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Pan et al., 2012

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Academic year: 2021

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111 5. DISCUSSIONE

Negli ultimi anni le scelte dei consumatori si sono sempre più focalizzate verso la qualità dei prodotti alimentari connessi con le loro proprietà nutrizionali e salutistiche, dando sempre più importanza al concetto di qualità. Tale concezione si è così radicata nel pensiero pubblico che la comunità scientifica ha coniato il termine functional food per quegli alimenti ad alto contenuto di composti salutistici che oltre alle normali funzioni nutrizionali apportino benefici alla salute umana, sia in termini di parametri fisiologici sia come prevenzione delle future malattie, ritardando i processi di invecchiamento e degenerazione cellulare.

Ai giorni nostri la qualità di un alimento non è più valutata soltanto in base al suo contenuto in macronutrienti quali glucidi, lipidi e protidi, ma soprattutto in relazione all’apporto di composti nutraceutici ad azione antiossidante come i fenoli, i carotenoidi e le vitamine. Il contenuto di queste molecole può variare notevolmente anche all’interno della stessa specie sia in dipendenza della variabilità genetica delle diverse cultivars e linee, sia in seguito all’influenza di numerosi fattori ambientali, delle tecniche di coltivazione, delle modalità di preparazione e conservazione degli alimenti.

Il riutilizzo dei residui agricoli ha ricevuto, negli ultimi anni, molta attenzione a causa della maggiore scarsità di risorse naturali e la necessità di protezione ambientale. Molti studi sono stati finalizzati a convertire i materiali di scarto in ingredienti alimentari, biocarburanti e per altre applicazioni (Makris et al., 2007; Pan et al., 2012; Piwowarska e Gonzalez-Alvarez, 2012). Recentemente, i semi di lino hanno richiamato l’attenzione della comunità scientifica grazie alla loro favorevole composizione chimica (Muir e Westcott, 2003). I semi di lino sembrano essere una materia prima fondamentale per i nutraceutici e alimento funzionale per l’industria, in quanto sono una fonte importante di acidi grassi ω-3, fibre solubili (mucillagini) e polifenoli (lignani) (Oomah, 2001). I polifenoli dei semi di lino hanno dimostrato ridurre i livelli di colesterolo LDL nel sangue, il rischio di diabete e di cancro. Essi hanno attività antiossidante, effetto cardio- protettivo e migliorano la funzione renale nei pazienti con nefrite lupica (Muirand Westcott, 2003; Oomah, 2001; Prasad, 2000).

I semi di lino, in virtù della presenza di composti fitochimici bioprotettivi, possono essere considerati a tutti gli effetti dei functional food. I panelli ottenuti dall’estrazione meccanica a freddo dell’olio, si caratterizzano per un elevato contenuto di proteine

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112 grezze (superiore al 25-30%) e un moderato contenuto di olio residuo (circa il 10%), caratteristiche che hanno favorito l’utilizzo di questi coprodotti dell’industria olearia nell’alimentazione animale sia come fonti proteiche che come fonti di energia (Sauvant et al., 2004).

La presenza di composti nutraceutici nel panello lo rendono particolarmente adatto anche ad un utilizzo nell’alimentazione umana come ingrediente nei prodotti da forno anche per celiaci, prodotti per la colazione, gelati, yogurt, ecc.

Nel presente lavoro di tesi è stato quindi verificato se nel panello, ottenuto dalla spremitura a freddo dei semi di lino, si mantenessero le caratteristiche salutistiche tipiche del seme e se il tempo di conservazione e la modalità di packaging fossero in grado di influenzare il contenuto dei principali composti nutraceutici quali carotenoidi, clorofille, composti fenolici e acidi grassi polinsaturi e la loro capacità antiossidante.

Le analisi sono state condotte separatamente su semi e panelli al tempo 0 e sui panelli conservati in contenitori di carta e di plastica.

