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RIFLESSIONI SUL VALORE INESTIMABILE DELL’UOMO E IL RISARCIMENTO DEL DANNO di Francesco Donato Busnelli

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Academic year: 2022

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RIFLESSIONI SUL VALORE INESTIMABILE DELL’UOMO E IL RISARCIMENTO DEL DANNO

di

Francesco Donato Busnelli*

Ringrazio il promotore di questo incontro dal titolo provocatorio e felice al tempo stesso. Ed anche io come il Prof. Ripepe cercherò di non lasciar perdere la provocazione, di raccoglierla, ed eventualmente, di rilanciarla. Non so se il Prof. Ripepe fosse consapevole di quanto fosse calzante il riferimento al ciabattino, se si pensa che M. Gioia, al cui nome è legata l'associazione, utilizzava la similitudine del calzolaio e delle paia di scarpe per tracciare una linea pionieristica di valutazione del danno della persona.

Lo vorrei, non essendo filosofo, ma diciamo avvocato, seguire l'immaginario filosofo nella sua traccia che lo porterebbe a respingere con disgusto il titolo dato a questo incontro. Io lo vorrei seguire e dire che anche io sono del parere che l'uomo non ha prezzo.

In realtà, rispondendo con provocazione alla provocazione, vorrei dire che spesso gli slogans sono retaggio di immagini e di ricordi nello spazio e nel tempo. Quando il giurista parlava un tempo di prezzo dell'uomo, usava fare riferimento ai contratti ed essenzialmente al contratto di compravendita ed a quello di locazione. La compravendita degli schiavi è un fatto, fortunatamente abbandonato alla storia, sia pure con qualche criptica e subdola eccezione, ma per quanto riguarda la locatio noi abbiamo una traccia che arriva fino ai codici dell'Italia unificata e in cui il rapporto di lavoro era locatio e quindi l'uomo veniva visto come portatore di energie che avevano un prezzo.

Dell'uomo cui si attribuisce un prezzo nell'obiettivo di stipulare dei contratti è una prospettiva che il diritto costituzionale e civile recentemente ha superato e ha superato all'insegna di una conquista di civiltà, quella stessa che consente e impone, invece, di occuparci del problema per il quale oggi siamo qua.

Problema nel quale viene in evidenza non il prezzo dell'uomo, in questo senso io rispondo al titolo, ma piuttosto al prezzo o al valore delle menomazioni dell’uomo. Potrebbe sembrare un gioco di parole, ma non lo è.

Quando si parla di danno della persona non si fa riferimento all'uomo nella sua fisiologia nel suo essere uomo, ma si fa riferimento ad un qualcosa che patologicamente ha infirmato la fisiologia dell'uomo. E questo qualcosa che si può chiamare, vedremo, distinguendo i concetti, lesione, danno, menomazione. Questo qualcosa può essere stimato sia pure con tutte le approssimazioni che il discorso comporta. Credo che il valore dell’uomo non sia estimabile mentre la menomazione che lo colpisce lo è. Naturalmente per arrivare a questa conclusione dobbiamo rivedere tutti i concetti, a cominciare dal concetto di danno. Perché è chiaro che se noi dovessimo continuare a muoverci con il concetto di danno che il codice civile vigente, così come i codici precedenti avevano raccolto, noi rischieremo di non poter convocare il danno alla persona in nessuno di questi schemi, non nel danno emergente e neppure nel lucro cessante, a meno che non si faccia riferimento ad aspetti patrimoniali. Eppure, M. Gioia lo diceva chiaramente: il danno alla persona è stato sempre risarcito nel tempo. Il vero problema, quel su cui oggi iniziamo a lavorare è non tanto il problema se risarcire il danno della persona, lo si è sempre fatto in un modo o in un

* Ordinario di Diritto Civile alla Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento S. Anna di Pisa

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altro, magari mettendo rispetto alla domanda posta direttamente al riguardo, ma è il problema del come risarcire questo danno.

Ed allora ecco che si impone di aprire un altro aspetto provocatorio. Per esempio, di fronte al sottoprofilo che fa riferimento ai criteri di liquidazione nelle lesioni altamente invalidanti o mortali, provocatoriamente rispondo: nelle lesioni altamente invalidanti vi sarà un alto danno del mortalmente leso; nelle lesioni mortali non vi sarà un risarcimento del danno del mortalmente leso, per il semplice fatto che manca il punto di riferimento per arrivare a perfezionare la fattispecie risarcitoria. Ma non allarmiamoci questa è una risposta provocatoria che non vuole andare oltre al buon senso, quel che porta a dire che non si possono rovesciare i rapporti fra due disgrazie, tra le quali la disgrazia mortale è più drammatica.

