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(2) Digitized by thè Internet Archive in 2017 with funding from Getty Research Institute. https://archive.org/details/carlomagnoazioneOOcoll.

(3) CARLO MAGNO AZIONE. se. RAPPRESENTATA AVANTI. L' ALTEZZA SERENISSIMA. FRANCESCO TERZO nCA DI REGGIO, MODENA. IRANDOLA, cc. cc. cc. Dai Gonyittori del Collegio di Reggio r Anno MDCCLIV.. In Reggio,,per il Vcdrotti, e Davolto. s75+* Co/t ìkf/tza de' St/femrì,.

(4) r -. -3; ; •c.. ' . 4. (. y.

(5) /. ^. V. OvtndQ per fua gran fotte il Collegio introdot¬ to da poco pià di tre anni in ^uefta Città di Reggio non che i [mi principj^ ma ogni fuo felice progtejfo alla fomma Prov¬ videnza ^ ed a* fovrani clementijjimi Aufpicj, e Protezione deir A. V. SereniJJìma ^ era ben giuflo ^ eh" Ei fofpirajfe il fortunatiffimo incontroych* oggi gli viene gra^iofamente concejfo di prefentarle alcun faggio di quello-qualunque fiafi sfitto, che fifr^ avventura fp^efar>fi pfi^a in-sì breve tempo da". /.

(6) da'fmi ConvittoYf ^ éfuali primizie di piante ^ bensì troppo ancor tenere ^ ed immature ^ ma però fempre nate in terre* no fecondato da tanto benefici infiujfi^ e crefciute all* Om* hta favorevole di continue^ e fegnalate munificente. Un tale^ e così doverofo rifiejfo ha dato tutto il coraggio a fpe^ rare alla tenuità dell* offerta benigni(fimo compatimento^ e perdono; an^i tutto quel pregio^ che fe non può avere in fe fie(fa non può però non derivarle ^ foltantoche V A. V.S' fi degni col generofo fuo aggradimento di accoglierla qual c$»> fa y com* è veramente già fua e di riguardare nella mede* fima y fe non altro le fincere umìUJfime intenti^nì y che fi è procurato di efprimere y & appalefare nella jce Ita del Sog* getto y che fervir dehbe di corpo all* Anione prefente col ri* conofcerfi in quello adombrate in qualche parte le tante y e sì luminofe prerogative del provvido y e regale di Lei grand* Animo; onde nel tempo ftefio vengano a rimoftrarfi i fenti^ menti della più ojfequiofa riconofcenzu di quefio Collegio y e ài quella profonda venerazioney con cui implorando anche a fe fiejfi continuati gli effetti della Sovrana di Lei ProteZione y hanno i' alto onore d * inchinarfi profondamente. ,. ,. Deir Altezzct Voftra Serenijfima B.eggio^Jj^. ,. Maggio 1754. VmittJ/ìmi DevctjJJfmi 0][equifjìjfn7i Serifitori ^ e Sudditi i irejìdtnti M Qolleiioy $ del SeminarÌ9t,.

(7) Argomento £r quanto fi frlfe c per dominio j e per ^efta 51 Ivicnaica a fuoi giorni più rifpettevole, c più fe¬ lice quel Carlo Fe de' Franchi, che il fopranoiTìc di Magno acquìftoflì, pure non gli mancaro¬ no cene impiovvife forprcfe, e certi fenfibili col¬ pi di fortuna5 che di qualche peripezia lo minaccialTeio. Cìi fi ammutinarono contro alcuni d* Auftrafia ad infinuazione d’ Ardrado Grande di quel Facfe, sì perchè (A) da Carlo non fi promoveva a cariche alcuno di quella Provincia, dalla quale egli pure aveva tratta Torigi¬ ne; sì perchè (B) aderendo di troppo ai fentimentì della-, feconda fua Moglie Faftrada Donna fuperba, c crudele, erafi dalla fua primiera affabilità) c dolcezza dìftolto. Anche alcun de* fuoi Figli osò per vana ambizìon di dominio di dare orecchio ai configli dì gente malcontenta, c tumuJtuofa, e indifpettito al vedere in trono fratelli minori, tra¬ mò infidie alia vita del Padre ; ma feoperto ottenne poi dai Genitore, troppo tenero per i fuoi figliuoli, facilmente il per¬ dono ; non così accadde ai primi, ad alcuni de’ quali fu tol¬ ta la vita, ad altri furono tratti gli occhi di fronte. Era poi così grande il genio di Carlo alle Scienze, quali fi vuo¬ le, che apprci deire da Albino, detto ancora Alcuino famofo Aftronoino,e gran Filofofo, che fcriifero Alcuni ; avervi egli fempre voluti applicati i fuoi figlj, come li voleva pure inipiegati. (A). L. i.. P4»/. Smil, de reh, gefl, frane * in Vit. Car, M, ihid, , Jean, de Bujìer» Hijìor, Frane, L« 4. n, to, fginart^ itu Wi*,Car,M, ^ aUi,.

(8) piegati In aìtrl lode/oli eferclzj, cJ avercgli aptsrte in Parigi^ ed Ì0 Pavia ftudi©re(A) Univerfità. V'è ancora chi fcrive, che a quefta noftra Patria, dove nell’ Anno 7?7. di noltra Calate (B); fi portò agli otto di Giugno » e fi fermò’alcuni mefi, accordalTe il Privilegio d’ aprir pubbliche Scuole, e formar¬ vi mna fimile Univerfità. (C) Su di quelle notizie fi è fondata P Azione prefente, con la qua¬ le abbiamo voluto fu le nofire Scene riCvegIlare la grata me¬ moria di un Monarca tanto amorevole a quella Patria, e iii^ effo luì rlfcontrare ^ed oh con quahnollro piacere I la Sovrana munifica Henificenza, e clementilììma Protezione di quel gran Principe, che fi è degnato promovere i’ Inllìtuzione di queAo Collegio, e fi degna tuttora d’incoraggire quanti vi fi tro¬ vano Convittori all* efercizio delle Arti più belle, che della Civile ftudiofa Gioventù gli animi vagliono ad adornare.. f 'A ) JÌpud EoTefi, in vìt, CaroF. M, /. 13. «, 5. ( (. B. ). C). Ciw». Sigon, de Regn» Ititi, Lih, 4. An, 787. Sfetisdron» Eafcic, Land, Reg, Lep: Ferrer, Curiof, diferet, Lih, 5% ni ^6» in Statuì, Advocat, Reg, bah e tur :. ^ prifeìi tempùribuP Anno a partu VIginif 7S4. Caroli cognomente M^g*ii llluflrijjima Regii Lepidi Civitas Imperiali munificentia inter estera Gymnajii puhlici in-Jiìiuendi Privilegio decora,, ta fuerit , in eaqus henarum artìum^ cu fcìéntiarum offinium gtnerah fiudium oL efhruerit. PROTESTA Chi Ccrifle: che le parole Fato, Oeffino, ed altre firoili fono mere efprellìoni Po¬ etiche, e non fencimeotì di chi fi profefia, e fi pregia d’ effer Cattolico. ATTO.

(9) ■. »•. fu. ATTOR L CARLO Magno Re de’ Franchi. 5/g. Co/ife Claudio Vallifnert Reggiano ■ Principe di Lettere. Sig. Q norio Giacoma zzi Modenefe Ace ad, di Lettere, e d’Armi.. DROGONEX. i- lui figlj UGO. '. } Sig. Conte Ignazio Caroli Reggiano Accademico d' Armi.. ALBINO Maefiro, e Configlicre del Re. Sig. Vincenzo Pahrizi Modonefe Accad. d* Armi,. RODOLFO Generale dell’ Armi. Sig. Conte Vìtellìano Sahadori di S. Kazjzaro Mantovano Accademico di Lettere.. ARDRADO Signore d’ Auftralìa. Sig. Filippo Giufeppe Marehìfio Torinefe Accademico di Lettere.. ARDERICO lui figlio. Sig. Carlo Belloni di Lodi Accademico di Lettere,.. Paggi del Re. Sig. Giovanni Tofehi Reggiano, Sig, Luigi Croffi del Finale di Modena,. CORO Di Gioventù ftudiofa delle arti cavallcrerchc, Di Forefticrio V Azione fi finge in Parigi» c vuolfi incominciare dal ritorno fattovi da Cario dopo di avere (confitto Defiderio ultimo Re de’ Longobardi, e dalle allegrezze fatte nella Reggia in tai^ occalìone dalla nobile Gioventù, i di cui lodevoli efercizj erano più da Carlo graditi di (Qualunque altro coii« trafegno di omaggio, c di giubilo,. ALL*.

(10) y. ^iÌo>^Ji preparati alcuni lochili Giovanetti per dare moflra al "Re dei proprio profitto , e per applaudire al Lui ritorno ; medefitni fi «nifce il Rrineipe Ugo : fchierati a lato del Trono fianno gli altriFerfonaggi : in faccia fpettatore il Coro de^ Fereflieri • Sono poi li Giovanetti in Jihito Fafiorah di diverfe fogge per fignificare la fince* rìtà dell* anima loro verfo il Monarca» Si figurai che un Pafiorello vinto da genio d* ozio, e di ripofo , Jlaccatofi da* fuoi Compagni ^ fi ritiri fmnando una C&rnamufa, nell* otre della quale gonfio dal fiato fimholeggiafi la vanità degli ozicfi pafiatempi i e prefo di poi dal fonno , folito effetto di pigrizia , fi affìde fu d* un fajfo , e s* addormenta^ Ritrovato da un fuo Compagno , e defiato dal mcdefimo , e ri prefo , ritor¬ na ad unìrfi a coloro ^ che aveva abbandonati i e ripigliando t fttot efsrcìzj i intreccia con ejfi una Danzai dopo la quale balla a fole H Principe in aria ^ ed abito grave» Vedefi intanto un vecchio Faffare at^ tento a coltivare un* odorofo Cedro fimholo di Virtk ^ e di Imniertalitài e diflclto dal fìto-impiego da due Pafforelli , che forfè per ijcbernirlo io invitano a fpìccar fallì y e carole , nel provar fi alle medefime mo¬ flra dapprima ài reflare Ojfefo in un piede , e perciò rifentito fe »c ri-torna alla coltura della fua pianta \ ma , importunato da quelli y fJpiglia il bailo , moftrandoji di loro più agite , e franco , dà a vede» re non ejfervi Imprefa sì ardua , che con V applicazione , e con /abuona volontà non pojfa efeguirfi » Dopo di che quel prima Faflcre ycb erafi dagli altri feparato, in-contrandcfi in un Faftorelh pii* nobile l<r invita a dan-zare : Ojfervalo attentamente nell * attoy che balla-^ e vo¬ lendo, ma non potendo , imitarlo , a lui fi fa folo cagione di rijo» Ri¬ unì f confi finalmente gli altri Fafforif c concbiudcno con una Centradanza ». ATTO.

