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Presentazione della struttura

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Academic year: 2021

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61 Lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare lo stato dei canili nel territorio preso in esame, sia sotto il punto di vista della gestione che per quel che riguarda le strutture e la qualità della vita che queste riescono a garantire agli animali che ospitano.

Non è stato semplice ottenere la collaborazione delle strutture per la compilazione dei questionari, molto probabilmente per mancanza di tempo. Tramite le risposte ottenute dagli addetti ai canili, abbiamo cercato di scoprire le eventuali mancanze o gli eventuali pregi delle varie strutture, per poter poi essere in grado di fornire una corretta valutazione delle stesse, al fine di poter dare dei suggerimenti, ove fosse possibile, per migliorare sia il benessere dell’animale durante la permanenza all’interno della struttura sia le frequenze di adozione.

Presentazione della struttura

Nel territorio analizzato, è risultato che la maggioranza delle strutture si trova in campagna; molto minore è il numero di quelle che sono situate nei centri urbani o nelle loro immediate vicinanze.

I canili sono risultati tutti abbastanza facilmente raggiungibili ma, come è facile immaginare, non sono posti nelle migliori condizioni ambientali. Infatti, come previsto dalla normativa vigente, il canile dovrebbe sorgere ad una debita distanza dalle abitazioni, ma comunque in una zona facilmente raggiungibile anche con i mezzi pubblici, adeguatamente segnalata durante il percorso e dotata di un idoneo parcheggio per i visitatori e gli addetti. La soluzione ideale sarebbe quella dell’inserimento della struttura all’interno di un parco, in quanto il verde fungerebbe da barriera acustica (Heiden, 1992).

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62 Il canile dovrebbe però essere presentato come migliorativo del parco stesso. Sarebbe quindi utile arricchirlo con percorsi didattici, in modo da favorire le visite da parte di scolaresche, con lo scopo principale di fornire, già in giovane età, una educazione al rispetto degli animali.

Vi potrebbero essere inserite aree per cani frequentabili da tutti i proprietari di animali, appositi punti di ristoro con bar e tavolini, in modo da rendere piacevole la zona anche per coloro che non possiedono un cane (Marchesini, 2000; Marchesini, 2002).

Il canile vero e proprio dovrebbe poi essere delimitato da una apposita recinzione, atta ad impedire la fuga degli animali; dovrebbe essere lontana da corsi d’acqua e laghetti, per evitare massive infestazioni di zanzare e flebotomi.

Nella maggior parte dei casi, la gestione è risultata essere affidata ad associazioni no profit, che si appoggiano, in alcuni casi, su convenzioni con il Comune in cui ha sede la struttura, in altri su donazioni.

Emerge un dato positivo per quanto riguarda la pubblicizzazione di queste strutture.

Nei due terzi dei casi, i canili hanno un loro sito internet in cui viene descritta l’attività e la filosofia della struttura, in cui è presente un apposito spazio destinato alle foto dei cani adottabili, corredate da note descrittive del carattere del soggetto.

Canile sanitario o canile rifugio?

Oltre il 60% delle strutture prese in esame è risultata essere quella di canile rifugio, contro un 13% circa di canili sanitari ed un 23% di strutture ambivalenti. Questo a dimostrazione della necessità della presenza di queste strutture per l’accoglienza dei cani senza fissa dimora.

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63 Nonostante la preponderanza numerica dei canili rifugio, si è notato a volte un sovraffollamento di alcune strutture rifugio, imputabile a diversi fattori, tra cui potremmo annoverare anche la scarsità numerica delle stesse o la difficoltà di aumentare il numero di adozioni e di diminuire, nel contempo, il numero dei rientri e degli abbandoni.

Per il canile sanitario la situazione è meglio definita e gestita in quanto, per legge (L. 281/1991) questo tipo di struttura può ospitare l’animale solo per un periodo di tempo prestabilito, utile alle prime cure ed allo screening epidemiologico.

Il canile rifugio affronta una situazione completamente diversa. Questo ha il compito di ospitare i cani che non vengono affidati, cercando di salvaguardarne il benessere.

Il canile diventa, quindi, un luogo di lotta al randagismo, di controllo per l’affidamento, di controllo nascite e malattie, di registrazione di dati.

Purtroppo, la caratteristica fondamentale di queste strutture, ovvero sia la temporaneità, viene spesso persa a favore di situazioni di permanenza vitalizia per gli animali che vi sono ospitati, con problemi di sovraffollamento e la mancanza di quelle condizioni basilari necessarie a salvaguardare il benessere animale (Bono et al., 2004).

Per assicurare una idonea qualità di vita ai cani ricoverati, un canile deve presentare precisi requisiti in termini di struttura e di gestione.

Gli aspetti che differenziano un rifugio che funziona bene sono: - Una elevata percentuale di affidi

- Una bassa percentuale di rientri

- La possibilità per i cani ricoverati di avere stimoli mentali

- La possibilità di socializzare con gli altri cani ma soprattutto con gli uomini.

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64 Purtroppo, nelle diverse leggi regionali, si fa riferimento solo ai requisiti strutturali di un canile. Ma se l’obiettivo prefissato è il benessere degli animali, il legislatore non potrà certo esimersi dal prendere in considerazione anche tutta una serie di requisiti gestionali (Schiavini et al., 2005 ).