La mia impostazione provocatoria vuol avere un obiettivo ed è quello di distinguere fra fisiologia dell'uomo e patologia dell'uomo e poi tra lesione e danno. Ritengo anche qui che non si tratti di orpelli in mano a giuristi innamorati di un giornalismo dottrinario. Come spero di poter dimostrare che siamo di fronte ad una distinzione fondamentale, cioè tra lesione e danno. Posto che è immaginabile con riferimento al leso, una lesione senza danno e una non lesione, o una piccola lesione con grande danno i due termini non sono identificabili fra di loro.

L'altra considerazione di carattere generale che vorrei fare è la seguente, per lungo tempo, i cultori del diritto civile hanno quasi disdegnato questo settore di indagine ritenendolo un settore non nobile della loro attività di studiosi, salvo poi essere molto attenti, nella loro collaterale attività di avvocati, a non lasciarsi sfuggire una operatività gratificante del loro mestiere di avvocati.

Ricordo che in un convegno romano del '67 vi fu una diatriba fra medici legali e giuristi nel discutere l'idea lanciata dai medici legali italiani, in particolare l'idea di Gerin, e proprio si usò e si abusò di questi atteggiamenti distaccati che vedono nella valutazione del danno alla persona un qualcosa di assurdo ed in ogni caso di trascurabile dal punto di vista scientifico e ricordo anche che i giuristi dissero, e lo ricordo con amarezza, che non possono perdersi con i problemi che riguardano i medici, gli assicuratori, gli operatori del diritto.

Bene oggi non possiamo dire tranquillamente che questi giuristi avevano sbagliato.

Vi è stata in altri termini, una rivincita del diritto sulla dottrina e sul diritto dei codici. Non è un caso che, in un più recente convegno pisano, al quale il Prof. Gerin, pur non potendo partecipare di persona ha voluto lasciare una sua relazione, ha preteso, con nostra grande soddisfazione, che il titolo fosse il seguente: "Dal convegno triestino (in cui fu lanciata la sua idea) alle giornate pisane", quasi a mettere in evidenza una continuità in questa ricerca, che è una ricerca necessariamente interdisciplinare. Quindi noi abbiamo avuto una rivincita del diritto vivente rispetto al diritto formalizzato ed una rivincita del metodo della interdisciplinarietà rispetto al metodo del sezionamento delle varie branche della scienza.

Dicevo prima che il danno alla persona si è sempre risarcito bene o male: quale è stata l'idea forte che dapprima osteggiata da una parte dagli operatori poi piano, piano accettata sia pure nelle difficoltà del suo prospettarsi. L'idea forte è stata quella per cui il valore della menomazione non coincide con la diminuzione o il mancato aumento del reddito della persona. L'idea vincente è stata quella di costruire un danno alla persona sganciata dal parametro del reddito. L'idea raccontata oggi può apparire di una ovvietà tale da non meritare commenti. Noi sappiamo invece che questa idea è dovuta passare attraverso argomentazioni che hanno chiamato in causa la Costituzione, l'art.

32 della Costituzione. con la tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo, oltre che come interesse della collettività. Si è pronunciata la Corte di Cassazione, si è pronunciata la Corte Costituzionale ed anche coloro che dopo la sentenza della Corte Costituzionale avevano

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organizzato in fretta un convegno per cercare di restaurare il sistema precedente, hanno desistito.

Ed è opportuno che lo abbiano fatto. Vengo invece ai problemi aperti e quì consentitemi rinunciando ormai alle provocazioni di dire che con molta soddisfazione vedo che un convegno punta al risarcimento delle macro lesioni. Quasi ad additare per il futuro di questa nostra ricerca, l'importanza da attribuire a quella quota minoritaria, per fortuna, di lesioni che comportano una menomazione particolarmente grave.

Vedo questo con soddisfazione perché ormai sono abituato ad essere associato nella famiglia dei medici legali, grazie alla simpatia degli stessi, quando mi sono trovato relatore ad Abano il tema era quello delle micropermanenti.

Intendiamoci il prof. Introna aveva voluto quel tema provocatoriamente per mettere in evidenza un altro aspetto: ossia la cattiva distribuzione delle risorse. Si dimostrò allora che la stragrande maggioranza delle risorse andava a microlesioni di dubbia entità e comunque di scarsa incidenza.

Lasciando sottostimate quelle macrolesioni delle quali oggi qui si deve parlare.

Ma se questa è la premessa, a mio avviso, occorre essere coerenti ed in tutte le direzioni.