(11) ATTO PRIMO. SCENA PRIMA. Sala Reale adorna d’ Attrezzi, c di Trofei militari con magnifico Trono, fu cui afiidefi Carlos accanto Sedie per i due Principi. Carloy Drogane^ Ugo, Albino, Rodolfo^ Ardrado, rd Arderico,. Ran Re,permetti,che al tuo piè proflefe Quelle meco Vaffalle, e fide Genti Lor giubilo comun pel tuo ritorao Vengano umili a paisfarti innante. E tu. Signor, cui più del core i moti. Che quei del labbro, è d* aggradir coftume, Qi;efto di fcelti Figlj eletto Scuoio, Gae in paftoreccia fpoglia il più fincero Gaudio deir alma fotte gli occhi augufti Difpiegar s* avvisò, di tua clemenza, Di tuo fovrano aggradimento onora: E fe del tuo favor, de’ guardi tuoi Lor natia fede non li rende indegni. Cari li faccia d’ un tuo Figlio il merto. Che la vaga comparfa a far più eletta ' Non ifdegnò d* unirle ancor fuoi pregi. Padre, e Signor, cui per gli ameni ftud) Tanta il cor punge, e in un per le belle arti Premura, e zel nò non penfaro indarno Quelle tue Genti, che d* ogn* altro incontro,. Alb.. fl. A. Che.

(12) i. ATTO PRIMO.. Che d* ogni fcaltra efprcfsìoo d* omaggio, t)c’ figlj fuoi ti fia veder più in grado L’indole, i genj, e de* lor ftudj il frutto. Io poi, che per quelle arti appien m’ accendo, E più a tue gefta d’ applaudir defio, Penfai, che, ad onta nò, mio Re, ti fora Me col mio fido rimirar tra quelli ..... Car. Anzi che a fdegno a pien diletto, o Figlio, Tornami, ad opre il rimirarti inrefo. Cui pria gli Eroi della Vetulla Grecia , O fu le rive del faraofo Alfeo, O fra gli onor delle Palellre Elee Godean veder fudarc intorno i figlj. Alh. E quaì, Signor, tra quelli ufficj, ed arti Da i Ginnasi dì Marte ufcir non vide La prifca Roma a grandi, ed ardue imprefe Campion per opre, e per faperelllullri ? ^elle lo fpirto di vigor, di le^a Tra duri impegni accrefconsì, che Tempre Faffi di fe maggior; e fciolca 1* alma Dal vincol grave de’ più baiG affetti Alzafi a cole eccelfe, e per rimmenfo Sentier di gloria agii fen corre, e vola. Da tai principi che fperar di quello Tenero Prence ancor, gran Re, non lice? Car^ Così penfario, o nnio fedel, rni giova: E fe al fior primo il frutto un dì rifponda > Di quai gran cofe il cor mi riempie, e allégra Quella, figlio, per te lieta Tperanz-al Profiegui pur; e quanto poi dai Padre Ti s* accordi fperar, in quello* amplelTo Dal paterno mio amor prendine un pegno..

(13) ATTO PRIMO.. j. jir^r. (Ch*. ei pih di te, alio Prence, ancor Io pregi?) Drog. (Fatai dcftijo! e fia m’avanzi in grado Chi feguir miei natali ebbe in gran ìbrtc ? ) Ugo, Troppo, o Padre, m’ onorij e in tua prefenza Qua! mai degna di te poteo dar prova Garzon povero d’arri, e in un d’ingegno? Car. E da mia regia grazia attenda ancora Arderico a* fuoi metti e premio, c palma. ArJf. Merco in me alcun non è; fol la.grand’ ombra> Cbe il tuo Prence fu m: benigno ftende, Faufti dei tuo favor mi volge or gii aftri,. Tale però rendami il Ciel, che fenjpre Grato a tanta clemenza io poi rifponda. Alh, Invitto Re, grande M marca augnilo^ Se di noftra comun coftantc fede Soffrir non fiiegoi un’ altr’ omaggio, un pegno Qiieffi di brando, e di yirtude armati In varie fchiere a finta pugna intenti Prove dar di coraggio invitto, c grande ...... Car. Bada , o miei fidi: piò del vofiro labbro Parlanmi i voftri volti) e queffa gioja, Che il cor v’ inonda, e traboccando intorno La Reggia o* empie, e la Città di gaudio, •Di voflra fè, di voftro aeoor m* accertaFeftofo a ¥oi dalF ardue mie conquide Rendemi il Crei Monarca^ e a tutti Padre^ Qiiefta del Francjo fuol vaila Regina , Le cui fuperbe eccelfe torri agii aftri Ben fanno guerra, e fan terrore al guardo, Liei’or riveggio, e quelle mura, c quelle Contrade amene, cui voi fidi tOgnVora E laie premure, e in un mie leggi empiendo,. A 2..

(14) 4. ATTO PRIMO.. Colle voftre arti onor rendete, e gloria. Guerra altrove a recar da voi mi fvelfi Quindi meco traendo i cari figlj, Che a maneggiar lafciai corona, c feettrì: Là, vè dal fangue de* nemici eftinti Nafcermi vidi intorno allori, c palme: Quelli, che qui reftaro in voi più viva A trattener del Genitor i* immago Tornanmi al feno; cd al mio trono accanto Sedendo entrambo, a quello cor letizia Qual mai daranno, c agli anni miei follievo! Drog, Eccelfo Genitor, tuoi dolci detti Così tutta di fe m* ingornbran 1’ alma, Ch* io più non fo qual mi difciolga il labbro. Grande è ben la mia forte, e fortunata, Poiché d* un Re sì glorìofo al fianco L* arti apparar d* un ver® Prence or pollo. Ugo. Mio Genitor, agli anni tuoi follievo Come imbelle fanciul fia che n* apporti} L* indole vollra, i vollri volti, il vollro Amor degli anni miei m* allieva il pefo, Ed or compenfa quegli acerbi affanni. Che mi ferìan, da voi divelto, il core. Drog. E pur. Signor, te ancor lonran feguìa ^ Fra i tumulti di Marte il nollro affetto. E fe del tuo ritorno accefa brama In fen ci ardéa, nollri penfier non mai Di bramar tregua a tue conquille ofaro. Ugo. Ben rivederti, e fu V augufta mano Bacio imprimer d* affetto, e in^un dì llima Bramai più volte, ma fenz* ombra alcuna Senza alcun di tua gloria infello impaccio.. Alt..

(15) ATTO PRIMO.. I. Alh. Or tua prcfcnza alle raccolte genti Maggior n* accrefee in fen 1* amor, Io zelo* E poiché, invitto Re, fccglicr ti piacque In me il cultor de* giovanili ingegni. Appena io fparfi in lor dell* arti i femi. Che tu. Signor, col tuo benigno fguardo E li fecondi, e germogliar li fai. Che alla giovane età fpronc a grand* opre L’occhio, il genio, e 1* axnor fon del Sovrano. Car. A tua vigile cura, Albin, quel deggio Sì bel piacer , che 1* occhio, e il cor m* allegra. Quello al veder sì colto eletto lluolo. Tu ne folli il cultor, e di tua induftrc Lunga fatica a* tuoi fudor, tuoi mcrti Grado faprò qual fi conviene, e debbe; Il guiderdon dell* opre in chi *1 riceve Bel fuoco accende, in chi 1* offerva ardire, E al donator gloria, ed amor procaccia. Albifl, fedendo al fianco mio, d’avvifo, E di configlio reggerai mìa mente: E Rodolfo, che a me già tante diede » Del Lombardo valor falde riprove. Tra’ Condottier delle nollr* armi aneh* elfo Ben degno Duce, io vò, che ornai s* affida'* E qual. Signor, poteó la tua clemenza Mcrto in me ravvifar, che dir non deggia Del tuo fovran favor opra, ed effetto? Deh modera, o mio Re, li doni tuoi. Se a comparirti ognor non abbia ingrato. Alh. Ed io che dir potrò, Monarca augufio, ^ Se attonito alT onor di tante grazie ..... Cav. Sol mi ferba tua fede, e affai mi rendi..

(16) I?. ATTO PRIMOé. Voi, prodi, intanto il gloriofo ioipcgno Delie voftre arti profeguite, e fia Sempre aperta fu voi mia regia grazia* Dopo il meriggio poi romando al vago Piacer de* voftri marziali aringhi. Vedrò qual v’arda il fen delio di gloria: E fe a voi pur, miei figli, in cale iacoatro Piace dar prova di valor, noi visto. Seguimi, Albino, e tu con lui, Rodolfo. 'Alk Legge Tempre mi fian. Signor, tuoi cenni. SCENA SECONDA. Drogone^ Vgo ^ Ardrado ^ Ardjrìc^ .. Afdu (^7* E*> Signor, come accomunar tuo fpirto. V. A fue foggetre genti il Padre or cerca^ Éd avvilir de* tuoi natali il grado? ) Drog. ( Pur troppo il veggio, amico, e il cor mi fere XJgo, Dimmi, Drogone, intrà le finte pugne T' increfeerà venir rotando il ferro? Drog, Non mai mainerebbe ciò, che piacque al Padre i7go. E tu, Arderìco, che ricolmo il feno Sempre avefii d* amor per le belle arti. Tu, cui più volte tra* Licei virtuce Di trionfale allor le tempia cinfe , Tu^ che de’ pregi tuoi, del tuo bel metto L’ alma appien mi lafciafti ingombra, e calda^ Dì, -mi verrai fido compagno io campo? Ardf. Se da te i* arti ad apparar di Marce, Signor, m’inviti, a grande onor 1* aferivo; Jrfa fe accendi^da me prove di gloria ,.

(17) ATTO PRIMO.. 7. Quella non m* arde in fen, che agli occhi tttoi Tuo amor ti finge virtù illuftre, c degna. Vgo. Nò, eh’ io non parlo in forfè, e fu 1;’ arena Vedrem di noi chi più nel ver incontri. Drogone, amico, vi precedo, e in campo Entrambe afpetto a chiare imprefe, e gtAaàii Ardr. Novo gli agiugnerò fjprone a tali opre. Che più ti faccian fua virtù palcfe. Ugo. De’tuoi configli, de’tuoi detti, Ardrado, 'A fegnalar fue gefta uopo non ave Garzon per fc medefmo e prode, e illuflrc.' Quanto però ti fu cortefe il Cielo,' Cheti feo di tal figlio e ricco, c adorno t Meco venga per poco, e poi fen rieda. Ardr. D’arabo, Signore, a genio tuo difponi. SCENA. TERZA.. Drogoney e Ardrado. Ardr. "XTEdi in giovane età che raro fpirto! £ tu, Signor, che col natal fortifti Alma più grande a Cofe ancor più eccelfc ....T; Dfog- Saprò io pur di mia virtù far pómpa. jlfdr. Ma invendicato fuffri ancor, che in trono Sieda, te eiclufo', chi alli tuoi natali Al tuo valor, ed al tuo chiaro merto ' In fucceflor già diede il Ciel: più a lungo Si ffrir, Signor, noi dei: nè la mia Patria, Da cui tuo Genitor c culla, e fangùe Pur traffe un dì, fenza furor rimira I fuoi d' ogn’ altro al pari illaftrr figlj Dal. V. e.