Le strutture

La legge 281 del 1991 stabilisce dei requisiti di base per quanto riguarda la costituzione dei canili, siano essi sanitari o canili rifugio.

Ad ogni regione viene poi demandato il compito di determinarne i criteri specifici.

Gli aspetti da tenere in considerazione all’atto della progettazione di un canile sono innumerevoli.

E’ stato richiesto ai canili presi in esame di specificare dati strutturali, quali il numero di box, la loro dimensione, i materiali di costruzione, il numero di cani ospitato all’interno di ogni box, la presenza o meno di un reparto dedicato esclusivamente ai cuccioli, la frequenza delle operazioni di pulizia ed i prodotti utilizzati a questo scopo. E’ emerso che tutte le strutture rispettano i dettami di legge per quello che riguarda le dimensioni dei box e i materiali di costruzione. A discrezione dei vari canili viene invece lasciata la scelta dei criteri per l’occupazione di questi box.

Spesso i cani vengono ospitati nello stesso box in base ad attitudini caratteriali, alla taglia ed al sesso o, in un caso solamente, in base alla disponibilità di posti all’interno del canile.

Tenere i cani in coppie è generalmente considerato preferibile rispetto al tenerli isolati, perché permette loro di sviluppare la comunicazione tattile ed inoltre rappresenta una novità in un ambiente sterile. D’altra parte,

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65 collocare più cani in gruppi, può aumentare il rischio di trasmissione di malattie e/o di incidenti come risultato dell’aggressività (Hubrecht, 1995). Pur essendo a norma di legge, esistono ampi margini di miglioramento per i box, che influenzerebbero lo stato di benessere del cane. Una gabbia o un recinto sono a volte troppo esigui per permettere l’espletarsi di tutti i fenomeni che si possono osservare nell’ambiente naturale e nei parchi, dove gli animali dispongono di uno spazio sufficiente per manifestare tutte le loro potenzialità (Montagner, 1995).

Da studi effettuati sull’arricchimento ambientale risulta che: le dimensioni del box (Hite et al., 1977; Huges et al., 1989; Hetts et al., 1992; Hubrecht et al., 1992), i contatti sociali (Hubrecht, 1993; Mertens and Unshelm, 1996; Wells and Hepper, 1998) e l’introduzione di mobili o giocattoli nel box influiscono positivamente sia sul comportamento che sul benessere dell’animale, e, di conseguenza, sull’immagine che questo proietta di sé sui visitatori, aumentando il suo indice di adottabilità.

Alcuni di questi studi hanno anche testato l’influenza che poteva avere sui cani la presenza di stimoli sonori. I cani si dimostravano molto più sereni, ovvero sia diminuiva l’abbaiare ed aumentava il riposo, quando veniva fatta ascoltare loro musica classica; il contrario accadeva in caso di musica heavy metal (Wells, 2003).

I rumori normalmente presenti all’interno di un canile, quali l’abbaiare degli altri cani, i rumori provocati dalle attività di pulizia o dalla presenza di un numero variabile di persone e semplicemente del traffico esterno, possono potenzialmente compromettere il welfare degli animali (Sales et al., 1997).

E’ stata comprovata l’esistenza anche di odori calmanti, come la lavanda, o stimolanti, come la menta, a dimostrazione dell’influenza sul benessere del cane anche degli stimoli olfattivi (Wells, 2003).

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66 Importanti, come detto in precedenza, sono anche i momenti di socializzazione con i conspecifici e con gli esseri umani. I cani, infatti, sono animali estremamente socievoli, con un desiderio innato di contatto (Wells, 1998). I risultati di questi studi indicano che laddove i cani avessero l’opportunità del contatto visivo con altri cani, modificavano le loro abitudini in modo da sfruttare questa possibilità, dedicando ad essa la maggior parte del loro tempo. Questi contatti visivi possono contribuire alla diminuzione della sottostimolazione normalmente presente in una situazione di confinamento solitario, quale quella che si riscontra all’interno dei box nei canili.

Ulteriori studi (Tuber et al., 1999; Hennessy et al., 2002) dimostrano che la presenza di esseri umani e la possibilità di una interazione costruttiva tra essi e l’animale diminuisce il livello di stress in quest’ultimo.

Nella maggioranza delle strutture i cani vengono portati fuori dal box una volta al giorno, in modo da avere la possibilità di stare in gruppo e, allo stesso tempo, facilitare il lavoro di pulizia dei box. Le zone dette di sgambatura sono vicine ai box, spesso collegate da brevi corridoi. Un dato, questo, decisamente positivo, visto il carattere sociale del cane ed il suo bisogno di interagire con i suoi conspecifici, a patto però che ci sia un supervisore.

