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AREE PORTUALI

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Academic year: 2021

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VI.

P

ORTI E ARCHEOLOGIA

:

RISULTATI E PROSPETTIVE

Il lavoro svolto ha permesso il censimento, per il periodo di tempo che va dal V al XIV secolo, di 111 aree portuali presenti lungo le coste liguri e tirreniche della penisola e delle isole di Sardegna e di Sicilia.

La definizione generica di “Area Portuale” è stata utilizzata per indicare qualsiasi luogo riconosciuto come funzionale all’approdo e all’ormeggio delle navi e tale da garantire la loro protezione dalle avverse condizioni climatiche, il carico e lo scarico di merci e lo sbarco e l’imbarco di persone.

Un’area portuale può quindi essere un porto artificiale o naturale o può presentare entrambe le caratteristiche.

Fig. 17. Numero di attestazioni delle aree portuali dal V al XIV secolo. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 V SECOLO FINE V INIZI VI FINE VII INIZI VIII

IX SECOLO X SECOLO XI SECOLO XII SECOLO XIII SECOLO

XIV SECOLO

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A oggi, lungo le coste liguri e tirreniche, sono dieci le aree portuali indagate archeologicamente che hanno permesso di mettere in luce infrastrutture o materiali pertinenti le fasi medievali.

Per quanto riguarda la tipologia di queste indagini, perlopiù si tratta di scavi di emergenza (Savona, Genova, Olbia, Palermo) o di ricerche preventive (Napoli, Messina, Scarlino) eseguite in occasione di lavori pubblici, mentre in numero minore sonno le indagini programmate (Portus, Bivona, Pisa).

Fig. 18. Confronto tra il numero di aree portuali attestate dalle fonti e il numero di quelle indagate archeologicamente.

Non sempre le indagini, d’emergenza o preliminari, hanno avuto lo stesso grado di approfondimento essendo spesso vincolate all’esecuzione di opere pubbliche e finalizzate alla sola documentazione dei resti emersi.

In generale nessuno degli scavi ha comunque avuto carattere di totale esaustività, data anche la necessità di dover porre dei limiti, da una parte per quanto riguarda l’estensione dell’area di scavo, che di solito corrisponde a quella dell’area progettuale, dall’altra ai

111 10 0 20 40 60 80 100 120

Aree portuali attestate dalle fonti

Aree portuali indagate archeologicamente

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tempi, che devono rispettare quelli del cantiere. In circostanze simili è assai difficile da realizzare anche la tutela dei resti.

Un triste esempio rimane lo scavo del porto di Genova, realizzato negli anni novanta, che è stato definito “uno dei maggiori disastri archeologici perpetrati”1. In quel caso l’urgenza

di portare a termine il progetto edilizio prevalse sull’esecuzione delle indagini archeologiche e non permise la conservazione delle strutture emerse.

Anche lo scavo dell’area portuale di Olbia ha avuto le caratteristiche dell’emergenza; fu, infatti, avviato solo dopo il ritrovamento di materiale archeologico in un cantiere.

A differenza dello scavo di Genova però le indagini, durate tre anni, hanno consentito il recupero e la documentazione di tutte le evidenze e anche la ricostruzione dell’antica linea di costa grazie alla collaborazione tra specialisti di varie discipline2.

Altre indagini, più limitate per quanto riguarda l’estensione dell’area di scavo, ma non dal punto di vista informativo, sono state realizzate sempre a seguito d’interventi di tipo urbanistico.

Ad esempio lo scavo d’emergenza effettuato a Palermo nel 2006, nell’area di Piazza Marina in occasione di lavori per la sistemazione della rete fognaria, che ha permesso di acquisire importanti dati sull’antico porto.

Infatti, i ritrovamenti di materiali lignei in situ, di una struttura in conci di arenaria e di materiale ceramico, hanno consentito il riconoscimento di un’area che nell’XI secolo doveva essere adibita all’attività cantieristica navale3

.

Un altro caso è quello di Savona dove negli anni settanta fu riportato alla luce parte del molo medievale di Sant’Erasmo durante lavori di sistemazione dell’area del porto nuovo4. Negli anni più vicini a noi una più attenta politica di tutela del patrimonio archeologico ha posto maggiore attenzione alla necessità dell’esecuzione di indagini preliminari in occasione di lavori pubblici che prevedono operazioni di scavo.

Ciò ha portato anche alla regolamentazione dal punto di vista normativo con la legge, n°109 del 2005, che prevede la verifica preventiva dell’interesse archeologico.

Interventi del genere sono quindi resi possibili dai sempre più vasti programmi edilizi soprattutto nelle città odierne in continua crescita e trasformazione.

1

Gelichi 2008, p. 288.

