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L imposta di registro sull atto di costituzione di comunione

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Academic year: 2022

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Imposta di registro

L ’imposta di registro sull’atto di costituzione di comunione

di Simone Francesco Marzo

La prassi dell’Agenzia delle Entrate offre ancora occasione per riflettere sui problemi posti dall’ap- plicazione dell’imposta di registro sulle vicende riguardanti la comunione, con particolare riguardo all’atto di messa in comunione, quale fattispecie inversa rispetto alla divisione. Il corretto inquadra- mento di tale atto ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro appare assai problematico, pre- sentando incertezze ancora maggiori rispetto all’opposto fenomeno divisorio; vi sono tuttavia validi argomenti per sostenere che anche all’atto di costituzione di comunione sia applicabile l’aliquota prevista per atti di natura dichiarativa, salve le previsioni di cui all’art. 34 T.U.R. su maggiori assegni e conguagli.

Premessa

In un recente contributo (1), che prendeva spunto da una risposta ad interpello pubblicata dall’Agenzia delle Entrate (2), sono state messe in luce ragioni sulla cui base si può ritenere che il recente superamento della tradizionale tesi della natura meramente dichiarativa della divisione ad opera della giurisprudenza di legittimità (3) non abbia inciso sul trattamento da riservare a tale atto ai fini dell’imposta di registro. L’art. 34 del T.U. delle disposizioni concernenti l’imposta di registro di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, infatti, sembra aver autonomamente qualificato ai fini di tale imposta la fattispecie divisoria, rico- noscendole chiaramente (seppure implicita- mente) natura dichiarativa; da ciò discende che la diversa qualificazione oggi attribuita in via generale dalla Suprema Corte allo stesso istituto non dovrebbe riverberare effetti agli specifici fini del tributo di registro.

Si è anche visto come, nel pronunciarsi sul punto, l’Amministrazione Finanziaria si sia sostanzialmente

limitata a ribadire la tradizionalmente riconosciuta natura dichiarativa della divisione, senza porsi alcun dubbio circa l’attuale validità di tale postulato alla luce della recente presa di posizione della Suprema Corte, né sul piano generale né ai particolari effetti dell’applicazione dell’imposta di registro.

Un approccio analogo, in verità, si trova già nella precedente risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 526 del 13 dicembre 2019 (4);

in detta occasione, peraltro, l’Agenzia era stata chiamata a pronunciarsi sia sui profili fiscali del- l’atto di divisione, sia sul regime applicabile alla fattispecie negoziale inversa, cioè al contratto con cui due o più persone decidano di costituire una comunione, mettendo in comune più beni di loro proprietà.

L’esame di tale documento di prassi induce a tornare sull’argomento, ampliando la disamina già condotta con riguardo alla divisione fino a ricomprendervi anche i problemi posti dall’applicazione dell’imposta di registro alla peculiare fattispecie dell’atto di messa in comunione.

(1) Il riferimento è a S.F. Marzo, Divisione ed imposta di regi- stro, tra diritto civile e diritto tributario, in questa Rivista, 2020, 4, 445 ss.

(2) Risposta ad interpello n. 30 del 6 febbraio 2020.

(3) Il riferimento è a Cass. Civ., SS.UU., 7 ottobre 2019, n.

25021, nelle more pubblicata anche in Dir. prat. trib., 2020, II, 1094, con commento di F. Pinto, Natura giuridica della divisione e disciplina in materia di imposta di registro.

(4) La risposta ad interpello menzionata nel testo è consultabile sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate, al seguente indirizzo:

https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/

2198423/Risposta+n.+526+del+2019.pdf/338bcef3-d9d3-3cd1- 4f1b-3fd710113def. Per un commento alla stessa si veda anche, G. Fransoni, L’Agenzia rivoluzione (consapevolmente?) la disci- plina della divisione ai fini dell’imposta di registro, reperibile al seguente indirizzo: https://fransoni.it/argomenti/lagenzia-rivolu- ziona-consapevolemente-la-disciplina-della-divisione-ai-fini-del- limposta-di-registro/.

