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1.1 La Malattia di Parkinson

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Academic year: 2021

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1.1 La Malattia di Parkinson

La Malattia di Parkinson (MP) deve il suo nome al medico inglese James Parkinson, che nel 1817 scrisse un trattato sulla “paralisi agitante” in cui fa riferimento a scritti di Sylvius de la Boe (1680), Van Swieten (1749) e Sauvages (1768), che avevano precedentemente descritto i tratti fondamentali della malattia. Dopo la pubblicazione del trattato non ci sono stati progressi significativi sulle cause che inducono la MP, fino agli ultimi decenni quando sono aumentate le conoscenze sui meccanismi di base implicati nel suo sviluppo. Fondamentale a riguardo è stata la scoperta della degenerazione dei neuroni dopaminergici della substantia nigra pars compacta (SNpc), con relativa perdita delle proiezioni allo striato. Anatomicamente questa struttura fa parte dei nuclei della base, ovvero cinque aggregati neuronici interconnessi fra loro e implicati nella coordinazione del movimento. La MP può essere diagnosticata solo nel momento in cui l’80% dei neuroni è già degenerato, determinando una carenza nel sistema nigrostriatale di dopamina (DA), il neurotrasmettitore implicato nel controllo delle vie eccitatorie ed inibitorie interne ai nuclei della base.

Dal punto di vista clinico la malattia è caratterizzata da movimenti involontari quali tremore a riposo, bradicinesia, rigidità, riduzione dei movimenti spontanei. A livello terapeutico si attua una terapia sostitutiva, solo sintomatologica, a base di levo-DOPA (L-DOPA), il precursore dalla DA. Non può infatti essere somministrata la DA stessa in quanto non è in grado di

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attraversare la barriera ematoencefalica. La L-DOPA viene invece trasportata a livello cerebrale dal sistema di trasporto per gli aminoacidi neutri; qui viene convertita in DA tramite l’enzima decarbossilasi (fig. 1). Nonostante il fatto che i livelli di questo enzima siano ridotti a causa della degenerazione dei neuroni dopaminergici, permane comunque una discreta attività enzimatica nei terminali residui, che consente la biotrasformazione a DA ed il deposito del neurotrasmettitore.

Fig. 1 Metabolismo della DA.

1.2 Eziologia della MP

Le cause della MP sono ancora oggi sconosciute, nonostante siamo a conoscenza del fatto che un certo grado di ereditarietà possa rendere un individuo più suscettibile all’azione

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di agenti tossici sia endogeni che esogeni. Tuttavia la possibilità che questa malattia si trasmetta su basi ereditarie è stata scartata, dal momento in cui non è stata riscontrata familiarità. Tramite lo studio di sindromi di tipo parkinsoniano, dovute ad infezioni virali o intossicazioni o traumi vascolari, si è ipotizzato che la morte neuronale possa essere dovuta a stress ossidativi, aumento di ferro o diminuzione delle difese antiossidanti. A riguardo analisi postmortem di cervelli di soggetti parkinsoniani, hanno evidenziato una riduzione di glutatione (GSH) ed un danno alla funzione mitocondriale (Jenner, 1998). La stessa DA può divenire neurotossica e causare apoptosi dei neuroni della SNpc (Blum et al., 2001). A livello metabolico la DA può esser convertita in noradrenalina e adrenalina nei neuroni noradrenergici; oppure può esser catabolizzata dalle monoaminossidasi (MAO); o ancora può esser ossidata a chinone, una specie reattiva; questa reazione può essere accelerata dalla presenza di ioni metallici di transizione come il ferro o il manganese (Donaldson et al., 1982; Halliwell e Gutteridge, 1984). A questo riguardo è stato infatti dimostrato che il contenuto totale di ferro nella substantia nigra dei Parkinsoniani è maggiore rispetto ai soggetti di controllo (Youdim, 1988; Dexter et al., 1989). Inoltre il catabolismo della DA può produrre specie reattive dell’ossigeno (R.O.S.) come il perossido di idrogeno (H2O2), il radicale superossido (OØ2), il radicale idrossilico (OHØ  +DOOLZHOO ,Ochinone reattivo e i R.O.S. possono produrre stress ossidativi e quindi danni a

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macromolecole come DNA, lipidi e proteine che causano citotossicità ed apoptosi (Stokes et al., 1999).