(18) s. ATTO PRIMO.. Dal Re pofpofti a ftranie geoti, quafi Oggetto in lor d* orrore incontri. £)rog. E pure Io feno al figlio tuo largo fue grazie Versò Carlo fovente; e fol fra tanti Ei poi vii non forti *1 deftino in Corte. Ardr Già ’J fai, che a tua, ed a comun vendetta L* ora, e il luogo a carpir* a quefte inviai Regie paleftre il figlio mio, da lungi Scoprendo allor, che d* Arderico il genio Per le belle arti del Sovran lo fguardo, L* amor, la grazia fu lui volta aria. A chi al Monarca a fuo voler s* appreffa, Agcvol poi r opra compir s’ accorda. E fe a* tuoi cenni il figlio poi ricufi Franco preftar’ e braccio, ed opra? A Carlo Tu ben fai quanta fè lo ftringe, e lega^ Nè temi ancor, che il sì gelofo arcano, E *1 pcofier tuo fvelar gli poffa? Avdf. Eh Prence, Nò, noi temer: palefe appieno al guardo M* è il cor del figlio, c fo quant* ami il Padre. Quando full* alba il mio voler gli efpofi, Turboifi , è ver j ma non fi oppofe, e tacque . O a* fenfi mici verrà, che in fio fi pieghi, O che ad altro fentier 1* arte io rivolga. JDrqg. E qual penfi, che all* uopo aprir ci torni? Ardr, Fedel piò d* uno Aiuolo in pronto all* opra. Signor, m* è fempre: abbominofo, e grave Rendon Carlo alle genti di Faftrada Gli afpri coAumi, e il fervil genio, ond* ei Sinor di vafii Regni, e di Provincie Illuftre.

(19) ATTO PRIMO,. ». ll!u/lre domaroj-, di cruda Donna l’Impero^ « a fue iufinghe, a /uc, Barbare leggi aecomodando aoch’ eflb Penfieri, e voglie, già da quelle or torce, Che da pria caro il fer, dolci maniereJ Di querto aggiungi sì opportuno giorno Il fortunato incontro: il grido fparfo Che fpettacoi di gioja oggi ci qui n’ apre. Dal nativo mio fuol gente a me fida Serz’ ombra alcuna di timor qua traffe; Nell’ alta mitchia de’ più lieti giuochi, Tra ‘1 popol folto, che foventc, e fempre Confusìoo, Icompiglio avvolge, « annoda, E de’ tuoi fidi col valor, col braccio, Facile a noi della vendetta il campo , E a te del trono ci aprirem Ja firada • Drsg- A chiare imprefe , e a machinar gran cofe Pronto dal Crei fortifti ingegno, ed arte. Mio fido Ardrado; ed io te fol ripofo, E tutta al tuo penfier 3’ imprefa appoggio. Di cui non fcarfo il guiderdone attendi. Ardr. fidane pur, Signore, a.mela cura: Tu menti intanto & il volto, e i detti al Padre, E, a fecondar lui genio, in la gran Sala Al Re t’ unifei, e me precedi, ed ivi Cauto ne oiferva dell’ imprefa il cennoj. Va , eh’ è periglio T indugia^r.. Drflg. M’affretto:: Secondi il Ciel noftri difegni : Addk>.. Ardr. Se m’ affi de il deftino , a fuo gran danno, Carlo vedrà, che di fua Reggia indegno Di jftrania gente a fronte in éa ifton nra j. 3. m.

(20) ATTO PRIMO.. IO. Nè che Spofa negarmi alcier dovca — La fua Rotrude. Ah, che più f onte or fento D’ un viMpefo onor; e ho tutte in feno Qiielle, che amor fprcgiato ha Tempre al fianco. Barbare, ulcrici, e languinofe furie. ^. SCENA. QUARTA.. ^. Ardtado, ' e Arderico. Arde, k Lli tuoi cenni ecco n\en torno, o Padre. Ardf, jL^ Dì, la poc’ anzi a te propofta imprefa Avrai di trarre a fin coraggio, e fpirto Arde. Opra qiial fiafi faticofa, e dura, Padre, pur mi prefenta, e me vedrai Ad onta ancor degli anni e faldo, e franco Gir fenza tema a cimentar la morte. Ma fe infame propofta....^ Ardr. Anima vile. Arde. E fia viltà V orrof di colpa, e fia. Ardr. AIrier, non più, eh* ora piatir col Figlio Nè il vuol, nè il fvffre il Padre; e tu il rammenta Quale a* fuoi cenni, a* fuoi decreti, e a quanto Gli piace importi, per te fol fi deggia E fede, ed opra. Ardir. Oh Dio ! Signor, vorrai, Che di^sì atroce error la gloria mia Ne aggravi; e la mia fè finor coftante A macchiar di perfidia il cor mi regga Re di Carlo maggior nò , che alla terra Non mai concefle il Ciel: per luì dovunque ^legnano in pace le belle arti; e a quella R^al.

(21) ATTO PR.IMO.. Il. Regai Cittade per lui fol rirorna L’antico hiftro del valor, de’fiudj; Di quel valor, di quegli ameni ftudj. Che un dì la Grecia, e il fuol Latino ornato; Per lui di noftra Auftralìa a gloria torna. Ardr. Di troppo ancor con sì importune lodi La fofFerenza mia finor ftancafti. Figlio, vo’ morto, e per tua man lo voglio Quel Carlo, quel, cui tanto applaudi, e onori.’ Del mio voler 1' alta cagione afcofa A te cercar non lice. Or fol ti badi. Che mio è il penfier; che il genitor l’impone. Tu, cui fra tanti fol di Patria noftra, Certo non fenza alcun deftin fupremo, Toccò in gran forte le dorate coppe Recar fui defeo a quel Monarca ingrato. Tu, cui più volte degl* ignoti arcani Tra* fuoi ritiri Ei chiamar fuole a parte; Prendi quefto vclen, cien quefto acciaro; gli da un anello^ cd uno jìiì^^ Dell* un , deir altro, come più c’ è in grado, Od all* imprefa qual più torni, e il tempo O *1 permetta, o *1 richieda, ufa, &c adopra. Di quelle gioje, e delle finte pugne L* opportuno viluppo, e delle genti L* accorfa folkt’ apron* ampio il Campo, Ricufi ancora? e al fuol penfofo il guardo,,.,* Arde, Ubbidirò; ma di più bella imprefa E 1* acciaro, c *I velen mi fian miniftri, padre, cangia penfier, o che la morte^ Anzi che al mio Signore infidie io tenda ^ Or mi bevo, o xkI cor m* immergo il ferro* è . Ardr,.

(22) ATTO PRTMa Ardr, Ah Figlio ingfatof-od a' comandi n»?ei Non ardir far cootrafto, o eh* io con quello, r. Ard(> Eccoci, o Padre, il fcn, ferifci. Oh quanto Bella mi fia dalle tue man la nvorfe, Che innòcecitc dal petto « fida, e monda Traggami 1* almalAtdr. Contumace Figlio! ( Sebben feco eove arti ufar mi giovi.) Quell’ acciar, quel velen mi rendi, e lappi. Che all' opra, a cui porger la man rifiuti, Son pih Miotllri in pronto; e tali ancora. Che ftupor ti faria lor nome; e a Carlo Nò d’ evitar il fiio fatai deftino Non fia conceflb. Pria che cada il giorno Vittima lo vedrai del furor giallo Di chì-pofto in non cale e 1’ onte, e tutti Ritornerà fu lui gli oltraggi Tuoi; E fe per vano infruttnofo nome D’ innocenza 5 e per vii timor la mano Air opra grande, ed immorrai non Oendi, Sì , Io vedrai da un fuo medefmo Figlio . .•# ( Sebben, che diffi? ove il furor mi guida 11 grav*€ arcano ad ìfvelar, che in core Giacer devrìa profondamente àfeofo.^ ) Arde. ( Cieli, che afcolto mai! ) Ardr. Su or vanne, ingrato; E a quel tuo Re, che tanto adori, e coli, Svela del Padre ed il penlìero, e i detti. Va pur, lo accendi, ed a catene, e a* morte Dì, ehe mi danni; ed il crudtl Miniftro Ti fa de* fJegni fuoi; 1* uhrice fpada Piantami pur fenza ritegno io leno:.

(23) ATTO PRIMO.. fj. Strappami ’l cor; e in lacerarlo fazra i L’ indegno guardo, c il ibarbaro defia Di voler’anzi il Genitore rcAint'o, ^ ' Che al fuol proftefo un rio Monarca rngiufta. Su, che tardi? Rifolvi, anzi che Aglio, Ircana tigre, e difpietato moftro. jtrde. Ah genitori c de' tuoi giorni a danno Crederai, che per me fi penfi, o parli; Per me,, che t’ aura, e i feofi ,,e la mia forte^ E r età mia, e quanto fon ti deggio? Se tua propofta ricufar m’ è in grado, E il fol peofier d’ orror mi colma , fappi . Che onor, rifpetto, e fèdeltade io-deggio Air autor, fe tu ’l fei, ’o io fen noo anzi Altri ti feofle le Aie furie. Alcuna Ah fe grazia da te fperar m’ è dato. Meglio, Padre, ripenfa, e togli al core Quel fofeo velo, onde il furor 1’ ingombra,' Lafcia ...... ^rdr. Da te configli or non attendo.. SCENA QUINTA. Alèirn, e detti', T) Oichè verfarvì in fen Aie piene grazie ■1 Or fi compiacque il gran Monarca, a voi Mandami annunciator di voftra forte: Tu fra’grandi-del Regno, o Ardrado, affifo Andrai tu pur di fignoril divifa. Di ricco manto.,.c d’ aurea fpada adorno.. Tuo figlio poi, che ancora in Aefca etade Tanta.

(24) 14. ATTO PRIMO.. Tanta di raro fpirto, e valor raro Certa promette, e non vulgar fperanza, ‘ Tra quei pià fidi, che a lui feraprc al fianco , Ma, Arderico,che fai? perchè loTguardo Volgi penfofo a terra, e fcorrer lafci Mal trattenuto in fu del cìglio il pianto ? Alla gioja comun di quello giorno, ' A’nuovi onor, ed alla nuova luce. Onde benigno il mio Sovran t* irradia. Tua meftizia, tuo duol non ben s’ accorda. Ardr. Forfè, Albino, così tuo lieto annunzio Di repente il forprcfe, e il cor gli ftrinfe. Che gli coprì di quel pallore il volto. Lo fai, che a un nuovo, ed improvvifo incontro Ha fue lagrime ancora un pieno gaudio. Alh. E pur più che di gioja or fol d* affanno Quelle lagrime fùe mi fembran figlie . Ard^* Del mio Sovrano a tanto amor, a tanta ClemeTìza queflo cor dubbiofo pavé Di comparire un dì feortefe, e ingrato. Alh. Lungi quefti penfieri, ed a più lieta Speranza ergendo l’alma, ornai difgorrìbra L' importuno timor dal nobil feno. Volge al merìggio i Tuoi defirieri il Sole, £ già s’ appreffa del guerrefeo arringo ^II tempo, o Figlio : ivi da te s’ attende Nova di tua virtude inclita moftra: E ti fovvenga, che al gran Carlo in faccia Qiiefto tuo duo! T ingrata immago aria Di feortefe rifiuto, o di vii tedio Deir ampio dono, onde il mio Re t* onora. Vanne, Signor; elle, fc 1 confente il Ciclo^ Di.