2 Gavini, Riccardi 2010, p. 1885.

3 Spatafora, Alea Nero et alii 2012, pp. 23-33. 4 Varaldo Grottin 1996, pp. 95-97.

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In alcuni cantieri si sono raggiunti risultati di tutto rispetto che hanno permesso al tempo stesso la realizzazione dei lavori e la tutela del patrimonio archeologico.

Esemplare il caso di Napoli dove sono state eseguite delle campagne di indagini sistematiche, precedenti i lavori per la realizzazione della linea metropolitana, che hanno consentito lo studio dell’antico porto di Neapolis e la ricostruzione del paesaggio costiero, senza peraltro ostacolare le attività di cantiere.

In alcune città può capitare che il bacino del porto moderno corrisponda ancora in parte a quello antico; l’esigenza di dover compiere lavori di sistemazione, come dragaggi del fondo o il riposizionamento delle banchine, diventa un’opportunità per avviare delle ricerche.

È questo il caso dell’indagine preventiva realizzata nel 2008 dalla Soprintendenza del mare per la sistemazione di banchine nel porto moderno di Messina.

In quell’occasione fu trovata una grande quantità di materiale ceramico databile dal XIII al XVIII secolo. Gli archeologi hanno ipotizzato che questo deposito sia da mettere in relazione ad attività di scarico e carico di merci, quindi a materiali persi o buttati in mare o attinenti in ogni caso alla vita del porto5.

Sono pure riferibili a uno scarico portuale i reperti rinvenuti nel corso di una ricerca preventiva sui fondali interessati dall’attività di dragaggio per la realizzazione del porto turistico al Puntone di Scarlino, in un area corrispondente a quella dell’antico Scabris

portus6. Più raramente sono state portate avanti indagini archeologiche programmate in aree portuali.

L’area del Portus Pisanus è stata oggetto, in seguito al ritrovamento di reperti, di una serie di campagne di scavo (2004-2005-2006-2007-2009) condotte dalla Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana e dal dipartimento di Scienze Storiche del mondo Antico dell’Università di Pisa. Gli scavi hanno permesso di confermare la tradizionale localizzazione del porto in località Santo Stefano ai Lupi presso la periferia nord di Livorno. Le indagini hanno riguardato due settori di un fondale marino frequentati dal VII al I a.C., una necropoli inquadrabile cronologicamente tra il IV e il V secolo e un edificio di carattere commerciale realizzato intorno alla metà del I secolo a.C. e ancora frequentato nel corso del VI secolo. In particolare i materiali rinvenuti nell’edificio (ceramica da mensa

5 Tisseyre, Cambria 2012, pp. 89-92.

6 Vaccaro 2011, pp. 113-115. I materiali sono riferibili a un ampio arco cronologico compreso tra il VI a.C. e il basso Medioevo.

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africana e contenitori da trasporto) permettono di ipotizzare la frequentazione del sito e la limitata ripresa delle attività commerciali nel tardo V e nel VI secolo7. In seguito la struttura viene abbandonata probabilmente a causa del progressivo avanzamento della linea di costa e allo spostamento del bacino portuale in un area oggi occupata dall’insediamento industriale di Livorno.

Nel sito di Portus da anni si alternano Università e gruppi di ricerca nello studio del grande centro portuale di Roma. In particolare le indagini condotte negli anni novanta hanno posto maggiore attenzione allo studio delle fasi tardo antiche e altomedievali.

Un’altra area portuale interessata da ricerche programmate è quella di Bivona (Vibo Valentia), dove a partire dagli anni novanta in seguito al ritrovamento in mare dei resti dell’antico porto furono avviate una serie di indagini rivolte all’ individuazione del bacino portuale8.

Fig. 19.

7 Ducci, Pasquinucci, Genovesi 2011, pp. 29-30; Genovesi 2014, pp. 997-998.

8 Cuteri, Corrado et alii 2007, pp. 463-464. Lo scavo ha dimostrato una frequentazione dell’area dall’età greco-ellenistica fino all’età altomedievale.

30%

30% 40%

Indagini archeologiche: fasi medievali

Indagini preliminari Scavi programmati Scavi d'emergenza

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Le ricerche archeologiche, anche se limitate a un numero certamente ristretto di aree portuali in confronto all’entità di attestazioni, permettono di poter trarre alcune valutazioni di carattere generale sui risultati raggiunti.

Innanzitutto gli scavi hanno permesso di conoscere l’esatta localizzazione dei siti chiarendo in alcuni casi incertezze di natura topografica, come per l’area portuale di Napoli, della quale per anni erano state proposte diverse ubicazioni basandosi esclusivamente sulle fonti documentarie e sull’analisi cartografica9

.