La ricerca sulla MP ha ricevuto un notevole impulso nei primi anni ’80 quando fu segnalata una sindrome parkinsoniana irreversibile in circa 150 soggetti che avevano assunto un narcotico sintetico, la meperidina, nella cui preparazione, a causa di un processo troppo drastico di idrolisi acida, si era formato un contaminante identificato come 1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina (MPTP) (Langston et al., 1983). Il modello di Parkinson sperimentalmente prodotto dall’MPTP, ha suggerito la possibilità che una delle cause dell’insorgenza della malattia possa essere determinata da fattori tossici ambientali. Attualmente sappiamo che anche l’esposizione a pesticidi come il maneb o il paraquat, con l’aumentare dell’età, possono determinare un aumentato rischio di sviluppare la MP (Thiruchelvam et al., 2003).

L’MPTP è quindi una neurotossina che provoca alterazioni anatomo-patologiche e caratteristiche cliniche simili a quelle del Parkinson idiopatico. Una volta somministrato all’animale da esperimento, attraversa la barriera ematoencefalica e, all’interno delle cellule gliali, viene convertito dalle MAO B in 1-metil-4-fenil-1,2,3-diidropiridinio (MPDP+) e successivamente, per auto-ossidazione, si forma l’1-metil-4-fenilpiridinio (MPP+), il metabolita tossico dell’MPTP (Chiba et al., 1984; Markey et al., 1984). Quando questa molecola viene rilasciata nello spazio extracellulare, a causa della sua polarità, ha bisogno di un carrier

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per entrare nei neuroni dopaminergici (Dauer e Przedborski, 2003). È stato dimostrato che l’MPP+ ha un’elevata affinità per il trasportatore della DA (DAT), grazie al quale viene trasportato all’interno del neurone dopaminergico (Javitch et al., 1985; Mayer et al., 1986), dove esplicherà la sua azione (fig. 2 e fig. 3).

Fig. 2 L’immagine mostra la via metabolica che porta alla formazione

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Fig. 3 Cambiamenti strutturali delle molecole implicate nel metabolismo

dell’MPTP.

1.3 MPTP nei primati e nei roditori

Sia nell’uomo che nei primati non umani una dose di MPTP di 1-3mg/Kg, produce una sindrome molto simile al Parkinson con tremori, rigidità e acinesia. Questi sintomi sono irreversibili e possono essere ridotti dai classici farmaci antiparkinsoniani come la L-DOPA o i dopaminominetici. Anche a livello neurochimico e neuropatologico, le alterazioni prodotte dalla neurotossina sono identiche a quelle osservate nei pazienti affetti da MP (Burns et al., 1983; Langston et al., 1983; Langston et al., 1984). È importante sottolineare che nei primati anziani, trattati con MPTP, tramite autopsia è stata evidenziata la presenza dei corpi di Lewy, inclusioni intraneuronali caratteristiche della malattia contenenti neurofilamenti e ubiquitina. Questa è stata un’ulteriore prova che il parkinsonismo indotto da MPTP risulta veramente simile alla MP (Forno et al., 1986).

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Le specie più studiate sono attualmente il topo e il ratto. Somministrando nel topo una dose di MPTP di 30mg/Kg viene prodotta una lesione dei terminali dopaminergici nello striato pari al 40-50% rispetto ai controlli, anche se lo stesso dosaggio non produce alcun cambiamento dei corpi cellulari dopaminergici nella SNpc (Hallman et al., 1985; Heikkila et al., 1984; Ricaurte et al., 1986). È interessante sottolineare che, a differenza del topo, il ratto è completamente insensibile all’MPTP, anche dopo la somministrazione di alte dosi in modo ripetuto (Chiueh et al., 1984).

È importante infine notare una differenza nella risposta all’MPTP nel topo e nell’uomo: nel topo il danno provocato dalla neurotossina è reversibile, in quanto vengono distrutte principalmente le terminazioni neuronali, che rigenerano nell’arco di pochi mesi, e soltanto il 10% dei corpi neuronali; nell’uomo invece il danno è irreversibile a causa della morte del corpo cellulare (Lau et al., 1990).

1.4 Meccanismo di tossicità da MPTP

Sia nei primati che nei roditori, gli inibitori delle MAO-B, come la pargilina o il deprenil, prevengono le modificazioni comportamentali e biochimiche indotte dall’MPTP. Questi risultati indicano che le modificazioni indotte dalla neurotossina sono dovute al suo metabolita (MPP+) prodotto dalle MAO (Heikkila et al., 1984; Markey et al., 1984). Ad ulteriore conferma dell’importanza dell’uptake di MPP+ da parte dei

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neuroni dopaminergici per lo sviluppo della MP, il gruppo di ricerca di Snyder ha dimostrato che il mazindolo era capace di prevenire la tossicità da MPTP, in quanto inibitore dell’uptake di DA (Chiba et al., 1984; Ricaurte et al., 1985; Sundstrom, 1985; Pileblad e Carlsson, 1985), ma a causa dei gravi effetti collaterali indotti dal farmaco non sono mai state utilizzate terapie di questo tipo su pazienti affetti da MP.