(25) ATTO PRIMO.. 15. D; quel che feorgi, più feren m* avrai.. Alh. Defio d’ oDore il fen t’ avvampi, e tutto L* interno affanno tuo dilegui. Addio. SCENA SESTA. Ardrado y e Arderico. Arde. T L vedi or. Padre, pur qual fu noi volge ■ Benigno il Re fuo largo cor, fuo fguardo. Ardr. Troppo egli tardi al fuo dover ripenfa. Arde, Deh, Genitor, pel tuo sì dolce affetto..... Ardr. Chiudi 1* ingrato labbro, cd a me lafcia Di mie cure il penfier, e ahtuo di Figlio Rifpetrofo dover piega tua mente. SCENA SETTIMA. Arde rico folo.. H Cieli! e come al fuo furor sì Arano, E a quanti feco egli ha compagni all* opra Per me il Padre comun fia che fi tolga? Oltraggio il Genitor, fe il ver difvelo, E a certa morte il mando; e il mio filenzio Tragge fu Carlo poi 1* ultimo eccidio. Ah, gran Padre del Ciel, che de* mortali Facil ti volgi ad afcolrare i voti. Deh il mio Sovran mi ferba, e al Padre mio Svelli dal fen fue furie, e in fin mi dona. Che fenza offefa del paterno affetto Ai Re io póffa afficurar fuoi giorni.. Fine deìV Atto Vr'mo..

(26) CANTATA PRIMA.. F. Qenk dì Defiderh in aria di cruccio^ ff di furore. Urie miniftre alle vendette, €r meco Al guardo altrui nafeofé In quefta s’ entri ingrata Reggia, e fella Di Luì, che a Defidero, Del Longobardo Sangue ultimo Prence, E Scettro tolfe, e Impero. Quà mi traffi con voi Tutto a rifarmi degli oltraggi fuoi. Prendafi il fiero U^urpator di mira, E fi fcaglj fu lui nofira giuil* ira . La nera^ face. Furie fcuotete, E ognor volgete L* ingiufta pace A Carlo in duci , Fulmini, e fcemplo A furia feendano Su *1 fier, fu r empio^ E ornai lo ftendano Eflinto al fuol. La nera ec. D* Ardrardo in cor, già il fo, per voi iTmoi^ Contro di lui fdegno, c furorj c ria CSelofa cura, e ambizìon di Regno A'. daJam.

(27) «7 A danni fuoì, a Tao fatai periglio Agita il feno al Figlio . Della vendetta mia fon quelli i ferai; A maturarne il frutto, £ del Lombardo Regio Sangue tutto A riftorar 1’ onor, la gloria, e il lullro -, Reftavi il meglio ancor. Cittade, e genti, E Reggia, e Trono s* empia D’ orrore, e di tumulto; E il mio nemico d’ afpri ferri avviato, E foggiogato, c vinto Veggafi umile ad implorar mercede. Ma ferapre in van,di chi ’l fconfifle,al piede? Del fuo deftino allora L’ orror, li guai, le pene Scordar tra’ fue catene Forfè il mio Re potrà; E con piacere ogn’ ora Col gaudio ancor fui vifo Al Vincitpr conquifo Più franco infulterà. Del fuo ec. G. ATTO.

(28) ATTO SECONDO. A. SCENA PRIMA. . innanzi Atrio magnifico del reale Palagio, indietro parte della gran Piazza d’ Armi; da un Iato le pubbliche Scuole erette da Carlo; e dalP altro la Paleftra per allevarvi la Gioventii, cd inliruirla neir arti guerrefchcc AlhìnOy 0 Coro di Giovanetti vefiiti alla militate, armati d* Ajìe .. Ali, \T. Aghi figlj, di queft* ampia Cirtade Bella fperanza, e in un delizia, elee li Forfè dal Ciel a mieter palme ujì giorno, . Da poiché oltre il meriggio il fol Tuo coffa Rato volge air occafo, il gran Monarca Qui feorgerà tra poco attento in Voi, Oliale baleni arder, qual lena, e fpirto Pel luminofo gran mefiier dell’ armi. Anzi eh* ei venga , in vago ordin difpofti, Quai le truppe guerriere a pugna accinte, In più fquadre divifi, a fronte a fronte Marcie, c afialci movete, e per voi niuna Delle leggi di Marce a obblio li mande. // Coro de* Giovanetti fa V eferci^io militare coll* afte^ al fine del quale fopr aggiunge il Principe C/go, a cui tutti / inchinano.. V. SCE-.

(29) ATTO SECONDO.. ij. SCEJiA SECONDA. e detti, Ugo.,. Ccpipjsmid;, A voi ; nobil camp© ^ Pria di me voi fecodefte, e il così pronto Voitio fpirro deir Alpia affai mi Ipifga Qpal lia r ardor, ,e J,a prefenza, e il foco,. Alh. T ròppo è bella ^ Sigopr, 1* illullre fo,rte_, Onde il tpo grande Oeniepr gli onora;, Perchè fu quella glorìofa a,reoA SQllccitP penfier gli affretti, ,? pQJ,te,. Vgp.’ Chi loro zei, cb’ è poi t.uo mertP, fia Non ammiri , ed .approye:? c non per anc© JJfogon fi yide.? .che gl’ iocrefea, e gravi A aedre iìote pugne unir fue getta, E fua per altro non yulga.r virtude? Alk. Nò, Prence, noi penfar;: al fianco forfè lQ(.ìà feender lo vedrai del ^r,an Monarca,. Poiché non anche ;il Qeni.tor s’ accoda Piaceroi intanto, Albin, d’ alcun di quetti. Cui ali'’arte del .brando il genio porta , Cimentar la yirtude . A ‘quefto anch’ ip., A quefto genìal nobile ttudio Sovente, Amici, con piacer mi volgo; E fudori febbeo .cotti, x fatiche, Pur lo fenro, che in quel virtù s’ aflSna, E a un bel coraggio s’ ammacftra 1’ alma,. Ali. 'Tutto '.è vero, .Signor, e de’ rupi detti Niun v’ è tra’ noi, qhe :do,o applagda ,al fuoao. Or fe di quetti A ringoiar certame Chiamar ti piace alcun, v’ è, chi dell’ armi, 3.. €.. ■. jEd.

(30) 20. ATTO SECONDO.. Ed alle leggi, ed al fragor s’accende: D’ età più franca altri verran dappoi. Che di ferro, e di feudo armati. Ugo, Or bene Mi fi rechin due brandi: Amici, in voi parte un Paggio. Quanto voftro valor ne pregia il Prence Tanto, e più ancor in fc n’ accrefea, e aumenti. Onde della fua luce, e de’ fuoi raggi Sue genti adorni, e in un rifcaldi, c infiamme. Alb. Oh d’ un Figlio di Carlo incliti fenfi! ritorna il Paggio con due Pajfettiy ano ne porge al Principey e V altro al Gioviney che /* avvan^erà^ Ugo, Chi al cimento verrà ? Alb, Chi più t’ è in grado. Ugo. Quelli^ a cui fpirto, c valor leggo in volto, S* accorti,e meco or qui a pugnar s* apprefti. Alb, E quefti appunto accompagnar più volte In, focofe disfide applaufi, e loda. giuoca il Principe di Spada col detto Giovine. Ugo, Con lor, col Giovili prode, e più poi ceco M’ allegro, Albin,che degli allievi il merco Tutto è del Precettor e pregio, e vanto. Ora a far sì, che il Genitor s’ affretti, Per poi tornar al voftro ftuol, men parco. Alb, E)i quella, onde ci onori, altera forte Eterna in feno ferberem memoria. Poiché d* altronde a noi fen vien Rodolfo , iNiun del guerrefeo uffizio od efea, o parta. Forfè del Re 1’ arrivo a noi recando.. SCE..

(31) ATTO SECONDO. SCENA. 21. TERZA.. Rodolfo y e Alhìm.. R^d.. E marziali giuochi, a* quaì già pronti. i. 3 Qui fuir armi vi fcorgo, oggi la pompa. Per fovrano comando a ognun fi vieta. Ali* Ma, fe pur lice, e la cagion? Rod. L* ignoro; Che i penfier de* Monarchi a' fguardi altrui Sono di facro orror sì pieni arcani. Che il fol cercarli a grande crror s’ afcrive. Quefio ben fo, che di fue fianze ufcendo Con non ufato turbamento in vifo Tra* fdegno, e duol grave il comando impofe. Cui tofio corfi ad annunziar; Intefo Ne fia tra poco, Albin, però; che folo Ne! reai fuo ritiro egli 1* attende. Alb. E che fia mai? pronto al* fuoi cenni io volo. SCENA. QUARTA.. Eodolfs y e Giovanetti.. Rod, X Z Oì quindi intanto anche in si frefca etade. V. A Marte amici, o nel regai Cortile, O defilando vè più fiavi in grado. Ivi per poi s’ attenda Albin, fc alcuno Vi rechi del gran Re nuovo comando. a quefìa ìntima fi ritirano i Giovanetti con ordine militare,. Oh qual mai firanio inforfe avverfo cafo A.

(32) 21. ATTO SECONDO.. A intorbidar di Carlo il gaudio.^ t tutta Di quefto giorno ad eccliffar la gloria ! Ei non avvezzo a paventar le guardie Vuol, eh* io raddoppj alle fue-ilanze, e quafi Muovagli al guardo ognun timor, m* intima^ Che li più fidi , e i più robufii infieme Scelga al comando, e fu lor vegli atrento. Ah qual m’ occupa il cor tetro fofpetco ! SCENA QUINTA. Magnifica Sala corrifppndente a varie Loggia. Carlo ^ s Alhìm^ Car. "F L crederefti, Albin? temer m' è duopo Jl, De* miei più fidi ifteffi: i giofifi miei ' V* è chi cerca troncar., e fin tra'* Figlj Ho ii Traditor, iiè 1 empio , o il fido ancora Di ravviuir m* è dato : e pur tu *1 fai Qual fia per lor mio zel, mio caldo affetto. •Alh. Che mi parli, Signor! (Car, Leggi, e rimira da un foglio ad ’. ilo Icg^e a .chiara voce con ijìupor^^ 'Qual io raccolga da mie glorie il frutto.. Alh. Carlo ,^ infidìa tua vita alcun^ che fido Sinor f apparve: e quefio giorno ifleffo Il fatai .fegnerà iarh.aro .eccejfo . Cauto 4n ognun però cerca ,/* infido.^ E il temi ,ancoT ne' tuoi me defimi Figlj'j Che fido è fol shi feopre i tuoi periglj. .£ che ri ■fembra,. Albini. Aìk.