Quella sentenza della Corte di Cassazione del 1986, in cui è stato risarcito il danno ad un coniuge che, a seguito di un incidente capitato all'altro coniuge, aveva perso la possibilità di avere rapporti sessuali con il leso è stata salutata da gran parte della dottrina come una sentenza modello a cui ispirarsi. Bene io vi dico subito che quella è una sentenza pericolosa e soprattutto in contrasto con l'ottica che sembrerebbe emergere da questo convegno. Posto che le risorse economiche per far fronte al risarcimento del danno alla persona, soprattutto nei settori che ci interessano più da vicino, in cui vi è il gioco collegato fra responsabilità civile ed assicurazioni non sono infinite. Altrimenti non vedo perché ci dovremmo accanire contro il risarcimento delle micropermanenti. Benissimo, se ci fosse spazio per tutto ovviamente la discussione non avrebbe senso. Posta invece la limitatezza delle risorse come premessa, occorre che venga fatta una scelta consapevole di fondo: o si va nella direzione della gravità sociale della menomazione, o si va invece nella direzione della maggior astensione possibile delle lesioni. Abbiamo due vie aperte di fronte a noi. La prima via è quella della sequenza che porta dai valori ai desideri. In fondo la salute è un concetto molto ampio: sappiamo benissimo che i documenti internazionali parlano di salute come benessere e sappiamo che il benessere è fatto non soltanto di mancanza di patologia, ma anche di aspetti positivi collegati con il soddisfacimento di desideri individuali. Allora se noi operiamo in questa direzione è facile costruire una sequenza, dalla salute fisica alla salute psichica, da questa alla serenità, dalla serenità alla felicità, e così via. E' chiaro che questa strada porta ad una estensione delle ipotesi valutabili secondo i criteri del risarcimento del danno alla salute, dando di questa una nozione estesa per cui la salute diventa serenità e felicità.

L'altra via è quella di dare alla salute un significato rigoroso legato all'idea della menomazione.

Nessuna difficoltà al primo scalino delle sequenza di cui parlavo alla salute fisica a quella psichica purché, sia pure con tutte le difficoltà del caso, si possa accertare una menomazione psichica e non si cerchi di contrabbandare per tale una semplice lesione di desideri o di sentimenti. Più difficile è seguire, andare oltre nella sequenza. In altri termini il concetto di salute può essere inteso non soltanto in quel senso estensivo di cui prima parlavo, ma anche in un significato che ruoti attorno a quel che per i nostri costituenti era un valore, un valore oggettivo non affidato alle sensazioni di colui che di quella salute è portatore. Un valore che si raccorda con i valori più generali della dignità della persona e della eguaglianza tra le persone. Un concetto che consente di recuperare tutto ciò che si toglie nelle direzioni per così dire estensive della salute, per convogliare le risorse

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in questione verso le lesioni che effettivamente sono tali e in particolare le macro lesioni. Ritengo che questa opzione di fondo vada fatta con molta chiarezza.

Allora parlando del risarcimento delle macro lesioni, bisogna essere consapevoli che la scelta in qualche modo venga fatta. Non solo, scegliere di appuntare l'attenzione sulle macrolesioni ha un'altra conseguenza importante in un altro bivio fondamentale che si tratta di imboccare:

automatismo o valutazione equitativa del danno. Sappiamo benissimo che la storia di questa nostra interessante vicenda parte da una contrapposizione netta tra le sentenze genovesi della prima generazione che propendevano per un automatismo nella valutazione del danno alla persona; si faceva allora riferimento al reddito medio nazionale, e dall'altra alla dottrina nazionale. Quelle che ha cercato di ostacolare fino in fondo l'emergenza di questa problematica che faceva riferimento ad una valutazione equitativa che nessuno poteva togliere al singolo giudice responsabile della causa concreta.

Sappiamo che proprio qui a Pisa, grazie al fervore dei magistrati di questo tribunale ed in particolare del Dr Nannipieri che è stato l'estensore delle prime sentenze, si è arrivati a criteri di valutazione che senza disconoscere un'esigenza di uniformità per le evidenti ragioni legate alla prospettiva assicurativa mantenessero peraltro in vita una possibile correzione del dato uniforme affidata al singolo giudice.