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Il caso esaminato e le risposte dell’Agenzia delle Entrate

Il caso da cui scaturisce la risposta n. 526 del 2019 è assai articolato. In breve, all’esito di alcune com- plesse vicende, si erano venute a formare due distinte comunioni su beni diversi, tra soggetti solo in parte coincidenti (5). Per giungere allo scioglimento di tali comunioni, le parti si orientavano a procedere secondo quanto indicato in un precedente giurispru- denziale ormai non recentissimo, seppure ancora attuale, per il quale in presenza di più masse comuni non partecipate dai medesimi soggetti, laddove non si intenda procedere con distinte divisioni si rende necessario il“conferimento di tutte le masse in una sola, onde, diventata questa unica, sia possibile una divisione unica” (6).

In linea di principio, non v’è dubbio che la comu- nione possa sorgere anche per effetto di un negozio con il quale più persone decidano di mettere in comune più beni (o, come nel caso esaminato dal- l’Agenzia delle Entrate, più masse comuni di beni) di loro appartenenza; tale possibilità trova esplicita conferma, oltre che nella dottrina (7) e nella giuri- sprudenza già richiamata, anche nel dato normativo positivo: l’art. 1350, comma 1, n. 3, c.c., stabilisce infatti che “devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità [...] i contratti che costituiscono la comunione di diritti indicati dai numeri precedenti” (tra i quali è menzionata la pro- prietà di beni immobili) e, corrispondentemente, l’art. 2643, comma 1, n. 3, c.c. prevede che “si devono

contratti che costituiscono la comunione dei diritti menzionati nei numeri precedenti” (fra i quali è nuovamente ricompresa la proprietà di beni immobili).

È anche opportuno precisare che, diversamente da quanto sembrerebbe aver sostenuto il notaio inter- pellante, dalla pronuncia di legittimità dallo stesso richiamata non si trae il principio per il quale il previo conferimento di tutte le masse comuni in una sola massa sarebbe indispensabile per procedere alla divi- sione di tali masse; la Cassazione si limita infatti ad affermare che la costituzione di un’unica comunione è necessaria soltanto per procedere con una sola divisione in luogo di tante divisioni quante sono le masse da dividere. In astratto, dunque, la divisione delle due masse comuni avrebbe potuto aver luogo anche senza la previa costituzione della nuova comu- nione sull’intero compendio immobiliare realizzato sui due terreni confinanti.

Ad ogni modo, nel caso di specie le parti intendevano agire nella direzione indicata dalla Cassazione, pro- cedendo cioè al“conferimento” delle proprie quote di comproprietà in un’unica massa comune e, poi, alla divisione negoziale di tale nuova comunione.

Il notaio incaricato di rogare l’atto, quindi, chiedeva all’Amministrazione Finanziaria di esprimersi sul- l’applicazione dell’imposta di registro in relazione al negozio costitutivo della nuova comunione (8) ed al successivo atto di divisione della comunione così costituitasi, ritenendo comunque applicabile

(5) Le vicende da cui era scaturita tale situazione sono sinte- tizzabili come segue. Due coniugi in regime di comunione legale dei beni (di seguito indicati“Caio” e “Sempronia”) acquistavano la quota indivisa di un mezzo di un immobile adibito a civile abitazione e circostante area di pertinenza, mentre la restante quota indivisa di un mezzo veniva contestualmente acquistata da un terzo sog- getto (“Filano”), all’epoca celibe. In un secondo momento, gli stessi coniugi Caio e Sempronia acquistavano la quota indivisa pari ad un mezzo di un terreno di piccola estensione adiacente alla civile abitazione già acquistata; sempre con lo stesso atto, la restante quota indivisa pari ad un mezzo di tale terreno veniva acquistata da Filano, nelle more coniugatosi anch’esso in regime di comunione legale dei beni. Sulla base di detti titoli di prove- nienza, la proprietà dei beni risultava così distribuita: la civile abitazione era per un mezzo di proprietà indivisa dei coniugi Caio e Sempronia (tra loro in comunione legale) e per un mezzo di proprietà del solo Filano; il terreno adiacente apparteneva invece pro indiviso per un mezzo ai coniugi Caio e Sempronia (tra loro in comunione legale) e per un mezzo ai coniugi Filano e Mevia (tra loro sempre in comunione legale). Demolita la civile abitazione precedentemente acquistata, i quattro procedevano concordemente alla“unificazione fattuale e catastale” del terreno sul quale insisteva la civile abitazione e del più piccolo terreno adiacente e, sulla complessiva area così ottenuta, costruivano un complesso immobiliare costituito da quattro civili abitazioni e quattro posti auto scoperti. All’esito di quanto appena esposto e per effetto dell’accessione disciplinata dall’art. 934 c.c., le unità