Il panello appena ottenuto (T0) presentava una concentrazione residua di carotenoidi e clorofille che non variava sostanzialmente rispetto a quella del seme. Unica eccezione era rappresentata dalla luteina, in accordo con i risultati di Franke et al. (2010), che ne riportano concentrazioni molto inferiori nel panello di lino rispetto al seme.

Gli stessi autori non hanno invece riscontrato differenze nella concentrazione di luteina tra seme e panello di Brassica napus. In aggiunta né i semi né il panello di girasole mostravano la presenza di questo composto.

Il ridotto contenuto in carotenoidi e clorofille osservato nel panello dopo sei mesi, indipendentemente dalla modalità di packaging, indica come la conservazione determini una diminuzione di tali composti, probabilmente ascrivibile ad una loro ossidazione. Il maggior impoverimento in luteina, conseguente la conservazione, suggerisce una maggiore degradabilità di questo composto rispetto agli altri pigmenti. Questa deduzione è avvalorata anche dall’osservazione che la luteina è l’unico pigmento che diminuisce in seguito al processo di estrazione dell’olio (confronto seme T0).

I composti fenolici sono ormai riconosciuti come importanti componenti minori di molti alimenti di origine vegetale, grazie alle loro proprietà terapeutiche antitumorali, antivirali, antinfiammatorie, ipolipidemizzanti e ipoglicemizzanti. I semi di lino, fonti naturali di importanti fitochimici alimentari come flavonoidi, cumarine, lignani e acidi

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113 fenolici (Oomah e Sitter, 2009 ), sono studiati per le loro potenziali proprietà antiossidanti, antitumorali e anti-ipertensive (Hao e Beta, 2012; Oomah e Sitter, 2009).

La tipologia, le quantità e le proprietà dei composti fenolici in questi alimenti possono variare considerevolmente (Escarpa e Gonzalez, 2001; Siger et al., 2008). Oomah e Mazza (1998) riportano che il contenuto di composti fenolici nei semi di lino tal quali e delipidati era di 8.8 e 8.77 mg/g, rispettivamente. Dabrowski e Sosulski (1984) hanno riferito che il contenuto di composti fenolici totali e di acidi fenolici esterificati dei semi decorticati e delipidati era di 1.55 mg/g. Infine, Hao e Beta (2012) riportano un contenuto fenolico totale che variava tra 15.38 e 32.96 g/kg in tre varietà di pericarpo di semi di lino.

Contrariamente a quanto osservato per carotenoidi e clorofille, nel panello si riscontravano concentrazioni di fenoli, flavonoidi e flavonoli superiori rispetto al seme.

L’arricchimento relativo in composti fenolici del panello può essere determinato dalle loro proprietà tendenzialmente idrofiliche che ne favoriscono l’accumulo nel panello rispetto all’olio.

I valori di concentrazione osservati per i fenoli nel seme erano notevolmente inferiori a quanto riportato da Oomah e Mazza (1998) pari a 13.1 g/kg, mentre quelli dei flavonoidi erano superiori ai risultati ottenuti da Oomah et al. (1996) tra 0.3 e 0.7 g/kg.

Quezada e Cherian (2012) riportano valori di 1.5 e 1.7 mg/g per fenoli e flavonoli nei semi di lino che sono rispettivamente più bassi e più alti di quelli trovati nella nostra sperimentazione. Queste differenze sono verosimilmente imputabili alla variabilità genetica (cultivar diverse), alle condizioni pedo-climatiche e alle tecniche agronomiche.

Inoltre Oomah e Mazza (1998) hanno riscontrato una diminuzione nei valori dei composti fenolici nel panello rispetto al seme a differenza di quanto osservato nel presente lavoro di tesi.

Come per i carotenoidi e le clorofille, anche per i composti fenolici la conservazione influenzava la loro presenza determinando un contenuto inferiore dopo sei mesi, in particolare nella confezione di carta, a conferma di una diminuzione del potere nutraceutico nel tempo.