Orbene io credo che, per quanto riguarda le macro lesioni, ci troviamo in un settore in cui l’automatismo bruto sarebbe improprio. Con questo non voglio dire che si debba tornare al criterio dell'automatismo puro del singolo giudice, dico che mai come in questo settore la prospettiva sulla quale si era incamminato molti anni or sono il Dr Nannipieri è la prospettiva che incita ad essere seguita. Perché in presenza di una macrolesione anzitutto occorre valutare se il criterio di base che viene adottato si avvicini o meno alla particolare gravità della lesione. Perché sarebbe assurdo privilegiare il risultato aritmetico rispetto all' evidenza di una lesione che in secondo luogo bisogna verificare, se nel caso concreto le difficoltà del gravemente leso meritino un'attenzione correttiva rispetto al risultato dei parametri prescelti. Qui il gruppo di ricerca pisano, guidato con proverbiale maestria dal Prof. Bargagna, sta proprio lavorando a tematiche di questo tipo, anche nella individuazione dei parametri rilevabili dalle sentenze. Occorre superare la fase pionieristica in cui i dati raccolti si riferivano a micropermanenti per avviare un discorso articolato fra micro e macro lesione. Non solo ma io devo dire che rispetto al progetto di legge di riforma della RCA che era stato picconato dall'allora Presidente Cossiga, ed io credo che quel piccone sia stato una buona cosa, prevedeva due aperture interessanti rispetto alle tabelle ancora fantomatiche. E le ricordo brevemente: la prima era il richiamo dell'art. 1226 c.c. che prevede una valutazione equitativa che poteva essere intesa come valutazione correttiva dei risultati delle tabelle ed un ultimo comma della norma che prevedeva la possibilità del giudice di discostarsi dal criterio uniforme quando la particolare gravità e la eccezionale peculiarità della fattispecie la rendessero opportuno.

Passo all'ultimo punto, con cui vorrei concludere, ovvero le lesioni mortali.

Avevo detto che dal punto di vista della impostazione giuridica, nonostante la progressività della fattispecie, noi dobbiamo usare strumenti completamente diversi. Perché se è vero che in entrambe le ipotesi vi è una lesione, è anche vero che il danno si atteggia diversamente, nell'ipotesi di lesione altamente invalidante vi è un grave danno subito da leso, nel caso di lesione mortale il danno andrà visto non in capo al leso, per una sorta di strana fantasia riportato in via ereditaria ai sopravvissuti, ma eventualmente direttamente in capo ai sopravvissuti.

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Di fronte alla lesione mortale, a mio avviso, dobbiamo far riferimento al possibile danno dei sopravvissuti, questo non significa sminuire la particolarità di una vicenda perché di fronte ad una lesione mortale, noi ci troviamo normalmente di fronte ad un fatto illecito che integra gli estremi di reato soprattutto se l'art. 2059 c.c. viene interpretato come a mio avviso è opportuno, in senso tendenzialmente estensivo. Ma mi si dice il danno morale viene risarcito poco e male, questo però non è un ragionamento che deve indurre a trovare dei marchingegni che spesso sono di dubbia consistenza.

Il danno morale è la risposta corretta al problema che si pone. Ossia il danno subito dai sopravvissuti è un pretium doloris, a meno che non vi sia un danno alla salute dei sopravvissuti.

In un esempio ormai noto, facevo il caso che mi era capitato quando facevo professione, ossia il un bambino presente nel veicolo guidato dal padre, che nell'incidente trova la morte, e che subisce trauma tali che, giunta l'età, presentandosi all'esame della patente non riesce a superarlo.

Nella ipotesi in cui si possa configurare un danno alla salute psichica del sopravvissuto, allora siamo di fronte ad un danno alla salute, ma che si ricollega ad una lesione subita da quel soggetto.

Ma esiste l'assurdo che si dia sempre un risarcimento del danno alla salute per il soggetto che non muore e non lo si dia al soggetto che muore. Questo è un ragionare per schemi non corretti ossia appuntare tutto sulla lesione e non sul danno.

Si dice anche: se il soggetto ha subito una lesione altamente invalidante perché il familiare non deve avere anche egli un risarcimento del danno? Dico se qualora questo avvenga non vedo perché non si debba risarcire il danno morale del familiare. La giurisprudenza non lo prevede. Innanzitutto vi sono degli esempi coraggiosi di sentenze che prevedono il risarcimento del danno morale in casi di particolare gravità. Credo che si tratterà, in questi casi di vincere delle resistenze e di contenere l'eventuale ondata che si teme essere dilagante.

Ma questi problemi da affrontare a viso aperto e non da lasciare da parte per il timore di una valanga. Come vedete questi problemi aprono un'era nuova nel tema del danno alla persona ed in particolare del danno alla salute. Credo che questa nuova era non avrà più gli inceppamenti e le incertezze di quella precedente perché ormai le premesse per andare avanti sono state gettate.

Vi sono dei pericoli ossia che ciò che si è guadagnato in tema di risarcimento del danno alla persona vada a disperdersi in estensione anziché a concentrarsi in intensità sociale. E credo che un congresso come questo possa essere un monito nella giusta direzione.

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