immobiliari costruite sulla porzione di terreno derivante dal primo atto sono state acquistate in comproprietà dai sig.ri Filano (per la metà), Caio e Sempronia (per la restante metà, in comunione legale); le unità immobiliari (o le porzioni di esse) costruite sul terreno oggetto del secondo acquisto, invece, sono state acqui- state in comunione in pari quote tra i sig.ri Caio, Sempronia, Filano e Mevia. Da qui, la diversa composizione delle due diverse comu- nioni venutesi a formare.

(6) Così, Cass. Civ., Sez. II, 15 maggio 1992, n. 5798, richiamata dal notaio istante e menzionata nella risposta all’interpello. Nella medesima pronuncia la Cassazione precisava che l’atto “di con- ferimento delle singole comunioni in una comunione unica”, dovrebbe“materializzarsi in un negozio ad hoc che per di più, avendo ad oggetto beni immobili, deve rivestire la forma scritta‘ad substantiam’, siccome atto rientrante tra quanti previsti dall’art.

1350, n. 3, c.c.”.

(7) Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, 6. La proprietà, Milano, 2017, 326.

(8) Il notaio precisava che, per effetto del programmato con- tratto di messa in comunione, “ciascun comunista/conferente diventa titolare - a fronte delle due diverse proprietà conferite all’unica massa - di una quota della nuova comproprietà, calcolata in base al rapporto percentuale tra il valore della comproprietà individualmente conferita da ciascuno e quello della massa comune che in tal modo verrebbe a costituirsi; il tutto mantenendo assolutamente invariate le quote di partecipazione di ciascuno di essi alle originarie due masse in essere”.

(3)

’aliquota proporzionale dell’1% ex art. 3 della Tariffa, Parte Prima, allegata al T.U.R., e ciò “sia alla prima (unificazione delle due comunioni in essere) che alla seconda (divisione) negoziazione del descritto contratto”.

Nella risposta n. 526 del 2019 l’Agenzia delle Entrate si pronuncia sui quesiti posti dal notaio istante, con- fermando l’applicabilità dell’aliquota proporzionale dell’1% prevista per gli “atti di natura dichiarativa” di cui all’art. 3 della Tariffa, Parte Prima, allegata al T.U.R. tanto sull’atto costitutivo della comunione quanto sul successivo atto di divisione della comu- nione così formata (9).

Quanto alla divisione, la lettura della risposta solleva le stesse perplessità già manifestate nel commento alla successiva risposta n. 30 del 2020, al quale quindi è opportuno rinviare:

l’Agenzia delle Entrate si limita a confermare la natura dichiarativa della divisione (da cui discende l’applicabilità dell’aliquota dell’1%), senza considerare che tale “dogma” era nel frat- tempo stato superato per opera delle Sezioni Unite della Cassazione e senza interrogarsi sulle possibili conseguenze che tale circostanza avrebbe potuto riverberare in ambito fiscale. Come con- cluso nel precedente intervento, la risposta for- nita dall’Agenzia può quindi ritenersi sostanzialmente corretta, seppure la questione avrebbe meritato maggiore approfondimento.