Le ricerche effettuate da Amarowicz et al. (2001) non hanno evidenziato differenze significative sul contenuto in fenoli di panelli di Brassica conservati fino a 3 mesi.

L’analisi dettagliata degli acidi fenolici ha evidenziato la presenza di acido cumarico, caffeico, ferulico e gallico sia nel seme che nel panello a diversi tempi di conservazione

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114 in tutte le frazioni analizzate (libera, solubile e insolubile), ad eccezione dell’acido gallico che non era presente nella frazione solubile.

Alu’datt et al. (2013) riportano che gli acidi fenolici predominanti nei semi di lino sono l’acido ferulico e l’acido p-cumarico (23.36% e 47.45% del contenuto totale, rispettivamente), mentre nei semi delipidati sono l’acido ferulico e l’acido sinapico (48.77% e 17.24% del contenuto totale, rispettivamente).

Nel lavoro di Krimer Malešević et al. (2013), relativo all’analisi degli acidi fenolici nella farina di lino, sono riportati valori dei singoli composti differenti da quelli da noi ottenuti. In particolare nella farina si nota l’assenza di acido caffeico nella frazione libera e valori generalmente inferiori rispetto a quelli del seme e del panello da noi analizzati, mentre nella frazione solubile si riscontrano valori simili, tranne per l’acido ferulico, la cui concentrazione risulta notevolmente inferiore sia nel seme che nel panello. Nel solito lavoro (Krimer Malešević et al., 2013) gli acidi fenolici della frazione insolubile, risultavano dalle 50 alle 500 volte inferiori rispetto a quelli presentati in questa tesi. Comunque, similmente a quanto riscontrato da questi autori, anche dalle nostre analisi si è evidenziato come nel panello l’acido ferulico rappresenti il composto maggiormente rappresentato nelle frazioni libera e solubile.

In coerenza con il comportamento manifestato dai composti fenolici totali, il processso di estrazione dell’olio determinava un arricchimento relativo nei singoli acidi (panello T0) che mostravano generalmente una diminuzione nei panelli a sei mesi di conservazione.

Fino a pochi anni fa la principale attività che veniva riconosciuta agli acidi fenolici era quella antiossidante. Wattenberg nel 1985 classifica l'acido caffeico e l'acido ferulico come inibitori che agiscono sia sulla formazione di carcinogeni dai composti precursori, sia bloccando le reazioni degli stessi carcinogeni. Gli effetti anticancro di questi composti sono associati alla capacità di inattivare i radicali liberi, i quali sono uno dei fattori scatenanti di malattie come cancro e aterosclerosi (Kikuzaki et al., 2002). In particolare, sono state evidenziate le proprietà di inibizione della crescita di alcune linee cellulari umane di cancro da parte di alcuni esteri di acidi fenolici. Questa attività si è dimostrata dipendente dalla particolare struttura chimica delle molecole (Gomes et al., 2003; Fiuza et al., 2004).

Alcuni lavori (Yeh e Yen, 2006; Yeh et al., 2009) hanno dimostrato che vari acidi fenolici come l'acido ferulico, l'acido gallico e l'acido p-cumarico somministrati

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115 oralmente a ratti, modulano gli enzimi di solfo-coniugazione di seconda fase nel fegato, aumentandone sia la sintesi che l'attività. Questi enzimi sono molto importanti nel metabolismo degli xenobiotici, perché facilitano l'eliminazione e l'inattivazione di molecole tossiche (Yeh e Yen, 2006).

Inoltre, è stato dimostrato che la somministrazione di tali composti aumenta la capacità antiossidante totale dei tessuti esaminati e i livelli di glutatione, parametri che confermano il ruolo degli acidi fenolici nel ridurre lo stress ossidativo cellulare (Yeh e Yen, 2006b; Yeh et al., 2009).

La diminuzione nei livelli di acidi fenolici osservati nelle diverse frazioni indica un impoverimento delle proprietà salutistiche del panello conservato per sei mesi rispetto al panello T0. Nonostante questi risultati, la concentrazione nei panelli T6 mostrava comunque, in tutte le frazioni, valori relativamente superiori a quelli del seme.