La sgambatura, considerata per lo più come una possibilità data al cane di sgranchirsi le zampe, potrebbe essere utilizzata anche a fini educativi. La lunga permanenza nel box, l’eccitazione degli altri cani e la frustrazione inducono il cane a considerare l’uscita dal box come una “fuga” attraverso quella porta. Questa potrebbe essere la spiegazione della voglia dell’individuo di fuggire quando poi viene adottato. Riportare questo tipo di apprendimento nella vita domestica non facilita certo la gestione del cane, che potrebbe mostrare distruttività rivolta alle porte di casa e la fuga

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67 dai cancelli, non tanto per allontanarsi dalla famiglia nella quale ha difficoltà ad inserirsi, ma perché è abituato in questo modo.( Spennacchio, 2007)

Modificando il modo di agire nel canile e imponendo uno stato di calma prima di far uscire il cane dal box, interagendo col cane e poi, come se fosse una naturale conseguenza, permettergli di uscire come premio della sua condotta per quel breve periodo di tempo in cui non è subito scattato fuori dal box ed ha rivolto la sua attenzione verso l’operatore, stringendo anche il rapporto uomo-cane, si potrebbe ottenere come primo successo un comportamento che il cane seguirà anche nella sua vita futura ed eviterà di creare una situazione di eccitazione agli altri cani sfrecciandogli davanti, innescando un’esplosione di abbai e di stato di agitazione.

Laddove i cani vengono portati fuori singolarmente per la mancanza di zone di sgambatura, il vantaggio potrebbe stare nel fatto che il cane viene abituato ad essere manipolato dalle persone e, se gli operatori sono in grado, viene insegnato al cane il comportamento giusto per andare a guinzaglio senza tirare e senza agitarsi.( Spennacchio, 2007)

Reparto cuccioli

Per quanto riguarda le presenza o meno di un reparto interamente dedicato ai cuccioli, oltre il 50% delle strutture analizzate ha fornito una risposta affermativa, con delle variabili riferite alla dimensione del reparto stesso. Negli altri casi, la mancanza di questo reparto può essere attribuita anche al fatto che la stragrande maggioranza degli animali viene sterilizzata, diminuendo, quindi, la probabilità di nuove nascite.

Quando in canile entrano dei cuccioli con la madre, normalmente questi vengono sistemati con lei in un box; ma se un cucciolo arriva da solo, la

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68 tendenza è quella di tenerlo lontano dagli altri cani, per evitare che possa contrarre malattie infettive.

Non si tiene conto, però, del fatto che lo stress dell’abbandono sommato a quello della solitudine può causare un abbassamento delle difese immunitarie che rischia comunque di compromettere la salute del piccolo, e che dal punto di vista dello sviluppo psichico e comportamentale la solitudine è deleteria per un cane che abbia meno di 3-4 mesi.

L’isolamento nell’ambiente asettico ed estremamente povero del box sottopone il cucciolo ad una grave deprivazione sensoriale, mancanza di socializzazione, impoverimento del bagaglio esperienziale con gravi conseguenze sul carattere e sul profilo cognitivo-comportamentale.

( Pattacini e Bertoldi, 2007)

Per quanto riguarda l’adozione dei cuccioli, nella maggior parte delle strutture i piccoli non vengono dati in adozione prima del raggiungimento dei 2 mesi di vita, atteggiamento che può risultare positivo in quanto in questa maniera i cuccioli hanno la possibilità di apprendere dei comportamenti sia dalla madre che dai fratelli.

Tuttavia, nel caso specifico del canile e soprattutto di cuccioli orfani o con una madre problematica, darli in adozione il prima possibile evita il rischio di adattamento eccessivo ad un ambiente povero di stimoli.

Sarebbe quindi opportuno cercare una soluzione che sia la migliore possibile di caso in caso e spiegare bene ai nuovi proprietari i rischi connessi con questa adozione nonché le azioni preventive da applicare.

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Gli ospiti del canile

Le autorità sanitarie locali stabiliscono un numero massimo di cani che le strutture possono ospitare. Molti dei canili presi in esame non hanno fornito risposta in merito; una probabile spiegazione potrebbe consistere nella necessità di ospitarne un numero maggiore di quello consentito. Ciò che è risultato evidente da questo studio è infatti che la maggior parte dei canili ospita un numero di animali superiore alla media riscontrata, e che sono molto più numerosi gli ingressi delle adozioni.

Inoltre la permanenza media dei cani all’interno di queste strutture è superiore ad un anno. Una possibile causa di queste lunghe degenze è sicuramente la difficoltà degli affidi corretti, ovvero sia quelle adozioni che non portano poi ad un rientro dell’animale nel canile.

Le motivazioni dei rientri sono molteplici, ma la maggior parte riguarda i problemi comportamentali del cane dato in adozione. Come evidenzia lo studio di Wells (2000), nelle prime quattro settimane successive all’adozione i dieci comportamenti indesiderabili maggiormente esibiti dai cani sono: eccessivo abbaiare, aggressività nei confronti di conspecifici, aggressività contro l’uomo, coprofagia, distruttività in assenza dei proprietari, iperattività, paura, problemi sessuali, difficoltà di adattamento all’ambiente e vagabondaggio.

L’aggressività, pur essendo uno dei motivi più comuni che rendono “indesiderabile” un cane, emerge raramente da questo studio, questo fatto potrebbe essere dovuto alla paura dei proprietari o degli stessi addetti del canile ad etichettare un cane come pericoloso per non compromettergli una potenziale futura adozione e, prevalentemente, per non condannarlo alla morte, visto che per legge (L.281/1991 Art.2, comma 5) una delle rare

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70 occasioni in cui l’eutanasia è permessa è proprio nel caso di un cane di comprovata pericolosità.