(33) ATTO SECONOa Alh. Orror agghiaccia • E fe ti colma di timor la mente Chi di fedel portò 1* immago, ah Ancor d*" Albino a paventar t’ aftrìnge Prudenza, e zel. Car. Paventerò.d* ognuno, Ma non di te; nè verrà mai, che infeflo Mi penfi a giorni miei chi me guidando Air alte del faper afeofe fonti Vita mi diè miglior del Padre iftelTo. Alb. Gran Re, tu *1 fai, eh* unqua a mentir non ebbi Ufe le labbra; è la mia fè, tei-giuro, Cofiante, e falda, e fcevra ogn’ or di macchiao Car. In te ripofo, c te mi ftringo al feno, O folo in quello dì conforto, e feudo A* miei varj peniier. Deh di configlio Reggi quell* alma, e *1 tuo Monarca aìfilli l Scruto da ignota man, nelle mie llanze, Fin nel mio defeo era 1’ efeuro foglio: L* Autor che ’l fcrilìe, e chi vel pofe ignoro, Alh* Sire, lebben la man, lo Itile accorto ^ffervafsdo atUntamente, ed efaminando il foglio^, M enti chi fcrifle; al penetrante fguardo Del foglio Autor fembra d' Adrardo il Figlio; E fe più il cerco attento, oh quante in cflo Rifeontro ahimè delle fue antiche note, rendendo il foglio a Cark, Car. E non potea, anzi che in foglio, ei Hello L* Autor non men, che dell’iniqua trama Le ordite fila a me feoprir? Alb. Celarli f orfè ad altrui così fenno T inftrulTce ti.

(34) 24. ATTO SECONDO.. A te, Signor, lo chiama, e tiuci in lui Del volto offerva, e in un dei labbro i moti. O fi paiefa Autor del foglio, e tutto Ad ifvelar 1* aflringi allora, od egli A tue inchiefte fi turba, ed interrotti Incerti fenfi a fue rifpofte accoppia^ Ed oftinato in fuo tacer fi ferma, ' E di lui t* afficura, e niuno, o Sire, Contro tua legge a favellar gli giunga. E poiché ancor temer de* Figlj è duopo, Lor chiudi a te V acceffo. Un tale arrefto Vano degl* empj tornerà il difegno, O il tumulto del cor fui volto ai rei Tra affanno, e duolo, tra pallor chiamando Scoprirà a* fguardi altrui i* interno fallo. Car. Piacemi, Albino, il tuo parer. SCENA SESTA, Rodolfo^ e detti. Car, He rechi ? Rod, V ^ Tutto, mio Re, quanto imponefti empiei ; Scelti fra i fidi, i più agguerriti, e forti Guardan le porte, e le tue regie ftanze. Su lor, fu quanti avvanzeranno, attento Ben veglierà mio zel..,.. Car, Per te fi feorti Al reai mio ritiro occultamente Arderico, e i miei cenni ivi n* attendi. Albin, vien meco. Oh di chi regna quanto Gravi fono le cure, c ognor moietta E* h forte5 che altrui lieta appare! SCE-.

(35) ATTO SECONDO.. 25. SCENA SETTIMA. Redilfo, t di pii Ardradt, Rod. XX Che Arderico osò turbar la pace VX Del gran Monarci, o che indagar da lui Forfè egli brama i fuoi pcriglj: ah troppo Troppo gli è ver, che lo fplendor del crono Dalle vicende dclls incerto cafo Non aflìcura i più famofi Eroi! Ard. Dimmi, Rodolfo, alle, guerrefche prove Qiiefta ella è pur V ora dal Re prefcritta. Rod. L’ era; ma 1’ alma ad improvvife cure' - Il Re poi volfe, e la comun fofpcfe Pompa di qucflo dì . Ardr. Ma donde, amico? Rod, Miller gli è troppo afcofo. E di tuo figlio Darmi, ove fia, faprefti, Ardrado, alcuna Certa contezza? uopo ho di lui. Ardr. Poc' anzi PrelTo al meriggio mi fi tolfe al fianco, Nè più lo vidi. Rod. N’andrò in traccia: addio, SCENA OTTAVA.. D. Ardrado folo.. I quello dì fofpeflde il Re la pompa, E 1’ alma volfe ad improvvife cure ! Che de’ difegni miei fofpetto ia core. D. <^cl.

(36) x6. ATTO SECONDO.. Quel, che fta Tempre de* Monarchi al fianco^ Rio timor, abbia fcoflb? e come? occulti. Ed a me noti folo i congiurati E Patria , e nome, e vefti a ognun mentirò. Forfè Arderico.orror del mio penfiero Tutto a udirlo il cercò.Che coÀui forfè So pel Padre Tuo amor, e nulla temo. Di Drogon dunque fia paventi? Il labbro AI lìlenzio gli altringe amor del trono. Come però. SCENA NONA. Drogom y e Ardrado. Dfog. Odiamo feoperti, Ardrado. Ardr. E donde il fai. Signor? Drog. La già fofpefa Allegrezza comuae, il girar vario. Gli accrefeiuti guerrier, le guardie in Corte Aliai ne fa temer, ne parla aliai. Ardr, Se appena a chi 1’ ordì mia trama è nota. £>rog. Tra quello lluol, che aver dicefti in pronto A feguir tuoi penfier, ah! forfè alcuno Per vii timore violò fua fede. Sempre, il credi, in periglio è un gran fegrcto. Quando a più d’un li raccomanda in guardia. Ardr, Lungi,o Prence,il timor:egual gli ftrioge Non men di Patria, e di vendetta amore. Che facro di lìlenzio il giuramento. Drog. Chi disleale è al fuo Sovrano, ai Ciclo Come ferbar potrà fua fede ? Ardr».

(37) ATTO SECONDO. 17. Ardr. Sempre Più. falda ancor ne* rei configli attienfi. Se non lice anzi dir poi gloria 1’ onte Vendicar della Patria, c al tron la via/ A far più liete le fuc genti, aprirli. Dreg- Nè d’ Arderico ombra ti prende, nota Quando è pure pel Re fua fede, e quando Nel comun turbamento ei fol fu villo , Entrar le regie llanzc, e di lui traccia Con follecita cura or fol Rodolfo Ardr. Ah quai fofpetti in feno,e quale,o Prence,’ Furor mi delli! Entrar del R- le ftanze Egli fi vide, e di lui fot Rodolfo. Drog. Vedilo pur come ferèno in volto .... SCENA DECIMA. Ardericoy e dettiy indi Albino. Ardr.. K. H Figlio ingrato, ah traditor perverfof Quefta è la fè, quello è l’ amor,che rendi A chi vita ti diè? Arde. Ma dove, o Padre, Ti porta il tuo furor? Ardr. Perfido,taci. Drog. ( Infingermi convien.) E quale oltraggio Ti recò il Figlio, che sì accefo in feno. • . • Ardr. Se '1 fapelfi, Signor ! Drog Che rechi, Albino.^ Alb. Del mio Sovrano 1’ alte leggi, c i cenni. Drog. Spiegati pur; quai fian? Alb. Che renda il brando. D *. Tofl®. /.

(38) ATTO SECONDO, ToAo Arderico. Arder. E qual’ n* è il merto mio? Atb. Efamina il tuo cor, cd ei tei dica. Soldati, al contumace il piè, le mani Quls’ aggraviti per voi delle catene. Albini Al regio amor, 1* ingrato Forfè alcun* onta, alcuna ofFefa, e forfè Che potrò dirti, o Ardrado? jirdr- Ah Prence! Drog. (Che fu lui cada il rio fofpetto,c Tombra.^) Ardr, (Appare almen: dell* opportuno inganno Seguir giova 1* incontro.) Ah quali il Cielo, Quali cofe a veder mi guida, e sforza ì Alh, Deftanmi in fen pietà le tue fventure. Ardf, Mio difoner, mio duol, protervo figlio! Arde. Ma prima, Padre,almeno.... Ardr, E parli ancora? Arder, Nè può faperfi, Albin, onde in me cada Di mia forte prefentc il fiero colpo? Alh. Mei chiedi in van,quando il tuo cor tei dice. Ardfé Per quel tenero amor, per quel tuo zelo Con che firingermì al fen qual figlio ognora ... Aìh, 11 mio primiero amor mal mi rammenti, Ch* or per te folo orror mi rende, e feorno. Arde, Deh, Padre, almen . Ardf, Un disleal non odo. Nè più qual figlio lo ravvifo , o il curo. Arder, Prence, fe in cor pietà d* un infehae Drog. Nò, non mi piega: e fdegno foio, ed odio Per te, pel fallo tuo rrf invefte, cd empie.. SCE.

(39) ATTO SECONDOSCENA. ^9. undecima:. Ugo, e detti. Arde, r|^U almen , Signor,che opportun forfè il Ctelo^ i Ad alleviar manda le mie fvcnturc.,... Ugo, Come! Arderico tra’ catene? c il mio Per lui palefe amor, la grazia mia Affidar noi poceo da tanto oltraggio? Di, mio fedel, di quefti indegni ferri Chi ne aggravò le a me sì amiche mani? Arde, Chi men potea nafccrmi in cor; Albino. Al^, L* impofe il Re. Ugo. Ma ia cagion? ,/^rde. Il mio Troppo livido, ahimè, deftin crudele. Qiianto mi angc però, che mia innocenza Così vilmente agli occhi altrui s* afeonda ! Ugo, Nullo r’ opprima il cor timore ingiufto; Che per tc il piede al Genitor. A/^. Non lice, Perdona, o Prence, or prefentarti a Carlo. Ugo. Come! V iogrefTo mi fi vieta al Padre,? A’ guardi miei la^fàccia Tua s* afeonde, E al fuo femipre perirne sì dolce affetto Fia , che- ancor mi.fi neghi elpor rniei fenfi? E d* onde quello, o^ Amici ? c chi poi tanto Avrà d’ opporli a* miei penfieri or core? Alk Finché, Signor, del Re le ftaoze,io.guardo. Indarno tenti al Genitor 1’ agceflo. Ugo. Che ardir ? la via qu^fto non vii mio brando Tra’ più faldi ritegni aprirmi a un tratto..,. Ardr, Frena, Signor, cen .prego, tuoi trafporti.. Ugo.

(40) JO. ATTO SECONDO.. Ugo. Io qui da te legge non fofFro . JDrog, Incauto Sdegno, o German, nè rio furor t* accicchi. Ugo. Troppo contro d*un Prence Albin n* abufa. Alh. Tel vieta il Genitor; che lungi entrambo Vuol dal paterno guardo i figlj fuoi. Dro. Me egual divieto ancora aftriiige, e grava? Ah profonda febbenc al cor mi porci Piaga, e dolor, pur riverente, c umile La man, lo ftral, che fere, adoro, e bacio . Ugo. Che di*tu maiDeh meglio, Albin,ti fpiega. Stendefi ad ambo il regai cenno, ed ambo Nella voftra magion riftringe, c niuno Di colà volga altrove ardito il piede. Ugo. Son fuor di me per il furor. Drog. ( Ardrado, E noi difs* io ? ) ( Nulla, Signor, t' ingombri Spavento il cor; che del German lo fdegno^. Ed il furor volge fu lui le aecufe; Tu ftupor fingi, e di pietà lui prega. ) Drog- Ah! per un Figlio rifpettofo, e grato Troppo dì tal deftìno è grave il pelo. Albin, al Padre mio, ten prego, efponi II mìo pianto, il mio duol, mia atroce pena* Deiìagli, Amico, in fen pietà pe* Figlj, Pietà per me, che dal fuo volto in bando Portar mi fento a cruda morte in braccio. Ma, Cieli ! E qual poteó mio fallo il fuo S) dolce amor volgere a tanto fdegno? ' Alk Di più fvelarmi al mio Signor non piacque. Il mìa pronto «bbidìr niio cor gU icopra. parie.^ Vgo..