Sia studi in vivo che in vitro hanno indicato che l’MPP+, una volta penetrato nei terminali dopaminergici, viene concentrato a livello mitocondriale dove interferisce con la fosforilazione ossidativa tramite inibizione del I complesso multienzimatico della catena di trasporto elettronico, la NADH-deidrogenasi (Nicklas et al., 1985; Ramsay et al., 1986). Il blocco determina una diminuzione del contenuto cellulare di ATP, che se prolungato nel tempo, può portare a morte cellulare. Questo dato suggerisce che un deficit genetico o acquisito del I complesso mitocondriale potrebbe essere coinvolto nella MP (Lestienne et al., 1990; Schapira et al., 1990; Chan et al., 1991; Fabre et al., 1999). È comunque importante sottolineare che è improbabile che l’MPP+ a livello mitocondriale possa raggiungere livelli talmente elevati da causare apoptosi. Quindi la compromissione mitocondriale non rappresenta l’unico meccanismo di tossicità dell’MPTP.

Nel 1985 è stato dimostrato che il dietilditiocarbammato (DDC), ha la capacità di potenziare la tossicità da MPTP nei topi C57/bl (Corsini et al., 1985). Infatti l’MPTP alla dose di

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30mg/kg, normalmente induce nel topo C57/bl una perdita del 50% dei terminali dopaminergici misurata come decremento a lungo termine del contenuto striatale di DA; se invece viene somministrato 1 ora dopo il trattamento con DDC, causa la perdita selettiva di circa il 90% dei neuroni nigrali. Lo stesso risultato è stato ottenuto con etanolo ad alte dosi ed acetaldeide (Corsini et al., 1987). Sebbene il meccanismo di potenziamento sia in gran parte sconosciuto, è probabile che diversi fattori vi contribuiscano (Cassee et al., 1998). L’aumento indotto dal DDC nella tossicità da MPTP nel topo è stato largamente confermato da numerosi studi nei quali gli autori hanno preso in esame sia il metabolismo dell’MPTP in generale, sia la cinetica dell’MPP+ in particolare, con lo scopo di mettere in luce gli enzimi coinvolti nella via metabolica neuroprotettiva e neurotossica nel fegato e nel cervello (Irwin et al., 1987b; Takahashi et al., 1989; Yurek et al., 1989; Miller et al., 1991; Bachurin et al., 1996; Vaccari et al., 1996; Walters et al., 1999; McGrew et al., 2000). Irwin ha in seguito riportato che il DDC causa un aumento del livello di MPP+ nel corpo striato, suggerendo che la causa del potenziamento sia determinata da cambiamenti nella cinetica dell’MPP+ stesso (Irwin, 1987a). Successivamente è stato però dimostrato che la tossicità da MPTP non è necessariamente correlata con i livelli di MPP+ a livello striatale, ma che l’evento cruciale per il potenziamento potrebbe essere la permanenza prolungata dell’MPP+ all’interno dei neuroni dopaminergici (Vaglini et al., 1996).

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1.5 Il citocromo P450 2E1

Recentemente alcune isoforme appartenenti ad una famiglia di enzimi detossificanti generalmente epatici, i citocromi P450, sono stati trovati nel SNC. In particolare, il citocromo P450 2E1 (CYP2E1) è stato messo in evidenza negli astrociti, nelle cellule endoteliali, nell’ippocampo, nei neuroni dello striato e della substantia nigra del cervello di ratto (Hansson et al, 1990; Tindberg et al., 1996). Tramite esperimenti di co-localizzazione con tirosina idrossilasi (TH), il CYP2E1 è stato evidenziato all’interno dei neuroni dopaminergici della substantia nigra di ratto (Watts et al., 1998) e successivamente anche nel cervello di topo (Vaglini et al., 2004). Va comunque sottolineato che la quantità di citocromo trovata a livello cerebrale è circa il 25% di quella che si trova nel fegato(Anandatheerthavarada et al., 1993)

Gli enzimi del CYP450 sono proteine che contengono un gruppo eme e sono presenti in tutti gli organismi, dai batteri agli uomini. Sono coinvolti nella detossificazione e nell’attivazione sia di composti endogeni come steroidi, acidi grassi, prostaglandine ed amine biogene, sia di sostanze esogene come farmaci, droghe, sostanze chimiche cancerogene, mutageni ed altri agenti chimici ambientali (Hansson et al., 1990). Si pensa che gli enzimi metabolizzanti i farmaci abbiano avuto un’evoluzione causata dall’interazione fra piante e animali e che il gene ancestrale del CYP450 esistesse già da 3.5 bilioni di anni, prima della separazione fra procarioti ed eucarioti. Comunque il

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numero dei nuovi isoenzimi di questa super famiglia all’interno degli eucarioti è aumentato considerevolmente nel corso di 800 milioni di anni e si pensa che questa sia la conseguenza della cosiddetta “guerra pianta-animale”. Quando gli animali hanno iniziato a divergere dalle piante ed a nutrirsene, le piante per proteggersi hanno sviluppato delle tossine. A loro volta gli animali, con nuove isoforme di CYP450, sono stati favoriti poiché erano capaci di metabolizzare e detossificare questi composti. E’ degno di nota il fatto che molti farmaci sono stati estratti da piante o sono derivati dai prodotti delle piante.