Tutti questi comportamenti negativi potrebbero essere evitati con l’adozione di determinati accorgimenti, ad esempio con l’utilizzo di test comportamentali all’interno del canile per poter arrivare alla formulazione di una scheda individuale per ogni cane, così da poter lavorare su eventuali problemi di uno specifico soggetto prima dell’adozione, in modo da poter accoppiare il giusto cane con il giusto padrone e limitare in maniera sostanziale i rientri per incompatibilità.

Il numero di cani abbandonati o riportati ai canili in seguito all’ esibizione di problemi comportamentali potrebbe diminuire aumentando la consapevolezza nel pubblico del valore della terapia comportamentale e dell’introduzione di schemi terapeutici comportamentali nei canili (Wells, 2000).

Forse molti cani randagi sono stati abbandonati appunto per il loro comportamento indesiderato, oppure hanno sviluppato problemi comportamentali durante la loro vita per la strada. Da studi effettuati (Jagoe, 1994), emerge che gli animali presi dal canile si mostrano più paurosi all’approccio di sconosciuti e questo potrebbe suggerire che gli ambienti confinati potrebbero predisporre gli animali a diventare diffidenti e paurosi nel contatto con gli esseri umani.

Spesso i problemi non vengono dall’ animale ma dalle aspettative sbagliate dei proprietari. Cosa percepiscono i proprietari come comportamenti indesiderati? Gli stessi comportamenti, se espressi da cuccioli o da adulti, hanno un impatto diverso sul padrone, che si mostra molto più permissivo sui comportamenti “anomali” di un cucciolo, mentre lo stesso comportamento non viene accettato quando esibito da un adulto.

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71 Comportamenti come l’eccessivo abbaiare o l’essere iperattivi, molto più frequente nei cani giovani che nei cuccioli o adulti, pur essendo un comportamento normale per l’età dell’animale non è gradito dai proprietari. Questo fatto sottolinea che i proprietari dovrebbero conoscere anticipatamente cosa costituisce un comportamento accettabile o meno in ogni età del cane.

Inoltre, come tutti i cani non sono uguali, anche i padroni non lo sono. Comportamenti considerati problematici da alcuni proprietari possono non esserlo per altri, considerando la situazione anche in seguito ad esperienze precedenti con altri cani.

Non tutte le persone sono in grado di gestire un rapporto uomo-cane, e tra coloro in condizione di farlo non tutti possono gestire qualsiasi tipo di cane. Se si trovasse un metodo scientifico per studiare e descrivere la personalità dei cani adottabili, che riduce il più possibile l’eventualità che l’essere umano si trovi in casa un cane non adatto al proprio carattere, si dovrebbe riscontrare un notevole aumento delle adozioni dei cani presenti, con una riduzione sia nella spesa della pubblica amministrazione (minori spese per il mantenimento dei cani), sia dei rientri per difficoltà di gestione da parte dei proprietari. Determinare la personalità dei cani aiuta infatti a comprendere quale possa essere il giusto contesto per il cane, se adottabile, ed aiuta a comprendere qual è la terapia comportamentale più adatta per quel cane se non adottabile (Natoli et al., 2001).

La terapia comportamentale nel canile potrebbe rappresentare una valida soluzione, aumentando le probabilità di dare in adozione i cani senza problemi, così come un consultorio comportamentale ad uso dei proprietari prima di arrivare ad abbandonare il loro cane.

Uno studio effettuato da Casey (2006) evidenzia come uno dei ruoli importanti del personale di un canile dovrebbe essere l’abbinamento giusto

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72 fra cane-proprietario. La valutazione dell’adattabilità di un individuo ad una nuova casa è influenzata da età, razza, sesso, colore, taglia e tipo di pelo: fattori, questi, tutti determinanti. Inoltre, il successo di questa relazione cane-uomo dipende dal temperamento di un cane e da specifici suoi comportamenti in contesti diversi e come questi si associano alle aspettative del padrone.

Nei canili del Regno Unito sono presenti vari metodi/tecniche che vanno da un approccio intuitivo, che esclude a priori certi tipi di animali o proprietari per minimizzare il rischio, fino all’uso di questionari e test che mirano ad aumentare una relazione cane-uomo riuscita. Un altro metodo risultato molto efficace, secondo lo studio della Casey (2006), era quello di informare i proprietari a proposito delle necessità e dell’ulteriore addestramento di cui il loro nuovo cane potrebbe avere bisogno. Nella suddetta ricerca sono stati utilizzati questionari per raccogliere informazioni fornite dai precedenti proprietari (metodo non applicabile per i cani randagi) per quanto riguardava gli aspetti sociali e fisici dell’animale nel suo ambiente, in modo da poter valutare quali stimoli ha già avuto l’ animale. Ma nella maggior parte dei casi, visto che nei canili si tratta di cani abbandonati e non riferiti e di conseguenza non potendo parlare con i precedenti proprietari, è stato valutato il comportamento del cane in risposta a vari stimoli. Risultava da questo studio che gli addetti del canile, basandosi su questi test, erano in grado di giudicare meglio un’associazione cane-padrone, diminuendo il rischio che un animale mostrasse particolari risposte nel contesto del canile che, una volta nella nuova casa, sarebbero risultate indesiderabili.

In alcuni casi i futuri proprietari, prima di scegliere il cane, venivano intervistati e solo dopo il personale gli dava la possibilità di scegliersi il cane tra un gruppo di animali che loro ritenevano idonei, evitando problemi

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73 che invece potrebbero sorgere quando il proprietario sceglie il cane effettuando una scelta su base emotiva, e una volta portato a casa, si scontra con le problematiche quotidiane della sua gestione (ad esempio la casa è troppo piccola o il cane è troppo grande, il cane è giovane e irruento e il proprietario anziano e sedentario).