(41) ATTO SECONDO.. }i. JOp. Dì nìuft grave delitto, onde mi celi 11 Gcnitor fua faccia, il cor mi punge O cruda rimembranza , o giufto fcorno . Tu però, Albin, al mio Signor rammenta, Che troppo oltraggia,e opprime, ahimè, la pena,' Di cui niuno in fe merto il cor rifcontri. Ed al mio fe s’ accorda il tuo deftino, ad Arde. £ te pur gloria, ed innocenza onora, Or di quelli tuoi tuoi lacci, o dolce Amico, Nulla ti caglia, e del mio amor ti fida. parte. Arde. Prence, in te fol la mia fperanza ha vita. Poiché mia forte il Padre mio non cura. Ardf. Sgrava tua colpa, e ti fon Padre amante. Arde, Mia virtù, mia innocenza appien palefe T* è pur, Signor, e ancor mi pungi, e ancora ... •. Ardf, Sol tue catene mi fon note: agli occhi Del mio Sovrano tu già reo, d’ un* empio Cercar potrai, che difenfor mi faccia? parte. Alh, Guardie, di quefta Reggia in parte il tratte. Ove niun giunga a favellargli, e dove Della reai fcntenza il colpo attenda. parte. Arde, Oh Ciel! Che fia di me? Tu 1 fai, che intatta Sempre ferbai mia fede: ah de* miei cafi Scorgi in meglio il fucceflo, od in me tutta Ornai fi sfoghi quella ingiiifta forte, Che del mio Re bieca gli onor mirando. Le rare gefta, cd il valor fublime, D’ un tanto Eroe, fpogliar la terra or cerca. Di fuddito così, di figlio infieme Col Re, col Padre mia pietà, mia fede Appien vantar potrei colante, e grata,.. Fine deli’ Atto Se (ondo..

(42) CANTATA SECONDA. 'dento di Carlo in aria malenconìca^. E. H favor della fortuna Come lampo paffaggero, Che tra notte cieca, e bruna Additar fembra il fentiero All* afflitto Pellegrino Del cammino, che perdè. Ma così gli abbaglia il guardo. Che fuggendo di repente Cor gli turba, e Iena, e mente. Onde poi ftordito, e tardo Al periglio volge errando Arrifchiando incauto il piè. È* il favor cc. Tant*è; non ben fi fida Uom, che pregia virtude all’ empia,,e infida. Chi pih pocea falda, e collante ovunque Penfarla a’ merci Tuoi del mio gran Carlo Io, cui Io diede il fommo Giove in cura , Unqua il firnil non vidi Monarca per faper, per opre illuftre : Delle fue palme all* ombra Meco liete fedean Virtude, e gloria; E pur la forte avverfa Del rio livore altrui Meta a più Arali ora 1* addita, c il fegtia ; V* è.

(43) 3Ì Y* h chi tmiiulti, e fcflonk difegna; E i Tei penfieri, e T opre Mentre V infida fvcla. Il traditor poi copre; E a quefto Regno intanto Chi fa qunl fi prepari c lutto, e pianto? Padre del Ciel, tuo dono E’ quel Sovran sì prode, Che in quefto eccelfo Trono Mandafti a noi cuftode Di fè, di gloria, e onor: Deh quefto don difendi ; Sul Campion dtegno, e forte Il tuo gran braccio ftendi; E deir avverfa forte Lo togli al rio furor.. Padre ec.. E. ATTO.

(44) atto terzo SCÈNA PRIMA. Camere reali. Carlo, e Albino. Car. X^Unque a quanto per me loro chiedcfti ■ I ^ A te nulla fcoprir gl’ingrati Aìb. Quali arti non oprai 1’ afcofa trama Per lor cavar dal fen.^ Di tua clemenza. Del tuo perdon farli fio certi ofai, E pari in ambo era il filenzio, e fermo. Car. Che a celar Aio pènfier d’ Ardrado il figlio D’ eflì tal’ abbia infinto error ? Alb. Lo tenta In van colui, che fuo pallor, fuoi vaq Ambigui fenfi han già fcoperto affai. De regi figlj poi 1’ amore, e il foco Per Arderico ah qual timor mi defta ! Car. Perfidi, a morte.febben quello ancora Di paterna pietade ultimo sforzo Tentar mi giova. Da lor cerchi il Padre, Non il Giudice già, gli afeofti arcani. Albin, li chiama, e a me li guida entrambe. 'Alb. Se poi niun vinto a tanto amor fi rende. Traggali a morte il prigionier; o cade L’ ofiinaro filenzio a quella in faccia, O dal tinior prefi d’ cgual deflino ,Tornan pentiti al fen paterno i figlj. Car..

(45) ATTO TERZO. Car» Che ciò fol d* effi il Cielo avveri or bramo . Del teucro mio amor 1* arti, e gli sforzi Vengar>o all* opra, e a* figlj miei dal feno Svellan col pentimento ancor la frode* Ma, fe feorteù poi, fe contumaci Rendano ingrati a mia pietà rifiuto, Vendetta allor, rigor, giuftizia atroce,*^.: Balla, fo che farò. Ah qual triftezza A mia prefenza gli accompagna,e ingombra! Vengami in fu le labbra il cor di Padre, E tutta pieghi lor durezza, evinca. SCENA SECONDA. Droganey Ugo, Albino, e dmo. Aìb.. Cco, Sire, a* tuoi cenni i figlj tuoi. i {"Al fol vederlo un* alto orror mi cerca.) Car. A quefto fen venite, o figlj; e pria, Ch* odio vi porti a trapaffàrlo, i moti Del cor, del mio paterno cor fentite. Che palpita per voi; per voi fol vìve. T>Yog> (Oh Ciel, che detti!) Ugo, E che. Signor, ci parli? Mordace forfè rio veleno, e fdegno Credi, che poffa in petto a’ figlj tuoi Serpeggiar contro un Re, contro d* un Padre? Ah fe di tal penfiero. Drog, E quale, o Padre, Qual ria cagione a tanto enorme fallo Spinger potria delli tuoi Figlj il core? Cat\ Che indovinar potrei? So ben,che fempre 1. E ^. Ugual.

(46) 36. ATTO TERZO*. Ugual per voi m* arfe V affetto in fcao; Od a quello Emisfero il Sol portaflfc, O ne volgeffe air altro il corfo, i primi Penfier di Carlo, ed i pcnfieri eftremi Furongli Tempre i Figlj. E che per voi Non oprò V amor mio? fra quelle braccia QLiante volte vi ftrinfi? Arti, grandezze, Agj, onori, e piacer v" offerfi, e feaza Al mio fianco i miei Figlj cranmi gravi Al cor viaggi, e in un diletti, e menfe: E pur con ciò nè men mi traffi in forte. Che per amore al Padre amor rendefte* Figlj, che ad onta ancor dì quel, che in core Vi fi cela rio fdegno, or con tal nome Vo’ chiamarvi tuct* or, 5I, Figlj miei. Drog. ( Ah quale dardo a! cor mi fon tai voci ? ) Ugo. Ah 3 mio Signore, ah Padre. Car, A* fenfi miei. Frappor rifpofta non ancor vi lice. A trapaffargli il core ogn* arte adopra. Car, Figlj, che più dal Genitor vorrefte? Forfè del fangue mio fete v* accende ?. Sol che vi regga a palefarlo il core, Ne verferò quanto v* aggrada: aperto Eccovi il fen: ferite; i voftri acciari Se ricufan 1* uffizio, eccovi il mio. Mi dite fol qual fia il defio, che v’ arde Tanto a voler da un Genicor, che v’ ama. Drog, (Ah più non reggo; ei mi trafigge il core.). Ugo. E d* onde mai, Signor , de* figlj tuoi Scefe a turbarti il fen penfier sì nero? Car, Ugo, di Carlo v* è chi infidia ai giorni: Amico.

(47) ATTO TERZO-. $7. Amico foglio me n’ avverte, e infieme Guardarmi ancor da* iigij mici m* avvifa. Vgo> Forfè de’ fuoi delitti il grave pefo Volger fu noi così qualch* empio intende, Car. Per Arderico T amor tuo verufto, Tuo caldo zel m* è noto; e tutto obbllo. Se lineerò per voi mi s’ apra il vero. prende i figl) con tenerezza per le mani, Mei dite, o figlj; vel dimanda, c chiede Non già il Sovrano minacciofo, e fiero. Ma if tenero per voi amante Padre. Chi di voi m* è nemico? All* odio ingiallo, Chi il voftro antico amor piegar poteo ? Alt ri, il fo, vi fedulfe; incauti alfenfo Senza penfar voi gli preftafte: in vollra Mente cader del nero crror T idea Non puote. Fate cor: mel dite, e tutta PrefTo del Padre fvanirà del reo Penfier qual fiafi 1’ imprudente sfregio. Allf- O amor paterno! a far coraggio a entrambe Del fallo il pefo allegerifce, e feema. Car. Più roffor non vi chiuda ora le labbra; ^ Che bello è allor, che fi detefta il fallo. Già d* elfo in cor vi prende orror, lo veggo: Il pentimento già vi leggo in fronte : Sol che il ver mi fi fidi, al fen paterno Ritornate innocenti, c a uaP^dre afflitto E pace, e gaudio, e figlj in un radete. Drog, ( Chi può frenare a ranco amore il pianto? ) Car. Quelle lagrime tue, Drogooe , ah quelle Parlanmi ailai di tua incorrotta fede. Vgo, ( £ di colpa non mia verrà mi grave? ) Car..

(48) ATTO TERZO. Car. Non più, Figlj, non più per voi s* afconda.,... ' Ugo, Ninna, Signor, di tanto error, tei giuro. Ombra fol mi fi aperfe, e ninno ardìo Farmi di tal penficr giammai parola. Car. Renderci dunque all’ amor mio ricufi? Ugo. Ma fe a forza poi reo. Padre, mi vuoi,..: Car. Vedefii, Albin, orgoglio a quello eguale? Sappi, iniquo, però, che affai di frodi Autor fi diffe, e intefo ancor di quanto Ofin altri tentar, il tuo Arderico, E col parlar fuo incerto affai mel diffe. In lui però t’ affidi invan; che in breve Vedrai vè ’l tragga mio fovrano fdegno. Brog,( Parlo, o men taccio? oh Ciel, che affanno èque fio!) Alb. Signor, 1’ ingreffo Ardrado a te,,,.. Catr. S’ avvanzi. SCENA. TERZA.. Ardrado, e detti . Ardr.~. Ran Re, permetti, che un’ afflitto Padre, Se pur f^ua forte a te nel feno alcuna Deilar poi valga di pietà fcintilla, Proftefo a’ piedi tuoi, di duolo 1’ alma Ricolma, è il ciglio già di pianto molle. Mercè, grazia, e clemenza umile implori? ( E quel, che agiti in cor io feopra, e intenda. ) Car, Se p«I tuo Figlio, che di ferri carco. Nei fondo giace d’ un* ofeura Torre, Chiedi pietà, fappi, che ha già decifo Del Itti defiino quel de’ Figlj: miei. Ardr..