La grande maggioranza dei farmaci e degli xenobiotici sono degradati in metaboliti più idrofili, tramite un numero piuttosto scarso di vie metaboliche, soprattutto dagli enzimi del CYP450 localizzati nel fegato, sebbene anche altri tessuti presentino questo tipo di attività metabolica. Mediante tecniche di DNA ricombinante si è giunti ad identificare l’esistenza di una super famiglia genica del CYP450 che comprende numerose sottofamiglie. L’omologia della sequenza aminoacidica tra le varie famiglie è intorno al 35% mentre tra i membri di ciascuna famiglia varia tra il 40 e il 60%. La classificazione di questi enzimi è basata sulla similarità del gene. CYP1, CYP2 e CYP3 sono le maggiori famiglie del sistema di citocromi coinvolto nel metabolismo dei farmaci. CYP3A4 sembra essere il più importante (50% di farmaci metabolizzati); è seguito da CYP2D6 (20%), CYP2C9 e CYP2C19 (15%), mentre il rimanente metabolismo e svolto da CYP2E1, CYP2A6 e CYP1A2 (Bertz e

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Granneman, 1997). La capacità di un organismo di metabolizzare i farmaci è quindi strettamente correlata alla funzionalità dei citocromi che, come testimoniato anche dalla letteratura, può mostrare una variabilità anche soggettiva.

L’attività CYP450 dipendente è stata identificata in molteplici specie (Norman et Neal, 1976; Ravindranath et al., 1989). A livello encefalico sono stati scoperti sette differenti isoenzimi P450 (Warner et al., 1994). Ogni enzima ha una propria distribuzione nel cervello, con una specifica localizzazione in uno o più tipi di cellule; gli isoenzimi sono presenti nei neuroni, nella glia e nelle cellule endoteliali (Warner et al., 1994). È stato inoltre osservato che il sistema P450 nel cervello di ratto è localizzato in maniera predominante nella frazione mitocondriale e in misura minore nella frazione microsomiale. In seguito questo dato è stato confermato anche nel cervello di scimmia (Iscan et al., 1990). Per quanto riguarda la localizzazione cellulare, per alcuni isoenzimi è stata identificata da molti autori un’associazione preferenziale con le strutture sinaptiche (Schlinger e Callard, 1989; Hansson et al., 1990). Sintetizzati nel corpo cellulare, gli isoenzimi P450 sono trasportati ai terminali nervosi per mezzo del flusso assonale (Hansson et al. 1990).

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1.6 Scopo della tesi

Recentemente sono stati effettuati studi in vivo su topi C57/bl utilizzando sostanze che inibiscono in modo selettivo il CYP2E1 (Vaglini et al., 2004). È stato infatti dimostrato che un pretrattamento con DDC, diallilsolfuro (DAS) e fenilisotiocianato (PIC) determina un’aumento della tossicità da MPTP con conseguente degenerazione selettiva dei neuroni dopaminergici. L’esperimento è stato poi ripetuto su topi GONZ, knockout per il CYP2E1, in cui non è stato rilevato alcun potenziamento nella tossicità da MPTP. Sulla base dei risultati ottenuti in vivo, abbiamo ipotizzato un’azione neuroprotettiva per il CYP2E1. Ci si chiede quindi quale sia effettivamente il suo ruolo del all’interno del neurone e in quale modo il citocromo svolga il suo compito.

In questo lavoro di tesi abbiamo in primo luogo visualizzato il CYP2E1 utilizzando colture primarie di neuroni mesencefalici di topi SVI, mentre ne abbiamo dimostrato l’assenza in colture di topi GONZ, knockout per il CYP2E1. Siamo andati poi a valutare il ruolo di questo citocromo nella tossicità da MPP+, valutando quali conseguenze abbia la sua assenza nel trattamento con la tossina su colture di topi GONZ, utilizzando come controllo positivo le colture SVI, wild-type.

Figura

Fig. 1  Metabolismo della DA.
Fig. 2  L’immagine mostra la via metabolica che porta alla formazione
Fig. 3  Cambiamenti strutturali delle molecole implicate nel metabolismo

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