Questa tesi viene sostenuta anche da Van Der Borg e collaboratori (1991), i quali affermano che, se si vuole ottenere un corretto abbinamento tra cane e padrone, è importante che il personale del canile sia in grado di percepire potenziali problemi comportamentali.

Da questi studi emergono tanti aspetti che riguardano la gestione degli animali nel canile. La possibilità/capacità di creare delle schede individuali sui cani, contenenti il maggior numero possibile di informazioni riguardo al suo carattere, alle esperienze vissute, ad eventuali comportamenti “anomali” esibiti, oltre che ad informazioni basilari, quali la data di ingresso nella struttura, il luogo del ritrovamento e le sue condizioni di salute in quel momento, se è già stato soggetto ad adozioni ed il motivo del rientro in canile, può essere la base di partenza per intraprendere accorgimenti che porteranno l’animale ad una giusta adozione definitiva. Ogni cane dovrebbe avere quindi un proprio “documento d’identità”.

Tutto ciò andrebbe abbinato a colloqui pre-adozione con gli aspiranti proprietari, che dovrebbero ricevere opuscoli informativi pre- e post-adozione, che li preparerebbero alla futura gestione dell’animale.

In quasi tutte le strutture analizzate esiste un registro, la cui compilazione e aggiornamento è affidata a soggetti diversi per ogni struttura. Questo registro riguarda esclusivamente il momento degli ingressi e il momento in cui il cane viene dato in adozione. Invece abbiamo visto quant’è importante avere un completo controllo sugli ospiti del canile, senza limitarsi alle entrate/uscite.

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74 L’aggiornamento dei registri, inoltre, dovrebbe essere effettuato da persone in grado di farlo (quindi da personale formato, che sia dipendente o volontario), cosicché risulti ben fatto, chiaro e completo.

Il colloquio pre-adozione viene effettuato nella maggior parte delle strutture, ma senza le giuste schede individuali dei cani, rendendo più difficile fare il corretto abbinamento con i proprietari.

Gli opuscoli con i consigli pre- e post-adozione sono sottovalutati: sono infatti presenti in meno della metà delle strutture. Invece è plausibile che fornire dei consigli ai nuovi proprietari è sempre a vantaggio del cane. Bisogna però dire che le strutture fanno del loro meglio con quello che hanno, e se non hanno risorse umane o monetarie per soddisfare bisogni considerati di importanza vitale, è difficile che si possa utilizzare tempo e denaro per i test comportamentali e la compilazione di schede. Così facendo però aumenta il rischio che i cani, soprattutto alcuni di loro, rimangano per sempre nel canile, aumentando di fatto le spese.

Gli abbandoni, e quindi le entrate di animali nel canile, come emerge dal presente studio, aumentano durante il periodo estivo, ed è a conoscenza di tutti che durante le vacanze un animale domestico potrebbe diventare un peso, con la facile soluzione per molti di abbandonarlo. Problema, questo, ormai noto da tempo, considerando le campagne pubblicitarie che mirano a sensibilizzare il pubblico riguardo a questo problema.

Una soluzione esterna al canile, che però aiuterebbe anche queste strutture, potrebbe essere la possibilità che offrono alberghi e villaggi turistici di fare le vacanze insieme al proprio animale. Oppure gli stessi canili potrebbero offrire la possibilità di ospitare animali di privati a pagamento a cifre contenute, così da avere sia un guadagno durante i mesi estivi sia una diminuzione di rientri di cani che, comunque vada, finirebbero lì (anche se questo prevede strutture di pulizia, ordine etc. particolarmente alta).

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75 Le adozioni, al contrario di quello che normalmente si ritiene, sembrano uniformemente distribuite durante all’anno.

Alimentazione

Le strutture prese in esame forniscono per la maggior parte un pasto al giorno e questo di solito succede la mattina entro le 12:00. Alcune di esse provvedono all’alimentazione due volte al giorno (mattina e sera) ed altre tengono l’alimento sempre a disposizione degli animali. Nella gran parte dei canili, per ragioni prevalentemente economiche, anche se non particolarmente pratiche, l’alimentazione si basa, oltre che sull’alimento secco, sulla cottura di alimenti freschi e sull’alimentazione con mangime umido; ciò dipende soprattutto da quello che viene donato alle strutture. Da un punto di vista nutrizionale, tali preparazioni non forniscono garanzie sufficienti di idoneità, anche perché risultano variabili nei contenuti dei principale costituenti, visto che sono soggette alla disponibilità della giornata.

Inoltre, il contenuto calorico, per l’abbondanza di carboidrati, è di solito eccessivo in relazione alla vita sedentaria che i cani nel box sono costretti a svolgere.

Sarebbe opportuno, anche se di relativo costo, utilizzare esclusivamente un alimento industriale di tipo secco, che è garantito indenne da agenti patogeni o contaminanti, e contiene, perché appositamente studiato, tutti i principi nutritivi essenziali per i vari stadi di sviluppo degli animali, dando anche la possibilità di offrire mangimi medicati ad individui che ne abbiano la necessità.