(49) ATTO TERZO.. j9. jSrdf- Come, Signor! nè all’infelice alcuna Speme più fia? nè tn’ è pregar concelTo Per chi tanto al tuo cor un giorno piacque^ Car. Nè fai, che fino alla mia vita oltraggio Portar 1’ empio tentò, che mi feduffe I Figlj ancor, che contumace nega I complici fcoprir? Ardr. (Dunque mi è fido!) Tue parole, gran Re, d‘ alto fiupore Così m’ han colmo il fen, che più quai fenfi Tcco ufar mi fia duopo affatto ignoro. Ugo. £ pur di lui, Padre, non mai mi giunfe..... Car. Non più, che affai di te conobbi, e intefi. Tratto Arderico farà in breve a morte. Ingrati poi fe nel tacer pur faldi Reftar vorrete, dall’ irato Padre Ugual fu voi fi manderà la forte. Ardr. Ahimè che afcolto! Ah Sire! Drog. (Ornai fi (chiuda Quefto labbro pentito.) Ah mio gran Padre..,; Car. Più alcun non odo; e tu mi fegui. Albino, Del mio voler ad efcguir gl' imperi. Entrambe intanto in le vicine danze Si ritirìn divifi : i cenni miei Attendan ivi, e ninno a lor s’ apprefli. Ugo- Pronto mi rendo al tuo fatai comando.. SCE-.

(50) 4^. ATTO TERZO. SCENA QUARTA. Dragone, e Ardrado.. Drag,. (ributto. itti fquarcia il feti rimorfo, e orrore. i Ed al lui force amor non fìa eh’ io ceda Più che delle minacce al fuon già vinco? ) Ardr, P rence, che far dobbiam ? lafciar che pera L’ infelice Arderico? Egli è mio figlio: E fol va a morte per celar del Padre, E di Drogone i divifati inganni. Fido a Callo in un punto, e fido a noi Tal non merta deftin. Drog* Intento al mio Prefente flato, dell’altrui non curo. 'Ar^r. E come, o Prence) in pronto a* noflri cenni Più d’ uno flùolo è già fulf arrnij al folo Avvifo mio parte la Regia meco Aflìalirà, parte dal career fuo Trarrà Arderico, é delle tue vendette, E in un del folio t* aprirà la via. Drog. Che yendetta, fche folioAltri penfieri Ora tutta di fe m* empiono V alma. parte. Ardr.Ma poi,Signor... mi fugge-^ Ah,eh* ei fuo duolo, Suo pentimento alli miei sforzi oppone. Dunque che penfo? e che rifolvo.^ Ah tutta D* un difperato ardir tentar la forza Ora m* è duopo a trar da* fue catene Chi fol m* è fido, e a compier mia vendetta.. §CE,.

(51) ATTO TERZOSCENA. QUINTA.. Strada, che porca alla gran Piazza; Rodolfo co» feguito di Soldati ^ ed Arde rico incatenato. Uardic, per voi quel Prigionier fi fcorga VT Ov* abbia effetto la rcal Sentenza. Arde, Nè fcampo alcuno al mio deftin perverfo Vien fi trovi, o Rodolfo.^ almen mi foffe..,*; Rod, Efaminar del Re i Decreti a noi Nò non convien, fol à* efeguirli è duopo; Se però falda al tuo Signor tua fede In cor t* aveffi , nè di ferri cinto. Nè tratto a morte ti vedrei sì infame . Arde, Illefa pur^ è la mia fede; e pari Sempre in chi fegue il mio Sovran T incontri. Tu mi guidi alia morte, e quella, o amico, Altro per me non ha d* orror, che quella Sì nera infamia, onde mia fè ricopre. Mi danna il mio filenzio, è ver; ma fapplj^ Che di virtù, non di perfidia è figlio. Rod.. SCENA SESTA. Rodolfo^ Arderico y Ardrado con feguito di gente arnfafa^ di poi Albino y indi Carlo co* fwJ Soldati, Rod, ^ con qual gente a noi s’ accoda Ardrado.^ Ardr. IVA O il mio figlio fi fciolga^ o ch’io con quelli M Ci fedeli feguaci Arde, Ah Padre,» lafcia...^. f.

(52) atto terzo. Red. Che temerario ardir! Guardifi, o fidi, 11 prigionier, e tu, fellon, t* arretra. jlrdr. O mi rendi il mio figlio, o qui cadrai. Perfido, indietro, o ti trapaflo il core. Alb. E qual d* armi fragor, e qual baldanza.... Guardie, Rodolfo, il traditor s'opprima. ’Arir. Lo tenterete indarno. Amico, prendi ad uno de' fuoi feguaci. Colui di mira, ed io del figlio i lacci Scieslierò attento per gravarne altrui. azzuffano i (eguact d' Ardrado con }S' ld.ati di 'Rodolfo^ e nell atto di hatterfi vicendevolmente , Jrdrado getta di mano a Rodolfo la Spada, e in quefio alcuni del partito del ^rìm> tolgmo dt mezzo alle Guardie il prigioniere, ed arrecano lo flejfo Rodolfo neh atto , ^ Z drado /doglie dt propria mano il fuo figlio • Allo ftreptto intanto Ut quefio tumulto efee. il Re colla Spada alla man^.. ^. ^. Car. Preffo mia Reggia, e fiotto gli occhi miei V’ è chi ardifee portar tumulti? L' empio. Il fellone dov* è, che di mia mano. Ardr. Su, coraggio, miei fidi, e Carlo pera, ■volendo affalire il Re. Arderico, che fai? > , t r j Arder. Nel petto mio, prendendo dt terra la jpada di Rodolfo fi mette a difefa del Re. Pria che palfi al Sovran, fi ferrai il colpo. Ardr. Ritirati, crudele. Arder, il Re mi dona, O a fua difefa me cader vedrai. Ardr. Ingrato, e beo morrai.. SCE-.

(53) ATTO TERZO.. 4i. SCENA SETTIMA. '. Ugo con Soldatiy e detti.. Ugo. T N tuo focco'rfo I Eccoci, o Padre. Il traditor s’ arrefti. Arde. Infedele dcftin ! da prefta fuga parte fuggendo co' fuoi feguaci. Scampo fi cerchi, amici. Ugo. In damo il tenti ; Che alle fpalle m’ avrai folgor tremendo. Parte, amici, mi fegua, e parte refti Del Re a difefa. SCENA OTTAVA. Carloy Albinoy Arderico, e Rodolfo. Arder.. \ H Prence, il Padre mio ..... in atto di voler feguitare il Principe. Car. Arderico, ti ferma. Arder. Ah Sire, lafcia. Che almen del Padre ad arreftar la morte, Od a morir voli per lui. Car, T’ accheta, E ti fia legge il mio comando: in lui Poiché ora fcorgo il traditor, 1’ arcano, E la cagion del tuo filenzio intendo. Arder. Voi, clie il Sovrano mi fcrbafle, o Cieli, Mi difendete il Genitor. Car. Degli empj Nò, che non guarda il giufio Cielo i giorni • F z Ma.

(54) ATTO TERZO. Ma come, Albin , come poceo , Rodolfo , Tanto Ardrado rifchiar contro tue genti ? Rod. Sire, così queft’ improvv^ifo colpo E 1* alma in feno, ed il vigor m* opprefle , Ch* io più di ine non fo che penfi , o dica. Co’ fidi fuoì ratto per via mi giunfe II traditor, quaad* io fuo figlio a morte Tra r ampia folla de* guerrier traea , Ed ei da forte ftuol d* Armati cinto M* affali, mi fi ftrinfc intorno accefo Qual fiera Tigre d* implacabil rabbia. Pugnammo, e forza oppor cercammo a forzaj Ma tutto indarno; chè 1* avverfo fato Di man mi traffe il brando, ed egli allora Pronto del cafo al per lui f^fto incontro Mi vinfe, m’ arreftò, poi fciolfe il figlio . \Arde- Ah, eh* egli forfè de* guerrier, che a tergo Il feguon fotte 1* armi, or cade oppreffo . Ah, che forfè un crudel ferro omicida Barbaramente il fen gli fquarcia; a rivi Il caldo fangue già verfar lo veggio; Pallor gli copre il volto, e un fudor freddo Dalla fronte gli feorre, e alcun noi terge; Con man tremante almen , gli ertremi uffizj A lui preftando, i moribondi lumi. Ah, che forfè mi cerca, ah, che 1* afcolto. Chiamarmi a nome in uopo tal; deh lafcia.... SCE-.

(55) ATTO TERZO. SCENA. 45. NONA.. Drcgoìje, Ugo, y^rdrado prigioniero, e detti ^ Vgo^ "VT E*, Padre, il Tradicor? Ardt, V Sorte crudele ! Arde. ( Mifero Genitori a* voti miei Porco egli aveffe almen orecchio, e fede . ) ygo. Alle fpalle il feguii , Io ftrinfi, e quando L* ultimo ardir a rivoltarli il molle. Con quello eletto ftuol argin mi feci. Tua legge infranfi , è ver; ma fe pur quella ~ Chiama fu me tuo fdegno, in pria m* accorda, Che, Signor, reco umìl, ma fido figlio, Del tuo fcampo m’ allegri, e poi mi danna. Drog. Me pur, Signor, feofle mio zelo in tempo. Ed allor fol, che il rio tumulto intefi, Dal tuo fupremo a me fatai divieto Di tua falvezza il fol delio mi fciolfc. C^r. Tutto purgan V error le vollre gella. Drog- Dell* armi al fuon repente fcefi, e al primo Scontrar il chiaro lluol, cui già bel genio Raccolfe a far di fua virtù gran prova. Da poi che fido lo conobbi, meco Lo tralfi all* opra, e fu color, che all* empio Pocean recar non fcarlo ajuco, e braccio. Quale il Leon fu la tremante greggia. Quelli Seguaci mici di fè, di fdegno, E di un bel foco fi fcagliaro accefi, Prodi inlieme a rotar in vera pugna li brando al par, che ne* Licei la penna.. Quindi.

(56) 4é. ATTO TERZO.. Quindi ad Ugo, che egual Drappel fegula, Uniti a un tratto, il fuggitivo a tergo, A fronte, a fianco tale ognun poi ftrinfe. Che via, coraggio, e libertà gli chiufet Ugo, Vinto mal grado fuo, e ad onta ancora Del fuo furor ferbato in vita il traffi. Drog, E di mia fede a te il prefenro in pegno. Ugo, Qiiefta mia fpada intanto a* piedi tuoi, Signor depongo, e al mio ritir mi rendo Ad afpetcar del mio defiin la legge. Car, Ugo, ti ferma; che 1* antico affetto A te non men, che al tuo German difefo Il Genitor da entrambe or lieto rende. Tornate pure a quello fen» Dng, Non regge D’ un figlio ingrato ad appreffarfi il cores Lafcia, che alle catene il piede io volga , Anzi, che al fen tradito il braccio fiendaj E di colà non di perdon , ma folo Di fupplicio, di morte almen pregando Scemar mi giovi al fallo mio 1' orrore. Drogoo, che parli ^rdr. E’ traditore anch’ effo* Car. Egli è mio figlio. Drog, Ah così dolce nome Chi ad un perfido unir potéo fuo corc, Sua fè, non merta. jilb. Oh Ciel, che udir m* accade! Vgo, Ahimè, German, che narri? Car. E come, e donde? Ti fpiega ornai: e quale oltraggio, od onta Recar ti puote il Genitor?.

