poi nel testo unico) prevede quindi che nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni o servizi in violazione dell'obbligo indicato nel comma 3 (che richiede la sussistenza della deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta esecutiva, nonché dell'impegno contabile registrato sul competente capitolo del bilancio di previsione), il rapporto obbligatorio intercorra, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge tra il privato fornitore e l'amministratore o il funzionario che abbiano consentito la fornitura.

Allo stesso tempo la richiamata norma limita però l'azione diretta nei confronti degli amministratori alle sole ipotesi nelle quali gli stessi debbano rispondere di obbligazioni irregolarmente contratte che non siano riconoscibili dall'ente secondo della procedura prevista dall'art. 194 D.Lgs.

267/2000 relativa alla contabilizzazione dei debiti fuori bilancio.

Ma come si è già rilevato, nel caso in esame, il debito fatto valere

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dall’attore in prime cure ed oggi in appello non può e non deve seguire l’iter di cui all’art. 194 D.Lgs. 267/2000 in quanto non si tratta di debiti fuori bilancio sussistendo la copertura finanziaria (delibere giuntali esecutive con attestazione della necessaria copertura); ciò significa evidentemente che non vi è stata violazione degli obblighi per l’assunzione di impegni e per l’

effettuazione di spese di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 D.Lgs. 267/2000, presupposto necessario per consentire l’applicazione del comma 4 del medesimo articolo rendendo direttamente responsabili «l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura».

L’attestazione di copertura finanziaria resa dal responsabile dei servizi di ragioneria in ciascuna delibera giuntale (cfr. art. 153, comma 5, e art. 191, comma 1, D.Lgs. 267/2000) scardina ipso facto l’addotta applicabilità del comma 4 dell’art. 194 D.Lgs. 267/2000 e non consente di chiedere la controprestazione ai soggetti ivi indicati (che sono quelli evocati in giudizio secondo la tesi prospettata dal geom. XXX sin dalla citazione introduttiva).

Appare dunque evidente come nel caso di specie il creditore non possa agire con alcuna azione diretta nei confronti del Comune a causa della nullità derivante dal difetto di forma scritta e tantomeno nei confronti degli amministratori dell’ente in quanto il debito è dotato ab origine della necessaria copertura finanziaria (debito che in corso di giudizio è stato in parte anche saldato dal Comune). Ciò significa che il creditore ha titolo ad agire contro il Comune ex art. 2041 c.c. sussistendo in questo caso il requisito della sussidiarietà, che invece è esclusa quando esista altra azione esperibile non solo contro l'arricchito (in argomento, di recente, Cass. civ. Sez. Unite, 26/05/2015, n. 10798, Cass. civ. Sez. I, Sent., 15/02/2017, n. 4024).

3. – L’appellante principale contesta altresì in via autonoma la liquidazione delle spese in primo grado.

3.1. – Secondo la tesi esposta con l’impugnazione «la circostanza - non prevedibile all'epoca della proposizione della domanda, cristallizzata, questa, con la notifica della citazione e la costituzione dell'istante - che, dopo l'avvio del processo, il lavoro eseguito dal geom. XXX è stato in parte remunerato dal Comune di XXX, avrebbe potuto, semmai, comportare la declaratoria di parziale cessazione della materia del contendere o, tutt'al più, influire sul regime delle spese … la cui compensazione per 1/2, nel caso in esame, produce una conseguenza paradossale, superando l'importo delle stesse la cifra dovuta al professionista, il cui diritto è dimostrato dalle cospicue somme

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versategli successivamente all'instaurazione della controversia».

Ed inoltre si rileva «che, pur non essendo stata sollevata alcuna eccezione concernente il valore da attribuire ai suddetti esborsi, il Giudicante ha, ciononostante, affrontato la questione, sebbene, in base al combinato disposto degli art. 99 e 112 c.p.c., spetti alle parti, e non al giudice, il monopolio in ordine alla determinazione del tema decisionale».

In sede di repliche poi precisa ulteriormente che è dato di fatto incontestato che gli ulteriori pagamenti delle spettanze vantate dal geom.

XXX sono posteriori alla notifica della domanda introduttiva per € 27.204,56 (16 giugno 2003).

Ed invero, a partire dal 23 giugno 2003, è stato emesso il mandato di pagamento n. 446; sono stati inviati con raccomandate a.r. del 21 gennaio 2004 da Banca Apulia due assegni circolari, rispettivamente, di € 2.307,45 e di € 2.365,51; sono stati emessi, per la stessa causale, altri due mandati di pagamento n. 646 del 4 settembre 2003 e n. 713 del 29 settembre 2003 (v.

memoria istruttoria per XXX del 9 luglio 2004).

3.2. – Costituisce principio consolidato quello secondo cui il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite; nel caso di conferma della sentenza impugnata invece la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. civ. Sez. lavoro, 01/06/2016, n. 11423; ma già, Cass. civ. Sez. III Sent., 11/06/2008, n. 15483; Cass. civ. Sez. III, 19/02/2009, n. 4052).

La Suprema Corte infatti ha chiarito da tempo che il potere del giudice d’appello di pronunciarsi d’ufficio sul precedente regolamento relativo alle spese di giudizio e di conseguenza di modificarlo è legittimo soltanto nel caso di riforma della sentenza, in tutto o in parte. In tale circostanza si giustificano, ex lege, i poteri officiosi del giudice di modificare la determinazione delle spese processuali, in ragione del fatto che è mutata la parte soccombente e quindi l’esito della lite; di qui l’automatica caducazione del capo inerente alle spese, secondo quanto previsto dall’art. 336, comma 1, c.p.c. (Cass. civ., 17/04/1984, n. 2495).