Di molti porti, infatti, oggi rimane solo la memoria del toponimo e non se ne conosce l’ubicazione.

Inoltre l’attenzione che è stata posta nell’esecuzione di indagini geoarcheologiche, in particolare nei cantieri di Napoli, Olbia, Pisa e Portus, ha contribuito anche all’acquisizione di dati utili alla ricostruzione delle trasformazioni della costa antica. Più raramente è stato possibile riconoscere e indagare infrastrutture realizzate nel Medioevo.

In considerazione del fatto che molte delle aree portuali, che troviamo attestate nei secoli altomedievali, fossero già esistenti in età romana è possibile supporre che la presenza di strutture antiche non rendesse necessaria la realizzazione di nuove e che forse quelle presenti continuarono a essere in parte funzionali per alcuni porti ancora nell’alto Medioevo e in alcuni casi anche successivamente, come per Civitavecchia o come è stato ipotizzato per Astura10.

Per l’inizio dell’alto Medioevo l’unico esempio, documentato archeologicamente, di costruzione ex novo di una struttura marittima sembra essere quello di Bivona, dove è stata individuata una lunga banchina, costruita con frammenti di laterizi legati con malta idraulica, che gli archeologi datano alla fine del V secolo11.

Lo scavo di Portus ha invece mostrato come ancora tra VII e VIII secolo fossero eseguiti interventi di ristrutturazione della banchina del canale traverso che documentano quindi un tentativo di mantenimento delle strutture romane12.

Tra VII e VIII secolo a Napoli viene invece costruito un grande magazzino, fuori dalla cinta muraria e in prossimità della costa; gli scavi in quell’area non hanno portato al

9 Giampaola et alii 2005, pp. 49-50.

10 Felici 2006, p. 72. Le fonti scritte testimoniano l’utilizzo del porto di Astura fino al XVIII secolo; è probabile che si siano continuate a sfruttare le antiche strutture pur con qualche attività di mantenimento, ma in mancanza di indagini approfondite ciò rimane solo un ipotesi.

11 Cuteri, Corrado et alii 2007, pp. 463-464. 12 Paroli 2004, p. 254.

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riconoscimento di strutture marittime, ma comunque la presenza del complesso edilizio è una testimonianza della volontà di creare infrastrutture di servizio all’area portuale13

. Per quanto riguarda il ritrovamento di strutture o impianti realizzati nel basso Medioevo gli unici esempi documentati archeologicamente sono riferibili ai casi liguri (Savona, Genova) e sembrerebbero dimostrare un ritorno alla costruzione di infrastrutture marittime in materiali durevoli solamente a partire dal XIII secolo.

Allo stato attuale delle ricerche però i principali indicatori dell’esistenza e della funzionalità di un’area portuale, in mancanza di altri elementi tangibili, rimangono i reperti ceramici.

I materiali recuperati, oltre a confermare indirettamente l’effettiva vitalità di alcuni porti ancora nei secoli altomedievali e/o bassomedievali, sono utili per l’identificazione dei flussi e delle rotte commerciali.

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Riepilogando, dove sono state condotte indagini archeologiche, i dati ottenuti aiutano a migliorare le nostre conoscenze sulle realtà portuali medievali.

Rimane da comprendere la causa della scarsità di ritrovamenti di questo tipo. Principalmente ciò è dovuto all’inconveniente di operare in contesti oggi difficilmente indagabili, o perché sommersi o perché situati in centri urbani.

Per di più, la complessa conduzione di uno scavo archeologico, che nelle aree urbanizzate è inevitabilmente limitato a sporadici sondaggi in occasione di lavori edilizi, comporta spesso anche una problematica identificazione e interpretazione delle testimonianze archeologiche, soprattutto in un ambiente in cui il sommarsi di eventi naturali e antropici ha in gran parte sconvolto, se non addirittura danneggiato, le infrastrutture esistenti e i depositi di materiali.

Un discorso diverso riguarda le problematiche conservative di un sito abbandonato come ad esempio Portus, che oggi si trova su un’area libera da condizionamenti di altre costruzioni, dove è anche più facilmente attuabile un’indagine programmata.

Al di là della difficoltà legata all’esecuzione di indagini mirate, un’altro fattore da tenere in considerazione per quanto riguarda la carenza di ritrovamenti di infrastrutture marittime è la possibile deperibilità dei materiali di costruzione se non anche l’assenza stessa di installazioni quali banchine, moli o pontili.

Infatti, è possibile ipotizzare che il luogo prescelto per l’insediamento di un’area portuale, per la presenza di determinate caratteristiche naturali, non richiedesse sempre la realizzazione di strutture. Pertanto la mancanza di materiale archeologico analizzabile non deve e non può essere un impedimento totale a un tentativo di studio.

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