Ancora maggiori perplessità, però, emergono esami- nando la risposta dell’Agenzia delle Entrate nella parte in cui vi si affronta il tema del regime impositivo del negozio costitutivo della comunione. A tal riguardo, l’Amministrazione si limita infatti ad affer- mare che “la costituzione della nuova comunione produce effetti analoghi, seppur opposti, a quelli dell’atto di divisione della comunione” e che “Per- tanto, da un punto di vista fiscale, si ritiene condivi- sibile la soluzione proposta dall’istante in ordine all’applicazione della disposizione di cui all’articolo 3 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, che prevede la tassazione in misura propor- zionale con aliquota dell’1%”.

Secondo l’Agenzia, quindi, anche l’atto di messa in comunione presenterebbe una natura meramente dichiarativa, e sarebbe soggetto ad imposta di registro con l’aliquota dell’1% prevista per tale tipologia di atti.

I dubbi irrisolti sul regime impositivo dell’atto di costituzione in comunione L’Agenzia delle Entrate affronta il problema dell’ap- plicazione dell’imposta di registro sull’atto di messa in comunione con le lapidarie affermazioni riportate in conclusione del paragrafo precedente; lungi dall’ap- parire realmente risolutive della questione, tuttavia, tali affermazioni lasciano aperti dubbi ancora mag- giori di quelli già esaminati con riguardo alla divi- sione, inducendo a tornare sul tema dei possibili effetti prodotti sul piano fiscale dall’abbandono della tesi della natura meramente dichiarativa della fattispecie divisoria.

Con la più volte richiamata sentenza del Cass. Civ. 7 ottobre 2019, n. 25021, le Sezioni Unite della Cas- sazione hanno respinto il postulato della natura meramente dichiarativa della fattispecie divisoria, affermando invece “che la divisione ha una natura specificativa, attributiva, che impone di collocarla tra gli atti ad efficacia tipicamente costitutiva e traslativa”. Facendo propria l’affermazione dell’A- genzia delle Entrate, secondo cui “la costituzione della nuova comunione produce effetti analoghi, seppur opposti, a quelli dell’atto di divisione della comunione”, dovrebbe allora ritenersi che anche il negozio di messa in comunione abbia natura tipica- mente costitutiva e traslativa.

Sviluppando coerentemente il ragionamento, si dovrebbe infine giungere ad una conclusione opposta a quella affermata nella risposta in commento, ovvero all’impossibilità di ricondurre il negozio di messa in comunione tra gli“atti di natura dichiarativa” di cui all’art. 3 della Tariffa, Parte Prima, allegata al T.U.R.;

ciò, ovviamente, a meno che non si riesca ad attri- buire anche all’atto di messa in comunione una natura meramente dichiarativa, sia pure ai soli fini dell’applicazione dell’imposta di registro.

Correndo il rischio di ripetersi, è opportuno ricordare come sia certamente ammissibile che il “legislatore tributario” qualifichi autonomamente un fenomeno già noto ad altri settori dell’ordinamento; in man- canza di tale autonoma qualificazione, però, il feno- meno deve essere valutato alla luce dei criteri di unitarietà, coerenza e sistematicità dell’ordina- mento. In altri termini, se ai fini dell’imposta di registro il legislatore non ha qualificato autonoma- mente il contratto di messa in comunione come atto di natura dichiarativa, a tale atto dovrebbe essere

(9) L’Agenzia precisa anche che l’aliquota dell’1% sulla divi- sione può essere applicata soltanto ricorrendo la condizione (invero non esplicitata dal notaio istante) che a ciascuno dei condividenti sia assegnata una porzione del bene comune avente

valore corrispondente alla quota di diritto; in caso contrario, ai sensi dell’art. 34, comma 1, T.U.R., l’assegnazione della parte eccedente è considerata vendita, ed è assoggettata all’aliquota prevista per tale atto.

(4)

nel diritto civile ovvero, attualmente, quella propria- mente traslativa/costitutiva.