Il potere riducente è spesso usato come un indicatore della capacità di donare elettroni che è un importante meccanismo per valutare l’attività antiossidante dei composti fenolici. I risultati relativi al contenuto in composti fenolici, flavonoidi e flavonoli totali si riflettono in un simile andamento per quanto riguarda la misura dell’attività antiossidante associata alla componente fenolica.

Infatti in linea con quanto avveniva per la concentrazione di questi composti, il panello T0, mostrava un’attività antiossidante maggiore rispetto al seme.

Velioglu et al. (1998) riportano una relazione tra la concentrazione di composti fenolici e l’attività antiossidante dei semi di lino.

Similmente l’attività antiradicalica (DPPH) e il potere riducente (FRAP) mostravano un parallelismo con la concentrazione di composti fenolici, flavonoidi e flavonoli totali. In tre varietà di pericarpo di semi di lino la concentrazione di composti fenolici capace di inibire il 50% del DPPH era compresa tra 4.95 e 8.23 g/kg di composti fenolici (Hao e Beta, 2012) similmente ai dati da noi riportati (5.53, 4.15 4.66 e 4.94 g/kg di composti fenolici rispettivamente per seme, panello T0, panello T6 conservato nella carta e panello T6 conservato nella plastica).

Gli ioni dei metalli di transizione possono accelerare le reazioni di ossidazione dei lipidi mediante sottrazione di idrogeno e decomposizione dei perossidi responsabili del deterioramento dell’aroma e del sapore degli alimenti. I composti fenolici, grazie alla loro capacità di chelare i metalli, agiscono come efficaci antiossidanti secondari.

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116 La maggiore attività antiossidante (ABTS), riscontrata nel panello T0 rispetto al seme, dipendeva dall’arricchimento relativo in composti fenolici totali osservato nel panello.

Un simile parallelismo tra la concentrazione di composti fenolici e l’attività antiossidante, antiradicalica e potere riducente si riscontrava anche nel panello durante la conservazione. Infatti i valori ottenuti rispecchiano l’andamento decrescente dei composti fenolici dal panello appena ottenuto (T0) al panello dopo sei mesi di conservazione (T6) in quanto, anche nel caso dell’attività antiossidante, antiradicalica e del potere riducente, si nota un decremento.

I semi di lino sono un'ottima alternativa per rifornire di ω-3 gli alimenti trasformati che ne sono carenti, dal momento che è una delle principali fonti di acido α-linolenico (ALA). Questo seme ha recentemente guadagnato l'attenzione come "alimento funzionale" a causa del suo profilo nutrizionale unico e per il suo potenziale in grado di influenzare il rischio e il decorso delle malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro. I semi di lino hanno un profilo unico in acidi grassi (FA). Presentano un alto contenuto in acidi grassi polinsaturi (73 g/100 g-1 degli acidi grassi totali), moderato di acidi grassi monoinsaturi (18 g/100 g-1) e basso in acidi grassi saturi (9 g/100 g-1). L'acido linoleico (ω-6) costituisce circa il 16% degli acidi grassi totali, mentre l’α-linolenico (ω-3) costituisce circa il 57%, il più alto degli oli di semi (Ramcharitar et al., 2005).

I semi di lino sono anche una ricca fonte di fibra alimentare e composti fenolici noti come lignani. I semi di lino contengono 20-25 g/100 g-1 di proteine, 20-28 g/100 g-1 di fibra alimentare, 4-8 g/100 g-1 di umidità e 3-4 g/100 g-1 di ceneri (Oomah e Mazza, 2000). Queste caratteristiche fanno dei semi di lino un ingrediente molto importante per aumentare il valore nutrizionale degli alimenti trasformati, che è già stato utilizzato con successo in prodotti da forno (Aliani et al., 2012).