Ad esempio, in caso di malattie epatiche, malattie renali, obesità oppure di diete particolari come quella ipoproteica, che in casi di ipereccitabilità è

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76 utile ai fini di rendere più tranquillo il soggetto (Campbell, 1975; O’Farrell, 1999).

Un’ipotesi, quella detta in precedenza sull’utilizzo esclusivo di mangimi industriali di tipo secco, che suona abbastanza strana in quanto il costo è uno dei fattori da non sottovalutare; ma è possibile che, con una maggior collaborazione tra le industrie alimentari per animali ed i canili, questa problematica potrebbe essere ovviata. Una pubblicità fatta dallo stesso canile per un determinato prodotto, in cambio di sacchi di mangime, potrebbe risultare vantaggiosa per entrambe le parti. Non dimentichiamo infatti che in canile entrano molte persone interessate a tutto il mondo che gira intorno all’animale e quindi rappresenta un luogo ben sfruttabile da chi voglia farsi pubblicità.

Per quanto riguarda la modalità di distribuzione del pasto e gli orari, anche questi aspetti potrebbero influire sul futuro comportamento di un cane. Lo svolgere di un’attività è senza dubbio importante, ma anche il modo in cui viene svolta, piuttosto che in un altro, può avere un valore positivo o negativo. Accorgimenti come l’orario di somministrazione pasti (in una famiglia tipo sarà molto improbabile che al cane vengono serviti i pasti al centro della giornata, dato che la maggior parte delle persone lavora e difficilmente torna a casa nella pausa pranzo): quindi, somministrare il pasto nelle prime ore del mattino o nel tardo pomeriggio, abitua il cane, già dalla sua permanenza nel canile, a non lamentarsi quando si troverà in una nuova casa, mantenendo una sua abitudine.

Il momento del pasto è molto importante, non solo da un punto di vista fisiologico, ma anche perché può avere un grande valore educativo. L’obiettivo da raggiungere è la calma. Quando arriva il momento del pasto, dal rumore delle ciotole che arriva alle orecchie dei cani, si scatena un grande trambusto, si innesca un’escalation di eventi che spingono il cane a

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77 livelli d’allarme. Questo comportamento, riportato in un ambiente familiare, non è vantaggioso. Il caos generale è difficilmente evitabile nei canili, per la modalità in cui sono costruiti, quindi bisogna concentrarsi sul singolo soggetto. Far trovare la ciotola al cane al suo rientro dalla sgambatura facilita le operazioni per gli addetti, ma si perde così l’opportunità di creare un’interazione educativa. Sarebbe meglio che al cane fosse servito il pasto dall’operatore, che gli lascerà la ciotola a disposizione quando lui avrà raggiunto uno stato di calma accettabile, stato che cambia da soggetto a soggetto. Che il cane si lasci servire il pasto educatamente è sicuramente un passo avanti nelle dotazioni di quel soggetto quando si troverà in una casa con degli estranei (Spennacchio, 2007).

Assistenza sanitaria

Nonostante molte delle strutture analizzate risultino operare solamente con medici veterinari volontari, senza averne uno dipendente a disposizione (probabilmente dovuto al fatto che la maggior parte delle strutture intervistate sono canili rifugio), lo stato sanitario degli animali risulta più che sufficiente. La visita veterinaria ai cani appena arrivati nel canile è garantita quasi sempre, anche se il veterinario, tante volte, non è presente tutti i giorni, ma viene chiamato in base alle necessità. Tutti i cani inoltre sono sottoposti a profilassi in base anche alla zona di provenienza o di localizzazione del canile ed in base alla stagione, oltre alla profilassi effettuata sempre riguardante le vaccinazioni.

Gli animali con malattie di più frequente riscontro, come la Leishmaniosi, vengono sottoposti a terapia, che inizia nel canile sanitario e continua anche nel canile rifugio. Anche se la legge prevede che nella struttura sia

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78 presente una stanza adibita ad ambulatorio veterinario e ad uso esclusivo del medico veterinario, purtroppo questa non risulta essere di fatto presente in tutte le strutture e, in quelle in cui è presente, la strumentazione a disposizione è molto ridotta, limitata tante volte solo al frigorifero per la conservazione dei prodotti immunologici ed all’attrezzatura per rilevare il microchip.

Una mancanza, questa, che è però in tanti casi ovviata dalla collaborazione dei canili con ambulatori veterinari esterni.

Allestire una stanza veterinaria ben attrezzata ed avere un medico veterinario presente tutti i giorni nel canile potrebbe rappresentare un vantaggio, non tanto per gli ospiti del canile, che come abbiamo riscontrato sono abbastanza seguiti sotto il profilo delle loro salute fisica, quanto per la possibilità che verrebbe offerta al canile di migliorare il suo interfacciarsi con il mondo esterno. Si potrebbe ad esempio sfruttare un piccolo ambulatorio veterinario anche per cure sanitarie di cani privati, magari a costi più contenuti, visto che il costo elevato delle cure sanitarie degli animali domestici è stato fornito come motivazione di riferimento di un cane al canile; si garantirebbe così un aiuto economico per il canile e si ridurrebbe il numero dei futuri candidati a diventare ospiti definitivi del canile.