Con riguardo alla divisione, validi argomenti nel senso del riconoscimento ai fini fiscali della natura dichia- rativa si possono trarre dall’art. 34 T.U.R. il quale, pur non sancendo espressamente la natura dichiarativa della divisione, trova razionale giustificazione soltanto assumendo che la divisione in quanto tale non costi- tuisca atto di natura traslativa (10). Occorre perciò chiedersi se dall’art. 34 T.U.R. possa desumersi la natura dichiarativa, quanto meno ai limitati effetti dell’applicazione dell’imposta di registro, anche del- l’atto costitutivo della comunione, oltre che dell’atto di scioglimento della stessa.

L’interrogativo appena posto non appare di soluzione immediata, considerato che l’art. 34 T.U.R. non detta alcuna regola inerente al contratto di messa in comunione, occupandosi esclusivamente della fattispecie inversa. Una risposta affermativa a tale quesito, tuttavia, sembra comunque possibile.

In effetti, se ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro all’operazione divisionale è riconosciuta natura dichiarativa, le stesse ragioni di coerenza e sistematicità cui si è fatto cenno in precedenza dovrebbero indurre a riconoscere la stessa natura anche all’atto finalizzato a produrre “effetti analoghi, seppur opposti”. Sembra infatti che l’unitarietà e la coerenza dell’ordinamento debbano essere perseguite in primis nell’ambito dello stesso settore normativo.

Non si può nascondere che altre considerazioni potrebbero condurre a conclusioni diverse. Tra que- ste, vi è soprattutto la constatazione per cui il legi- slatore tributario ha preso in considerazione esclusivamente la divisione, operandone una quali- ficazione giuridica autonoma rispetto a quella (oggi) riconosciuta sul piano generale; ciò, invece, non risulta essere avvenuto per il negozio di messa in comunione che, si potrebbe ritenere, avrebbe con- servato la propria natura costitutiva tanto ai fini civilistici quanto agli effetti fiscali. In altri termini, la natura dichiarativa (ai soli fini dell’imposta di registro) non potrebbe essere dimostrata soltanto sulla base della“suggestiva immagine” dell’atto costi- tutivo della comunione quale“reciproco” di un atto di divisione (11)

razione. Occorre tuttavia ricordare che, discutendo di un tributo (quello di registro) che si configura attual- mente come un’imposta “sull’attività giuridica” (12), destinato ad assumere quale indice rivelatore di capa- cità contributiva il compimento di una data attività produttiva di effetti ritenuti rilevanti dal legisla- tore (13), sarebbe logico attendersi che due tipologie di atti destinati a produrre effetti giuridici analoghi, per quanto opposti, siano assoggettate ad un regime impositivo parimenti analogo. Ritenendo diversa- mente, d’altro canto, si porrebbe il difficile problema di individuare il fondamento (anche costituzionale) della diversa qualificazione (e tassazione) dell’atto di messa in comunione rispetto alla qualificazione (e tassazione) dell’atto di scioglimento della medesima comunione.

Resta comunque inteso che, laddove si ritenga per- corribile la via del riconoscimento, ai fini in discus- sione, della natura dichiarativa anche al negozio di messa in comunione, lo stesso resterebbe soggetto a tutte le regole sancite dall’art. 34 T.U.R. con riguardo all’opposta fattispecie della divisione, fatti ovvia- mente salvi i necessari adattamenti.

Pertanto, anche al contratto di messa in comunione potrebbe riconoscersi natura dichiarativa soltanto nei limiti in cui il valore delle quote spettanti ai comunisti sulla massa comune costituita per effetto del negozio sia equivalente al valore dei beni conferiti in comunione; qualora tra i due valori non vi fosse corrispondenza, l’atto dovrebbe considerarsi vendita limitatamente al valore eccedente, secondo quanto previsto dall’art. 34, comma 1, primo periodo, T.U.R.