La presenza residua di olio nel panello (circa il 10%), associata ad una composizione in acidi grassi sostanzialmente invariata, rende questo coprodotto una buona fonte di -3 utile a riequilibrare il rapporto -3/-6, sbilanciato a favore di quest’ultimo, nell’alimentazione umana ed animale.

Il latte e la carne dei ruminanti sono caratterizzati da un’elevata presenza di acidi grassi saturi, il cui eccessivo consumo può favorire il rischio di malattie cardio-vascolari, e da un modesto contenuto di acidi grassi polinsaturi che, contrariamente agli acidi grassi saturi, sono considerati come fattore di protezione per alcune patologie croniche (Givens, 2008; German et al., 2009). Studi condotti negli ultimi dieci anni hanno

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117 evidenziato che la presenza degli acidi grassi saturi e di quelli insaturi nella carne e nel latte dei ruminanti può essere opportunamente modulata agendo sull’alimentazione degli animali e che l’utilizzo di oli vegetali insaturi rappresenta una delle strategie più efficaci in tal senso (Glasser et al., 2008; Mele e Banni, 2010). In virtù dell’elevato contenuto in acido linolenico e linoleico, i panelli di lino possono rappresentare delle ottime fonti alimentari di acidi grassi insaturi nelle diete dei ruminanti. Il loro utilizzo migliora infatti il profilo degli acidi grassi nella carne e dei prodotti lattiero-caseari, aumentando il contenuto di acidi grassi ω-3 di acido linoleico coniugato (CLA), oltre a diminuire il contenuto di acidi grassi saturi (Mele, 2009; Mele et al., 2011; Luciano et al., 2013). Altri output positivi dell’integrazione alimentare con semi di lino riguardano una riduzione della produzione di metano e un effetto positivo sul benessere animale, in particolar modo nel caso di vitelli appena svezzati (Maddock et al., 2005).

Nel caso degli ovini da latte, recenti ricerche hanno evidenziato che i semi di lino hanno consentito di ottenere risultati interessanti sia in relazione all’efficienza produttiva del gregge sia in relazione alla qualità nutrizionale del latte e del formaggio ottenuti, per l’aumento significativo del contenuto di PUFA in questi prodotti (Mele et al., 2011).

Il giusto rapporto ω-6/ω-3 nell’uomo dovrebbe essere di 4:1, mentre tale rapporto nella maggior parte della popolazione è notevolmente sbilanciato (mediamente 15:1) (Simopoulous, 2002) e nel grasso del suino raggiunge valori > 16 (Serra et al., 2007).

Recenti studi sia clinici che epidemiologici hanno messo in evidenza come l’uso di acidi grassi polinsaturi nella dieta possa prevenire molte patologie tipiche dell’invecchiamento della popolazione quali la demenza e l’Alzheimer (Bargerger- Gateau et al., 2007; Bourre, 2004). Inoltre è noto come gli acidi grassi polinsaturi ricchi di ω-3 possano svolgere un ruolo positivo sulla salute umana nei confronti di diverse patologie quali il diabete e l’obesità (Storlien et al., 1991; Delarue et al., 1996;

Friedberg et al., 1998), e nei confronti di importanti malattie cardiovascolari quali infarto, arteriosclerosi e le trombosi (Simopoulos, 2008; Reiner et al., 2007; Nannicini et al., 2006), di processi infiammatori (Sinclair, 2001; Musiek et al., 2008; Li et al., 2005; Zhao et al., 2004) e disturbi visivi (Sangiovanni e Chew, 2005). La dieta nei Paesi occidentali è tipicamente povera di acidi grassi ω-3 mentre è ricca di acidi grassi saturi e di acidi grassi ω-6 (Wright et al., 1998). Inoltre il consumo di prodotti a base di olio di pesce (ricco di ω-3) è molto basso, anche a causa di effetti indesiderati quali allergie, e per questi motivi, il lino, potrebbe rappresentare una valida alternativa (Maurette, 2008).

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