Abbiamo visto come buona parte dell’attenzione del medico veterinario e/o del personale del canile si concentri sulla salute fisica del cane. Quello che però manca in quasi tutti i canili è una figura professionale che si prenda cura della salute mentale dei cani. In fondo, gli ospiti dei canili sono costituiti per lo più da cani con problemi comportamentali, che hanno portato i loro ex proprietari ad abbandonarli, oppure, come affermano Tuber e colleghi (1999), se il cane arriva in canile senza un problema comportamentale è molto probabile che lì ne acquisirà uno.

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79 Come spiegano Patronek e collaboratori (1996), i cani che sono stati seguiti per almeno un anno dal veterinario, hanno meno probabilità di essere abbandonati per problemi comportamentali rispetto a quelli che sono stati seguiti da un veterinario per pochi mesi, e questo dato suggerisce che il medico veterinario può assistere i proprietari nel risolvere i problemi comportamentali del loro animale e stringere il legame tra cane-padrone. Quindi, il ruolo del veterinario diventa importante, oltre che per i problemi fisici, anche per i problemi comportamentali, prendendo in considerazione che il veterinario dovrebbe essere in grado di trattare anche questi problemi (Scarlett et al., 2002).

Il medico veterinario infatti rappresenta la sola figura professionale competente in materia di diagnosi delle patologie comportamentali, in quanto in grado di effettuare una diagnosi differenziale in relazione alla possibile origine dei sintomi rilevati.

Comportamenti osservati

Esaminando il comportamento dei cani si può evidenziare la qualità di vita condotta in canile, denotando la presenza di eventuali anomalie comportamentali quali stati depressivi, apatia, automutilazioni ed altri tipi di stereotipie. Quindi, l’analisi dello stato psico-fisico degli animali, serve per stabilire le condizioni generali di un canile per migliorarlo.

I migliori indicatori dei problemi a lungo termine sono le misure comportamentali. In molte occasioni, i comportamenti che indicano che il welfare dell’animale è scarso sono parte dei suoi tentativi di far fronte alle difficoltà ambientali. (Beerda et al.,1999)

I comportamenti maggiormente osservati come alterati e quindi probabili indicatori di uno stato di stress cronico sono: la comparsa di comportamenti

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80 ripetitivi, l’emissione di vocalizzazioni, la morsicatura delle sbarre, le automutilazioni e l’aggressività verso persone, verso altri cani e verso altre specie animali (Mertens, 2006).

Tutti questi comportamenti, anche se osservati raramente nella maggior parte delle strutture analizzate, sono comunque presenti. Quando l’animale non ha il controllo delle interazioni con l’ambiente, ciò comporta in lui frustrazione e l’insorgere di comportamenti imprevedibili. Le risposte comportamentali in tali situazioni includono aggressività, stereotipie ed apatia. Un comportamento anomalo potrebbe anche essere associato alla mancanza di una risorsa: ad esempio, se nella dieta manca un nutriente si possono osservare risposte comportamentali quali movimenti per cercare o ottenere il cibo. Gli animali privati di un componente della dieta inoltre mangeranno una varietà di materiali che altrimenti non mangerebbero. È necessario quindi intervenire adeguatamente nell’ambiente canile, prestando particolare attenzione all’evoluzione del comportamento del cane. Prima di tutto è indispensabile mantenere e favorire una corretta socializzazione intra e interspecifica dell’animale che ne permetterà un più facile inserimento nel contesto familiare; non meno importante è poi l’intervento educativo, che deve mirare a recuperare e/o a consolidare la capacità di autocontrollo e di gestione della frustrazione da parte del cane. Tali programmi richiedono l’intervento di personale preparato che svolga, a titolo anche volontario, un’attività educativa quotidiana che permetterà di prevenire molti dei problemi comportamentali che si manifestano nel cane dopo l’adozione, riducendo in questo modo il numero dei ritorni in canile (Gazzano et al., 2005).

È stato oggetto di studio nella presente ricerca come l’ambiente del canile possa determinare lo sviluppo di problemi comportamentali nei cani ospitati e il gran numero di rientri potrebbe indicare come questi

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81 comportamenti, anziché essere affrontati nel canile, siano rinforzati da un’errata gestione.

L’ipostimolazione ambientale presente in canile (povertà di stimoli visivi, sonori e tattili) potrebbe essere responsabile della sindrome da privazione sensoriale, caratterizzata dall’incapacità, da parte dell’ animale, di gestire le informazioni provenienti dall’ambiente e che in inglese prende difatti il nome di kennel syndrome, cioè sindrome da canile.

La separazione dalla madre, l’isolamento sanitario e l’inserimento in box con soggetti estranei inibiscono il comportamento esplorativo del piccolo, che si trova in un ambiente sconosciuto. Si possono sviluppare così cani che non possiedono alcuna postura di sottomissione ed inibizione del morso, particolarmente aggressivi con i conspecifici (mancanza di socializzazione primaria).