Se poi fossero previsti conguagli volti ad appianare le eventuali disparità di valore tra bene conferito e quote di diritto sulla massa comune, gli stessi sareb- bero assoggettati alle aliquote previsti per i trasferi- menti se di ammontare superiore al 5% del valore del bene conferito.

Conclusioni

Portando a conclusione le sintetiche considerazioni sin qui svolte, si possono formulare due riflessioni: la prima attiene allo specifico problema del regime impositivo applicabile all’atto di costituzione in comunione di più beni (o masse di beni); la seconda,

(10) Cfr., sul punto, S.F. Marzo, Divisione ed imposta di regi- stro, tra diritto civile e diritto tributario, cit., 444 ss.

(11) In questi termini, G. Fransoni, L’Agenzia rivoluzione (con- sapevolmente?) la disciplina della divisione ai fini dell’imposta di registro, cit., 3.

(12) Così, N. D’Amati, La nuova disciplina dell’imposta di regi- stro, Torino, 1989, 67.

(13) Sul presupposto che tale attività e tali effetti costituiscano indici di forza economica e, quindi, di attitudine alla contribuzione;

si vedano sul punto, V. Uckmar - R. Dominici, voce Registro (imposta di), in Dig. disc. priv., Sez. comm., Torino, 1996, 258;

A. Busani, L’imposta di registro, Milano, 2009, 31.

(5)

’effettiva capacità di indirizzo delle risposte fornite dall’Am- ministrazione Finanziaria agli interpelli proposti dai contribuenti.

In ordine al primo punto, occorre sottolineare che, anche per effetto della ormai nota sentenza delle Sezioni Unite, il tema del corretto inquadramento dell’atto di messa in comunione ai fini dell’applica- zione dell’imposta di registro appare assai più proble- matico di quanto la lettura della risposta ad interpello resa dall’Agenzia delle Entrate possa far ritenere, presentando incertezze ancora maggiori rispetto a quanto si è visto per l’opposto fenomeno divisorio.

Vi sono argomenti per sostenere che anche a tale atto sia applicabile l’aliquota prevista per atti di natura dichiarativa, salve le previsioni di cui all’art. 34 T.U.

R. su maggiori assegni e conguagli; la questione, tuttavia, presenta rilevanti margini di opinabilità, che non si possono trascurare.

Tale ultima considerazione induce poi ad interrogarsi sulle modalità con cui l’Amministrazione Finanziaria

dei contribuenti che le è affidata dalla legge.

Come più volte evidenziato, nei documenti di prassi che hanno recentemente esaminato il tema dell’ap- plicazione dell’impostadiregistrosugliattididivisione e di messa in comunione, la parte motivazionale sem- bra assai carente. Rispetto alle questioni sottoposte all’AgenziadelleEntrate,insostanza,leconsiderazioni esposte non appaiono affatto risolutive e non contri- buiscono a dissipare tutti i dubbi emersi sulle due fattispecie in oggetto per effetto del revirement giuri- sprudenziale sul tema della pretesa natura dichiarativa della divisione. A prescindere dagli effetti che la risposta all’interpello esplica direttamente nella sfera giuridica del richiedente (14), però, è chiaro che la funzione di indirizzo rivolta alla generalità dei contri- buenti, al cui perseguimento è strumentale la pubbli- cazione delle risposte prevista dall’art. 11, comma 6, L.

27 luglio 2000, n. 212, è tanto più efficacemente svolta quanto maggiore è la solidità argomentativa delle risposte fornite dall’Amministrazione Finanziaria.

(14) L’art. 11, comma 3, L. n. 212/2000, dispone che la risposta all’interpello “scritta e motivata, vincola ogni organo della ammi- nistrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto del- l’istanza e limitatamente al richiedente” e che “Gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta,

espressa o tacita, sono nulli”. Dato il puntuale riferimento della norma al“richiedente”, invero, nel caso in esame potrebbe sor- gere il dubbio che tali effetti possano riguardare soltanto il notaio rogante (che aveva proposto l’interpello), e non le parti degli atti di messa in comunione e di successiva divisione.

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