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Consiglio Superiore della Magistratura

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Consiglio Superiore della Magistratura

Pratica num. 242/VV/2019. Quesito formulato dal dott. …, Presidente del Tribunale di …, in ordine all'ultradecennalità nelle funzioni di Presidente supplente della Corte di Assise.

(Delibera di Plenum in data 15 maggio 2019)

“- vista la nota n. prot. A-11316/2019 del 28 febbraio 2019 con cui il Presidente del Tribunale di … ha posto un quesito in ordine alla ultradecennalità del Presidente supplente della Corte di Assise;

OSSERVA

Il Presidente del Tribunale di …. ha rappresentato che il dott. …. riveste l’incarico di Presidente supplente della Corte di Assise dal 6 marzo 2009 e, in tale qualità, nel corso del decennio trascorso, ha trattato tre procedimenti: quello recante n. 2/2010 R.G., la cui sentenza è stata emessa in data 24.1.2011; il n. 3/15 R.G., definito con sentenza del 15.6.2016; il n. 5/16, la cui sentenza è stata pronunciata il 22.3.2017. Ha, quindi, chiesto “se il termine di permanenza massimo nelle stesse funzioni giudiziarie si applichi anche a quelle svolte dal presidente supplente della Corte d’assise che, nel periodo di riferimento, le abbia concretamente esercitate del tutto sporadicamente, in occasione di soli tre processi e con intervallo ultraquinquennale tra il primo ed il secondo procedimento”.

Al fine di rispondere al suddetto quesito occorre, preliminarmente, ricordare che con delibera in data 13 marzo 2008 il Consiglio superiore della magistratura ha adottato il

“Regolamento in materia di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio alla luce della modifica introdotta dal Decreto legislativo 160 del 30 gennaio 2006, come modificato dalla Legge 30 luglio 2007, n. 111”, fissando il principio generale del termine massimo decennale di permanenza nella “stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro”.

La regola del cd. divieto di ultradecennalità nell’incarico è stata ancorata al dato formale della “posizione tabellare”, sicché, in via generale, al maturare del periodo massimo di permanenza nella medesima posizione tabellare, la stessa deve essere mutata.

La forte incidenza della disciplina in questione sull’organizzazione degli uffici giudiziari e le stesse ricadute sulla formazione professionale dei magistrati hanno, tuttavia, suggerito di prevedere alcune eccezioni al criterio del computo dei termini fondato sul mantenimento formale della medesima posizione tabellare sicché, in relazione ad ipotesi di assenza giustificata dal lavoro per un periodo di tempo apprezzabile, sono stati previsti casi di sospensione del computo dei termini (art. 4 Regolamento cit.).

A seguito della formulazione di più quesiti proprio in tema di computo dei termini di permanenza nell’incarico, il Consiglio ha ritenuto di dover ampliare le ipotesi di sospensione del termine, modificando, con delibera dell’11 febbraio 2015, l’art. 4 del Regolamento in materia di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio. E ciò in quanto la ratio della disposizione del divieto di permanenza ultradecennale nell’incarico risiede, evidentemente, nella necessità di dare effettività al divieto evitando di computare periodi in cui al magistrato sia, in fatto, impedito l’esercizio della funzione e, conseguentemente, non si sia verificato l’effetto di concreta gestione del ruolo e degli affari assegnati (cfr. sul punto la relazione illustrativa alla delibera del 2015 cit.).

Ferma, quindi, l’esigenza di garantire il rispetto del divieto di permanenza ultradecennale, l’elaborazione consiliare ha evidenziato la necessità di operare un diretto riferimento

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all’esercizio in concreto delle funzioni tabellari attribuite e non al solo formale mantenimento della posizione tabellare.

Coerentemente con tale impostazione, rispondendo a quesiti posti dai Dirigenti degli uffici, il Consiglio ha chiarito che devono considerarsi posti tabellarmente individuati, per cui vale il limite della ultradecennalità, “quelli ai quali il magistrato sia destinato saltuariamente, purchè con una certa continuità” (delibere del CSM 24 luglio 2008 e del 7 aprile 2011).

A tale orientamento si intende dare continuità.

Ebbene, nel caso considerato, è evidente che le funzioni di Presidente supplente della Corte di assise sono state svolte dal dott. …. in modo assolutamente saltuario, atteso che il magistrato, in un intero decennio, ha trattato solo tre processi di competenza della Corte di assise, conclusisi in tempi contenuti, come si evince dal numero di iscrizione di ciascun processo e dalla data di definizione dello stesso. Deve, poi, rilevarsi che tra la pronuncia della sentenza del primo processo (in data 24.1.2011) e la celebrazione del secondo (recante n. 3/15 R.G.) sono passati ben quattro anni, sicchè è evidente che sino all’inizio della celebrazione del processo n. 3/2015 le funzioni di Presidente supplente della Corte di assise sono state svolte senza alcuna continuità, con conseguente inoperatività del termine decennale.

Deve, dunque, ritenersi che solo dall’inizio della trattazione del processo n. 3/15 R.G., cui è seguita, nel giro di poco tempo, la trattazione del processo n. 5/16 R.G., protrattasi fino al mese di marzo 2017, la destinazione alle funzioni di Presidente supplente ha avuto una certa continuità, con conseguente decorrenza del termine massimo di permanenza nella medesima posizione tabellare.

Tanto premesso

delibera di rispondere nei seguenti termini:

- devono considerarsi posti tabellarmente individuati, per cui vale il limite della ultradecennalità, quelli ai quali il magistrato sia destinato saltuariamente, purché con una certa continuità;

- ove non vi sia continuità nell’esercizio della funzione, come accade quando tra un processo ed un altro trattato in qualità di supplente trascorra un periodo di quattro anni, non decorre il termine decennale.

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