La permanenza nel box, associata all’assenza di passeggiate, ostacola inoltre l’apprendimento del corretto comportamento di eliminazione. La responsabilità del canile nell’insorgenza della sintomatologia in questi pazienti è molto probabile (Giussani, 2007). Risulta ovvio che, una volta che questi soggetti vengono inseriti nel contesto di una famiglia, si creeranno dei problemi. Abbiamo visto come tutte le azioni quotidiane in un canile (pasto, uscita, pulizia dei box) si possono trasformare in azioni educative. Se la gestione e la conduzione ordinaria dei cani nel canile vengono effettuate da personale del tutto impreparato, è molto probabile che le problematiche comportamentali siano enfatizzate anziché ridotte. Attualmente, la gestione dei canili adotta un approccio di mantenimento, custodia, protezione. L’affidamento solitamente si verifica senza che siano seguiti particolari criteri, ma si basa sul coinvolgimento emotivo. Invece l’adozione è un processo che non può essere determinato soltanto dall’aspetto fisico dell’animale e senza la minima cognizione del suo

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82 carattere, ma risulta necessario da una parte conoscere il profilo comportamentale dei cani presenti e dall’altra essere in grado di individuare i cani giusti per quel particolare adottante. È un processo che si dovrebbe basare sulla valorizzazione del cane e non sulla “pietà” di un proprietario e andrebbe sostenuta nel tempo dando un servizio pre- e post-adozione, tramite consulti da parte di personale competente.

Risorse umane

Dallo studio emerge che una risorsa fondamentale per i canili sono i volontari, con un numero molto variabile, ma comunque sempre superiore a quello di dipendenti. Si tratta per lo più di persone giovani, dai 26 ai 40 anni, dove le femmine sono in numero superiore, fatto che potrebbe essere alla base delle numerose fobie rilevate nei confronti degli esseri umani di sesso maschile (Giussani, 2007). Il titolo di studio varia e in tanti casi non era conosciuto. Per quanto riguarda le attività svolte dai volontari, si presentano più o meno (con piccole differenze di percentuale) uguali alle attività svolte dal personale dipendente.

Dati più incoraggianti, invece, riguardano la formazione dei volontari, che per il 44% circa ha seguito un corso di formazione e nel 50% dei canili è previsto in futuro un corso di formazione per i volontari. Stranamente un corso analogo per i dipendenti è previsto solamente nel 26,67% dei casi. I volontari rappresentano una risorsa unica per i canili ma, come per i dipendenti, si tratta di un gruppo eterogeneo di persone, più o meno casuale, con storie, motivazioni e abilità differenti, che spesso non condividono gli stessi principi. Il ruolo dell’operatore nel canile, che sia esso volontario o dipendente, non è solo quello di provvedere alla nutrizione, alle cure sanitarie, alla pulizia e ad un minimo movimento dei

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83 cani, ma anche quello di tenere in considerazione le ampie necessità del cane, comprese quelle sociali. Il benessere degli animali è quindi supportato dal garantire alle diverse specie animali, oltre a condizioni di vita che evitino l’insorgere di stati patologici, anche il rispetto della totalità dei bisogni di ogni specie. Per far ciò, è necessario che gli operatori che lavorano a contatto con i cani, acquisiscano delle corrette cognizioni su di essi, in modo da poter garantire in maniera diretta (gestione degli animali) e indiretta (diffusione di corrette idee) il benessere dei soggetti (Corona, 2007).

Abbiamo già constatato in precedenza quanto sia importante un’adeguata formazione degli operatori in tutti gli aspetti del canile e come, con il proprio comportamento, l’operatore può educare o diseducare il cane, vale a dire aumentare o diminuire l’adottabilità del cane. Le attività di interazione con il cane hanno sempre un significato educativo.

Riflettiamo su come potrebbe risultare sbagliato un comportamento, anche se esplicato con le migliori intenzioni.

Un legame molto forte creatosi all’interno del canile tra un operatore ed un cane potrebbe non sempre risultare positivo per l’animale. può essere esplicativo riportare l’esempio di uno dei canili presi in considerazione in cui c’era un cane con la displasia dell’anca, un soggetto adulto e con una patologia non semplice da curare. Di solito questi cani hanno un bassissimo indice di adottabilità, ma in quel caso si erano presentate delle persone che lo volevano adottare, disposte a sostenere anche le spese dell’intervento chirurgico di cui il cane necessitava. Il cane non è stato affidato a queste persone per la convinzione dell’operatore che “aprire e tagliare” un cane fosse un atto di crudeltà e non di amore, ritenendo che nel canile il cane stesse meglio.

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84 Una formazione degli operatori potrebbe aiutare anche ad evitare errori di questo tipo ed a considerare la rottura dei legami affettivi instaurati dal cane come un evento traumatico, comparabile con l’abbandono o con l’improvvisa segregazione del soggetto in un canile (Mondelli et al., 2003). Oltre al personale dipendente e volontario, il medico veterinario che si occuperà della gestione sanitaria della struttura, controllando i cani periodicamente, e, al bisogno, predisponendo piani profilattici, altre figure professionali indispensabili nei canili sono il veterinario comportamentalista e l’educatore cinofilo.

Il veterinario comportamentalista è l’unica figura professionale in grado di riconoscere problemi del comportamento, fare una diagnosi differenziale con problemi organici ed intraprendere un piano terapeutico.

Intervenendo sulla valutazione del comportamento dei cani della struttura, sulla preparazione dei futuri proprietari, attraverso dei corsi formativi basati sulla comunicazione, sugli schemi comportamentali del cane per creare una corretta relazione, sulla formazione del personale e sulla progettazione delle attività con il pubblico esterno (Colangeli e Fassola, 2007), potrebbe essere possibile proiettare la situazione attuale dei canili nella giusta dimensione, che li vede non più come centri di segregazione ma di preparazione.

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