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Per contro, qualora vi sia conferma della statuizione di primo grado, non essendo cambiata la posizione finale delle parti nei termini di vittoria e di soccombenza, non vi è ragione per dare spazio ai poteri officiosi del giudice, essendo invece necessario che la parte che ne ha interesse impugni specificamente il capo della sentenza relativa alle spese processuali (Cass. civ.

Sez. VI - 2 Ord., 25/07/2013, n. 18073). L’operato d’ufficio del giudice, infatti, in quest’ultimo caso verrebbe viziato da ultra petizione, ex art 112 c.p.c., non essendo stato proposto alcun appello (anche incidentale) dalla parte che ne aveva interesse, la quale, al contrario, è rimasta acquiescente.

E tale principio resta valido anche quando, come nel caso in esame, venga confermato il solo dispositivo (rigetto della domanda) pur mutando la motivazione in quanto ciò che rileva è il mutamento in concreto dell’«esito complessivo della lite» (Cass. civ. Sez. lavoro, 01/06/2016, n. 11423).

3.3. – Ed in vero l’appellante principale ha proposto autonomo motivo di impugnazione chiedendo la riforma della spese anche a prescindere dall’accoglimento dell’impugnazione della sentenza nel merito.

Ciò emerge non soltanto dalla esposizione dei motivi (pag. 11 dell’atto di appello), ma anche e soprattutto dalle conclusioni ove si chiede di

«accogliere il gravame e, per l'effetto, condannare gli originari convenuti al pagamento, in favore del geom. XXX, con il vincolo della solidarietà, della cifra di € 7.701.67 (€ 6.492,72 + € 1.208,94 a titolo di ritenuta fiscale), a saldo del maggior credito dallo stesso vantato di € 27.204,56, con gli interessi legali ricadenti dalla domanda, fermo restando la riforma del capo relativo alle spese che oblitera il criterio della soccombenza».

Quindi si impugna autonomamente il capo sulle spese in quanto resta ferma la censura sullo stesso in quanto si pone in contrasto con il principio di soccombenza.

3.4. – Ad avviso della Corte il motivo di gravame non appare fondato in quanto vi è soccombenza del geom. XXX che viene confermata anche nel grado di appello.

L’impugnazione sul punto merita quindi di essere rigettata.

4. – I due appelli incidentali - di analogo contenuto - proposti da XXX e XXX mirano ad ottenere che la sentenza di prime cure sia riformata in merito alla statuizione delle spese poste illegittimamente a loro carico ed in favore di XXX.

4.1. - Secondo la tesi esposta nelle impugnazioni incidentali si lamenta

RINARO MARCO Emesso Da: ArubaPEC S.p.A. NG CA 3 Serial#: 43ee4fe7ac5ce0d8a7cd366cedf67983 - Firmato Da: DELLA GATTA PIETRA Emesso Da: ArubaPEC S.p.A. NG CA 3 Serial#: 1ab614 NSALE GIORGIO Emesso Da: ArubaPEC S.p.A. NG CA 3 Serial#: 76df680fd94149b91285a35f7a7ee928

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il fatto che il tribunale avrebbe completamente ignorato le ragioni che avrebbero costretto il XXX e XXX a chiamare in causa XXX e che tale chiamata avrebbe avuto l'effetto di incidere sostanzialmente nel rapporto tra il XXX e XXX.

Si osserva infatti che se da un canto XXX rivendicava la temerarietà della sua chiamata in causa dall’altro corrispondeva a XXX parte della quota del compenso.

Statuizione di condanna sulle spese che si censura quindi come immotivata, contraddittoria e illegittima tenuto conto che il giudicante ha ritenuto soccombente l'attuale appellante XXX nei confronti dei convenuti XXX e XXX.

Per tale motivo si chiede il rigetto dell'appello proposto da XXX ponendo a carico del medesimo le spese del presente giudizio.

4.2. – Contesta gli appelli incidentali XXX il quale osserva che la condanna alle spese è avvenuta come diretta conseguenza del rigetto della loro domanda di garanzia ed in applicazione rigorosa del principio secondo il quale le spese di lite seguono la soccombenza.

XXX e XXX, con il loro appello incidentale, non hanno impugnato la sentenza sul punto che riguarda il rigetto della loro domanda e, ciononostante, pretendono la riforma in tema di spese processuali.

4.3. – Invero, se nel giudizio principale XXX e XXX sono risultati vittoriosi nei confronti di XXX, in relazione alla domanda di garanzia proposta contro XXX – la cui statuizione non è stata oggetto di appello e, quindi, si è formato giudicato interno sulla stessa – sono rimasti soccombenti.

Merita quindi di essere confermato il capo della sentenza nel quale si dispone delle spese nei rapporti tra XXX e XXX nei confronti di XXX.

5. – Infine, si ritiene giustificata, ai sensi dell’art. 92 c.p.c. (nel testo applicabile ai giudizi iniziati prima dell’entrata in vigore della legge 263/2005), l’integrale compensazione delle spese di secondo grado tra tutte le parti del processo.

P. Q. M.

La Corte di Appello di Napoli definitivamente pronunciando così decide:

a) rigetta l’appello principale proposto da XXX;

b) rigetta gli appelli incidentali proposti da XXX e

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c)appello. compensa integralmente tra tutte le parti le spese del grado di

ì deciso il 9 novembre 2017. giudice ausiliario estensore (Marco Marinaro)Il presidente (Giorgio Sensale)

te di Appello di Napoli – sezione civile settima – R.G. 3872/2011Pagina 13 di 13

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