(57) ATTO TERZO.. 4;. Drog. Che mai Dir potrei? per maggior mia penu, e duolo Solo mi ftan le grazie tue prcfenti. Car. Ma di,qual vel c’offufcò 1' alma? a un fallo Chi *1 commette cagioti fi pigne, c fogna, Drog. Fattomi oltraggio allor mi finfi, quando Due de* Germani miei fui Trono intefi; Infana ambizìon mi punfe, e appoggio Sperai da lui , che per fe fteflb intento A fparger fuoco, e ordire infidie fcorfi, Accolfi in fen 1* empio pe^nfiero, c feco A poco a poco entrando ancor i’ aflènfo, AI mio ecceffo s* aprì I* agevol via; Che r un nell’ altro e tragge, e impegna,e indura^ Orror però men prefe allor, che ad ambo Sì tenera d’amor guerra movefti. E quando vinto dlfvelar yolea Mio tetro error, giuafe, e interruppe Adrardo» Tu parcifti, io redai , e al mio penfando Grave trafeorfo, e d’ un tuo Figlio indegno^ Contendeva tmt pt col mìo rimorfo; Ma all* empio di cedui sforzo ribelle CorfI a romper fue furie, e fua baldanza» Nella fua fuga il cola: e quedo ferro Minidro a me del mio voler Io rendo A chi *1 può far del morir mio ftromcntOo Una fol grazia alrnen, fe tanto lice Sperar, mi dona, che 1* Augufta deftra Del mio Sovran, che dir Padre non ofa L’ ingrato labbro , del mio pianto afperga ; E in lei dolente un umil bacio imprima. Rod, Ah qual piecade ai cor mi fan Cai detti J.

(58) 48. ATTO TERZ.O.. Drog. A farmi lieve la mia forte avversa Quella fola. Signor, grazia mi batti .. ^ Car. Cuiamami Padre pur, e al fianco torna Quetto tuo brando, a cui fuo onor già refe La tua difela, e *1 pentimento tuo. Alb. Che Arnor! Rod, Che dolce Re ! Ugo. Che gran clemenza ! Drog, Ah, mio gran Re, mio Padre, ed io potei Solo ammettere in cor 1* idea sì tetra? Arde. Nel gaudio altrui fe a un’ infelice figlio Proftefo a* piedi tuoi fperar qui fotte. Car. Arderico, t* intendo; il lui delitto Di troppo orror, di troppa infamia è carco. Arde, Se la mia fe..... Ardr. Che fai? che tenti, ingrato? Se il Geniror dal rio fatai dettino Veder non t’ era in grado, oppreflb, a’ miei Difegoi, e a quanto imporci pur mi piacque. Far non dovea la tua pietà contratto. M* hai tradito abbaftanza, e affai palefe M" hai feoperto il tuo cor; tutti d* infamia Mi colmi i giorni miei; e affinchè il pefo Di tua nera empietà, del mio difdoro Più: mi fi aggravi, e più m* opprima a lungo, A quella morte ancor tolto mi vuoi. Che iì mio rimorfo, e il mio roflbr mi tronchi? ìi cerchi i-n vaao^. Carlo, io fon colui, Cile ti tradì, che ti feiulfe un figlio . If mio*, per mia difdetca, al grave colpo . Cui per compir d* opra il cercai, Io vidi D' aerar ricaliTia ricuCar mie leggi era.

(59) ATTO TERZO.. 49. S’ era men fido a te, più amico al Padre, De’tuoi rifiuti avrei vendetta; c forfè Aderta al Trono un dì m’avrei la ftrada. Quel, che a me gli aftri feniprc volfe avverfi Dea ÌLI crudel,li diede a te propizi ; Vendica pure in me gli oltraggi tuoi; Nè pià tarda troncarmi una tal vita^ Da cui temer ti refterìa nov* onta. Che ardir ! Ugo. Ghe infania l Drog, Che furor, che rabbia! Rod. E tu, mio Re, lo foffri ancora? Car. A morte Quindi il fellon toflo fi tragga: in faccia Ai fuo deflin cadrà quel fiero orgoglio. Ardr, Sempre ugual mi vedran tormenti,e morte. Car. Rodolfo, il mio voler fi compia, e il guida Vè di lui afficuri il mio decreto. Arde. Gran Re,pietà; Principii aita: a voi Salvai già il Padre^ al mio perdon rendete. Ardr, Che perdon, che pietà, che aita? morte A me folo s* annunzia, e morte io voglio. Andiara, Rodolfo, al mio fupplicio; e ferba Ad anime piii vili i pianti tuoi. Arde. Deh per poco, Rodolfo, ancor arreda « Alk Datti pace, Arderico; e un Padre obblìa, Che di figlio r amor da tc rifiuta. Arde. Quefta mi diè, ch^ io traggo, infaufta vita. Car. Vo’, che dell* empio ornai fi verfi il fangue. Arde. Verfe quello, che a me le vene feorre ; Egli è fuo fangue, c tua fentenza è paga. Non piìi chieggio perdon; del Padre in vece. G. Motif.

(60) ATTO TERZO. Morir ti chieggio, c tu negar mel puoi? 23fog. E un tal nemico tu vorrai fi ferbi? Arde. Tal più non fia; che il fangue mio, tei giuro,' Spegnerà tutte al lui furor le vampe. Ardr. Or d’incontrar tu t’ affatichi indarno Il mio deftin ; che d’ un’ infame vita Ho più la morte, ancor che cruda, in grado. Car. E beo, tu pago non farai. La morte Cerchi a finir tua pena, e invan la brami. Vivrai; ma chiufi fempre al Sole gli occhi. Che ti faran tratti di fronte, vivi Una degna di te mifera vita. Ardrt Ohimè, che afcelto! Arde. Ahi, che fatai fentenza! €ar. Arderico, a tua fè farà mia cura Trovar condegno guiderdon. Rodolfo, Il Traditore al fuo deflin fi tragga. 'Ardr. Hai vinto, o Carlo; e m’ avveggio or, ma tardi. Che tuoi configli il Ciel governa, c regge . Oh Carlo! oh Cieli! oh mia perverfa forte! SCENA. ,. Cario. ULTIMA.. , Ugo, Albino, ed Arderico.. Dragone. Car. CI 1U co’miei fidi intanto, o Garzon prode,. JL. Entra in mia Reggia, ed ivi in Carlo avrai Di quel, che perdi,un più amorofo Padre; Poiché sì bel s’ appalesò tuo core. Arde. Di mie fveoture, di mia forte acerba Ah qual,mio Re,m’ allievi il grave affanno! Ugo. Vieni, c innocente a quello fen ritorna.. Car..

(61) ATTO TERZO. Car. Voi, prodi ancor, che da'Licei volgefte Voftro valor del Re a foftegno, a* voftre Imprcfe intenta fia mia grazia: i degni Studj feguite, e d* ampj doni, e d' ampj Regali onor accumularvi ognora Sarà mia prima cura, c penfier primo. Drog. Meco, Signor, di tua regai clemenza Ten fan quanti qui feorgi umili or grado• Poiché tal’ ebbi in queflo giorno all’ uopo Da chi Pallade fegue, appoggio, e aita, Erganfi ovunque, Albin, P^ileftre, e Studj. E tu, che in tanti Giovin prodi, illuftri Anche in sì frefea età, piccioli Eroi Formar fapefti, alla gran Madre antica E del Saper, de’ Precettor, dell’ Arci, Air Italico Suol ti porta, cd ivi De’ Longobardi nella prifea Regoia, Or mia conquida, alii bei Studj afilo, •E fede v’ apri. A quella volgi ancora II piè dopai gentil Cittade amena. Che fu ’l Croftolo s* erge, e un dì mi diede Tante d’ amor, di fedeltà riprove. Quando amica m* aGcolfe, e in lei foggiorno. Di fuo genio a goder, fermar mi piacque. Ivi apri ancor delle mie grazie i doni; Licei vi forma, c ne*Tuoi Figlj della Amor di gloria, e di virtù defio. Aìlf, Degno penfier di tua gran mente. E oh quanti Da 1 ungi ancor ivi ne miro a folla Emularli gli onorf Mio Re, lo fai. Che r avvenir leggo negli Afìri, e oh quali Ora feorger m’ è darò cccelfe cofe !. G. 2. Veggo.

(62) ATTO TERZO. Veggo in età remota un raro Prence Sorger tua gloria ad emulare; un Germe Fia deir Eftenfe Pianta. Ecco negli Aftri D* onore a chiare note il fuo gran Nome : Egli è FRANCESCO il -Glorìofo, il Prpdci Che in la Gentil Città ( Città felice! ) Nuovo air Arti aprirà nobil Soggiorno^ Cui di fue grazie ognor cortefe, c largo Tal pel giovine Stuol ivi raccolto Amor y accenderà, Bontà, c Clemenza^ Che n* andrà Fama a più remoti lidi. Ivi r Arti d* Apollo, ivi d’ Aftrea Le fante Leggi, e del Saper le fonti In guifà s* apriran ,vche quanto un tempo Ornò la prifea Atene, e or Senna illuflra. Bella a que’ di farà, e di gloria adorna Del Croftolo la Reggia. Oh dì felici ! Che ad invidiar quefti non hanno^ tanto Sarà egual de" fuoi Prenci c *1 vanto, e 'I metto^ C^r. Così fperar mi giova. Or dì mia gloria Al chiaro SUCGESSOR, Amici, e Figlj Per voi s* appiauda, e di tal gioja il fuono Giugner Fama io faccia al fuo bel Trono e. F/W. Ter%p^. CAN..

(63) 5J. CANTATA TERZA. Genio di Carlo ^ e Genio di Defiderio in aria dì riconciliaTiione y e di allegre'ix.^ * G.di Def KT O’, che del mio deftia più nori mi lag E poiché tanta Torte, ed onor tanto Al Longobardo fuolo Van colà preparando i Dei fui Polo , Il Vincicor, cui (inor torvo, e bieco Mirar mi piacque, adoro, E del promeffo inclito eccelfo DUCE Venero in Lui 1* Immago: Già di più lieto accefo almo defio Or Defiderio obblìo; Pianga egli pure, e gema. Cura per lui non fia mi punga, e prema. Or sì di quanto oprai contro di Carlo Orror mi prende, e pentimento, e fdegno: Pago pero men torno Al mio primier foggiorno, E del felice inafpetcato annunzio Tutte del Croftol n* empirò le fponde: M' increfce fol, che di sì fan Io evento, Dal Giel lontan fi mnfiri il gran momento. G,diCar, Nè fai, che Eroe sì grande Fia di più età lavoro indurire, e cura? Oh quale in LUI preoara il CicI ben raro D’ onor, di gloria, e di virtute efciiipio! G j Senna.

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